Fili
blu Lettere dal carcere a cura di Ovidio Bompressi e Athe Gracci
La
forza, la vitalità e l’energia dedicate al carcere da una donna senza età
a
cura della Redazione
Athe
Gracci continua a dirci che è ormai vecchia, ma noi ogni volta non cessiamo di
meravigliarci della quantità di energie e passione che ci regala, della sua
capacità di ascolto e dell’attenzione incessante che sa dare agli uomini e
alle donne detenuti
Athe
Gracci Biasci è una scrittrice, un’insegnante, una volontaria in carcere,
nata a Livorno nel 1922. Non sarebbe elegante iniziare a parlare di qualcuno
partendo dalla data di nascita, ma noi lo facciamo per raccontare la forza,
l’energia, la curiosità, la passione che hanno caratterizzato l’attività
di volontariato nel carcere di Pisa di Athe, che da anni dichiara di essere
vecchia e stanca, e invece continua a darci lezioni di vitalità e amore. E poi,
è una grande, straordinaria raccoglitrice di storie, a lei da anni detenuti e
detenute hanno raccontato e scritto, e noi le abbiamo anche promesso che
l’aiuteremo a raccogliere questi straordinari materiali (alcuni sono stati
pubblicati in questi anni in belle raccolte curate da Athe, altri, tanti,
aspettano che qualcuno dia una mano a riordinarli), per ora diamo ai nostri
lettori un “assaggio” di questo ricchissimo carteggio.
Dalla
Premessa a Fili blu di Athe Gracci
Quando
mi capita di aprire per la prima volta un libro, subito immagino la ricchezza di
ciò che andrò a leggere. Leggere è come un istante di libertà che implica
interesse per l’animo degli uomini. Ecco perche questo libro. Una raccolta di
lettere inviatemi in anni recenti da donne e uomini detenuti, coi quali. come
assistente volontaria nel carcere Don Bosco di Pisa, ho potuto stabilire un
rapporto di mutua fiducia e affettuosa amicizia. Un libro che certamente non farà
male a nessuno. Un libro da far leggere ai giovani: anche a quelli delle scuole.
Un libro che è un sogno perche racchiude pensieri di chi può solo sognare.
Sognare un fiore. Un ramo verde. Il miagolio di un gatto. Si apre la prima
pagina: no, non è un romanzo. Non racconti di storie vaghe. Storie, invece, che
vengono scritte come sgravandosi di un peso, dopo colloqui di profonde
riflessioni e malinconie, di sguardi intensi. Spesso bruscamente interrotti per
mancanza di tempo.
II
mio animo soffre dinanzi a persone che non hanno che poche speranze. Cerco di
rimediare come posso a questa situazione. Tento di rifugiarmi nella loro verità
solitaria. Anche se io non ho verità. Non trovo in me che un’amarezza
infinita. Leggo in queste persone la grande, indefinita esitazione che nasconde
il bisogno d’amore. Ed io cerco di convincerle che ogni essere è importante,
è indispensabile all’universo; e per far nascere questa straordinaria
condizione di serenità, là dove tutto si adopera a confondere l’uomo e a
precipitarlo nell’angoscia, è necessario cercare e frugare nei più intimi
segreti del loro cuore. Coloro che nel vuoto della cella riescono a pensare alla
famiglia, al primo amore, che nella solitudine dell’ozio forzato sognano quel
bene unico che è la libertà quando le porte del carcere si riapriranno,
provano, con questi messaggi di poche righe, a farsi forza nell’animo, a
superare lo spietato laconismo di chi si sente abbandonato.
Ho
così parlato, nel corso di questi anni, con molte persone chiuse dentro le mura
di un carcere. Incontri e colloqui tessuti del valore inestimabile di ciò di
cui sono privati: gli affetti familiari, l’amore di un uomo, di una donna,
tutto il bene prezioso della vita. Sentimenti che sono tutt’uno con
l’anelito per la libertà e per la giustizia. Chi soffre profondamente
acquista una maturità diversa, una forte consapevolezza. I cari pensieri
rimuginati “tra le mura” finiscono col ricondurre a quei valori di umanità
e di dignità che è necessario difendere e riaffermare anche a costo di gravi
disagi, accettando situazioni incerte e dolorose. Devo molta gratitudine a
queste persone che ho conosciuto in carcere. Perché nei nostri colloqui e poi
nel rapporto epistolare, attraverso le loro parole, i loro silenzi mi hanno
fatto capire che, quanto più si è isolati ed indifesi, quanto più le prove
sono dure, tanto più la vita deve continuare, e infondere speranza a se e agli
altri. Da ultimo, un saluto a chi leggerà, un saluto che rivolgo perché sia
attiva e forte sempre la volontà di migliorarsi. (…)
Athe
Gracci
Ricamando
e parlando: Lettere ad Athe
Ciao
dolcissima,
come
già saprai non avrò più l’onore di ricamare con te. Ne sono molto
dispiaciuta, perché le due ore che passavamo assieme ricamando e parlando mi
facevano bene, e in quei momenti mi dimenticavo di essere chiusa in una gabbia
di ferro e cemento. Ora ho cambiato gabbia e sono molto triste, mi manchi, mi
mancano le mie compagne: qui mi sento sola, abbandonata, ed esausta di queste
giornate tutte uguali e vuote. Non credevo che un giorno mi avrebbero
trasferita. Nei lunghi venti mesi passati al Don Bosco ho sempre cercato di
comportarmi nel migliore dei modi, e tantissime volte ho ingoiato dei bocconi
amari riuscendo comunque a mantenere la calma. Ma, come vedi, tutta la mia buona
volontà non è servita a nulla: mi hanno mandata in questo carcere lontano da
casa, dove potrò vedere i miei figli sì e no una volta al mese. Ho preso io la
decisione di non farli venire più spesso perché la strada è lunga, brutta,
con molte gallerie, e ogni volta starei fissa col pensiero che gli possa
accadere qualcosa. Mia cara, sono molto amareggiata. Ma non preoccuparti per me;
avrai di certo capito che sono una donna molto forte, perciò saprò abituarmi
presto a questa nuova situazione. Se puoi scrivimi, così mi sentirò meno sola.
Io cercherò di mandarti tutte le cose che avevo scritto sul quadernone, che a
te piacevano tanto. Vorrei che questa mia ti arrivasse prima possibile, ma non
ho i bolli sufficienti per l’espresso, i soliti problemi economici... Quando
vai al Don Bosco, ricordati di dare un bacio da parte mia a Monica, Maria
Grazia, Valeria, Liliana. A te lo mando col vento, ma se fossi lì te ne darei
altri cento.
Gemma
Carissima
Athe,
è
martedì mattina, sono le nove, ho già fatto la doccia e le pulizie della
cella, ho preso un buon caffè, mi sono accesa una sigaretta ed eccomi qui a
scriverti. Questa mattina non sono andata a correre (tanto... corro corro e sono
sempre qui!), ho pensato invece di dedicarla a te, perché voglio scriverti con
calma. Avrei già voluto farlo qualche giorno fa, quando ho ricevuto la tua
lettera bellissima e m’era subito presa voglia di trasmetterti un po’ della
mia gioia e allegria. Oggi sento un po’ di malinconia, sarà per il tempo così
grigio, o forse per i 15 anni di condanna che mi hanno rifilato. Non so se te
l’avevo già scritto: il Pubblico Ministero. aveva chiesto 26 anni, ma la
Corte me ne ha dati solo 15, cioè mi ha scalato 11 anni - sono stati molto
umani, vero? Ma io non mi dispero... continuo a sperare. Con la mente torno
indietro a quando credevo che la vita mi avrebbe dato tanto, e io le andavo
incontro con l’entusiasmo e l’incoscienza di chi è giovane ed avendo tutto
finisce col perdere il senso delle cose e dei valori. Sì c’è un po’ di
malinconia, ma è quasi dolce. Mi manchi tanto... Spero di vederti il giorno 18:
sai, la direttrice ci fa fare la replica della commedia, e io spero che tu ci
sia. Tornando a noi, voglio tu sappia che è stato bellissimo per me conoscerti,
nonostante il carcere, perche ho trovato il pulito proprio quando ormai tutto e
tutti mi apparivano sporchi. Non credo sia necessario spiegare a te quanto certi
momenti, se pur brevi, possono essere tanto intensi e pieni di significato, e
quanta bellezza ci possa essere in alcuni gesti... Io, a Pisa, grazie a te ho
vissuto degli istanti che non dimenticherò mai più, li porterò sempre nel
cuore. Ci sono momenti, particolari stati d’animo in cui non è la quantità
ma la qualità delle sensazioni a dar loro valore: sono proprio le sfumature a
farti capire se qualcosa o qualcuno è davvero importante. Tu Io sei per me,
ricordalo. Ti mando un abbraccio affettuoso e tanti bacini.
Gemma
Carissima,
ti
ho scritto molte lettere in questi giorni... ma se non le hai ricevute non è
colpa delle poste o di chissà chi, il fatto è che non le ho mai spedite. Mi
succede spesso: mi viene voglia dì dirti tante cose e comincio a scrivere, ma
poi finisco per stracciare i fogli. Forse sarà un modo di sfogarsi, per la
disperata voglia che avrei di essere in tua compagnia, perché ti apprezzo al
punto di credere che sei l’unica persona amica con la quale varrebbe la pena
di parlare. Quello che so è che ho tanto bisogno di te, ma ne provo vergogna.
Quando rileggo quello che ho scritto, mi rendo conto che più che lettere le mie
sembrano grida d’aiuto, allora ritrovo il mio orgoglio e mi dispiace di aver
cercato dì scaricare un ulteriore peso sulle tue spalle, già tanto provate, e
vorrei essere io a poter aiutare te invece di saper soltanto assillarti e
contagiarti con la mia tristezza. Faccio appello al mio orgoglio e cerco di
ricordarmi che sono una donna forte, che ho il dovere di non essere mai fragile,
o almeno di non mostrarlo; così esorcizzo la sofferenza indossando questa
maschera e tornando fra le altre donne, a parlare di auto, bella vita, o, tanto
per cambiare, di droga. Mentre parlo mi domando se anche la loro è una
maschera, o se sono davvero così stupide; però le invidio quando mi accorgo
che quello che le fa più soffrire è il ferragosto, il sabato sera, il
capodanno... I figli che hanno a casa, le altre persone care, la prepotenza e la
violenza, sottile ma non per questo meno crudele, che subiscono di continuo,
sono solo cazzate! Sai cos’è che mi fa pesare così tanto la galera? È che
non credo più in quelle cose che mi ci hanno portato. Riesco a pensare soltanto
alle persone che amo, alla sofferenza di non vederle; a quello che soffriranno
loro. Ma provo anche una profonda rabbia per essere stata di nuovo trasferita:
pensa al sacrificio che dovrà fare mia figlia per potermi abbracciare. Se
almeno mi avessero tenuta a Lucca! Ancora una volta sono stata delusa, e le
delusioni fanno male! Cara amica, spero di non averti annoiata, e tantomeno
rattristata. Un forte, fortissimo abbraccio.
Gemma
Cara
Athe,
spero
che tu stia bene. lo invece sto malissimo. Non ho ancora ricevuto risposta dal
Tribunale dei minori di Firenze, e non ne posso più di aspettare. È dal 14
aprile che non vedo più il mio bambino! Tutti mi dicevano che ho un gran cuore
perche mi sono rifiutata di tenere mio figlio con me in galera. È vero, l’ho
fatto per amore, non volevo che lui soffrisse qui dentro; ma ora non sono più
sicura d’aver fatto bene, non ce la faccio ad andare avanti così. Già ho
perso il mio amato marito, ora non posso neanche vedere mio figlio, nato dal
nostro amore, dall’immenso, sincero amore che ci univa. La mia vita è
diventata un inferno. Athe, cosa devo fare? Io non so più niente, non ho più
niente. Non riesco a pensare a un futuro, e ora mi vogliono togliere anche il
mio bambino, l’unica ragione della mia vita, tutto il mio amore… Io e mio
marito siamo stati felici insieme, darei la mia vita purché fosse vivo; ma il
destino ha voluto diversamente, ha voluto che io, contro la mia volontà, gli
facessi del male. Mi sento così sola, perduta. Anche quando mangio, dormo,
respiro, io sono morta con lui. Ogni istante posso solo pensare a lui e a mio
figlio. Avevamo così tanti progetti, perfino un fratellino E ora niente, si è
fermato il mondo per me. Cara Athe, spesso penso di essere impazzita… vorrei
farla finita. Meno male che ci sei tu e ti posso scrivere quello che sento.
Grazie che mi ascolti, anche se le mie lettere sono sempre così tristi. Ho già
cominciato il nuovo ricamo con i fili che hai portato, te lo mostrerò al
prossimo colloquio che riusciremo a fare. Un fortissimo, affettuoso abbraccio.
Gaby
Mia
Cara,
oggi
è una giornata molto particolare, c’è la “paura”. Sì! oggi domina in me
una grande paura. Dio, quanto è brutta questa sensazione: mi si annoda la gola,
ho una gran voglia di piangere. Ora le racconterò perche oggi c’è la paura.
Tornerò un po’ indietro con la memoria. Sappiamo tutti che nella vita ci sono
scelte e situazioni che ti trascinano per mille ragioni, prima fra tutte
l’incoscienza perché ti frega in gioventù, in quell’età che ti senti la
padrona della vita e niente ti sembra impossibile. Però devo dire che in
coscienza non ho mai fatto del male, se non a me stessa. E poi ho dato alla luce
una creatura che è parte essenziale di me e la mia forza per continuare a
vivere: mia figlia è l’ancora che mi tiene soggetta a questo mondo. Lei ora
è una magnifica donna, una moglie responsabile, una madre affettuosa con due
bambine che sono l’orgoglio di tutti noi, madre, padre e nonna, che sono io.
La mia nipotina più grande, Luana, sogna di riabbracciarmi presto, dice
“Nonna. è vero che si farà il miracolo di poter giocare insieme?”. E io
bramo di poterla stringere a me con tutto il mio amore, e prego “Dio mio! fa
che questo accada, non ti chiedo altro”. Questa sarebbe per me la più grande
gioia! Ma oggi tutto questo sogno può crollare e far soffrire degli innocenti,
può anche farmi morire. E la paura è questa: possono darmi l’espulsione da
questo Paese dove c’è tutta la mia vita, dove ci sono le uniche persone che
amo e che mi amano. Capisce ora perché questa paura mi sta uccidendo? Io sono
vecchia, non so dove andare, non so cosa farei lontana da loro, sono sicura che
morirei! Paura! Paura vattene via! ! Mia Cara, le mando il saluto più bello e
sereno possibile come ringraziamento per tutto quello che fa per me. Ma ho
bisogno ancora di un favore: qualche francobollo espresso, delle buste e un
blocco. Sono senza fondi e non so come fare per scrivere ai miei figli,
all’avvocato, anche al console del mio paese. Grazie, con tutto l’affetto.
Sara
Mia
cara Athe,
ti
scrivo da Lecce con tristezza in quanto mi ero illusa di poter restare a Pisa.
Sono stata trasferita l’11mattina c.m. e sono arrivata a destinazione il
giorno dopo per un guasto al blindato che ci ha bloccati per ore
sull’autostrada, prima di Roma. A Lecce ho trovato le vecchie amiche con cui
dividevo la cella: siamo in quattro e tra noi c’è buona armonia.
Questo
è però un carcere punitivo, le regole sono durissime, e la mia tristezza,
inoltre, è dovuta al fatto che non so come andrà a finire qui la mia
carcerazione. Forse sconterò sino all’ultimo giorno in quanto i servizi
sociali sono praticamente assenti. Ho già rifatto istanza per tornare al Don
Bosco (il carcere di Pisa, ndr.), dove potrei approfondire i colloqui con
l’assistente sociale al fine di ottenere la semilibertà, ma non so se verrà
accolta. Persino l’educatrice, qui, è una figura senza contorni reali.
Comunque
basta parlare dei miei problemi, ho imparato ad accettare le difficoltà e a
convivere con
esse!
Tu mi manchi tanto! Mi sono molto affezionata a te, davvero, te lo dico in tutta
sincerità.
Ho
ricevuto la tua cartolina dall’Abetone e ti ringrazio del gentile pensiero.
Continuerò a scriverti e rimanere in contatto con te, ma prima di salutarti
vorrei chiederti dei piccoli piaceri personali. Allora, mia cara, siccome ho
portato con me i lavori iniziati e vorrei finirli, visto che me li fanno tenere
in cella, mi occorrerebbero 7-8 fili del cotone da ricamo blu che avevo prestato
a Denise. Ho scritto pure a lei chiedendole di spedirmeli in una busta con la
lettera, ma fammi la cortesia di ricordartene anche tu.
Poi
ti prego di starmi vicina. Un’ultima cortesia. Vedi se mi puoi mandare dei
bolli, perché sono a corto di tutto; ho scritto anche al Don Bosco affinché mi
facciano pervenire il mio fondo vincolato, che poi mi servirà per le spese del
pacco che mi faranno dei miei indumenti invernali, rimasti lì in magazzino. E
se ti capita mandami anche qualche bella cartolina. Ti ringrazio di tutto e
conto di sentirti al più presto. Sei molto cara al mio cuore.
Elvira