Droga,
carcere, distruzione degli affetti
Mi
guardo intorno, e vedo solo terra bruciata
Dopo
dodici anni di “convivenza” con la droga, so di aver rovinato me stesso, di
aver lacerato la vita dei miei cari usando le mie stesse mani, unghie, dita
di Mel Alì
Mi
sono drogato per ben dodici anni, ho così tanti racconti chiusi dentro di me
che mi sembra come se vivessi fin dall’era dei dinosauri, e avessi accumulato
nel corso di questi anni un’infinità di esperienze. Raccontare come mi sono
drogato non è bello, di spiegare cosa mi ha portato a finire nel mondo della
droga non sono capace perché non ne capisco molto di psicologia, ma continuo a
sperare di trovare una persona esperta che mi spieghi cosa mi è accaduto.
Ho
letto che lo psicoanalista C. G. Jung diceva che la visione diventa chiara
quando si guarda nel proprio cuore, pertanto, secondo lui, chi guarda
all’esterno sogna e chi guarda all’interno apre davvero gli occhi. Io
purtroppo quel poco che ho potuto sondare nella mia interiorità è stato
tramite la sofferenza che ho attraversato, però i piccoli frammenti di
consapevolezza che ho maturato non mi bastano per uscire della droga. Tuttavia,
provo a raccontare i casini, i guai e i disastri famigliari che mi ha causato la
droga e che mi hanno portato al mio attuale stato giuridico e psicologico.
Sono
circa undici anni che non vedo la mia famiglia d’origine, e questo mi ha
creato un nodo nello stomaco e pensieri dolorosi interminabili. L’ultima volta
che ho provato a mettermi in contatto con loro è stato tre anni fa, e ho
faticato non poco a trovare il coraggio di farlo. Ma in seguito ho avuto una
risposta che conservo ancora e mi dà tanta forza per andare avanti. È una
lettera dove mio padre mi racconta un po’ delle cose successe a casa e poi
aggiunge: “Nessuno è indispensabile per l’altro! basa i tuoi pensieri su
questo e vedrai che supererai tanti problemi! Comunque quando esci, ci fa molto
piacere sentirti, tutta la famiglia ti saluta, la tua mamma desidera scherzare
con te e dice di ricordarti che ti ha portato nel suo grembo per nove lunghi
mesi e non ti ha fatto pagare l’affitto”. Da quel tempo ogni volta che
desidero immaginare di vivere un po’ con la mia famiglia, tiro fuori questa
lettera e la leggo come se fosse la prima volta.
Per
il momento ho una condanna di nove anni e cinque mesi, ma quello che mi fa
sentire davvero male è la condanna che ha avuto mia moglie per colpa mia, una
condanna a sei anni di carcere. Lei un anno fa, e dopo una lunga riflessione, mi
ha chiesto il divorzio. La verità è che mi sono trovato di fronte a una
situazione molto dolorosa, ma il senso di colpa che sto vivendo è così
profondo che non potevo essere contrario a quello che lei mi ha chiesto, e con
il cuore frantumato le ho risposto “Va bene”.
Dentro
di me non volevo questo divorzio perché, mentre sento dire che di donne ce ne
sono tante, io credo invece che di donne come lei ce ne siano poche. È da tanto
che speravo di rimediare e di assicurarle che il labirinto della droga in cui mi
ero perso ormai è chiuso. Ma ricordo le tante bugie che le ho detto quando ero
intrappolato nella rete della droga, e oggi, anche se mi sento più forte, non
trovo più il coraggio di dirle che sono cambiato. Perciò, desidero andare
avanti in silenzio sulla strada della consapevolezza che ho intrapreso e le farò
vedere con i fatti concreti il mio cambiamento.
Spero
tanto che mia moglie capisca queste cose che girano nella mia testa oggi, anche
se temo che non avrà voglia di riflettere sul mio stato psicologico, perché
ormai è molto grande il suo dolore per la nostra bambina che abbiamo dovuto
lasciare quando ancora era nella culla e che adesso ha tre anni. Anche perché
le parole per garantirle il mio cambiamento le ho usate tutte, e i tanti errori
che ho commesso verso la vita familiare mi fanno tacere, come se potessi usare
solo un linguaggio dell’anima.
Per
quanto riguarda il rapporto con lei, sono riuscito ad avere per lo meno una
corrispondenza civile e senza ostilità, orientata ad un dialogo necessario per
decidere insieme come far vivere meglio nostra figlia, senza caricarla dei
nostri problemi e sofferenze.
Non voglio abbracciare mia figlia in
carcere
Dato
che lei può fare colloqui con nostra figlia all’interno del carcere, ogni
tanto mi scrive poche righe per dirmi quanto è diventata bella e che è
cresciuta in fretta tanto che le arriva all’ombelico. E mi descrive altre cose
su nostra figlia, mentre io non trovo il coraggio di chiedere agli assistenti
sociali di fare un colloquio, perché non voglio abbracciarla in carcere, non
voglio che le restino in mente questi piccoli spazi. Invece, desidero rotolarmi
con lei sulla terra, non importa se sia verde o arida, quello che conta è di
essere con lei in mezzo alla natura, e non tra queste mura, cancelli e agenti
penitenziari, perché se sono traumatizzanti per me, figuriamoci cosa possa
essere per una bambina che ha tre anni. Se solo si potessero fare dei colloqui
diversi… a volte penso che sto cominciando a nutrire dell’odio verso
l’incompetenza e l’ignoranza di cui gli uomini sono spesso capaci. Perché
davvero non servirebbe tanto per creare degli spazi diversi qui dentro, in cui
incontrare i figli.
Comunque,
provo a ritornare alla catastrofe della droga, e a come mi sento oggi, mentre
sconto questa lunga condanna, della quale ho già trascorso tre anni. Secondo la
mia esperienza, in carcere il tempo e lo spazio possono anche agire bene sulla
mente dell’uomo, però devono trovare un fondamentale alleato, cioè un
trattamento fatto di sostegno psicologico e di un percorso di cambiamento. Solo
così si può aprire uno spazio interiore nel detenuto, perché in assenza di
questo terzo elemento, il tempo e lo spazio rischiano di distruggere la
struttura psichica di chi sta in galera. E allora non si fa altro che spostare
il problema in avanti perché si è incapaci di affrontarlo ora.
Oggi
sento di aver avviato un cambiamento graduale e, dopo un inizio di carcerazione
fatto di chiusura e di rigidezza, penso di poter vedere me stesso con più
chiarezza. E riesco ad analizzare i miei comportamenti annebbiati, e vedere come
la mancanza di consapevolezza ha provocato danno agli altri e come gli errori
commessi verso me stesso hanno colpito anche la mia famiglia. Oggi ho la capacità
di girare il collo come un gufo e guardare a 360 gradi, e vedo di aver rovinato
me stesso, di aver lacerato la vita dei miei cari usando le mie stesse mani,
unghie, dita. Oggi vedo come lo stato di dipendenza dalle droghe mi ha costretto
di bruciare tutta la terra intorno a me, e ovunque mi giro a guardare vedo terra
bruciata, cenere e nessun appiglio a cui aggrapparmi.
Riflettere
a lungo su queste cose mi ha portato però a capire quanto è misterioso
l’essere umano e quanta forza conserva in sé, e mi pare che quella forza sto
riuscendo a riconoscerla e a usarla correttamente: e penso anche che forse si può
recuperare e arrivare a vivere serenamente, e si può anche vedere che da sotto
le ceneri possono nascere germogli di fiori rari.