|
E se con il piano per l’edilizia penitenziaria tornassero le mitiche “carceri d’oro”? Prendi i soldi e… scappa? Secondo la legge dei “soliti furbi”, rubando milioni di euro è facile rimanere fuori dalla galera, è molto più facile finirci dentro se si “rubacchia” e si commettono reati che “allarmano” la popolazione. E chi finisce in carcere rischia di restarci a lungo, “stretto e ristretto” e con poche possibilità di reinserimento, visto che tanti soldi della Cassa delle ammende, destinati ai percorsi dal dentro al fuori, sono stati dirottati sull’edilizia penitenziaria
di Daniele Barosco
La Corte dei Conti va affermando da tempo che la corruzione in Italia è altissima, specialmente nella Pubblica Amministrazione. Ammontano a circa 1700 milioni di euro le ruberie accertate e a quasi seicento gli amministratori pubblici condannati. Sono oltre un migliaio quelli in attesa di… una più che probabile condanna! Ma di quale condanna parliamo? Forse è perché non sono attento o perché ho perso un po’ di diottrie con la vista durante l’espiazione della mia pena, scontata tutta in carcere, ma io qui in galera di amministratori pubblici condannati non ne ho visti. Ci sono invece tanti disgraziati, tossicodipendenti, rom, persone con disagio psichico, emarginati di ogni nazionalità che come me scontano pene lunghissime quasi sempre in carcere. Le misure alternative al carcere per gli emarginati, senza avvocati e senza una dimora confortevole, sono molto molto “rarefatte”, come l’aria pesante che si respira qui dentro queste galere così sovraffollate. In compenso questa giustizia non proprio generosa con gli ultimi è spesso clementissima con i ladroni d’alta classe che girano in auto “blu” o macchine di super lusso. La disuguaglianza delle pene credo sia chiara a tutti, e qui intendo tutti gli schieramenti politici, ma quasi tutti, destra, sinistra o centro, tacciono sulla corruzione in Italia. Intanto il governo all’inizio del suo mandato aveva tolto dal bilancio circa 180 milioni di euro destinati all’ammodernamento di carceri fatiscenti, per destinarli a esentare l’ultimo quaranta per cento degli italiani, anche ricchissimi, dalla impopolare Imposta Comunale sugli Immobili. E ora con la solita modifica ad hoc del regolamento della Cassa delle ammende, contenente dei soldi veri, versati dalle persone condannate e destinati esclusivamente per il loro recupero e per quello delle loro famiglie spesso disastrate, ha deciso di usare parecchi di questi soldi per costruire nuove carceri.
“Rompere” la Cassa delle ammende è come rubare al bambino il salvadanaio regalatogli dal nonno previdente
Ma allora, senza risorse, come si può riabilitare la persona, come reinserirla? Costruendo nuove carceri con i soldi della Cassa delle ammende? “Prendi i soldi e scappa”, a me è venuto spontaneamente questo titolo, altri 170 milioni di euro che se ne vanno dalla loro “naturale” e giusta destinazione, il reinserimento. “Rompere” la Cassa delle ammende è come rubare al bambino il salvadanaio regalatogli dal nonno previdente, è un’operazione che credo non solo noi detenuti, ma anche chi si occupa seriamente di carcere ritiene veramente inspiegabile, e dovrebbe essere denunciata in tutta la sua gravità su ogni giornale e telegiornale, e invece quasi nessuno ne ha parlato. Qui ho la sensazione che si vada verso una società in cui corrotti, impuniti e furbi troveranno ancora più spazio. Non lo dico solo io, che sono un detenuto, un ex furbo, uno che però ora paga con il carcere. Lo afferma il presidente della Corte dei Conti. Lo affermano le autorità europee in materia di revisione dei conti e monitoraggio della corruzione nella pubblica amministrazione. Eppure le emergenze nel nostro Paese riguardano sempre i reati di strada, quelli commessi spesso più da disgraziati che da veri criminali, e puniti con pene durissime ed espiate solo in carcere, e invece nei pacchetti sicurezza nessuno parla dei soliti “corruttori”, mentre in tanti pensiamo che la vera, e non presunta, emergenza è proprio quella. E speriamo che con il nuovo piano carceri e l’edilizia penitenziaria fatta coi soldi del reinserimento non tornino anche le mitiche “carceri d’oro”! A chi la violenza l’ha usata le ronde fanno paura Quanto può essere pericoloso pensare di “controllare” il territorio sentendosi un po’ in diritto di fare i “vice poliziotti”
Anche in carcere si discute di ronde, con punti di vista un po’ particolari: perché tanti immigrati, oltre a vivere la sensazione che nel mondo “libero” sotto tiro ci siano proprio i loro connazionali, hanno anche il ricordo dei loro Paesi d’origine, soprattutto quelli dell’Est, dove regimi non esattamente democratici imponevano ronde, controlli, delazioni come modello di vita dei cittadini. Tanti, poi, stanno in galera perché hanno deciso di farsi giustizia da soli, e allora sanno bene quanto può essere pericoloso pensare di “controllare” il territorio sentendosi un po’ in diritto di fare i “vice poliziotti”, magari con l’alibi di difendere i più deboli, e le donne in particolare. Vent’anni fa sono scappato da una dittatura, ma oggi ne rivedo alcuni tratti
di Gentian Germani
L’ultimo decreto legge sulla sicurezza autorizza la creazione di gruppi di cittadini (ronde) con il compito di pattugliare le strade e, “armati” di telefonino, segnalare reati, comportamenti e persone sospette. Dopo aver messo i soldati per le strade, ora si decide di delegare i cittadini a fare quello che evidentemente lo Stato non riesce a fare! Medici che denunciano i pazienti stranieri bisognosi di cure, pensionati che spiano da dietro le tapparelle delle finestre, gruppi di persone che si improvvisano “giustizieri della notte”, tutto questo assomiglia all’Albania sotto la dittatura comunista, quando gli organi di informazione dicevano: “Ogni cittadino è un soldato, un poliziotto, un investigatore e ha il dovere di vigilare e denunciare i comportamenti pericolosi”. Questo e tanto altro veniva detto per anestetizzare gli animi di persone che vivevano in difficoltà e tenerli calmi, in un paese dove radio e televisione erano monopolio del regime. Mi ricordo che si dormiva addirittura con la porta aperta perché “il partito vegliava su di noi” e ci si sorvegliava a vicenda 24 ore su 24, nelle riunioni poi si denunciavano i comportamenti delinquenziali di alcuni giovani e si criticavano in assemblea i loro genitori costringendoli a fare autocritica. Alla fine si erano convinti tutti che era una cosa giusta spiare l’amico, il vicino di casa o il collega di lavoro. E così la percezione della sicurezza era grande, una sicurezza però che aveva eliminato dalla vita delle persone parecchie libertà, e in tanti erano convinti che in fin dei conti, per avere un ordine pubblico così ferreo, valeva la pena rinunciare ad ogni spazio privato. Me se quello era il Paese da dove io e migliaia di ragazzi come me vent’anni fa siamo scappati alla ricerca della democrazia, con le ultime leggi l’Italia sta prendendo elegantemente sembianze molto simili, però dubito che gli italiani siano disposti come gli albanesi del dopoguerra a considerare le proprie “libertà” come un lusso che si può sacrificare per un ideale. Non credo che i crimini e le violenze diminuiranno grazie alle ronde. Certo quella di andare in giro in cerca di malintenzionati da denunciare diventerà una moda per i primi tempi, ma secondo me non durerà a lungo, e i cittadini cominceranno a capire che non è questa la soluzione dei loro problemi, che vanno oltre la microcriminalità, oltre le violenze sessuali o l’immigrazione clandestina, e che hanno a che fare piuttosto con la crisi di un modello basato sulla logica del profitto e sulla legge del più furbo e del più forte. Se esasperato, il desiderio di ordine può fare danni
di Elton Kalica
Questa decisione di delegare ai cittadini il controllo del territorio mi ricorda tanto la mia infanzia durante il comunismo quando tutti, grandi e piccoli, ci sentivamo responsabili della sicurezza. A scuola ci veniva detto che il regime popolare in cui vivevamo era stato instaurato dopo dure guerre, che stavamo vivendo in una fase di transizione ma che presto avremmo costruito la società perfetta senza diseguaglianze fra ricchi e poveri. Ci raccontavano che la dittatura del proletariato era forte, ma che il nemico era molto pericoloso, quindi dovevamo stare attenti che i nemici della rivoluzione non sabotassero il progresso, e l’unico modo per scovare i reazionari era osservare con attenzione i comportamenti di chi ci stava vicino, perché un borghese prima o poi si tradiva per i suoi vizi morali e materiali. Ma i nemici del popolo erano molto astuti e non si facevano prendere facilmente. Allora i comitati di quartiere, delusi dalla loro magra caccia al nemico, finivano per denunciare chi si ubriacava, chi tradiva la moglie, chi ballava a ritmo di musica commerciale o chi rimaneva sveglio fino a tardi per guardare i programmi erotici italiani. Oggi invece, a distanza di vent’anni, vedo che anche in Italia c’è un governo che delega i cittadini a controllare il territorio, con una piccola differenza però: il nemico non è più chi la pensa diversamente, ma chi è nato diverso, chi è ritenuto fonte di insicurezza. Non nego che è orribile vedere i parchi trasformarsi in luoghi di spaccio, ma se la polizia fa fatica ad arrestare gli spacciatori, dubito che un gruppo di cittadini riuscirà a fare di meglio. Temo invece che le ronde finiranno per sfogarsi sui senzatetto, sui tossicodipendenti che danno fastidio e sui nuovi braccianti che dormono nelle case abbandonate: quelli che non sono abituati a scappare dalla polizia. Nel mio Paese erano in molti a credere che il capitalismo era la malattia dell’umanità e che i reazionari dovevano finire in carcere: questa logica di ordine a tutti i costi ha causato danni tremendi in tutti i paesi comunisti, senza per altro riuscire a eliminare lo sfruttamento e l’ingiustizia. Oggi, la questione sicurezza qui in Italia è diventata così morbosa che non può non ricordare i regimi totalitari. Il guaio è che sarà anche vero che noi stranieri causiamo insicurezza, ma i fatti stanno dimostrando che in materia di violenza e di odio certi italiani non hanno bisogno di imparare da noi: li abbiamo visti tutti incendiare campi nomadi e tentare di linciare presunti stupratori. Più che sognare di vivere in una città senza reati e senza clandestini, forse è meglio un po’ meno ordine e un po’ più voglia di aiutarsi a vicenda, un po’ di solidarietà e pensare all’altro con più umanità, allora anche la giustizia diventa più giusta, e anche gli anni di galera che noi detenuti stiamo facendo per il male che abbiamo fatto, non sembreranno più così pochi. Io controllo te, tu controlli me
di Marco Libietti
Finalmente il cittadino è stato accontentato, e il governo ha autorizzato il controllo e la segnalazione di tutti verso tutti tramite l’istituzione delle ronde. Le ronde… voglio analizzare la questione non tanto sul fronte dell’efficacia, ma valutandone il significato in base a ciò che rappresentano e a cosa potrebbero comportare per la collettività, sull’onda più o meno sentita della ormai tanto decantata ricerca della sicurezza e del controllo del territorio. Ed è proprio questo il punto. Ronde ne ho viste tante, messe in piedi in modo estemporaneo da estremisti, balordi o cittadini più o meno facinorosi amanti della giustizia fai da te… ma non è questo l’attuale contesto, qui le ronde, come provvedimento, vengono dopo una campagna sulla sicurezza impressionante, dopo “richieste” di pene più severe, di militari per le strade, di “caccia” al clandestino (e non solo). Qui stiamo parlando di qualcosa che sembra preparare una militarizzazione del territorio, una autorizzazione al controllo e alla segnalazione di tutto e di più, una legittimazione della delazione tra cittadini comuni. In questo contesto a me pare che questa situazione assomigli a una deriva verso uno stato di polizia, di spionaggio reciproco riscontrabile solo nei regimi dittatoriali. Non ritengo di esagerare e vorrei che riflettessimo su quella che, lungi dall’essere una maggiore tutela nei confronti delle persone che rappresentano un pericolo, può solo sfociare in una limitazione sempre maggiore della propria libertà individuale… Perché? Perché il controllo porta poi a una segnalazione. Ma segnalazione di cosa? Di qualsiasi comportamento che sembra strano, di qualsiasi movimento sospetto (anche due fidanzati che di sera si attardano in auto vicino a un bancomat nei pressi di casa… dopo un accertamento non accadrà alcunché a loro ma intanto saranno stati segnalati e controllati). Il punto sta proprio qui: chi sarà di ronda si comporterà, autorizzato, in questo modo e, a sua volta, subirà lo stesso trattamento (o se ne starà chiuso in casa sino al suo prossimo turno?). A me non sembra una cosa normale, e mi sorge il dubbio che, mentre me ne sto qui privato della libertà, in realtà i cittadini fuori la libertà siano invitati a togliersela da soli (e reciprocamente, con tanto di ringraziamento). Non viene in mente a nessuno, ripercorrendo la storia neanche troppo lontana, che le ronde hanno sempre e solo portato a disastri colossali per il popolo? E che soprattutto chi ha in mente di militarizzare e “fomentare” il senso di paura e insicurezza va in questa direzione? Qui in galera di gente che sa cosa vuol dire farsi giustizia da sé ce n’è tanta, così come stando qui tutti noi sappiamo quanto è duro vivere perennemente sotto controllo, ed è per questo che fatichiamo a vedere il lato buono di queste squadre di controllori-giustizieri.
|