Automatismi:
chi li ha visti?
Una
ricerca dell’Osservatorio carceri dell’Unione
delle Camere Penali su un campione di dieci Tribunali di Sorveglianza è la
risposta migliore a chi parla di “automatismi” nell’applicazione delle
misure alternative
di Antonio Floris
Bruno
Tinti, ex magistrato, scrive su “Il Fatto Quotidiano”: Le pene detentive, in
Italia, non sono mai quelle che sembrano. 30 anni di prigione, in concreto, sono
circa 8 anni e 7 mesi. Capisco che pensate sia una balla, ma vi giuro che è
proprio così. Nel nostro ordinamento vi sono 4 straordinari istituti: la legge
Gozzini, i permessi premio, la semilibertà e l’affidamento in prova al
servizio sociale.
Secondo
la legge Gozzini, ogni anno di prigione vale 9 mesi perché, ogni anno, 3 mesi
vengono abbuonati. Non è proprio automatico; bisogna che il detenuto non abbia
fatto casino. Avete capito bene: non deve aver tenuto una buona condotta, aver
fatto opere di bene, essersi adoperato nell’interesse della comunità
carceraria o cose del genere. No, basta che non abbia piantato grane. Se non
rompe, gli regalano 3 mesi ogni anno.
I
permessi premio si possono dare nella misura massima di 1 mese e mezzo
all’anno; e di fatto così avviene. Quindi ogni anno di prigione in realtà
sono 7 mesi e mezzo.
Dopo
15 anni il condannato può avere la semilibertà: di giorno va a lavorare e la
notte torna in carcere. Solo che questi 15 anni, in concreto, sono 11 anni e 7
mesi per via di Gozzini e permessi premio. Sicché, dopo 11 anni e 7 mesi, un
condannato a 30 anni di galera in prigione ci torna per dormire!
Ma
non basta: quando gli mancano 3 anni per finire la pena, anche la semilibertà
viene eliminata e il nostro galeotto viene affidato in prova al servizio
sociale. Insomma, e fidatevi dei calcoli, uno che è condannato a 30 anni di
galera, in realtà fa 8 anni e 7 mesi circa.
Leggendo
i giornali o ascoltando la televisione, molto di frequente si sente dire che le
persone che commettono reati difficilmente finiscono in carcere, e se pure
talvolta ci finiscono, espieranno solo una minima parte della pena inflitta,
perché grazie alle misure alternative della detenzione domiciliare o
dell’affidamento in prova ai servizi sociali o della semilibertà, di carcere
vero ne faranno poco o niente e la maggior parte della pena inflitta verrà
espiata con tali misure.
A
parte il fatto che essere in misura alternativa non significa per niente essere
liberi, perché si è soggetti a orari e prescrizioni tali da limitare
enormemente i movimenti, queste misure non vengono concesse né in forma
automatica e né a tutti, come certa cattiva informazione porta a credere.
Noi
che siamo in mezzo a tali questioni possiamo dire per esperienza personale che
ottenere tali misure è molto, molto più difficile di quanto si pensi. C’è
un gran numero di reati ad esempio che ne sono totalmente esclusi (reati di
mafia, di terrorismo, di eversione, tratta e alienazione di schiavi, sequestro
di persona ecc.)
Per
tutti gli altri reati c’è un gran numero di limitazioni. Bisogna innanzitutto
aver espiato una certa quantità della pena, che può essere da metà a due
terzi o tre quarti, a seconda del reato per cui si è stati condannati e a
seconda della misura che si intende chiedere.
Oltre
a questo viene presa in considerazione la pericolosità della persona e il grado
di rieducazione raggiunto, quindi non è affatto detto che per il solo fatto di
essere nei termini uno automaticamente riesca a uscire dal carcere in qualche
misura alternativa. Può benissimo succedere (e succede spessissimo) che a certe
persone, ritenute a torto o a ragione ancora pericolose, non venga concessa
nessuna alternativa al carcere e che scontino la loro pena dietro le sbarre fino
all’ultimo giorno.
Ci
sono ancora altri ostacoli che sono quasi del tutto ignorati, perché di essi
non si parla mai. Questi ostacoli hanno due nomi: lavoro e abitazione.
Per
poter usufruire di una misura alternativa come l’affidamento in prova ai
servizi sociali o la semilibertà è importante avere una richiesta di lavoro.
Cioè ci deve essere qualcuno, o che sia un singolo o una ditta, che ti assume a
lavorare. Tale lavoro inoltre deve essere valutato dal Tribunale di Sorveglianza
idoneo a permettere il reinserimento della persona e non strumentale.
Per
ottenere la detenzione domiciliare, sembra banale, ma ci vogliono una casa e una
famiglia disposta ad accoglierti. È poco risaputo ad esempio che tanti detenuti
non hanno casa. Per chi non lo sapesse ancora, il 40% della popolazione detenuta
è composto da stranieri e di questi quanti sono quelli che hanno una casa in
Italia? Lo stesso discorso vale anche per tanti detenuti italiani. Pure tra gli
italiani ci sono tantissimi che non hanno casa e ci sono anche tantissimi che ce
l’avrebbero, ma le loro famiglie non sono disposte ad accoglierli.
È
allora facilmente comprensibile che delle misure alternative può beneficiare
solo una percentuale molto piccola di quelli che avrebbero teoricamente la
possibilità di accedervi. I dati di quante istanze vengono accolte e quante
respinte si possono ricavare da una ricerca fatta dall’Osservatorio carceri
dell’Unione delle Camere Penali su un campione di 10 Tribunali di Sorveglianza
di varie regioni d’Italia, a partire da Milano fino a Napoli, negli ultimi due
anni. Noi riportiamo solo qualche dato sui casi accolti e quelli respinti per
far capire che NON EISTONO AUTOMATISMI.
La
liberazione anticipata: tutt’altro che “automatica”
Quella
volta che una pistola fatta di mollica di pane costò a qualcuno la perdita
dello sconto di pena
di Antonio Floris
Tante
volte si legge sui giornali che i detenuti escono dal carcere prima del tempo
perché la legge prevede uno sconto di pena per coloro che durante la detenzione
tengono buona condotta. Questo è vero e lo sconto di pena viene applicato nella
misura di 45 giorni per semestre, 90 giorni all’anno. Tante volte si trova
anche scritto che tale sconto è concesso in maniera automatica, tant’è che
quando qualcuno viene condannato a una certa pena, su molti giornali si scrive
che la pena inflitta è simbolica, in quanto sottraendo 90 giorni all’anno per
la liberazione anticipata essa si riduce di un quarto.
In
pratica quasi mai si tiene conto che per poter usufruire dello sconto di pena è
sempre necessaria la buona condotta, e che basta un niente perché il beneficio
venga rifiutato. Al riguardo voglio raccontare una piccola storia successa
personalmente a me tanti anni fa nel carcere di Oristano in Sardegna. Al tempo
che dico io (ma forse ancora oggi sarà così) nel carcere di Oristano veniva
dato il pane mezzo crudo. Di cotto c’era solo la parte esterna, mentre la
mollica era così cruda che si poteva sagomare un’altra volta e se si
rimetteva nel forno venivano fuori altri panini. Per mangiare questo pane ogni
volta gli dovevamo togliere tutta quanta la mollica. Una sera, all’ora di
cena, noi cinque occupanti della cella ci siamo messi a tavola e abbiamo dato il
via al consueto svuotamento dei panini. Quel giorno il pane era più crudo del
solito e uno di noi, togliendo la mollica dal suo panino, la strinse nel pugno e
disse che era come plastilina. La parola plastilina stimolò forse la nostra
fantasia “artistica”, tanto che subito ci mettemmo a pensare che genere di
oggetto si sarebbe potuto costruire. Si raccolse quindi la mollica necessaria e
uno di noi cominciò a costruire una pistola giocattolo. L’oggetto passò poi
di mano in mano per i vari ritocchi, senza che ci rendessimo conto che un agente
dallo spioncino della porta stava osservando tutto il procedimento. Dopo un bel
po’ di lavoro l’opera venne portata a conclusione e a dire la verità venne
molto bene. Poiché era d’inverno e c’erano i termosifoni accesi, la
poggiammo su un termosifone per farla seccare. L’agente che aveva assistito
all’opera avvisò i suoi superiori e così la mattina dopo venne fatta la
perquisizione della cella, la pistola venne sequestrata e portata all’ufficio
comando. Subito dopo noi tutti occupanti della cella venimmo chiamati uno per
volta dal Consiglio di disciplina per essere interrogati sul perché avevamo
costruito tale oggetto. Dire che era stato fatto per puro gioco fu del tutto
inutile e nella testa di tutti i componenti del Consiglio (composto dal
direttore del carcere, dal Comandante degli agenti, dall’educatrice e dal
medico) restò la ferma convinzione che quella pistola era stata fatta per
tentare un’evasione. Come punizione ci vennero inflitti 15 giorni di
isolamento, oltre naturalmente al rapporto disciplinare, il quale ha come
effetto quasi certo di far perdere i 45 giorni di liberazione anticipata
relativi a quel semestre.
In
quel periodo il carcere a cui ero assegnato era Sollicciano (Firenze), ed ero
stato portato ad Oristano solo per un processo. Una volta rientrato a Firenze,
alla scadenza del semestre chiesi la liberazione anticipata (per chi non lo
sapesse essa si può chiedere semestre per semestre). Quando venne fissata
l’udienza per la discussione io mi presentai al Tribunale di Sorveglianza per
cercare di spiegare che il rapporto per la pistola era immeritato, in quanto si
era trattato di una cosa fatta per gioco e basta. Il Presidente del Tribunale,
sfogliando l’incartamento, trovò tutta una serie di fotografie che ritraevano
la pistola da tutte le angolazioni. Gli altri giudici che componevano il
collegio diedero pure loro un’occhiata alle fotografie e, nonostante la
rassomiglianza con una pistola vera, riscontrarono alcune “imperfezioni”.
Quella che più dava nell’occhio era il colore, che ovviamente nelle pistole
vere solitamente è nero, mentre in questa era bianco. Un altro particolare che
non sfuggì all’occhio acuto dei giudici fu che la canna non era cava. Dopo
una breve riflessione ne dedussero che difficilmente una persona armata di
quella pistola avrebbe potuto impaurire qualcuno e un’evasione tentata con
un’arma del genere non avrebbe avuto nessuna probabilità di successo. In
conclusione ritennero il rapporto insignificante e mi concessero i 45 giorni di
liberazione anticipata per quel semestre. Agli altri compagni di cella però non
andò così. Loro chiesero la liberazione anticipata al Tribunale di
Sorveglianza di Cagliari e quest’ultimo la rigettò per tutti e quattro. Forse
i giudici di Cagliari non erano osservatori acuti come quelli di Firenze.
Questo
è solo un esempio per dimostrare che alle volte basta una fesseria
insignificante per far perdere i 45 giorni di liberazione anticipata: dunque, di
che automatismi parlano quando fanno certi conti per dimostrare che nessuno si
fa la galera?