Chiude
la sezione di Alta Sicurezza di Padova
Una
“deportazione” che spezza tante vite, interrompe percorsi, tronca legami
famigliari faticosamente ricostruiti
I
detenuti che hanno passato anni della loro vita in regime di 41 bis e poi di
Alta Sicurezza sanno bene che cosa sono i trasferimenti improvvisi che ti
distruggono anche quel po’ di vita che ti eri costruito faticosamente in un
carcere. Noi eravamo convinti che l’Amministrazione penitenziaria applicasse
finalmente la circolare del 2014 “Disposizioni in materia di trasferimenti dei
detenuti” riducendo al minimo i trasferimenti, non trincerandosi sempre dietro
i motivi di sicurezza per giustificare gli spostamenti di persone detenute da un
capo all’altro dell’Italia, senza nessuna preoccupazione per le loro
famiglie, costrette a viaggi sfiancanti, costosi, per vedere i loro cari per
poco tempo in sale colloqui squallide. Il vocabolario definisce la deportazione
come una “pena consistente nella relegazione del condannato in un luogo
lontano dalla madrepatria, con privazione dei diritti civili e politici”:
ecco, certi trasferimenti assomigliano
tanto a deportazioni, e privano i detenuti di tutto, anche del diritto a
preservare i loro affetti.
Quelle
che seguono sono le testimonianze di detenuti che, dopo anni passati in carceri
di massima sicurezza lontano dalle famiglie, sono arrivati a Padova, dove sono
riusciti a ricostruire i legami spezzati e a dare un senso alla loro
carcerazione, ma ora pare che chiuderanno davvero la sezione di Alta Sicurezza,
e chi vi è rinchiuso verrà trasferito, a Parma, a Sulmona, a Asti, a Opera, in
Sardegna, e perderà di nuovo quel po’ di umanità che aveva ritrovato. È
desolante che le persone detenute troppo spesso siano trattate come pacchi e
spostate senza avere la minima possibilità di decidere qualcosa della loro
vita. Come se la perdita della libertà significasse perdere anche la dignità
propria di ogni essere umano.
Trasferimenti
che distruggono drammaticamente i legami famigliari
di
Gaetano Fiandaca
Dopo
quasi otto anni trascorsi nella Casa di reclusione di Padova, nei prossimi
giorni sarò trasferito, poiché la sezione di Alta Sicurezza dove attualmente
mi trovo sarà chiusa per motivi a me ignoti, che sicuramente riguardano delle
convenienze ministeriali, ma che non rispettano per niente le vite delle
persone. Questo trasferimento comporterà un totale azzeramento di quello che è
stato il mio percorso in questo istituto, il quale mi ha dato la possibilità di
crescere sul piano culturale e ha reso i contatti con i miei familiari molto più
umani, cosa che verrà meno se verrò trasferito in altro luogo.
Da
quando mi trovo in questo istituto ho sempre usufruito di 6 ore di colloquio e
da un paio di anni di altre due telefonate straordinarie, questo mi ha permesso
di coltivare meglio i miei rapporti familiari con mia figlia, mia moglie e con i
miei anziani genitori. I colloqui si svolgono in una sala accogliente che
nasconde il grigiore del carcere. In particolare mi preme segnalare che da circa
3 anni effettuo colloqui esterni con mia figlia nella struttura protetta
“Piccoli passi” poiché la bambina manifestava gravi disagi psichici ogni
volta che veniva a trovarmi in carcere.
Se
andrò via da qui tutto ciò verrà meno e sicuramente andrò in un carcere dove
dovrò ripartire da zero, iniziare con 2 telefonate mensili, 4 ore di colloquio
e trascorrere le mie giornate chiuso in cella per 20 ore lasciandomi logorare
totalmente dall’ozio. Sicuramente quello che mi peserà particolarmente sarà
il dovere interrompere i contatti con mia figlia, in quanto temo che in altri
posti non troverò la sensibilità e la comprensione che ho trovato qui.
Subire
questo è veramente ingiusto dopo 20 anni di carcere, sono questi i motivi per
cui cresce la delusione e la diffidenza nei detenuti, ai quali spesso viene
spazzato via quello che hanno costruito, anche con sacrifici e ulteriori
privazioni.
Trovo
che questi trasferimenti avvengano senza tenere minimamente in considerazione i
detenuti come esseri umani, né le famiglie che devono pellegrinare su e giù
per l’Italia per andare a trovare il loro caro. E sono proprio queste
condizioni di detenzione che spesso causano molti allontanamenti fra i detenuti
e le loro famiglie. Forse a quasi 50 anni sono ancora un po’ ingenuo a non
capire che queste lunghe distanze hanno proprio il fine di creare una vera e
propria rottura con ogni affetto familiare. Ma insieme alla distruzione degli
affetti, viene cestinato anche il percorso carcerario che un detenuto per anni
svolge con impegno costante, cercando in tutti i modi di partecipare a quelle
iniziative culturali e lavorative che sono così importanti per ricostruire la
propria vita.
Questi
comportamenti delle istituzioni determinano delusione e sfiducia e fanno perdere
alle persone la voglia di intraprendere ulteriori percorsi carcerari in altri
istituti di destinazione, dove dovrebbero ripartire da zero, magari dopo più di
vent’anni di carcere alle spalle, con l’angoscia di sapere che poi questi
percorsi saranno quasi sicuramente spazzati via dalla prossima, immotivata
deportazione di massa.
Perché
di deportazione si tratta, non c’è niente di umano in questi trasferimenti,
nessun rispetto, nessuna considerazione per la dignità delle persone.
Il
mio reinserimento, oggi a rischio di essere devastato
Da
quando mi hanno detto che chiuderanno la sezione di Alta Sicurezza, ho ripensato
alla mia esperienza di studio qui in carcere. Al momento in cui ho lasciato la
scuola nel 1983, dopo avere conseguito la licenza media, pensavo che la mia
esperienza scolastica si fosse conclusa per sempre.
A
43 anni, a seguito della mia detenzione, ho avuto la possibilità di iscrivermi
a ragioneria e devo dire che fin da subito mi sono reso conto di quanto fossero
importanti l’istruzione e la cultura e di quanto io ne avessi bisogno. I
benefici di ciò sono veramente tanti, sono passato dall’ozio quotidiano,
fatto di consuetudini ripetitive, a un’attività completa per accrescermi sul
piano culturale.
La
scuola per me è stata una notevole apertura sul mondo, mi permette di
confrontarmi con gli insegnanti e mi apre tutti quegli spazi, che diversamente
sarebbero rimasti invalicabili.
Sull’immediato
ho notato solo benefici a livello mentale e interiore, nel futuro spero che
possa servirmi nella vita sociale e lavorativa, dico spero poiché il mio
ergastolo ostativo non mi consente di avere una certezza, visto che le attuali
leggi, a riguardo, dicono che la mia pena finirà con i miei giorni di vita.
Questa
esperienza della scuola, che auguro a tutti, in particolar modo a quelle persone
che come me vivono una situazione di ristrettezza, consente di poter vivere più
serenamente con se stessi i problemi, ma anche di potersi meglio aiutare e
difendere nella vita, uscendo dal vuoto in cui si vive quando non si ha una
adeguata istruzione. L’ignoranza infatti è una brutta bestia. Spero di
continuare in questo percorso, che mi consente un ampliamento totale della
visione della vita. Mi affascina molto anche l’aspetto competitivo che
automaticamente s’innesca con me stesso, in una attività di studio che non
affronto più da adolescente.
Chiaramente,
tutti questi buoni propositi oggi non dipendono esclusivamente dalla mia volontà,
io sono condizionato dalle possibilità che offrono i posti in cui mi trovo, che
non sempre garantiscono una continuità nelle attività didattiche, anzi, a
breve chiuderà la sezione di Alta Sicurezza dove attualmente mi trovo, e io sarò
deportato per la tredicesima volta chissà dove per motivi che esulano da mie
responsabilità, ma che riguardano convenienze e comodità del Dipartimento
dell’Amministrazione penitenziaria, che spesso ci considera e ci tratta come
dei pacchi postali da stipare in posti deve occupiamo meno spazio e
possibilmente sempre più difficili da raggiungere ai nostri familiari, i quali
sono colpevoli di essere ancora molto legati a noi.
Tali
iniziative stridono fortemente con il tanto decantato reinserimento dei
detenuti, visto che quello che i detenuti costruiscono con molto impegno e
sacrificio viene spesso spazzato via da decisioni prive di considerazione per le
persone, motivo per cui molti detenuti rimangono scettici e diffidenti verso
coloro che in teoria dovrebbero aiutarli ad un reinserimento, ma che di fatto
fanno una cosa diversa. Il mio più vivo auspicio è che venga rivista la
possibilità di questa imminente “deportazione” di massa, in modo che io,
cosi come altri detenuti che in questo istituto da tempo abbiamo intrapreso un
percorso didattico e lavorativo, possiamo continuare a crescere sul piano
culturale, nella remota speranza che anche per noi possa esserci un futuro.
Sto
frequentando l’ultimo anno delle scuole superiori, non voglio interrompere
questo percorso
di
Antonio Papalia
Mi
chiamo Antonio Papalia, sono nato a Platì (RC) il 26/03/1954 e sono detenuto
dal settembre 1992. Sono stato trasferito nella casa di Reclusione di Padova nel
giugno del 2009, dopo sei anni di detenzione speciale e otto anni di 41bis, e,
da subito, ho intrapreso un percorso di rieducazione frequentando un corso di
cultura generale e poi iscrivendomi alla scuola media superiore Einaudi-Gramsci
di Padova, dove sto frequentando il 5° anno, cioè l’ultimo, per poter
prendere il diploma di ragioneria.
Inoltre
sto frequentando la redazione del giornale Ristretti Orizzonti e frequento da
quasi 2 anni un gruppo di catechesi. E mi impegno a scrivere libri di favole e
poesie partecipando ai vari concorsi che vengono periodicamente promossi sia
all’interno che all’esterno delle strutture penitenziarie.
Da
quando sono in questo istituto inoltre, ho avuto la possibilità di avere più
colloqui con la mia famiglia e ho potuto parlare più spesso per telefono con i
miei nipotini rispetto al passato, perché il Direttore di questo carcere, devo
dire in modo umano, ha concesso oltre alla telefonata settimanale ordinaria,
anche due straordinarie.
Oltre
a questo, il Direttore ha concesso dei colloqui “lunghi” per stare più ore
con la famiglia permettendo, in queste occasioni, anche di poter pranzare
assieme in palestra. Capite quindi che un eventuale trasferimento in un altro
istituto mi penalizzerebbe molto, perché non avrei più la possibilità di
partecipare alle attività predette. Prego, quindi, che non mi trasferiscano da
questo istituto a un altro.
Spezzare
il mio destino
di
Demetrio Sesto Rosmini
Sono
Demetrio Sesto Rosmini. Vi racconto il mio percorso detentivo iniziato il 4
dicembre 1990 quando sono stato condannato alla pena dell’ergastolo. Dal 1999
al 2002 sono stato sottoposto al 41 bis. Nei vari istituti in cui sono stato
ristretto ho studiato e nel carcere di Livorno mi sono diplomato. Dal 15 giugno
2013 sono a Padova, nella sezione AS 1, e qui mi sono iscritto alla Facoltà di
Storia dove sto ottenendoottimi risultati.
Oltre
a studiare, lavoro nel laboratorio di cucito dove rammendiamo le lenzuola
dell’Amministrazione; poi ho partecipato al progetto di volontariato per
Telefono azzurro di Padova, per cui abbiamo creato delle bambole di pezza e una
coperta di Patchwork donata in beneficenza.
Ho
collaborato con l’associazione Passione Patchwork alla realizzazione di 17
coperte e il ricavato è stato donato all’orfanatrofio di Dolo. Il gruppo di
lavoro di cui faccio parte ha organizzato, in collaborazione con il carcere di
Rebibbia, la mostra “La creatività libera” che ha riscosso un grande
interesse nella società esterna. Il mio reinserimento in questo istituto è in
pieno svolgimento e un mio trasferimento in questo momento sarebbe come perdere
di colpo tutti i miei venticinque anni di carcerazione.
Cosa
potrà essere il mio trasferimento in Sardegna
di
Ernesto Cornacchia
Mi
chiamo Ernesto, sono arrivato nel carcere di Padova nel 2013, dopo 8 anni
passati in regime di 41 bis ad Ascoli Piceno, dove la mia carcerazione è stata
un calvario per me e per la mia famiglia.
Da
quando sono arrivato a Padova abbiamo trovato un po’ di serenità, io e la mia
famiglia. Qui frequento la redazione di Ristretti Orizzonti, ma soprattutto ho
potuto riallacciare i rapporti con la mia famiglia. Da quando sono qui mi è
nato anche un bambino, che ora ha un anno e 2 mesi. Adesso lo vedo tutti i mesi,
ma se mi portano in Sardegna non so quando lo potrò rivedere. Il 10 settembre
2014 mi hanno operato a causa di un tumore per cui mi hanno tolto mezzo rene e
la milza; ogni sei mesi devo sottopormi a controllo all’ospedale di Padova che
mi ha in cura. Se vado via da qui non so cosa mi succederà, spero che mi
lascino qui per farmi curare e stare vicino alla mia famiglia.
Voglio
reinserirmi nella onesta società
di
Domenico Vullo
Mi
chiamo Domenico Vullo e come tanti altri sono detenuto nella sezione Alta
Sicurezza della C.R. di Padova. Ho una condanna definitiva a 30 anni di
reclusione, sono detenuto da 8 anni, di cui 4 passati al regime di 41bis.
Da
due anni mi trovo in questo istituto, e per l’esperienza che ho degli altri
istituti di pena, posso dire che il primo obiettivo di questa Direzione è
quello di recuperare le persone detenute.
Qui
hai la possibilità di telefonare sei volte al mese ai tuoi familiari. Hai la
possibilità di stare fuori dalla cella per 11 ore al giorno. Qui frequento il
corso scolastico di ragioneria, il catechismo, la palestra, abbiamo la
possibilità di tenere in cella il computer. Conoscendo le regole degli altri
istituti mi vengono i brividi solo a sentire la parola “trasferimento”.
Sono
lontano quasi 2000 Km da casa, essendo siciliano (Gela), faccio colloquio quando
la mia famiglia ha la possibilità di venire a trovarmi. Non ho di che
lamentarmi di come passo le mie giornate qui a Padova. Cerco e voglio
reinserirmi nella onesta società… e che cosa mi vengono a dire? Che la
sezione Alta Sicurezza verrà chiusa e i detenuti saranno trasferiti tutti,
qualcuno addirittura in Sardegna.
Che
delusione! Tutto il mio impegno per tornare ad essere quello che la buona e
onesta società richiede, viene annullato con un trasferimento.
Dalla
mia esperienza so che la continuità di trattamento è prevista solo
teoricamente
di
Giovanni Donatiello
Sono
Giovanni Donatiello e sono detenuto sin dal 1986 ininterrottamente. Mi trovo nel
circuito A.S.1 da ben quindici anni, durante i quali ho peregrinato per i vari
istituti tra cui Livorno, Voghera, Sulmona, Milano-Opera fino ad arrivare circa
un anno fa in quel di Padova, dove tuttora sono ristretto.
Nel
corso degli anni ho intrapreso un percorso di studi conseguendo il diploma di
ragioneria informatica nel carcere di Livorno nell’anno scolastico 2004/05. Ho
continuato a studiare iscrivendomi presso l’università di Pisa alla facoltà
di Scienze Politiche. Nel frattempo venivo trasferito nel carcere di Sulmona.
Per poter sostenere gli esami venivo aggregato, in un primo momento, presso uno
degli istituti limitrofi all’università di Pisa, a volte a Sollicciano,
Livorno e molto più frequentemente a Prato. In un certo senso mi si garantiva
il diritto allo studio.
Dopo
un certo periodo di tempo, queste modalità sono state modificate, ovvero le
traduzioni per sostenere gli esami dovevano effettuarsi nella stessa giornata.
Partivo alle tre del mattino da Sulmona, arrivo a Pisa intorno alle ore 13,
tempo di riprendersi dal viaggio – eufemismo – venivo esaminato e si
ripartiva per Sulmona dove si rientrava verso le ore 20.00.
Ad
un certo punto le traduzioni non sono più state concesse e gli esami li potevo
sostenere solo tramite videoconferenza. Con molte difficoltà ho sostenuto un
solo esame con queste modalità e sono stato costretto a malincuore ad
abbandonare gli studi. Nel periodo di detenzione a Sulmona ho frequentato per un
periodo un corso universitario di Operatore Giuridico di Impresa.
Nel
2010 vengo trasferito nella Casa di Reclusione di Milano – Opera, dove tento
in tutti i modi di riprendere il percorso di studi con l’Università di Pisa,
ma tutto sembra insormontabile, per farla breve, nonostante le mie ripetute
lagnanze con gli operatori, in circa tre anni ho potuto avere tre colloqui con
il personale preposto a seguire gli studenti universitari. L’unica risposta
dopo questo periodo di tempo è stata quella che potevo fare il cambio di sede.
Nel
gennaio 2014 vengo trasferito a Padova e già al colloquio di primo ingresso
espongo questa mia situazione. Nell’arco di circa tre mesi ho avuto un numero
di incontri con professori, tutor universitari e addetti che non ho mai avuto in
tutti gli altri istituti messi insieme.
Ora
sono iscritto al secondo anno della Facoltà di Scienze Politiche
dell’Università di Padova. Mi è stato consentito di fare il cambio di sede
ed ho ripreso a studiare. Sono previsti una serie di esami, uno di Storia
contemporanea, un altro di economia politica e prima della pausa estiva dovrò
concordare i periodi per gli esami di Storia delle Dottrine Politiche, Scienze
Politiche e Analisi delle Politiche Pubbliche.
Da
quando sono giunto in questo istituto ho veramente creduto che finalmente avrei
potuto concludere questo percorso di
studi. Inaspettatamente è giunta notizia che tutto il circuito A.S. dovrà
essere rimosso e sarò trasferito in un’altra sede e così verranno meno le
certezze che avevo acquisito ultimamente.
Oltre
a dover interrompere il percorso di studio, saranno limitati anche i contatti
telefonici con la famiglia, infatti a Padova, oltre alla prevista telefonata
settimanale, sono concesse due telefonate straordinarie mensili. Questo denota
da parte della direzione un’attenzione particolare affinché possano essere
coltivati i rapporti con la propria famiglia.
Oltre
a studiare in questo periodo ho frequentato un corso di diritto privato, un
corso di inglese, un corso di yoga e ora sto frequentando, un corso di scrittura
e faccio parte di un gruppo di discussione presso la rivista Ristretti
Orizzonti.
Sono
tutte attività che mi arricchiscono culturalmente e mi impegnano in modo
costruttivo. Dalla mia esperienza so che la continuità di trattamento è
prevista solo teoricamente. Infatti, ogni qualvolta sono stato trasferito in
altro istituto, il trattamento non solo non ha avuto continuità ma spesso è
regredito a causa della mancanza totale di attività previste dall’Ordinamento
Penitenziario. Ritrovarmi ancora nella condizione di dover stare chiuso per 20
ore al giorno in cella sarebbe veramente una iattura che spero in tutti i modi
di poter evitare.
Spero
qualcuno si faccia portavoce di queste mie esigenze per un carcere più umano e
a dimensione d’uomo come lo è quello di Padova.
Non
buttatemi via come la spazzatura
di
Giovanni Zito
Sono
Giovanni Zito nato a Catania il 02/12/1969, attualmente ristretto presso
l’istituto di Padova. Sono un
ergastolano, ubicato nella sezione AS1, lato A.
Da
quando sono in questo istituto, la mia detenzione è cambiata radicalmente perché
da subito sono stato inserito presso la redazione di Ristretti Orizzonti,
partecipando ai gruppi di discussione e alle varie giornate di studio
organizzate dalla redazione. Inoltre frequento il primo anno di ragioneria
presso l’Istituto Gramsci e le attività di catechismo, che contribuiscono al
mio percorso risocializzante, alla luce del quale vorrei che la mia persona
fosse rivalutata.
Se
fossi trasferito presso un altro istituto, sicuramente non avrei lo stesso
trattamento che ho qui, e vi chiedo allora: cosa dovrei fare della mia vita? Che
cosa dovrei fare per scontare questa mia pena di morte?
Sono
stanco, sono distrutto, perché sono stato trasferito da un carcere all’altro
come un pacco postale, causando disagi enormi alla mia famiglia.
Sono
stato all’Asinara, Viterbo, L’Aquila, Novara, Cuneo, Voghera, Carinola, per
approdare alla fine in questo istituto dove mi sento rinato e pieno di vitalità.
Desidero fortemente rimanere a Padova perché sono sicuro di essere ancora utile
non solo alla mia famiglia, ma anche alla società civile.
Non
buttate via la mia esistenza, lasciatemi vivere migliorando sempre di più, non
lasciate la mia vita vuota, fate di me un uomo nuovo, io sono pronto.
Chiedo
che mi venga data la possibilità di terminare gli studi e realizzare i miei
progetti
di
Giuseppe D’Agostino
Sono
Giuseppe D’Agostino, nato a Laureana di Borrello (RC) il 12/09/67. Mi trovo
nell’istituto di
Padova
Due Palazzi, sez. A. S. da giugno 2014, proveniente dall’istituto A.S.1 di
Biella dove ero arrivato nel 2010. Nei quattro anni in cui ero stato lì avevo
iniziato un percorso di rivisitazione personale, rinunciando alle attività
ricreative interne per frequentare il liceo artistico istituito nello stesso
carcere. Il percorso richiedeva la frequenza delle lezioni e l’impegno per
giungere alla maturità alla fine dei cinque anni di studi.
Con
la storia dell’arte non avevo mai avuto nessun contatto se non per l’aver
ammirato le opere che abbiamo in Italia. Con sacrifici e abnegazione ho
incominciato ad apprezzare l’arte e tutto ciò che comporta. Questo però mi
è stato precluso alla fine del terzo anno di liceo artistico quando sono stato
trasferito senza una motivazione plausibile e senza che venisse tenuto in
considerazione il trauma psicologico a cui un detenuto va incontro in questi
casi. Quando sono stato trasferito a Padova ho subito lo stesso stress che avevo
subito nei trasferimenti precedenti, ritrovandomi senza la cosa su cui avevo
fatto progetti e riversato speranze per il mio futuro, avevo perso
l’opportunità di terminare gli studi. Mi sono sentito come il primo giorno in
cui avevo fatto ingresso in carcere, tutto provvisorio e senza nessuna
prospettiva futura. Tutto era crollato, dovevo ricominciare daccapo, riavvolgere
il nastro, e cercare di dare un senso a questa nuova realtà carceraria così
diversa dalle mie abitudini e lontana dai miei studi.
Mi
sono subito attivato anche grazie alle pressioni del Liceo Artistico di Biella
attraverso i docenti che si sono prodigati nel trovarmi un liceo artistico qui a
Padova, cosa che in poco tempo è avvenuta.
Non
poteva concretizzarsi niente senza l’impegno dell’educatrice della mia
sezione, la dott.ssa Sattin (è stata lei ad incitarmi a continuare con
l’indirizzo artistico), grazie alla quale sto frequentando come uditore la 5°
ragioneria per avere il punteggio finale necessario a sostenere gli esami di
maturità da privatista, e sono seguito nelle varie materie dai tutor. Ora che
incominciavo a trovare nuovamente un certo equilibrio e a ripartire con molte
difficoltà, di nuovo mi ritrovo a essere trasferito a seguito della chiusura
della sezione A.S.1. Mi ritrovo catapultato all’indietro nel tempo rivivendo
il trauma passato per il trasferimento e l’abbandono forzato degli studi. Non
credo che sarei nelle condizioni di rifare tutto quello che ho fatto finora,
credo che abbandonerei gli studi e il sogno di iscrivermi all’Università.
Sarà
vanificata ogni cosa fatta fino adesso, tutte le rinunce, le notti trascorse a
studiare, non saranno servite a nulla. Non chiedo nulla di eccezionale se non di
avere la possibilità di potermi diplomare dove sono iscritto (Liceo Artistico
Pietro Selvatico di Padova) per poi continuare a studiare per conseguire una
laurea, così almeno potrò rendere la mia esistenza e la mia presenza in
carcere in qualche modo utile per la società, dimostrando che anche se si è
reclusi ci si può mettere in discussione, confrontandosi con le realtà esterne
e facendo venire fuori quello che di buono permane in ogni essere umano.
La
certezza di vedersi mantenere il percorso che un detenuto riesce ad
intraprendere è di vitale importanza, lo fa sentire vivo e utile per gli altri
e per se stesso. Alle speranze devono seguire fatti concreti, non si possono
usare i detenuti come merce di scambio per soddisfare le esigenze dellecarceri
sparse attraverso il paese.
Il
mio urlo è che mi venga data la possibilità di terminare gli studi e poter
realizzare così i miei progetti donando un senso alla mia stessa esistenza.
Dopo
tanti anni di percorso, va tutto buttato al vento
di
Giuseppe Montanti
Mi
chiamo Giuseppe Montanti, ho 60 anni, 9 li ho passati al 41 Bis, che si è preso
tutti i miei sogni, i miei affetti, le mie parole. Sono uscito da questo regime
nel 2010 e sono stato trasferito nella Casa di reclusione di Padova dove con
tantissima difficoltà gli operatori hanno iniziato a coinvolgermi in alcune
attività, oggi partecipo alla sala hobby dove costruiamo delle bambole che
vanno donate ai bambini del mondo, si fanno coperte e si rammendano le lenzuola
dell’amministrazione. Oggi riesco ad esprimermi un po’ meglio, riesco a
vedere un futuro migliore, anche se sono condannato alla pena dell’ergastolo
ostativo, ma questo istituto mi apre gli orizzonti e riesce a farmi avere una
visione migliore delle istituzioni, contro cui prima avevo solo rabbia e odio,
avevo creato un mondo tutto distorto, oggi cerco di vedere la realtà in un modo
diverso. Ora riesco a tenere un bel rapporto con la mia famiglia, che vive in
Germania, anche perché il direttore di Padova ci dà la possibilità di fare 6
telefonate al mese, 6 ore di colloquio e da poco possiamo accedere a Skype, che
per una persona che non fa colloquio e ha i parenti all’estero è
un’occasione importante per vedersi, anche se solo in video. Ci sono concessi
alcuni colloqui prolungati di domenica, in cui abbiamo potuto mangiare con le
nostre famiglie e siamo riusciti a giocare con i nostri nipotini, che abbiamo
conosciuto in carcere. Tutto questo ha permesso di diminuire almeno un po’ la
condanna per le nostre famiglie. Perché ora tutto questo ci viene tolto? Cosa
ci dobbiamo aspettare?
Oggi
che ci è detto che la sezione di Alta Sicurezza di Padova verrà chiusa, cosa
sarà di tutto il nostropercorso? Cosa sarà per le nostre famiglie? Non ci
voglio credere che devo ritornare cattivo e odioso verso le istituzioni, perché
devono sempre decidere loro quando farci diventare buoni o cattivi?
È
giusto che siamo trattati come merci di scambio?
A
che cosa serve diventare “buono”?
di
Ignazio Bonaccorsi
Mi
chiamo Ignazio Bonaccorsi, sono in carcere da tantissimi anni, il mio percorso
è stato sempre deludente, giravo tantissimi istituti con rabbia, violenza,
delusioni, non accettavo mai di sottomettermi alle istituzioni, sono stato
sempre un ribelle, credo anche per la cultura del paese da cui provengo, dove
per sopravvivere dovevi combattere, dove dovevo rubare per dare da mangiare a me
e alla mia famiglia. Io vengo da una famiglia povera, eravamo tanti fratelli,
mio padre lavorava con i carretti siciliani, trasportava grano, io da piccolo
andavo sempre dietro di lui per poter portare del pane a casa, ho conosciuto
tanto freddo, tanto lavoro, tantissima fame, era il periodo dopo la fine della
seconda guerra e per i siciliani iniziava la terza guerra, quella per
sopravvivere alla fame, purtroppo erano quelli i tempi. La mia vita deraglia,
fin da piccolo conosco solo pane e carcere, non conoscevo scuole, non conoscevo
una casa calda, il mio posto caldo lo trovavo solo in carcere, quel carcere che
non è mai riuscito a darmi una educazione, a farmi capire dove abbia potuto
sbagliare.
Oggi
avevo trovato una mia stabilità nel carcere di Padova, dove ho iniziato un
percorso con le scuole, sono al quinto anno di ragioneria, e sono inserito nel
corso di catechesi, che frequento con tantissima passione, riesco a trovare una
mia identità, trovo la parola che mi era stata tolta nel regime di 41 bis. Gli
operatori hanno fatto tantissima fatica per farmi trovare un senso per andare
avanti, oggi ci sono riusciti, ho conosciuto i miei professori che considero una
parte della mia famiglia, ho conosciuto dei volontari che hanno capito le mie
difficoltà e sono stati bravi ad aiutarmi, oggi ho trovato anche un piccolo
lavoro in sezione, con cui riesco a comprarmi qualcosa.
Sempre
qui sono riusciti a trovare le medicine giuste per curare certe mie patologie.
Ho la possibilità di vedere la mia famiglia tramite Skype, era da anni che non
riuscivo più a vederli a causa della distanza, perché mia moglie non può
viaggiare a causa delle patologie e dopo tantissimi anni di carcere non ci sono
più neanche le possibilità economiche per spostarsi, sono tanti i problemi per
un carcerato. Padova aveva risolto certe mie difficoltà, ma questo sogno è
durato poco, oggi ci dicono che la sezione di Alta Sicurezza verrà smantellata,
saremo trasferiti, inizia di nuovo il mio panico, mi chiedo se ritornerò al
passato, ho paura di perdere quel calore familiare che avevo trovato con i
professori, i volontari e il resto, non potrò più beneficiare delle telefonate
straordinarie, e questo significa perdere la mia famiglia.
Forse
era meglio rimanere cattivo, almeno non avrei conosciuto questa umanità che ora
perderò, perché una realtà come quella del carcere di Padova non potrò mai
ritrovarla.
A
Padova hai la possibilità di telefonare sei volte al mese e usare Skype
di
Letterio Campagna
Mi
chiamo Letterio Campagna, sono detenuto da cinque anni, di cui due li ho passati
in regime di 41bis. Il 31 Ottobre del 2014 mi è stato revocato il 41bis e sono
stato trasferito nella C.R. di Padova, dove ho trovato questo carcere adatto al
reinserimento di un detenuto che come me ha ancora da scontare molti anni.
Mi
trovo in questo istituto da pochi mesi, ma sono bastati per farmi capire che le
opportunità che offre la Direzione di questo carcere non si trovano altrove.
L’ultimo colloquio che ho fatto è stato il 18 Dicembre 2013, ero a Novara in
41bis, sono venute a trovarmi mia madre, mia sorella e una mia nipote. Non vedo
mia moglie da tre anni e otto mesi e i miei figli da due anni e otto mesi. Qui
la Direzione, a chi non fa colloqui da almeno tre mesi, dà l’opportunità di
usufruire di un video-colloquio attraverso il collegamento Skype, garantendo il
collegamento con i propri familiari una volta al mese per la durata di 15
minuti.
Inoltre,
qui hai la possibilità di telefonare sei volte al mese. Per uno che si trova
nella mia stessa situazione, che non fa colloqui, poter vedere la propria moglie
e i propri figli, anche se attraverso un video e solo una volta al mese, e poter
sentire la loro voce una volta alla settimana, aiuta a superare questo muro di
malinconia, tristezza e ansia.
Io
sono attore e regista teatrale, titolare di una compagnia teatrale denominata
“Compagnia teatrale
LA
FILANDA” di Lillo Campagna, e parlando con l’educatrice, pare ci sarebbe
l’occasione di mettere a disposizione la mia esperienza teatrale e iniziare un
percorso di teatro con la partecipazione di altri detenuti. Tutto questo, se
dovesse avvenire questo trasferimento, sarà solo una delusione.
In
un altro istituto carcerario sei rinchiuso nella tua cella 20 ore al giorno, e
questo serve solo a fare incattivire una persona. In tutti gli altri istituti
hai diritto solo a due telefonate al mese, ci sono sempre difficoltà per i
familiari per i colloqui e nessuna opportunità di reinserimento nella società.
Trovarsi
dall’oggi al domani in un posto con regole diverse dalla C.R. di Padova, crea
soltanto malumore e perdita di fiducia per chi aveva speranza per un
reinserimento.
Qui
a Padova ho incominciato a pensare, a sognare, e soprattutto a sperare
di
Giuseppe Zagari
Mi
chiamo Giuseppe Zagari e da circa cinque anni mi trovo in questo istituto di
Padova dove ho intrapreso un percorso molto importante nella redazione di
Ristretti Orizzonti, mettendomi in gioco e facendo autocritica del mio poco
piacevole passato.
Ora
sento dire che la sezione in cui mi trovo sarà chiusa e tutti i detenuti
saranno tradotti. Non so, per questo mi domando e vi domando, cosa deve fare un
uomo per dimostrare che non è più ciò che è stato un tempo? Che le sue
vedute vanno oltre a quelli che sono i limiti che lo caratterizzavano fino a
quando non ha finalmente incominciato a vedere un barlume di speranza grazie al
percorso citato?
Durante
alcuni convegni sono intervenuto dando testimonianza della mia storia umana e
giudiziaria, cosa non facile visto l’ambiente in cui mi trovo, ma grazie a
Ristretti Orizzonti sono riuscito a esternare ciò che non avrei mai potuto fare
se non mi fosse stata data questa possibilità.
Ho
incominciato a pensare, a sognare, e soprattutto a sperare, dando a mia volta
speranza alla mia famiglia che da ormai ventiquattro anni circa mi segue in
questo inferno senza fine.
Il
rammarico più grande non è di per sé la fine di questo mio percorso, ma la
delusione che darò ancora una volta alla mia famiglia. Certo ciò non dipende
da me, ma mi sento comunque responsabile di dare ancora una volta prova dei miei
fallimenti.
Non
solo io ho creduto che la giustizia possa in qualche modo venire incontro a chi
dopo tanti anni di solitudine e pene varie abbia intrapreso una via diversa, ma
anche la mia famiglia, viste le possibilità che si sono presentate in questo
istituto, ha incominciato ad avere un po’ di pace nel cuore.
Sarebbe
un nuovo trauma per i miei cari vedermi catapultato in un altro pozzo senza
fondo.
Mi
ritroverò a stare in cella per 20 ore al giorno ad oziare
di
Giuseppe Scarlino
Mi
chiamo Giuseppe Scarlino, sono detenuto nel carcere di Padova da circa sei anni
durante i quali ho sempre tenuto un comportamento esemplare partecipando a tutte
le attività che sono state proposte in questo istituto.
Nel
corso degli anni ho svolto attività lavorativa a turnazione, frequento un corso
di cultura generale, ho frequentato un corso di yoga, ho fatto parte del gruppo
di discussione di Ristretti Orizzonti, ho frequentato un corso di scrittura.
Tutte
attività certamente riportate nella sintesi di osservazione redatta
dall’equipe di osservazione e trattamento, conclusa con pareri lusinghieri.
Da
circa sette mesi faccio parte del corso di cucito, in cui abbiamo prodotto
lavori che sono stati esposti, hanno suscitato interesse per la manifattura, ma
hanno anche portato ricavi da destinare in
beneficenza.
Questo
mi ha dato una grande gratificazione, oltretutto sto acquisendo competenze nel
campo del cucito che potrebbero essermi utili per un reinserimento nel mondo del
lavoro.
Ma
l’aspetto più importante che vorrei evidenziare riguarda i rapporti con i
famigliari. Faccio presente che non posso effettuare colloqui regolari e che
quindi devo supplire a questa mancanza con i colloqui telefonici. In questo
istituto sono previste oltre alla telefonata settimanale due telefonate
straordinarie al mese concesse dalla direzione.
A
quanto è dato sapere, in questo istituto non sarà più previsto il circuito
A.S. e a breve sarò trasferito in altro istituto, con le conseguenze che tutto
verrà vanificato e mi ritroverò a stare in cella per 20 ore al giorno ad
oziare. Ci sarà una regressione notevole in quanto in questo istituto si
garantisce la vivibilità e la civiltà.
Mi
auguro che qualcuno possa intervenire per una soluzione più favorevole.
di
Tommaso Romeo
Sono
Tommaso Romeo e sono detenuto ininterrottamente dal 27/5/93. Il mio fine pena è
9999. Dal 18/6/2009 mi trovo nella casa di Reclusione di Padova, nella sezione
AS1, dove sono arrivato dopo aver trascorso sedici anni di carcere, di cui otto
sottoposto al regime del 41 bis. In quei sedici anni non avevo mai incontrato un
giudice di sorveglianza, ammetto che allora vedevo tale figura come un nemico, e
per quanto riguarda gli educatori e i volontari, non solo non li avevo mai
incontrati, ma nemmeno sapevo della loro esistenza. Esco dal regime del 41 bis
che avevo perso l’affettività della mia famiglia per colpa di quel maledetto
vetro che ai colloqui mi toglieva la possibilità di dare una carezza alle mie
figlie. Mia moglie cade nell’inferno della depressione.
Arrivo
nel 2009 a Padova con dentro un bel po’ di rabbia, ma subito ho il colloquio
con l’educatrice che mi consiglia di iscrivermi all’università e così
faccio, anche se avevo grande difficoltà, non riuscivo più a esprimermi dopo
il lungo periodo di isolamento del 41 bis, mi ha aiutato molto pure l’incontro
con i volontari, quel poco tempo che dialogavo con loro mi aiutava ad
avvicinarmi alla società esterna. Anche la possibilità di telefonare una volta
a settimana ai miei familiari e poterli riabbracciare ai colloqui mi ha dato
molta serenità. Comincio allora ad avere un’altra visione, così mi decido a
fare la prima richiesta a conferire con il giudice di sorveglianza, in poco
tempo accetto volentieri il reinserimento, tanto che quando mi viene proposto di
partecipare al gruppo di discussione di Ristretti Orizzonti e al corso di
scrittura accolgo con gioia questa proposta, adesso sono tre anni che frequento
queste due attività che mi hanno aiutato ancora di più a riavvicinarmi alla
società esterna, sono riuscito a superare gli strascichi lasciatimi dal lungo
periodo del 41bis tanto da dare due esami all’università.
Dopo
quasi ventitré anni di carcere finalmente sono arrivato a buttare via tutta la
mia rabbia e vedo il mio futuro passo dopo passo verso la speranza di uscire da
uomo sereno e cambiato, ma invece arriva la notizia di questo trasferimento.
Se accadesse ciò significherebbe perdere, oltre alla speranza, tutto il percorso di reinserimento, e la mia paura più grande è di ritornare indietro di vent’anni pieno di rabbia e senza un futuro.