Dopo
la galera, il rischio di trovare tanta solitudine e un deserto affettivo
La
perdita della libertà è una condizione così innaturale per l’uomo, che
probabilmente l’attimo dopo che uno è entrato in carcere inizia già la sua
scalata per ritornare un uomo libero. Ma la libertà sognata per anni, quando
poi ti piomba addosso ha spesso il sapore amaro dell’ansia, della paura del
futuro, dell’incertezza. Perché dopo aver conosciuto la galera niente è più
facile, neanche una cosa piccola come un giorno di permesso. E anche quando si
arriva a fine pena, poi il mondo libero ti può riservare l’amara sorpresa
della solitudine e dell’abbandono, soprattutto se sei straniero, ma anche se
sei italiano, magari con problemi di tossicodipendenza che ti hanno creato un
deserto affettivo intorno.
a
cura della Redazione
Due
giorni di libertà
Un
permesso è una cosa molto bella, ma porta anche molte ansie, se come me non hai
più una famiglia forte da cui avere un appoggio, perché per mille motivi sei
stato un po’ abbandonato, e non hai una età per dire “mi rifaccio una
vita”
di
Alain Canzian
Sono
detenuto ormai da parecchio tempo, e devo stare rinchiuso ancora per qualche
anno per pagare il mio debito verso la società. Ma sono anche fra i pochi
“eletti”, che hanno la possibilità di dare un senso alla propria difficile
vita, potendo usare il proprio tempo nella Redazione di Ristretti Orizzonti, e
non dovendo rimanere tutto il giorno chiuso in una sezione senza poter fare
niente di sensato. La situazione in cui si trovano le carceri italiane è
comunque davvero grave, anche in istituti come il nostro di Padova, che dovrebbe
avere un tetto massimo di detenuti non superiore alle 400 unità, ma per il
problema del sovraffollamento purtroppo supera 900, e questa è
un’ingiustizia, perché tante di queste persone che ci vivono dentro sono
dimenticate dal sistema.
Non
è per niente facile qui dentro poter fare qualcosa di utile, invece di stare
tutto il giorno buttato in una branda, aspettando che il tempo passi. E non è
stato facile neppure per me riuscire a far sì che il mio vivere in carcere non
sia proprio diseducativo, ma alla fine con molta fatica sono arrivato a fare del
volontariato per il nostro giornale, “Ristretti Orizzonti”.
Oramai
sono in questa redazione da quasi tre anni, e passi in avanti ne ho fatti, anche
per ritornare nella società, ho incominciato con qualche permesso premio con il
nostro progetto scuola/carcere, per poi uscire dopo tanto tempo per due giorni
in una struttura che di carcere non ha proprio niente e subito ti fa dimenticare
la galera, almeno per qualche ora. Queste sono cose molto belle, ma portano
anche molte ansie se come me non hai più una famiglia forte da cui avere un
appoggio, perché per mille motivi sei stato un po’ abbandonato, e non hai una
età per dire “mi rifaccio una vita”. Però non bisogna mai mollare, e anche
questi piccoli permessi sono degli spunti per rimettere in discussione il tuo
futuro incominciando proprio da questi primi passi verso la libertà.
Quando
il giorno del primo permesso arriva e davanti a te si apre l’ultima porta
verso l’uscita, ti cresce dentro un’ansia tremenda, una grande paura, non
sei più abituato ad uscire senza un agente che ti accompagni, ti senti come se
il tempo ricominciasse a scorrere da dove tu lo avevi lasciato molti anni prima,
certo per ritenerti libero ne dovrà passare del tempo, ma già quell’aria
triste, che ti accompagna da parecchio, in un attimo svanisce. La casa di
accoglienza dove ti trovi ti sembra persino bella, sei libero puoi fare quello
che vuoi, non hai nessun agente che ti deve aprire la porta, anche per una
semplice doccia. Ti accorgi che il mondo davanti a te è cambiato e anche per
fare le cose più semplici, fai una fatica bestiale, hai sempre paura di
sbagliare e ti sembra che tutti ti stiano giudicando, per qualsiasi iniziativa
che cerchi di fare. Ma che quando hai provato la reclusione, la perdita della
libertà, tornare a essere libero per poche ore è comunque una cosa che
apprezzi molto e non ti sembra vero che quel momento sia capitato proprio a te.
Certo
queste sono felicità effimere perché il mondo che mi aspetta fuori non è
proprio del tutto bello, e dovrò lottare molto di più di altri per districarmi
e pian piano ricominciare a far crescere il mio futuro, coltivando quegli
affetti che erano andati perduti ma non del tutto dimenticati. Comunque
è un buon inizio per riprendere in mano tutta la mia vita, con la
speranza di avere quell’aiuto di cui avrò bisogno per dare un senso a tutto
quello che sto facendo sia all’interno che all’esterno. So per certo che
dovrò faticare molto, ma con il sostegno di qualcuno forse un giorno tornerò
ad essere una persona “quasi normale”.
Primo
giorno da uomo totalmente libero
Uscito
dalla galera, mi sono sentito più spaesato che mai, pieno di angoscia
nonostante la libertà ritrovata dopo tanto tempo
di
Mohamed El Ins
Quando
mi sono ritrovato finalmente libero dopo una lunghissima detenzione, ovviamente
ero molto contento di aver riabbracciato la libertà.
All’uscita
dell’istituto dove ho espiato la mia pena, mi sono fermato sul piazzale
davanti, solo a guardarmi intorno: era pieno di macchine, ma non c’era nessun
essere umano, e nemmeno una cabina telefonica per chiamare qualcuno che venisse
a darmi una mano, ed era davvero un grande problema anche arrivare alla fermata
dell’autobus. Mentre ero fermo ad aspettare e sperare di vedere una faccia
nota, per mia fortuna dal carcere è uscita una suora alla quale ho chiesto
cortesemente un passaggio fino alla stazione dei treni per poter depositare il
mio bagaglio. Lei è stata gentile, ha accettato di accompagnarmi, e io ero
davvero molto contento, per me la sua presenza è stata come quella di un angelo
che mi ha fatto sentire molto sollevato.
Dopo
aver lasciato il bagaglio al deposito, mi sono recato subito in una struttura,
dove pensavo di poter riprendermi un po’ dalle tante emozioni e fermarmi per
qualche giorno, anche per poter svolgere il lavoro come volontario che dovevo
fare per un breve periodo, per pagare una pena pecuniaria, come era già stato
concordato durante l’udienza con il magistrato di Sorveglianza.
Al
mio arrivo nella Casa di accoglienza ho trovato la persona che pensavo potesse
ospitarmi, ma non c’era niente da fare perché tutti i posti che avevano erano
occupati. All’inizio mi sono sentito molto male, poi ho cercato di reagire e
mi sono recato da un altro volontario che sostiene le persone che sono in
difficoltà, mi era stato detto di contattarlo e io l’ho fatto, speranzoso di
poter essere suo ospite per un po’, ma non è andata come pensavo.
Praticamente mi sono sentito più spaesato che mai: anche se infatti provavo la
grande gioia di non dover più rivedere il carcere, sentivo un gran disagio per
il fatto che non sapevo cosa fare in quel momento, ero pieno di ansia,
angosciato nonostante la libertà ritrovata dopo tanto tempo.
Alla
fine mi sono recato al dormitorio come mi era stato consigliato, da lì sono
dovuto andare all’ufficio che si occupa del dormitorio e lì sono rimasto ad
aspettare fino a che hanno aperto, cosi ho spiegato a loro la mia situazione e
mi hanno detto che potevo avere un posto per una notte, ed io ho accettato
subito, ero talmente stanco, confuso, deluso che non vedevo altre soluzioni. Lì
ho dovuto aspettare fino alle ore 21 che arrivassero le altre persone che anche
loro erano ospiti del dormitorio. Era una serata molto fredda, non vedevo
l’ora di potermi riposare.
All’arrivo mi sono ritrovato in una grande camera, che ospita sette persone, non c’era nemmeno un bagno o un lavandino per poter lavarsi la faccia, è stata davvero una esperienza terribile, mi ricordo che nemmeno avevamo la possibilità di spegnere la luce, praticamente c’era una luce forte in camera che proveniva dal corridoio, sembrava un incubo. Mi sentivo molto male, ma molto male anche per il fatto che le persone che erano ospiti come me erano sofferenti, tossivano, qualcuno si lamentava, e io non riuscivo a chiudere occhio nonostante la stanchezza che sentivo, mi sembrava che la mia mente esplodesse. Oltre ai mille pensieri che avevo sapevo che dovevamo uscire dalla camera alle sei del mattino, e con questa idea non sono riuscito neppure a riposare un po’. Non ho potuto nemmeno farmi una doccia e cambiarmi, cosi quando sono uscito ho deciso di ritornare nella città dove abitavo prima di finire in carcere e dove conoscevo delle persone, speranzoso di trovare qualcuno dei miei amici che mi potesse dare una mano, nei primi tempi, per poter superare il primo impatto con la libertà. Ma ben presto mi sono sentito anche lì come se fossi in un deserto senza punti di riferimento, alla fine però almeno ho trovato una persona che mi ha aiutato con l’alloggio per quattro giorni, anche se non ero certo tranquillo perché sapevo che dovevo cercarmi un’altra sistemazione. Se avessi avuto la possibilità di avere i miei soldi all’uscita dal carcere, avrei potuto pagarmi una stanza almeno per un giorno o due, ma purtroppo non è successo perché mi avevano detto che per ritirare la busta paga che avanzavo avrei dovuto ritornare dopo quattro giorni a partire dalla data della mia scarcerazione, così mi sono ritrovato con pochissimi soldi e quindi non ho avuto la possibilità di recarmi in un albergo. L’impatto con la libertà non è sempre un momento felice, credo che questa mia esperienza possa insegnare che le persone che finiscono di scontare una pena e non hanno la famiglia vicina dovrebbero essere aiutate almeno nelle prime emergenze.