Voci da lontano

 

Il miraggio di essere un uomo libero

 

Poi il fallimento di un progetto migratorio pieno di illusioni, il carcere, gli affetti che per uno straniero cessano di esistere

 

Quanto decisi di lasciare la mia famiglia in Albania per venire in Italia, avevo le idee chiare e tanto entusiasmo, era quello il mio piccolo bagaglio. Una realtà piena di tanti desideri e molti sogni. Non pesavano niente ed erano facili da trasportare, stavano tutti nella mia testa: un lavoro, sistemarmi in Italia, aiutare in seguito i miei famigliari, erano questi i miei sogni.

Ho lasciato la dolcezza di mia madre, sempre premurosa con me, l’unico figlio, amato alla follia da una donna che ha sempre lavorato onestamente per non farmi mancare mai nulla, e l’ho lasciata per un sogno, per un futuro incerto.

Solo ora comprendo quanto siano importanti gli affetti dei miei famigliari. Ora capisco perché sono stati necessari quei rimproveri che mia madre, arrabbiandosi, ogni giorno mi faceva. Ho nostalgia di quando mi ripeteva: "Ma come te lo devo dire che prima di pensare a giocare a pallone devi pensare allo studio?".

Io giocavo a calcio in una squadra della mia città, Kavaja al centro dell’Albania e appena potevo, anche per strada, con gli amici del quartiere organizzavamo partitelle cinque contro cinque. Si giocava spesso fino a tarda sera. Mia madre, anche se era felice di vedermi così spensierato, voleva per me un futuro migliore. Erano i miei nonni che badavano a me quando lei andava a lavorare in una fabbrica di dolciumi. Da quel punto di vista ero viziato. Mia madre ogni giorno portava a casa torte e biscotti di tutti i tipi, che in quel tempo in Albania erano considerati un vero lusso.

Il mio secondo padre, un uomo dal carattere burbero e autoritario, aveva sempre l’ultima parola quando chiedevo di andare con i miei amici a giocare. Con fatica, alla fine comunque l’avevo sempre vinta io. Riuscivo a fare tutto quello che volevo, anche se sapevo che avrei poi preso un po’ di ceffoni.

Per me partire, venire in Italia era molto difficile. Avevo poco più di 18 anni, ma devo dire che poi mia madre, a malincuore naturalmente, mi ha incoraggiato in questo mio desiderio, per il mio bene, con la speranza che io potessi avere un futuro libero e fortunato.

Tante sere alla televisione riuscivo a vedere i canali italiani, le partite di calcio del campionato di serie A e quelle dei mondiali. Nei telegiornali e in alcuni programmi vedevo la vita felice che si svolgeva nelle grandi città italiane.

Spettacolo e shopping, vetrine illuminate e tanta bella gente felice, tanto sport e tanta democrazia, quella che al nostro popolo mancava. Tutto questo mi rendeva curioso di provare a raggiungere questo paese così ordinato. E poi mi attirava quello che sentivo dire da altri miei connazionali che vivevano già in Italia, lavoravano onestamente, avevano automobili nuove ed erano ben vestiti, avevano la loro casa, anche se l’affitto era considerato molto caro.

Arrivai in Italia nel ‘92 su un gommone, ed ho trovato moltissime difficoltà, perché non avevo nessuno che mi poteva aiutare, ho rivisto tante persone che conoscevo in Albania, ma nessuno di loro mi ha chiesto se avevo bisogno d’aiuto. In Albania eravamo tutti uniti, non c’era differenza tra di noi, ma qui in Italia quasi fingevano di non conoscerti.

Allora capii che in Italia mi dovevo arrangiare da solo. Ognuno pensava per se stesso. Ho lavorato per due anni in una ditta di calzature nel bresciano, prendevo un milione e duecentomila al mese. Ma se per un italiano ad esempio l’affitto di due camere era di cinque - seicentomilalire, per noi stranieri spesso era il doppio, il triplo, e dovevi dire grazie quando riuscivi a trovare un alloggio, qualsiasi fossero le sue condizioni e il suo prezzo. Ebbi alcune difficoltà. Da quel momento quella che doveva essere un’avventura si è trasformata in una disavventura, in un disastro, ed oggi mi trovo qui a raccontare da dentro un carcere.

 

La vita in Italia, il carcere, la lontananza, la perdita degli affetti

 

Il fatto è che, arrivando in un paese di cui non conosci le leggi, né la lingua, gli usi e le abitudini, ti ritrovi facilmente in balia di quelle istituzioni che, dal tuo punto di vista, hanno prassi e criteri di valutazione "misteriosi". Per fare qualsiasi cosa ci vogliono permessi, certificati, carte sopra carte… quando tu al tuo paese eri abituato a farla e basta. Così le speranze e le illusioni, che ti hanno dato la forza di sopportare le difficoltà iniziali, naufragano presto in un mare di difficoltà.

A questo punto, spinto da necessità "vitali" non più rinviabili, provi a prendere qualche "scorciatoia", con la convinzione di poterla usare solo per il tempo strettamente necessario. Poi, pian piano, ti accorgi che quando hai molti soldi la gente ti tratta diversamente, con rispetto e gentilezza, mentre non ti rendi affatto conto dei rischi ai quali ti esponi per averli.

Cominci a fare una vita molto migliore, rispetto a quella che hai lasciato nel tuo paese… finché arriva lo "stop", improvviso, che ti fa perdere di colpo tutto quello che avevi raggiunto: spesso è proprio la mancanza di un corretto "orientamento" nella società italiana che ti porta a fare gli errori più grossi.

I soldi, che tu li abbia guadagnati in modo legale o in modo illegale, se ne vanno con le parcelle degli avvocati e nelle necessità personali di mantenimento in carcere; inoltre ti trovi a dover superare un vero blocco emotivo, per riuscire a dare la brutta notizia dell’arresto ai famigliari.

Questa notizia orribile da comunicare ha portato tanta sofferenza a me, ed alla mia famiglia, che si è meravigliata quando ha saputo che mi trovavo in carcere. Quello che mi manca di più oggi é quell’incitamento, e quell’affetto che mia madre mi dava ogni giorno.

La vita e il successo "di facciata", che mi ero costruito, sono caduti di colpo, e così mi sono trovato costretto a chiedere aiuto materiale e sostegno affettivo alla mia famiglia, e non è stato facile.

Ora servirebbero almeno visti d’ingresso facilitati per i familiari residenti all’estero, per consentire ogni tanto dei colloqui. Ma venirmi a trovare costa tantissimo e i miei non se lo possono permettere. Inoltre il consolato difficilmente concede un visto per motivi legati alla visita di un familiare detenuto. Lo scandalo dei visti venduti a caro prezzo, successo in Albania, penso che lo ricordino tutti, immaginarsi se qualcuno lì si preoccupa dei visti per i parenti di una persona in carcere.

I rapporti affettivi rappresentano uno degli elementi più importanti nella vita di ogni persona. Purtroppo, con l’ingresso in carcere, avvenimento già traumatico di per sé, questi vengono bruscamente interrotti. Dopo i primi mesi di carcere, vissuti nell’illusione che il problema si risolva in fretta, le sentenze diventano definitive e ti trovi di fronte ad una pesante realtà. Di solito, dopo un paio d’anni di detenzione, i rapporti affettivi si allentano fino a rompersi del tutto. Del resto non si possono costringere le mogli, le fidanzate e i figli a subire le inevitabili ricadute dei guai nei quali ti sei cacciato, e tanto meno si può farlo se i tuoi parenti hanno già per conto loro una vita dura e senza grandi aspettative.

 

Gentian Allaj

 

 

 

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