Una
galera più umana è possibile da subito
di
Ornella Favero
Voglio
condividere con i nostri lettori una riflessione personale. Pochi giorni fa è
morta mia madre, e fra le tante sensazioni confuse che mi hanno affollato la
mente in quei giorni ce n’è una, un ricordo di quando ho dovuto essere io a
comunicare a un detenuto della redazione la notizia della morte della madre.
Oggi, che so che cos’è il dolore di un figlio di fronte a una morte che è
come se mettesse la parola fine al capitolo più importante della nostra vita,
perché una madre che non c’è più spesso significa anche la casa
dell’infanzia che si chiude, un senso di solitudine che ti invade, la
sensazione di non avere più un rifugio sicuro, oggi penso che nella condizione
della detenzione la cosa più orribile sia vivere, immersi nell’impotenza
della galera, la malattia o la morte di una persona cara.
Eppure,
non è inevitabile tutta questa sofferenza: in questo numero di Ristretti,
pubblichiamo un’intervista alla direttrice di Bollate, Lucia Castellano, che
dimostra come sia possibile, applicando l’attuale Ordinamento penitenziario,
gestire un carcere dove la pena è davvero il muro di cinta che delimita la
libertà delle persone, ma tutto il resto di afflizione che la pena può portare
con sé è tenuto fuori, ridotto, eliminato. È possibile quindi pensare da
subito a una galera più umana, nonostante il sovraffollamento, ma ora che il
sovraffollamento ha raggiunto livelli mostruosi è ancora più doveroso che lo
Stato, del tutto fuorilegge per quel che riguarda i metri di spazio per ogni
detenuto, trovi almeno delle attenuanti cercando in tutti i modi di rendere la
carcerazione meno avvilente, meno offensiva della dignità delle persone.
Noi
di Ristretti diciamo e scriviamo da mesi che l’unica vera forma di prevenzione
rispetto ai suicidi, l’unica attuabile anche oggi, in queste condizioni
disastrate, è ampliare e rafforzare i rapporti delle persone detenute con le
loro famiglie. Questo si fa già a Bollate, e questo finalmente è lo spirito
che anima l’ultima circolare del Dipartimento dell’Amministrazione
penitenziaria, “Nuovi interventi per ridurre il disagio derivante dalla
condizione di privazione della libertà e per prevenire i fenomeni
autoaggressivi”. Una circolare che invita a fare tutto il possibile per
salvare i legami famigliari, messi pesantemente in crisi dalla galera, “come
attestano le numerose procedure di separazione tra coniugi iniziate nello stato
di detenzione e l’ancor più consistente numero di relazioni affettive che si
interrompono”. L’invito è chiaro, le misure da prendere invece
sono lasciate all’iniziativa, o meglio alla buona volontà delle singole
Direzioni: “Va profuso il massimo impegno nell’adozione, anche in via
sperimentale, di tutte le possibili misure, organizzative e operative, adatte a
valorizzare, nei limiti della normativa vigente, gli spazi e i momenti di
affettività fra i detenuti e i loro congiunti e familiari”.
Dunque,
perché qualcosa cambi davvero, e non solo a Bollate, perché i colloqui
avvengano in spazi più umani e vengano dilatati per quanto possibile i tempi
delle telefonate, anche il volontariato deve vigilare, deve essere capace di
avere un’attenzione particolare al tema delle famiglie e fare proposte, e deve
raggiungere una maggior consapevolezza del suo ruolo, tanto più che la
circolare in questione parla chiaro: i volontari non devono, come capita a
volte, essere “tollerati” e messi fuori dai cancelli del carcere quanto
prima possibile, al contrario i volontari devono esserci, e devono contare,
sempre, in modo chiaro, e non devono ogni volta lottare per strappare una
mezz’ora in più per le loro attività: “Si raccomanda, pertanto, alle
direzioni di compiere ogni sforzo per consentire la massima estensione degli
orari di accesso agli istituti per i volontari e per i rappresentanti della
comunità esterna, in particolare evitando, nei limiti del possibile, che le
attività di costoro cessino in coincidenza con la fine del turno della mattina.
L’ideale sarebbe consentire che si protraggano almeno fino alle 18:00. Sul
punto questa direzione generale avvierà in via sperimentale una serie di
progetti con il volontariato mirati all’ascolto delle problematiche dei
detenuti ed alla facilitazione dei contatti con le famiglie”.