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Progetto Tamandarè con i bambini di una favela brasiliana
Anche i detenuti di Padova impegnati nelle adozioni a distanza
A cura della Redazione
I detenuti impegnati nel laboratorio di legatoria rinunciano alla loro "paga" per sostenere un programma di adozione a distanza che si chiama Tamandarè ed è rivolto ai bambini di una favela brasiliana. La loro scelta ci è sembrata importante e abbiamo voluto conoscere l’iniziativa che li coinvolge, incontrando alcuni responsabili del "Progetto Tamandarè", che sono entrati in carcere per spiegarci la loro attività.
Come è nato questo progetto? Giulietta Rizzo: Il progetto è partito dall’iniziativa di mio fratello, Enzo Rizzo. Lui lavorava come impiegato qui a Padova, poi, nel 1983, ha lasciato il lavoro per andare in Brasile, con il Movimento Laico America Latina, e stare con i lavoratori della canna da zucchero. È partito come volontario laico, in Brasile ha visto la miseria, lo sfruttamento, i bambini di strada e praticamente si è innamorato di queste persone. Lì ha maturato la sua vocazione e nel 1993, 10 anni dopo la partenza, è diventato prete. Ha voluto dedicare tutta la sua vita a queste persone, agli ultimi. Nel 1996, con l’aiuto di molti italiani, ha costruito un asilo a Tamandarè, la cittadina della quale era parroco: un posto stupendo, sulla spiaggia, dove però c’è tanta miseria. Oggi, in questo asilo, ci sono 200 bambini. Prima di morire ce lo ha lasciato come testamento, ci ha detto "Mi raccomando, quando non ci sarò più non dimenticate i miei bambini", ecco perché noi portiamo avanti questa missione.
La gestione dell’asilo avrà dei costi notevoli. In che modo riuscite a farvi fronte? Antonio Brunello (volontario in Brasile da sette anni): Per la gestione dell’asilo siamo aiutati almeno in parte, dall’Amministrazione locale, che ci dà circa 600 mila lire al mese, cioè abbastanza per pagare tre impiegati (uno stipendio si aggira sulle 200 mila mensili). Poi c’è la "Parmalat", che ci dà 1000 litri di latte al mese e ce li porta addirittura fin lì. Per noi questo è un atto utile, che ci aiuta molto.
Ma voi avete anche un programma di adozione a distanza: in che modo si realizza? Gianni Migliorini (rappresentante in Italia dell’Associazione "Enzo Rizzo"): Nel gennaio del 2000, dieci giorni prima della morte di padre Enzo, in Brasile è stata costituita un’associazione che porta il suo nome. Il presidente è un italiano che era amico di padre Enzo: sono andati lì assieme, come volontari, poi Enzo è diventato prete mentre l’amico, Daniele Zannata, si è sposato e ha fatto il sindacalista. Noi raccogliamo fondi attraverso la parrocchia di Tribano (PD), che è la parrocchia natale di Padre Enzo, dove c’è anche la sua tomba. Quindi, tutte le offerte e le adozioni vengono raccolte in quel conto, poi vengono trasferite direttamente sul conto dell’associazione, in Brasile. Per le adozioni a distanza servono 260 euro. Con questi soldi riusciamo a mantenere il bambino, a farlo crescere, ma riusciamo ad aiutare anche la sua famiglia e a occuparci di casi particolari e gravi, ad esempio degli anziani della favela. Quindi non c’è solo l’adozione, l’asilo… con questi soldi riusciamo a fare tante altre cose.
Oltre ad assistere i bambini, quali altre iniziative portate avanti nella favela di Tamandarè? Gianni Migliorini: La favela di Tamandarè è chiamata invasao perché vicina al mare, quindi sorge in un territorio abbastanza acquitrinoso. Le persone si costruiscono delle baracche e vivono lì ugualmente. Abbiamo conosciuto un uomo che aveva 11 figli e viveva, con loro, in una tenda su di una pianta. I volontari gli hanno costruito una casa e adesso gli danno uno stipendio affinché porti avanti l’orto comunitario… insomma, gli hanno creato un lavoro. In questi anni la favela di Tamandarè si sta espandendo enormemente. La cittadina ha una spiaggia molto bella che, fino a qualche anno fa, era incontaminata, ma adesso gli abitanti di Recifè, città che sorge a circa cento chilometri di distanza, si sono costruiti la seconda casa lì: c’è molto turismo, la gente dell’interno sente la notizia e viene a Tamandarè perché pensa di trovare lavoro, però solo qualcuno lo trova e solo nei mesi estivi, tra dicembre e gennaio. Dopo, è fame assoluta…
Il governo brasiliano, e gli enti pubblici in generale, sostengono le vostre attività? Tutta l’attività che viene fatta a Tamandarè è la continuazione delle attività di padre Enzo, che ne era il parroco, la nostra è una missione cattolica. Tamandarè fa parte della diocesi di Palmares, che è grande come quella di Padova, ma ha soli 30 preti ed è poverissima. La Chiesa brasiliana non può aiutarci molto. Gli enti locali e lo Stato sono praticamente indifferenti: ci sono delle leggi sull’assistenza ai poveri, ma non vengono applicate. Il Brasile è un paese ricchissimo, che potrebbe essere alla stregua degli Stati Uniti, perché ha risorse, materie prime, turismo, invece ci sono queste grandi sacche di povertà. La miseria del Brasile è soprattutto al centro-nord, e specialmente a nord-est, dove ci sono le grandi coltivazioni di canna da zucchero e c’è ancora molto latifondo. La mentalità di tanta gente, che discende dagli schiavi portati lì per lavorare la canna da zucchero e raccogliere cotone, purtroppo è ancora una mentalità da schiavi, si lasciano andare… Quindi bisogna continuare il grande lavoro che ha iniziato Padre Enzo, istruire questa gente, perché diventi più indipendente e consapevole della propria dignità. L’asilo è una cosa molto importante, perché vengono sfamati i bambini e lì si inizia ad istruirli, ma è importante soprattutto perché tramite questi bambini si riesce a contattare le famiglie e si può cercare di farle crescere anche culturalmente.
A proposito di "crescita culturale" della gente, abbiamo letto che padre Enzo ha fatto anche il sindacalista, a favore dei lavoratori brasiliani… Gianni Migliorini: Sì, padre Enzo ha lavorato anche come sindacalista, aiutando i lavoratori della terra e della canna da zucchero. In seguito ha lavorato, per un periodo, anche come sindacalista dei lavoratori tessili. Questo successe durante i suoi primi anni in Brasile.
Il governo brasiliano riconosce il ruolo dei sindacati? Ci sono organizzazioni sindacali ufficialmente riconosciute? Gianni Migliorini: Oggi esiste un sindacato ufficialmente riconosciuto. Ma quando padre Enzo è partito, nel 1993, il sindacato era appena nato e non era molto radicato, soprattutto tra i lavoratori della terra e della canna da zucchero. Lui, nella zona in cui ha lavorato, è riuscito a costruire un sindacato molto forte, che tuttora è molto attivo. Per questo suo impegno è stato minacciato di morte molte volte e ha dovuto anche rimanere nascosto, per circa una settimana, perché volevano farlo fuori. Proprio in quel periodo ha sentito la chiamata al sacerdozio, anche se era un’idea che aveva già da ragazzo, infatti era stato nel Seminario dei Cappuccini, a Verona, finché a 16 anni era dovuto tornare a casa per motivi di salute.
Tra i più poveri del Brasile ci sono i "sem terra". In che situazione vivono, oggi, queste persone? Il governo brasiliano ha fatto una riforma agraria, alcuni anni fa, consentendo ai contadini senza terra di occupare le terre dei latifondisti. Però, dopo averle occupate, devono resistere in queste terre per 18 mesi, prima di diventarne proprietari. È logico che, in questo periodo, i latifondisti usano tutti i mezzi per scacciarli. Sono 18 mesi terribili, durante i quali questa gente ha bisogno di tutto. I loro "accampamenti" sono soltanto quattro pali con un telone sopra… non hanno niente altro! Hanno bisogno di essere nutriti, di essere assistiti, difesi. Nella zona di Tamandarè c’erano tre gruppi di famiglie in queste condizioni… in tutto circa cento famiglie. Uno di questi gruppi adesso ha ottenuto la terra e lo Stato gli sta costruendo delle piccole case.
Sappiamo che alcuni anni fa siete entrati a visitare il carcere di Palmares. Che ricordo avete di quell’esperienza? Quali erano le condizioni di vita delle persone detenute? Giulietta Rizzo: È stato terribile. Stiamo parlando del 1993, ma certe situazioni, senza un forte intervento, non cambiano facilmente. Abbiamo visto due stanze, con decine di carcerati, ed una grande inferriata al posto della parete. Erano tutti giovani e hanno cominciato a parlare con padre Enzo, in portoghese, poi Enzo ci ha raccontato che quei ragazzi non erano lì per cose gravi, ma per dei furtarelli: quando si ha fame il fatto di rubare può anche apparire logico… Quella che ci ha impressionato di più è stata la storia di una ragazza di 18 anni, che aveva avuto il coraggio di denunciare un uomo che faceva parte degli squadroni della morte. Si trovava in carcere per cose futili. Enzo non fece neanche in tempo a sapere che era uscita e già l’avevano ammazzata. Mi è rimasto impresso il suo sguardo e quello di molti altri ragazzi, erano sguardi disperati… Rinchiusi e senza speranza, non facevano niente dalla mattina alla sera, tenuti in assoluta inattività e promiscuità, tra donne e uomini, sotto il caldo brasiliano. Lì, quando fa caldo, si soffre, e loro avevano soltanto due ore di aria alla settimana. Padre Enzo andava in carcere, con due assistenti, ad insegnare. Nel carcere di Palmares c’erano 60 detenuti in tutto, era molto piccolo, in pratica un recinto in muratura con in mezzo un fabbricato dove stavano i detenuti.
Attraverso il nostro giornale potete lanciare un appello, dando alla gente un buon motivo per sostenere il vostro progetto… Roberta Torresan (volontaria in Brasile): L’aiuto serve per questi bambini, che sono nella strada tutto il giorno. I bambini analfabeti sono tanti, e se riusciamo a dare loro un’istruzione, a dare loro una minima parte di quello che hanno i nostri ragazzi, è già tantissimo. Non è giusto che siano abbandonati a se stessi.
Un giorno, una bambina di dieci anni è venuta a casa nostra piangendo perché il compagno di sua madre voleva abusare di lei. Questo caso siamo riusciti a risolverlo, facendo togliere la bambina a quella famiglia e affidandola ad una famiglia più coscienziosa ed affidabile, ma quanti saranno i casi come questo che non vengono mai alla luce!? Penso che l’impegno di voi detenuti per quest’opera possa far riflettere anche le nostre istituzioni, in modo che in carcere ci sia una maggiore umanità, maggior comprensione, perché credo che ogni persona ha sempre qualcosa di positivo da dare. Infatti qui lo stiamo vedendo: basta veramente poco per realizzare qualcosa di concreto e, insieme, possiamo riuscirci.
Per offerte e adozioni a distanza: "Parrocchia di Tribano, Tamandarè – Padre Enzo, Banca Nazionale del Lavoro di Monselice (PD) - Cod. Abi 1005 – Cab 62660".
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