Intervista a un detenuto che si è fatto dieci anni nelle galere spagnole

Carceri della Spagna: hai un trattamento davvero individualizzato

È un sistema più duttile, dove il detenuto è continuamente incentivato a migliorare per progredire, passando a regimi di vita gradualmente più aperti

 

Intervista a cura della Redazione

 

M. L., emigrato in Spagna negli anni ottanta con la speranza di un futuro migliore, è invece finito in carcere e ci è stato a lungo, prima in quel Paese poi in Italia.

Maurizio ha accettato di rispondere alle nostre domande e ci ha così raccontato la sua esperienza con la giustizia e il carcere in Spagna.

 

Cosa ricordi del tuo impatto con il carcere spagnolo?

Venni arrestato con un tedesco per detenzione di hashish e, dopo la convalida, trasportato in un carcere molto vecchio. Le stanza erano da 30-40 persone con brande a castello da 4-5 letti, un bagno con tre turche e 3 docce. Furti e liti erano cosa di tutti i giorni, era un carcere con 500 persone, e io ero l’unico italiano, non potrei descrivere lo shock dell’impatto iniziale, ma tutto sommato non mi persi d’animo. Dopo un paio d’anni sono stato trasferito in un altro carcere, nel frattempo era entrata in vigore la normativa europea sul trattamento penitenziario. Il carcere era nuovo, la giornata si svolgeva nei passeggi o nel salone, giocando a scacchi, carte, alcuni si recavano in biblioteca o a corsi formativi, a scuola, in palestra, altri lavoravano all’economato o in lavanderia. In tutte le prigioni spagnole la cella è da una o due persone, la maggioranza sono con la doccia e con la porta automatica. Dopo questo ho iniziato a conoscere altre carceri e a capire che ogni sezione era un blocco indipendente di quasi centocinquanta persone e tre funzionari, tutte carceri nuove, costruite nell’arco di dieci anni, Madrid ha cinque carceri, l’ultimo vecchio esistente solo per i non definitivi è stato chiuso nel 1998. Durante la mia detenzione non sono mai stato considerato come uno straniero, in quegli anni ciò che osservavo era lo sviluppo dell’individualizzazione del trattamento delle persone ristrette.

 

Come funziona esattamente l’ingresso in carcere?

All’ingresso impronte digitali e foto, ti viene consegnata una carta d’identità interna con la tua foto che devi portare sempre con te, coperte, lenzuola, coprimaterasso e copriletto, un sacchetto con la fornitura mensile contenente sapone, shampoo, carta igienica, rasoi, schiuma da barba, pettine, spazzolino, dentifricio, posate in plastica dura, preservativi (per i colloqui intimi). Se non hai un cambio, ti vengono consegnate mutande, calzini e maglietta, vieni poi accompagnato nella sezione “ingresso“ dove rimani per due o tre giorni per essere sottoposto a visita medica e avere dei colloqui con operatori trattamentali.

 

Quindi vieni subito in contatto con gli operatori?

Sì, prima c’è la visita medica dopo la quale ti prescrivono moltissime analisi, del sangue, urine e altre. Poi incontri l’assistente sociale che durante il colloquio raccoglie i primi dati sulle condizioni della tua famiglia e le necessità primarie di sostentamento, avvisa i famigliari dell’arresto, degli orari e giorni per il colloquio, fornisce loro altre informazioni, prende quindi contatto con l’assistente sociale del Comune di residenza per predisporre una scheda personale sul tuo passato, nonché sulla situazione economica della famiglia, se hai moglie e figli. A questo punto subentra il Comune con il suo assistente sociale. Dopodiché hai un colloquio con l’educatore che raccoglie informazioni sulle tue esperienze professionali per avviarti al lavoro, alla scuola o ai corsi formativi all’interno. Infine, c’è l’incontro con lo psicologo che osserva il tua grado di pericolosità-aggressività, in relazione al fatto se sei al primo o secondo ingresso e al tipo di reato, il risultato di questo studio è utilizzato per la tua collocazione nella sezione più adatta.

 

Quindi il carcere è diviso in sezioni separate?

Il carcere è strutturato in sezioni separate (sia per i definitivi che per quelli in attesa di giudizio), in base alla tipologia di reato commesso, all’uso di stupefacenti, al fatto che si sia o meno recidivi. A scuola, ai corsi o lavori, si sta tutti insieme, invece poi la separazione nei diversi circuiti viene fatta per modificare il comportamento e quindi la personalità del soggetto. Se c’è un rapporto negativo per cattiva condotta si viene spostati in una sezione con maggior sorveglianza, il contrario per un rapporto positivo, questo sistema ti costringe a cercare sempre di migliorare te stesso. Questo vale sia per i definitivi che per le persone in attesa di giudizio, non per le persone che arrivano da altri carceri, che sono già classificate.

 

Hai lavorato in carcere?

Ho fatto di tutto, ho iniziato come incaricato alle pulizie nel reparto infermeria, ho partecipato all’esecuzione di un progetto radio in due carceri (si trasmetteva in un raggio di 6 km), sono stato destinato all’ufficio matricola. Ho frequentato corsi scolastici, di fotografia, informatica, dattilografia, ho partecipato anche ad un progetto di riciclaggio dei rifiuti. Devo ammettere che la fotografia mi appassiona molto, è una cosa viva fotografare e rivelare, è un mondo a parte, specie quando si fotografa in bianco e nero, qui non ci sono i colori ad ingannarti e la foto ti invita a guardare dentro, a riflettere, a capire gli sguardi. Servirebbero corsi così anche in Italia. Due volte alla settimana andavamo a fotografare nelle sezioni o in palestra, al lavoro, portavano anche le persone nei giardini per fare foto che poi venivano sviluppate. Il costo che pagavamo era molto basso, necessario al pagamento dei materiali (carta, negativo e liquidi), vista la professionalità acquisita fui scelto come fotografo responsabile per ogni avvenimento particolare.

 

Com’è il sistema scolastico in carcere?

Nel momento in cui esprimi l’interesse per lo studio, l’educatore ti chiama, valuta il percorso più adeguato per te e ti prospetta anche le opportunità che quello specifico studio ti può portare. Chi frequenta un corso di studio non viene pagato, ma non ha costi per i libri di testo e per il materiale didattico. Per l’università, c’è un sistema che se esistesse anche in Italia, permetterebbe a moltissimi anziani di passere meglio le loro giornate, si chiama UNED (Università nazionale di educazione a distanza) è internazionale, se hai solo la terza media e più di 25 anni puoi iscriverti. Poi ci sono tantissimi altri corsi formativi, compreso quello di muratore, utilissimi per uscire con una professionalità e trovare lavoro.

 

Quali attività lavorative si possono svolgere all’interno?

Iniziando dalle sartorie che comprendono la confezione di lenzuola, copriletti, biancheria intima, giubbotti e pantaloni jeans, passando per la produzione di scarpe e pantofole, arrivando ai lavori di artigianato, c’è lavoro sufficiente per tenere occupato chi lo desidera e sia definitivo. Le società che danno lavoro ai detenuti vendono anche all’estero, molte di loro sono interessate a produrre all’interno per i finanziamenti ministeriali e gli sgravi fiscali, per la manodopera sempre disponibile e perché i lavoratori più capaci e disciplinati se li portano fuori. Il Comune della città dove si trova il carcere di solito è molto presente non solo per le scuole e i corsi, ma per aiutare il detenuto a comportarsi come ogni cittadino. Ad esempio, a quelli che lavorano in cucina o in mensa viene fatto prima frequentare un corso di formazione per il trattamento di alimenti, che gli permette così di ottenere una specie di patentino, che si usa regolarmente per lavorare in libertà.

 

Come funziona la spesa?

Molto diversamente dall’Italia. In cella non si cucina, c’è la corrente gratis, puoi acquistare uno scaldaacqua (resistenza) per farti un caffè solubile, tè o camomilla, puoi acquistare un ventilatore, una lampada da lettura, un computer e accessori, la televisione (poiché non la passano), frutta e altre cose di qualsiasi genere, ma non verdure o carni, cioè nulla da cucinare. Puoi ottenere tutto tramite domandina. Poi c’è l’economato, dove i prezzi sono fissi, puoi comperare dai biscotti alle scatolette di ogni genere, gelati e bibite (non ci sono bibite con alcool, neanche birra), saponi e detersivi, tabacchi, insomma un piccolo bazar. Per acquistare usi i soldi, oppure una specie di carta di credito, a seconda del carcere in cui ti trovi; ogni settimana viene caricata la carta, con una quota fissa presa dal tuo fondo personale. Devi esibire la tua carta d’identità per il ritiro del denaro, dei farmaci e per qualunque altra cosa, come per i colloqui o per entrare in altre sezioni, puoi essere anche fermato per un controllo dal momento che le nuove carceri sono enormi, tutte da 1200 persone circa.

 

Parliamo di colloqui telefonici e non, come funzionano?

Si acquista all’economato una normale scheda telefonica; il telefono è posto nell’ufficio del funzionario con una finestra che da all’esterno. Si ha diritto a due telefonate settimanali. Quando scendi al mattino metti il tuo nome in una lista, poi ti metti in coda, al tuo turno inserisci la scheda, fai il numero e parli, è un telefono normale. Chiaramente puoi solo telefonare ai numeri che sono stati autorizzati dalla direzione e sono registrati in una scheda nell’ufficio del funzionario che ti controlla anche per il tempo, mi sembra di cinque minuti.

Quanto ai colloqui, c’è un colloquio di un’ora alla settimana attraverso il vetro, qui a visitarti può venire chi vuoi, ma devi farne richiesta alla direzione allegando fotocopia della carta d’identità del visitatore. Poi c’è il colloquio solo per familiari e conviventi, in un salottino con tavolo, divano e sedia, bagno, senza spioncino, né telecamera, questo spetta per un’ora al mese. C’è infine il colloquio intimo, solo per sposati o conviventi, in una camera da letto matrimoniale con bagno e doccia, per due ore al mese. Fosse così anche in Italia, forse non ci sarebbero tante crisi e rotture familiari, ma un vincolo più solido. In base al tuo comportamento o ai problemi famigliari, puoi ottenere colloqui e telefonate extra.

 

Com’è il regime carcerario interno?

Ti è stata tolta la libertà ma non la dignità, sei in una prigione senza alcun dubbio, ma sai che è una punizione che migliorandoti ti può permettere di reinserirti in società senza essere additato.

Alle otto del mattino sei fuori dalla cella che deve rimanere pulita e con il letto rifatto, ci ritornerai alle 14.00, di nuovo fuori alle 16.00 e rientro alle 20.00. Sono orari che cambiano secondo la stagione o il carcere, ma è sempre lo stesso il numero di ore che si possono trascorrere fuori. Solo il sabato pomeriggio e tutta la domenica si può restare in cella, gli unici ad essere esonerati da questo regime sono gli ammalati e gli studenti universitari. Non è comunque nemmeno una festa scendere tutti i giorni, la sezione è un blocco, sopra ci sono le celle e sotto un salone con vetrate e una porta che dà sulla zona aperta di una vastissima area di passeggi. Che ad una certa ora della sera, quando fa buio, d’inverno chiudono lasciandoti nel salone. In questo salone a pianoterra c’è la zona delle docce, nel caso non siano in cella, una sala per la mensa, una saletta per lo studio, la lettura e l’hobbistica. In un salone più grande ci sono tavoli in plastica e sedie, c’è un televisore e si socializza con passatempi vari. Nella maggior parte dei casi a passare la giornata in sezione sono persone con difficoltà fisiche, oppure gli incaricati della mensa, delle pulizie o chi ha il giorno di riposo, tutti gli altri si recano ai corsi o al lavoro fuori sezione. Diversa è la situazione per quelli in attesa di giudizio, che difficilmente escono dalla sezione per corsi e mai per lavoro, tranne quello della mensa e delle pulizie.

 

Come è scandita la pena?

La pena è praticamente divisa in quattro parti, che si chiamano gradi. Facciamo l’esempio di una condanna a 4 anni: quando si è condannati si viene passati subito alla sezione definitivi, dove ha inizio l’osservazione (primo grado); trascorso un anno dal tuo arresto puoi richiedere il beneficio del permesso (secondo grado), il primo permesso che fai devi andare al commissariato sia all’uscita del carcere che all’entrata, devi anche firmare all’ufficio del magistrato di sorveglianza. Sono 45 giorni all’anno, che puoi gestire come vuoi. Arrivato a metà pena, puoi passare alla sezione aperta (terzo grado) con contratto di lavoro o per motivi di studio, esci al mattino e ritorni alla sera (a seconda degli orari che ti occupano all’esterno), il sabato mattina esci e fai ritorno il lunedì sera, presentandoti la domenica a firmare. Chi non ha lavoro o studio esterno, può solo uscire il sabato pomeriggio con rientro il lunedì mattina. Chiaramente ci sono sempre i 45 giorni di permesso, anche qui ci sono i rapporti positivi e negativi, se ti comporti male ti possono chiudere dal fine settimana, poi dai permessi ed infine ti obbligano al rientro in carcere, non ci sono più scusanti. Infine, l’ultimo anno dei quattro passi alla condizionale, vai a casa e devi presentarti una volta al mese dall’assistente sociale per fare un resoconto dei tuoi progressi. Quando sei in condizionale, se commetti un reato o non rispetti qualche prescrizione, perderai il beneficio di cui disponevi ma potrai disporre di quelli in cui ti sei comportato bene o di cui non avevi usufruito, chiaramente entro i termini in cui ti spettano, ad esempio puoi restare in semilibertà fino all’ultimo giorno di condanna per aver bruciato anteriormente la condizionale. È l’educatore esterno che segue il tuo percorso, che visita il tuo datore di lavoro o professore scolastico.

 

Chi decide questi passaggi di “grado”?

A decidere il percorso della persona detenuta è l’equipe di trattamento composta da: educatore, assistente sociale, psicologo, giurista e pedagogo. Si riuniscono ogni settimana in presenza del vice direttore del trattamento, ognuno di loro dispone di un “si” o un “no”, logicamente dopo avere evidenziato lo studio personale svolto sulla persona (il vicedirettore può intervenire con un voto). In caso di rigetto, la persona detenuta può fare ricorso al magistrato di Sorveglianza, che invierà lo psicologo e l’assistente sociale del proprio tribunale e poi farà visita personalmente per decidere. Nel caso di un “no” da entrambi, l’equipe di trattamento rivaluterà la richiesta di benefici dopo sei mesi. Ma non è finita così semplicemente, in caso di parere favorevole dell’equipe di trattamento al beneficio richiesto, il tutto viene passato all’equipe di regime, composta dall’unico direttore e da tutti i cinque vicedirettori responsabili dei loro compiti, vicedirettore di trattamento, di sicurezza, amministrativo, medico, di regime, sono presenti anche due funzionari e un capo servizio ma senza diritto di voto. Si valuta la scelta dell’equipe precedente, vengono aggiunti altri pareri, se c’è il “si” in maggioranza, il tutto viene passato al magistrato di Sorveglianza che dà il via libera.

 

Hai parlato di un giurista, che ruolo ha esattamente?

Questa figura serve per informare e aggiornare le persone detenute, in pratica ti spiega la tua posizione giudiziaria, i termini per i benefici e tanto altro, compreso il tuo profilo delittuoso, è una figura indispensabile, soprattutto per evitare pasticci da parte di persone detenute, “praticoni” che redigono istanze alla meno peggio per sé e per gli altri, intasando inutilmente il lavoro delle equipe e dei tribunali.

 

Chi gestisce la vita all’interno del carcere?

Non esiste polizia all’interno del carcere, c’e la guardia civil, che controlla i due muri di cinta e pattuglia i trasferimenti, ma all’interno sono presenti solo i funzionari appartenenti al Ministero di Giustizia. Come per tutta l’istituzione penitenziaria, sono loro che vigilano e anche studiano. I funzionari scrivono relazioni su come ti comporti nelle mansioni che svolgi e sul rispetto da parte tua delle regole di convivenza, danno molta importanza alla pulizia in cella o in sezione; c’è da parte loro un attaccamento alla rieducazione, per la quale sono ritenuti fondamentali l’impegno a scuola, nel lavoro e per gli affetti famigliari. Nelle loro valutazioni di solito sono rigidi, non ci sono compromessi, in poche parole i furbi non fanno strada. I funzionari possono farti un rapporto negativo in seguito a cui puoi essere punito, escluso da certe attività e comunque questo influirà sulla richiesta dei benefici, possono poi ovviamente farti anche rapporti positivi, le cosiddette “note meritorie”, che hanno il potere di migliorare la tua posizione e possono portare ad una revisione e cancellazione di un precedente rapporto negativo. Questo sistema crea una sorta di competizione a fare meglio in cui ci si sente coinvolti, perché ci si rende conto che ogni miglioramento ti viene riconosciuto, tutti puntano a valutare attentamente e a migliorare le proprie scelte.

Una cosa non mi avete chiesto: le domandine! Questa è una questione che va spiegata: sono in triplice copia di carta ricalcante finissima, il primo foglio è bianco, il secondo arancione e il terzo giallo. Devi metterci i tuoi dati e indicare il carcere in cui ti trovi, ma hanno qualcosa di speciale: servono per tutto, da una domanda d’acquisto alla richiesta di un permesso. Quando la consegni al funzionario, lui firma e ti dà indietro la copia-foglio giallo, con cui potrai reclamare se non ricevi risposta. La risposta arriva sul foglio arancio (se è da parte di un giudice ti arriva con un atto notificato). La copia bianca viene inserita nel tuo fascicolo personale.

 

Come avvengono i trasferimenti?

Finché non sei definitivo non vieni trasferito, ma resti a disposizione del tribunale del luogo in cui sei stato arrestato, quando ti arriva la sentenza definitiva puoi essere trasferito dove vivono i tuoi famigliari o dove prima avevi la residenza, ma sempre in base al tuo comportamento. Ci sono persone che hanno più cause e questo può comportare dei trasferimenti che sono organizzati su autobus della guardia civil su cui si viene caricati con tutti i propri beni (non il televisore che va inviato tramite pacco postale). Questi autobus hanno una linea di andata e ritorno settimanale, passano di carcere in carcere caricando e scaricando, ci sono linee verso il sud, est, nord e ovest.

 

Cosa ne pensi delle carceri italiane?

Dopo dieci anni di detenzione in Italia, sono testimone in carne ed ossa del fatto che nel nostro Paese la pena è certa e le condanne sono spesso pesanti. Per quel che riguarda poi le misure alternative, i giornalisti ne parlano soltanto quando qualcuno commette un delitto durante un permesso o in semilibertà e non si ragiona mai sugli altri cento che in permesso o semilibertà si comportano regolarmente. Sempre più magistrati di Sorveglianza, in qualche modo condizionati da questo clima, finiscono per non concedere quasi più misure alternative. Nonostante poi la nostra Costituzione dichiari che è il reinserimento la principale funzione della pena, é la società stessa che lo rifiuta. Tutte queste problematiche si rispecchiano nella realtà all’interno delle carceri, in cui è diffuso un malessere giustificato, poiché c’è un sistema repressivo e non di recupero, senza alcuna individualizzazione della pena, una volta “marchiati” si diventa scarto sociale a vita. Cosa si può ottenere da una persona ristretta e chiusa venti ore in una cella con la possibilità di uscire per quattro ore su e giù in una “vasca” di cemento con altre cinquanta persone? Nemmeno le sardine!!! In sezione i soliti discorsi: avvocati, processi, condanne, trasferimenti, permessi, fine pena e ciò che si è visto in televisione la sera prima. Si diventa un soggetto asociale, bisognoso di assistenza, di cure mediche, psicofarmaci se ne consumano a bidoni…

Oggi in Italia è decisamente peggio di quello che ho vissuto in Spagna, sono anche troppo bravi quelli che sapendo di dover uscire a fine pena, mantengono comunque un comportamento equilibrato, di studio, e pensano davvero a costruirsi una nuova vita, di questo soffrono anche gli operatori trattamentali impotenti a promuovere il reinserimento.

In Spagna, il sistema carcerario non è nulla di straordinario, semplicemente seguono correttamente le norme europee, mentre l’Italia continua ad infrangerle, da noi l’Ordinamento penitenziario è ben fatto, ma spesso non è applicato in nome della “sicurezza”.

 

Le carceri spagnole raccontate da Lucia Castellano, direttrice della Casa di reclusione di Bollate, e Donatella Stasio, giornalista del Sole 24 Ore

“Gli spagnoli danno molta importanza agli aspetti educativi e sportivi, ma l’intera organizzazione è orientata a individuare, per ciascun detenuto, percorsi finalizzati a un lento, progressivo e costante miglioramento delle condizioni di detenzione, fino ad arrivare al cosiddetto regime aperto. L’organizzazione di tipo modulare favorisce l’aggregazione dei carcerati secondo specifici progetti di rieducazione e consente un intervento mirato, attribuendo specifiche responsabilità ai funzionari che coordinano il singolo modulo. Ce n’è uno, per esempio, in cui è previsto che le coppie con figli stiano insieme, all’interno di una struttura che accoglie l’intero nucleo familiare, con percorsi specifici per genitori e figli” (da “Diritti e castighi. Storie di umanità cancellata in carcere”, di Lucia Castellano e Donatella Stasio, il Saggiatore)