Una
consapevolezza più ampia di noi stessi
di Ornella Favero
Devo avvertirvi che ci
vorrà del tempo per l’esecuzione, ma come famigliari delle vittime sarete
invitati ad assistere”: guardo un episodio della serie televisiva americana
Law & Order e penso all’orrore di un Paese “civile” che ritiene che
dare attenzione alle vittime significhi concedere loro un posto in prima fila al
momento dell’esecuzione della condanna a morte. Il Seminario di formazione per
i giornalisti che abbiamo organizzato in carcere si intitola “Con gli occhi
dell’altro, del nemico, del diverso” , esattamente per il motivo che noi da
anni lavoriamo perché non si debba mai arrivare a vivere in una società, in
cui i “buoni” siano convinti di essere tali anche quando si recano ad
assistere all’omicidio legale di un “cattivo”.
Ma proprio il seminario
di Ristretti Orizzonti inaugura quest’anno l’obbligo di formazione per i
giornalisti, e questa può essere l’occasione anche per una riflessione su
questa collaborazione tra
l’Ordine dei
giornalisti e la nostra rivista, che dura da ormai molti anni. La considerazione
più importante riguarda più in generale l’informazione dal carcere: la
scelta di Ristretti, di lavorare per ridurre la distanza tra il carcere e la
società, accompagnando quasi per mano le persone libere ad
“allargare i loro
orizzonti”, si è dimostrata una scelta davvero “rivoluzionaria”, perché
ha messo in discussione in modo radicale gli schemi che siamo un po’ tutti,
noi che ci occupiamo di carceri, abituati ad usare quando parliamo di galera e
di tutela dei diritti delle persone detenute. Il progetto con le scuole, non ci
stanchiamo di ripeterlo, è quello che ci ha aperto gli occhi: a noi infatti non
interessa che i ragazzi che incontriamo si possano sentire coinvolti, sentendo
parlare della realtà carceraria, semplicemente perché sono sensibili e
curiosi, tanto meno ci interessa che le condizioni di disagio e di sofferenza
che vivono i detenuti possano suscitare la loro pietà. Ci interessa che, quando
sono seduti davanti a noi nell’auditorium del carcere, sentendo le
testimonianze delle persone detenute capiscano che “passare dall’altra
parte” e trovarsi seduti tra gli autori di reato purtroppo non è una
eventualità così improbabile. Non c’è nessuna linea netta che separa il
bene dal male, ed è meglio non coltivare nessuna illusione che noi staremo
sempre dalla parte giusta.
C’è una frase di una
studentessa, rivolta a un detenuto che ha commesso un grave reato in famiglia e
che porta spesso la sua testimonianza con le scuole, che è illuminante per
spiegare il senso del lavoro che la nostra redazione fa: “Sentire quello che
dici credo possa aiutare ad avere una consapevolezza più ampia di noi stessi e
del mondo che ci circonda.
Forse le persone che ti
hanno ascoltato si faranno qualche scrupolo in più, forse qualcuno di loro
sceglierà di compiere o meno un’azione per qualcosa che tu hai detto”.
Ecco, noi vorremmo che
l’informazione sui
reati, sul carcere, sulla giustizia aiutasse le persone ad arrivare ad avere
davvero “una consapevolezza più ampia di se stessi”, e non invece a
illudersi di appartenere di diritto e per sempre alla categoria dei “buoni”,
come ci fa credere ogni giorno tanta informazione superficiale,
frettolosa, pronta a fare sommari processi e a giudicare e condannare prima dei giudici.