Articolo
21
La
strana sensazione di essere delle persone normali che escono la mattina per
recarsi al posto di lavoro, anche se noi in realtà usciamo dal carcere con la
sensazione di essere tornati bambini
di Alain Canzian
Io
sono una persona che nella sua vita aveva cercato di fare scelte responsabili,
diventando padre molto giovane con tutti quei valori che servono per formare una
famiglia, ma purtroppo per varie vicissitudini e una perdita importante la mia
vita è completamente cambiata e si sono aperte per me le porte del carcere.
I
primi momenti sono stati molto duri, ma poi con il passare del tempo dovevo
tentare di convivere con questo mio dramma, cercando di usufruire di quel tempo
della carcerazione nel modo più costruttivo possibile, anche perché avevo una
condanna pesante.
Quando
sei in un istituto di pena come il “Due Palazzi” con quasi 900 persone,
cercare di avere una occupazione non è per niente facile, come non è facile
tenere sempre un buon comportamento per far sì che la tua detenzione sia più
lineare possibile, in modo da non perdere il beneficio che puoi avere più
facilmente, la liberazione anticipata. Gli anni passavano ed io non avevo avuto
molta fortuna con il lavoro, se non qualche lavoretto saltuario di sezione,
quando un giorno la mia educatrice mi ha detto: “L’ho segnalata per un
eventuale lavoro in Articolo 21”. Articolo 21, una cosa oscura per me, ma poi
la cosa pian piano ha incominciato a prendere forma sempre di più: si tratta di
una opportunità di lavorare fuori dal carcere, uscendo la mattina e rientrando
in galera la sera, una opportunità che ti viene data direttamente dal Direttore
del carcere.
Io
fino a quel momento avevo già usufruito di qualche permesso premio,
incominciando ad assaporare la tanto sognata libertà, e intanto avevo il modo
di passare il mio tempo come volontario nella redazione di Ristretti Orizzonti,
cosi che l’attesa era meno snervante. E finalmente arrivò il momento di
incominciare la trafila delle varie visite mediche prima dell’uscita dal
carcere, per vedere se eravamo idonei per lavorare nel mondo esterno. Una
mattina, io e un gruppo di detenuti siamo usciti dall’istituto da soli per
recarci a fare tutto quello che ci avrebbe messo in condizione di svolgereun
lavoro fuori dal carcere, e guardandoci, le nostre facce erano felici ed anche
un po’ preoccupate, ma comunque ERAVAMO FUORI.
Da
soli, ci sembrava di essere tornati bambini, con molta paura di sbagliare
qualcosa, e guardandoci attorno ci pareva che la gente in qualche modo ci
osservasse con fare sospettoso, ma eravamo molto contenti.
Finalmente
giunse il momento di incominciare ad uscire ogni giorno con le nostre gambe, io
fui destinato al Comune di Padova, a una mansione che aveva a che fare con la
segnaletica. Dovevamo recarci al posto di lavoro in bicicletta, non ricordo
l’ultima volta che ero salito in una bici e l’età si faceva sentire, ma la
contentezza faceva superare tutte le difficoltà.
Eravamo
delle persone normali che escono la mattina per recarsi al posto di lavoro,
anche se noi uscivamo dal carcere. Fu stabilito un compenso e con quello
dovevamo gestire tutte le nostre spese.
Finita
la nostra giornata lavorativa, ci lasciavano qualche ora per poter svagarci:
ricordo i primi momenti che entravo in un bar, ero così impacciato anche solo
per ordinare un semplice caffè, ma come si dice in carcere, basta un giorno di
libertà per dimenticare tanti anni di detenzione, sapendo però che il pericolo
è sempre dietro l’angolo.
Alla
sera rientravo, e vedere l’istituto dal di fuori era tutta un’altra cosa,
aspettavo l’ultimo minuto per fare rientro e quando varcavo l’ultimo
cancello non era facile, mi sembrava che i miei compagni mi guardassero male, o
forse con un po’ di invidia.
La
paura di non farcela quando si apriranno le porte del carcere definitivamente
Da
quei momenti, qualche mese è passato e le cose non sono più come quando uscivo
per le prime volte, molti i problemi che incominciavano a farsi sentire e pian
piano mi accorgevo che non ce la facevo ad arrivare a fine mese, avendo pochi
soldi in tasca, e la gioia dei primi giorni si stava un po’ afflosciando, ora
cominciavo a capire quanta fatica fanno tutte quelle persone cosiddette
“normali”, che non hanno un lavoro in questo periodo di grande crisi. Ma noi
siamo detenuti e dobbiamo essere grati per questa opportunità che ci è stata
concessa e dobbiamo andare avanti per imparare a stare sulle nostre gambe, perché
quando verrà il giorno che si apriranno le porte del carcere definitivamente,
non avremo più nessuno che ci prende per mano.
Purtroppo
la paura di non farcela cresceva sempre di più, e qualche mio compagno non ce
l’ha fatta, finendo per perdere tutto e magari dovendo ricominciare da zero.
Tutto questo ti fa capire che il carcere in qualche modo “ti protegge”, e se
fuori tu non hai nessuno, forse ora te ne stai rendendo conto, quanto faticoso
può diventare il vivere normale, specialmente se nei tuoi anni da libero non
sei stato capace di costruirti qualcosa, perché fuori non vivevi in un modo
sano.
Questo
è l’Articolo 21: una grossa possibilità per cercare di rifarsi una vita
senza più avere bisogno di delinquere, sapendo che non è per niente facile e
dovrai scontrarti molte volte con quelle persone che non vedono troppo bene il
fatto che tu esca dalla galera prima di aver scontato del tutto la tua pena,
loro ci lascerebbero volentieri rinchiusi e butterebbero via la chiave, ma noi
non dobbiamo giudicare, anzi dobbiamo ringraziare. Il problema si presenta
ancora quando uno giunge alla fine del contratto di lavoro e però la pena non
l’ha ancora scontata tutta, e se non trova un nuovo posto di lavoro dovrà
subire un’altra carcerazione come se fosse giunto nell’istituto solo ora.
Situazioni così sono difficili da accettare, è come dover ricominciare tutto
da zero. Forse qualcuno dovrebbe prendere più seriamente questo problema, dando
modo al detenuto di mettere le basi per un domani, quando si aprirà anche
l’ultimo cancello e finalmente sarà una persona libera, avendo davanti a sé
i tantissimi problemi, che si incontrano dopo tanti anni di carcerazione.
Quello che chiediamo è di poterci in qualche modo riscattare, per dare ancora un senso alla nostra vita, senza dimenticare gli errori fatti e il torto che la società in cui viviamo ha subito da noi.