Idee
originali per il lavoro in carcere: a Treviso si costruiscono nidi
La
scelta è stata quella di sviluppare prodotti per alcune nicchie di mercato,
perché non vale la pena proiettarsi in segmenti dove la concorrenza è troppo
forte
Intervisti
a cura di Paola Marchetti
A
Treviso tra le altre c’è un’attività molto particolare: la costruzione di
nidi. Ne abbiamo parlato con Igor De Polo, responsabile dell’area
occupazionale della Casa Circondariale Santa Bona di Treviso per conto della
Cooperativa Alternativa e della Cooperativa Alternativa Ambiente, che hanno
“costruito” un polo occupazionale a Santa Bona fatto di più laboratori che
fanno attività di tipo diverso ma tutte poi spendibili sul mercato del lavoro.
Il tutto è frutto di una squadra di professionisti, operatori e tecnici che
costantemente seguono le attività occupazionali e i percorsi riabilitativi.
Prima
di tutto, qual è la vostra attività principale, oppure le vostre attività
principali?
Si
tratta di un polo occupazionale composto da più laboratori interni al carcere,
c’è una falegnameria, il cui settore di sviluppo è principalmente
l’apicoltura, inoltre costruiamo nidi artificiali. Noi, sei anni fa, quando
siamo ripartiti con le attività all’interno della Casa circondariale, abbiamo
fatto la scelta di sviluppare prodotti per alcune nicchie di mercato, perché
proiettarsi in segmenti come i mobili dell’arte povera, dove la concorrenza è
più forte, sarebbe stato insostenibile per noi, che non abbiamo le capacità
economiche e strutturali per inserirci in un segmento del genere.
Lei
mi ha detto “quando abbiamo ricominciato sei anni fa”: cosa significa?
Nel
2001 Alternativa ambiente è subentrata al fallimento della cooperativa
“Progetto legno” e nel 2004 è stato scelto di cambiare completamente
gestione, perché dopo tre anni di esperienza ci siamo accorti che la modalità
con cui la precedente cooperativa lavorava era insostenibile. Nel 2004 è
iniziata la gestione della cooperativa Alternativa e da là in poi si
sono sviluppate altre attività.
Quali
sono le altre attività?
Dal
2006 facciamo un’attività di assemblaggio con committenza che arriva da ditte
esterne, nel 2007 abbiamo iniziato con il laboratorio di riparazione hardware
con la ditta Aton s.p.a., multinazionale con sede a Villorba, e la
collaborazione con “Informatici senza Frontiere”.
Nel
2007 abbiamo iniziato l’attività dell’incisione artistica del vetro e del
cristallo. Ad esclusione del settore dell’assemblaggio in cui la formazione è
ridotta ad un paio di giornate, in tutti i nostri laboratori l’attività
formativa è significativa. Andiamo dai sei mesi necessari alla formazione nella
falegnameria, a periodi più lunghi per la lavorazione del vetro e riparazione
degli hardware. L’ultimo laboratorio nato è quello di restauro del mobile.
Quindi
le formazioni vengono finanziate?
La
formazione dipende dai laboratori. In alcuni viene svolta da un maestro
d’arte, mentre in altri, ad esempio quello della riparazione degli hardware,
viene fatta una formazione da nostri tecnici con la collaborazione di Engim
Veneto.
Ci
sono finanziamenti europei? Perché immagino che durante la formazione qualcosa
i detenuti debbano guadagnare.
Noi
riconosciamo dei sussidi riabilitativi, ma coloro che a conclusione del percorso
vengono assunti hanno un contratto sindacale. Quindi hanno un sostegno
economico. Quando è possibile facciamo riferimento a dei finanziamenti europei
o regionali, ma sono sempre più rari.
Dopo
la formazione alcuni rimangono per il lavoro e altri immagino se ne vadano.
Certo,
ad esempio per la formazione all’istituto Turazza, che fa parte dell’Engim,
viene fatta una selezione durante il corso esterno alle attività.
Con
l’istituto Coletti (CTP2 Treviso) la collaborazione è costante e va
dall’insegnamento dell’italiano per stranieri alla comunicazione sul web ed
è integrata con l’attività occupazionale, ovvero detenuti che sono impiegati
nei nostri laboratori vanno a scuola alcune ore alla settimana.
Lei
mi ha parlato dei laboratori interni. E i laboratori esterni?
La
nostra realtà è composta da due cooperative: una di tipo A, che è Alternativa
e una di tipo B, che è Alternativa ambiente che collaborano tra di loro,
in quanto le assunzioni vengono fatte da Alternativa ambiente mentre
tutti i percorsi riabilitativi passano per Alternativa. All’esterno
abbiamo una serie di attività che vanno dall’agricoltura biologica, ai
servizi di raccolta carta, stracci, gestione di Ce.R.D. (Centri di Raccolta
Differenziata) e altre attività. I dipendenti sono circa 250 e attualmente ci
sono oltre 30 ex detenuti, e un paio che stanno usufruendo di forme alternative
alla detenzione.
In
genere le cooperative tendono a chiudere i rapporti a fine pena.
Noi
abbiamo notato che c’è bisogno di dare continuità alle attività lavorative,
perché spesso non ci sono altre possibilità alternative di lavoro per la
persona.
Il
sito del Ministero ha messo in risalto, tra i vostri prodotti da acquistare, i
nidi artificiali, una cosa un po’ particolare. Una cosa per appassionati?
La
nostra committenza è data sia da appassionati, ma soprattutto da
amministrazioni che favoriscono l’acquisto e l’installazione dei nidi per
chirotteri, perché questi mangiano le zanzare.
Quindi
voi lavorate molto per i committenti pubblici, per enti locali?
Lavoriamo
anche per l’amministrazione pubblica, ma la maggior parte delle commesse di
lavoro arriva da aziende e da privati cittadini.
Per
quanto riguarda il numero di addetti all’interno, quanti sono?
Dipende
dalle commesse di lavoro e dai periodi. Abbiamo dai 15 ai 26 detenuti occupati,
che è un buon numero per un carcere non grandissimo come quello di Treviso.
Che
tipo di contratto hanno?
Noi
abbiamo una convenzione con l’Usl per prendere dei sussidi riabilitativi per
persone che fanno piccole attività.
Invece
per i laboratori più importanti?
Ve
ne sono alcuni che sono assunti: 4/5 persone. Si tratta comunque di una Casa
circondariale, quindi anche la formazione per noi è costosa, sia
economicamente, sia perché molte volte investi su persone che poi se ne vanno.
Che
difficoltà trovate nel gestire il lavoro in un posto dove il turn-over immagino
sia piuttosto alto?
Innanzitutto
individuare, in base alle caratteristiche individuali, quale può essere
l’attività migliore per la persona, compatibilmente con quelle che sono le
nostre possibilità. Nel senso che abbiamo cercato di creare un polo
occupazionale che rispondesse a più persone, ad esempio prima c’era solo la
falegnameria, ma non è che tutti sono adatti a questo tipo di lavoro. E si è
iniziato a creare un’offerta maggiore, perché noi ci rapportiamo con una
popolazione eterogenea.
Quindi
fate delle preselezioni?
L’anno
scorso abbiamo iniziato a creare una sorta di mappatura delle competenze anche
in collaborazione con l’amministrazione. Cerchiamo di individuare le
esperienze lavorative delle persone, le attitudini e cerchiamo di proiettarle
poi sulle opportunità occupazionali che ci sono.
Tenete
conto anche della situazione giuridica delle persone?
Ne
teniamo conto per una questione di tempistica, non per le valutazioni in merito
agli aspetti del reato. Chiaro che un inserimento può essere fatto anche se il
fine pena è a un paio di mesi di distanza. Andiamo a investire nella formazione
e nella crescita della persona, ma spesso veniamo smentiti perché le situazioni
cambiano: magari ci sono persone che sembra abbiano poco da scontare e poi
arrivano altri procedimenti e il tempo di permanenza si dilata, e altri che
magari sembra debbano stare qui per un mucchio di tempo e poi dalla sera alla
mattina scompaiono. Che poi è il problema tipico di lavorare in un
circondariale.
Voi
siete l’unica realtà che crea lavoro all’interno della Casa circondariale
di Treviso, a parte l’amministrazione penitenziaria?
Noi
abbiamo delle collaborazioni: ad esempio il laboratorio di restauro nasce dalla
collaborazione con un artigiano – l’azienda si chiama “Antiqua” - e lui
si occupa della formazione dei falegnami. Ma effettivamente noi siamo, diciamo
così, i soli, anche per ottimizzare le risorse che ci sono.
Avete
spazi sufficienti?
Noi
utilizziamo tutto! Nel senso che funziona tutto a incastro. Ci riusciamo anche
se spesso le attività si sovrappongono, ma facendo capo a una sola realtà,
appunto, riusciamo a incastrare tutto.
I
detenuti soci, quelli cioè assunti, lavorano a tempo pieno o no?
In
tutti i nostri laboratori – falegnameria, incisione del vetro, manutenzione
hardware, web design, restauro, assemblaggi - le persone sono occupate 5 giorni
la settimana per 7 ore al giorno. Con la stretta collaborazione con l’area
educatori, stabile da anni, l’idea è quella che le attività occupazionali
debbano essere a pieno titolo parte del trattamento rieducativo e riabilitativo
della persona. Quindi l’unico modo per capire anche la “tenuta” delle
persone, per capire se domani saranno in grado di rientrare nel mondo del
lavoro, è di “simulare” il più realisticamente possibile tempi e modi del
lavoro fuori.
Del
resto il carcere ha tempi diversi dalla vita reale, per cui anche ai lavoratori,
che infatti in carcere si chiamano lavoranti, non si richiedono le stesse
“prestazioni” che si richiederebbero a un lavoratore fuori.
Ma
per il fatto che tutte le nostre attività producono o servizi, o prodotti per
il mercato reale, noi dobbiamo garantire sia la qualità che i tempi di
produzione e di consegna. Le differenze sostanziali con il “fuori” sono, ad
esempio, le interruzioni per i colloqui, per i servizi di matricola o per il
colloquio con il legale, ma questo fa parte dell’attività e viene messo in
conto.
Se
aveste possibilità, intenzione, volontà di ampliare la vostra attività
interna, magari con qualche altra commessa, avreste gli spazi necessari o li
avete, come mi diceva prima, occupati tutti?
Apparentemente
li abbiamo occupati tutti. Servirebbe ancora più spazio, ma la nostra storia ci
insegna che nel momento in cui si apre un’altra opportunità di portare del
lavoro – e sappiamo quanto sia importante qui dentro il lavoro – ci si
ingegna e si trovano delle soluzioni. Il vantaggio è che le attività diverse
gestite da un unico interlocutore fan sì che la collaborazione con
l’istituzione sia fluida. La stessa ha potuto appurare in questi anni che da
parte nostra c’è una profonda attenzione anche nel dar risposte
all’istituto: non solo occupiamo gli spazi e paghiamo i lavoratori, ma
mettiamo grande attenzione e impegno nella collaborazione con l’area
educativa. Noi partecipiamo anche alle riunioni di equipe.
Lei
sa se qualcuno che è stato formato in carcere e poi, una volta fuori non
assunto da voi, sia comunque entrato nel mondo del lavoro grazie alle competenze
acquisite in carcere?
Sì,
sappiamo sia di italiani che di stranieri che fanno ora attività iniziate in
carcere. E questo per noi è un ulteriore stimolo a impegnarsi, anche se a volte
i numeri sono abbastanza deprimenti. Del resto noi andiamo a influenzare solo
una delle tante “parti” di cui è fatta una persona, che quando si trova
fuori però non deve affrontare solo il problema del lavoro, sempre che lo si
trovi, ma anche eventuali problemi con la famiglia, l’abitazione, e tutto ciò
che è necessario per una sopravvivenza dignitosa. Io credo che il grosso sforzo
che negli ultimi anni è stato fatto qui a Treviso, sia stato quello di
ricondurre la formazione – e qui collaboriamo anche con la scuola – ad
ambiti di opportunità reali. Anche qui nel passato sono stati fatti dei corsi
che servivano solo a “garantire il corso” mentre in questo momento, grazie
anche alla consapevolezza che le risorse sono scarsissime, c’è stata una
razionalizzazione delle spese.
Ad
esempio la collaborazione con la scuola Coletti (CTP2 Treviso) ci permette di
organizzare all’interno dell’istituto un corso di orticoltura, data la
nostra esperienza decennale di agricoltura biologica. L’agroalimentare è
ancora un settore che garantisce posti di lavoro.
Operatori
agricoli e panettieri-pasticceri
Sono
le nuove professionalità “sfornate” dal
“Forno solidale” nel carcere di Terni e dal “Podere Capanne” nel carcere
di Perugia
Intervista
a cura di Paola Marchetti
Gulliver
è una cooperativa sociale di tipo B finalizzata all’inserimento lavorativo di
persone svantaggiate, promossa da Frontiera Lavoro, cooperativa sociale di tipo
A impegnata nel settore delle Politiche attive del lavoro. È stata costituita
nel 2004 ed è entrata in attività assumendo la gestione della panetteria
“Forno solidale” presso la Casa circondariale di Terni e l’azienda
agricola “Podere Capanne” presso la Casa circondariale di Perugia. Ne
abbiamo parlato con Luca Verdolini, responsabile dell’area Giustizia di
Frontiera Lavoro.
Com’è
nata l’idea di produrre il pane in carcere?
La
nostra cooperativa Gulliver nasce nel 2004, promossa dalla cooperativa Frontiera
lavoro, che è una cooperativa che si occupa da anni di Politiche attive del
lavoro e che al suo interno ha un’area specifica dedicata ai problemi del
mondo penitenziario. Dall’esperienza della gestione dei corsi di formazione
professionale all’interno degli istituti penali dell’Umbria, è nata
l’idea di avviare un’attività imprenditoriale attraverso la costituzione di
una cooperativa di tipo B, Gulliver, che gestisce una panetteria all’interno
della Casa circondariale di Terni e un’azienda agricola nella Casa
circondariale di Perugia. L’obiettivo è quello di favorire l’inserimento
lavorativo all’esterno dei detenuti, coinvolti in queste due attività. Quindi
abbiamo pensato a questa cooperativa di tipo B come una cosa di transizione. Nel
senso che la persona detenuta, dopo un’attenta selezione fatta dagli operatori
insieme all’equipe trattamentale, viene inserita nella cooperativa per
compiere un percorso di crescita personale e professionale, al termine del quale
può ambire ad una collocazione nel mercato ordinario del lavoro.
Le
due figure professionali non sono scelte a caso, operatore agricolo e panettiere-pasticcere,
perché riteniamo siano spendibili nel mercato del lavoro. Inoltre il fabbisogno
di queste due figure non è limitato solo al nostro territorio, ma è esteso a
quello nazionale. Anche perché di detenuti residenti in Umbria ne abbiamo
pochi, quindi cerchiamo di favorire il ritorno alla regione di provenienza di
chi seguiamo e questo è accaduto in molti casi. Sono due professionalità che
il mercato del lavoro assorbe facilmente. Abbiamo fatto una ricerca con la
Camera di Commercio di Perugia, attraverso il progetto Excelsior che rilevava i
fabbisogni occupazionali sul territorio.
Lavorando
in un circondariale il turn-over è abbastanza rapido?
La
cooperativa l’abbiamo immaginata come una transizione. La permanenza media
nella cooperativa dei nostri detenuti è di circa un anno, perché una volta che
li abbiamo visti al lavoro e loro ci garantiscono un certo grado di affidabilità,
noi tendiamo ad accompagnarli con un lavoro stabile all’esterno.
Quindi
li aiutate a trovare un lavoro esterno?
Il
nostro obiettivo è proprio quello di accompagnarli alla ricerca di un lavoro
all’esterno, e dopo la preparazione e una situazione giuridica che ammette le
misure alternative, contattiamo le aziende esterne: abbiamo questa doppia
funzione, di formazione durante il periodo di esecuzione penale e di inserimento
successivo in un lavoro esterno. I detenuti sono assunti da noi con il regolare
contratto delle cooperative sociali.
Voi
avete accesso alla legge Smuraglia in questo modo?
Utilizziamo
la “Legge Smuraglia” per quanto riguarda le assunzioni presso la nostra
cooperativa sociale e svolgiamo un’attività di pubblicizzazione verso le
aziende del territorio, presso le quali inseriamo le persone in esecuzione
penale coinvolte nei nostri progetti di reinserimento sociolavorativo.
Avete
trovato difficoltà con le istituzioni carcerarie, oppure c’è stata
collaborazione?
Abbiamo
condiviso i progetti con la direzione degli istituti, quindi entrambi i progetti
sono stati finanziati tramite la Cassa ammende per quanto riguarda lo sviluppo
delle attività. Le difficoltà all’inizio sono state con i tempi del mondo
penitenziario, che sono diversi da quelli del mondo del lavoro. Tempi lunghi per
i nostri clienti nel ricevere i prodotti, tempi lunghi di vendita dei prodotti
all’esterno, tempi di attesa per l’udienza di una Camera di consiglio, e
quindi tempi altrettanto lunghi per l’azienda ad avere il lavoratore
richiesto. È importante conciliare il tempo penitenziario con quello del
lavoro, apparentemente inconciliabili. Con il Tribunale di Sorveglianza
si è cercato di accelerare un po’ i nostri casi, per cui il Magistrato fissa
le udienze dei nostri detenuti un po’ più velocemente rispetto alla prassi
ordinaria e anche con gli istituti siamo arrivati a rendere più rapida
l’organizzazione interna. Siamo un’azienda a tutti gli effetti, abbiamo
fornitori, clienti, tempi di produzione e di consegna che sono quelli di
un’azienda ordinaria.
I
vostri clienti vengono a ritirare i prodotti all’interno del carcere?
Con
l’azienda agricola abbiamo costruito un gruppo di acquisto solidale al quale
consegniamo i prodotti di stagione a domicilio due volte a settimana: carichiamo
il furgone e consegniamo a famiglie e ristoranti. Mentre per la panetteria
forniamo il pane per il vitto all’interno del carcere - abbiamo un contratto
con la società Berselli che ha vinto l’appalto nazionale - e poi
abbiamo contatti con grossisti locali, che si occupano anche di prelevare e
distribuire i nostri prodotti alle pasticcerie e panetterie del centro Italia.
Poi abbiamo una bellissima collaborazione con la rete del commercio equosolidale
“Altro Mercato” che ci acquista prodotti per le botteghe disseminate su
tutto il territorio nazionale: ci hanno acquistato 4000 panettoni per Natale, e
ora abbiamo una commissione per circa 50.000 euro di tozzetti per il prossimo
anno. I prodotti possono essere acquistatii anche a Padova.
Lo
spazio che vi è stato assegnato nel carcere per il laboratorio è sufficiente
per la vostra mole di lavoro?
Il
laboratorio è di 180 mq. più il magazzino: è molto grande. Per ora è
sufficiente per le nostre esigenze. Lavoriamo all’interno del carcere e vi è
un mastro pasticcere che coordina i detenuti assunti, però non possiamo
caricarli di lavoro e capita che vadano in confusione se devono preparare
prodotti diversi. I tempi sono calibrati rispetto alle difficoltà che i ragazzi
possono avere, perché molti non hanno esperienze lavorative alle spalle, e
fanno fatica a comprendere tempi e modi del mondo del lavoro. Al momento è
sufficiente lo spazio che abbiamo, però c’è la massima disponibilità ad
ingrandirlo. Al “Podere Capanne”” di Perugia dove per ora abbiamo 12
ettari di terreno, abbiamo predisposto di coltivare altri 2 ettari all’interno
della cinta muraria e quindi c’è una disponibilità assoluta anche da parte
degli istituti. Del resto è nel loro interesse che l’attività si ampli e che
aumentino le persone impiegate. Da questo punto di vista abbiamo la massima
collaborazione anche con l’amministrazione.
I
detenuti di Perugia che lavorano presso l’azienda agricola sono in articolo
21?
Per
adesso noi siamo dentro la recinzione, quindi ci sono gli agenti di polizia che
vanno a prelevare i detenuti che risiedono in una sezione distaccata. Siamo sì
dentro la recinzione, ma siamo fuori dalla cinta muraria e per questo ci vuole
l’art. 21. Gli agenti li prelevano dalla loro “casetta”, li portano al
podere dell’azienda agricola e rimangono lì con compiti di sorveglianza.
Quali
sono le controindicazioni del lavoro in un carcere circondariale?
Da
noi, che non sono istituti grandi come quelli di Padova, siamo ancora guardati
un po’ come dei “marziani”, nel senso che abbiamo scombussolato le normali
procedure ordinarie. Gli educatori che hanno iniziato anni addietro, quando la
parte trattamentale era ritenuta molto ridotta, fanno ancora un po’ di fatica
a comprendere le enormi potenzialità di questa attività, non rendendosi conto
che stipulare un contratto a noi costa. Noi, nella gestione della questione
economica, dobbiamo stare molto attenti.
La
formazione la fate con la persona già assunta, giusto?
Sì,
a volte partecipiamo anche ai bandi del fondo Europeo, così, quando la
Provincia li fa uscire, noi partecipiamo e attiviamo corsi di formazione
professionale. Comunque i nostri detenuti sono assunti e, insieme a loro, ne
abbiamo altri in formazione.
I
detenuti in questo caso lavorano a tempo pieno o part-time?
Lavorano
30 ore alla settimana: dal lunedì al venerdì per 6 ore al giorno. Oltre alla
distribuzione a famiglie e ristoranti, qualche volta partecipiamo a fiere e ai
mercati locali che ogni tanto ci invitano alle fiere qui a Perugia. Partecipiamo
però solo qualche volta, perché per noi è un grosso sacrificio organizzare lo
stand e quant’altro. Comunque il nostro sbocco principale è il gruppo
d’acquisto. Circa 300 persone a settimana, 100-120 famiglie, più qualche
ristorante che si rifornisce da noi e che nei menu scrive che la frutta e la
verdura provengono dalla nostra azienda agricola. Prodotti biologici, senza però
certificazione, poiché non abbiamo un possesso idoneo, visto che il terreno è
proprietà dell’amministrazione penitenziaria, a km.0, coltivati comunque
seguendo il principio dell’agricoltura biologica e dell’alta genuinità.
Anche
al femminile di Venezia hanno un orto ed è dell’amministrazione
penitenziaria, anche se è gestito da una cooperativa. Loro hanno speso un sacco
di soldi, però sono riusciti ad avere la certificazione.
Nei
primi mesi siamo stati seguiti da “AIAB” (Associazione Italiana per
l’Agricoltura Biologica), ma c’era il problema che avevamo la convenzione in
comodato d’uso, e sembrava che questo non fosse idoneo. C’è da dire che
anche noi abbiamo trascurato la faccenda. In ogni caso il metodo di coltivazione
è del tutto naturale: utilizziamo solo lo stallatico come concime. Le nostre
verdure faticano un pochino a crescere, ma seguono il loro corso, senza ricevere
nessun aiuto. I sapori sono completamente diversi e persino io, che non mangiavo
le verdure, queste le mangio perché hanno un sapore completamente diverso.
Altri
progetti che vorreste realizzare?
Abbiamo
il progetto di provare ad acquisire il servizio mensa del carcere di Perugia.
Abbiamo un corso di formazione per aiuto-cuoco finanziato dalla Provincia e lo
riserveremo alla sezione delle donne detenute. Finito questo corso potremmo
rilevare il servizio cucina del carcere e quindi occuparci della preparazione e
distribuzione dei pasti, colazione, pranzo e cena, per circa 600 detenuti, dal
momento che ora Perugia non è più solo un circondariale, e con l’apertura di
una nuova sezione è piuttosto grande. Questo è il nostro obiettivo per il
2011, andare a formare queste 15 detenute, assumerle e andare a gestire questo
servizio.
Quindi
rimanete sempre nell’ambito della ristorazione?
Sì,
perché abbiamo visto che con le aziende del territorio riusciamo ad avere una
buona collaborazione: abbiamo coinvolto la famiglia Guarducci, quella che
gestisce Eurochocolate, che ha diverse strutture ricettive qui nel territorio e
che ci ha assunto periodicamente diverse persone sia in cucina che come
camerieri ai piani, aiuto-cucina, pasticceria. Questo è un settore nel quale la
crisi si è sentita meno e ci sono buone possibilità di impiego.
Può
darmi qualche numero sulle persone che avete reinserito?
Sì,
ci sono dei dati che trasmettiamo al Ministero. Possiamo dire che in questi 5
anni abbiamo inserito all’incirca 30 detenuti tra misure alternative e a fine
pena: in art.21, in semilibertà, in affidamento. Siamo soddisfatti.
Addirittura
una persona l’abbiamo inserita a Como, quindi possiamo dire che agiamo “a
livello nazionale”. Nel caso di persone che risiedono in altre regioni,
cerchiamo di favorire il ritorno nella provincia di provenienza.