Voci da lontano

 

Per non perdere l’amore e la speranza

 

Conquistare l’affetto di una ragazza italiana non è facile per un albanese, ma se poi lui finisce in carcere salvare il rapporto è quasi impossibile

 

di Gentian Allaj

 

In questo momento mi viene in mente un ricordo molto triste: la separazione da Lisa, la mia ragazza. Il motivo per cui ci separammo fu il mio arresto.

Il giorno che ci siamo conosciuti, ero andato in un paesino vicino a Vicenza a incontrare un amico. Girando con lui, ci trovammo davanti a due ragazze che erano ferme con la loro macchina in un parcheggio. Ci fermammo davanti a loro, cominciammo a scherzare insieme.

Alla fine decidemmo di scambiarci i numeri di telefono, riproponendoci di incontrarci di nuovo ed uscire insieme a divertirci. La sera stessa telefonai a una delle due per invitarla fuori, e lei accettò.

Già dal primo momento non mi sembrava come le altre volte che incontravo una ragazza. Di solito finiva tutto quasi subito, questa volta sentivo che per me sarebbe stata una storia molto importante.

Da quel giorno cominciammo a incontrarci frequentemente, io due volte alla settimana partivo da Brescia e andavo a trovarla a Noventa Vicentina, lei era accompagnata sempre da suo fratello, perché i suoi genitori, anche se non era una ragazzina, non la facevano uscire con me da sola.

La nostra infatti è stata anche una storia molto difficile, da quando la sua famiglia ha saputo che lei si era innamorata di un albanese. A Lisa per fortuna questa cosa non interessava, era disposta a fare tutto per me. Ogni settimana telefonavamo insieme a casa mia per parlare con mia mamma, anche lei era molto felice per me, perché avevo trovato la ragazza della mia vita.

Abbiamo passato giorni belli insieme, però mi rendevo conto che avrei rovinato tutto prima o dopo con il "lavoro" che facevo, vivevo infatti di espedienti e lei non ne sapeva niente, le avevo detto che ero impiegato in un calzaturificio. Due anni dopo l’inizio della nostra storia, fui arrestato.

Da quel momento tutto è cambiato, io sono finito in carcere a Gorizia, e Lisa è andata a stare a casa di una sua amica a Padova, perché i suoi non le permettevano di venirmi a trovare. Lei invece a Gorizia veniva tutte le settimane, perché eravamo ancora molto innamorati.

Tutto andava ancora abbastanza bene, ogni volta che lei veniva si parlava sempre del nostro futuro, anche se eravamo cosi separati dal carcere, e questo futuro lo vedevamo sempre più difficile.

Per sei mesi venne a trovarmi in carcere. Poi un giorno mi disse che voleva tornare a casa, nella sua città, dai genitori, e che non sarebbe più venuta a colloquio… A quel punto mi venne un tuffo al cuore. Non capivo niente di ciò che mi diceva, ho chiuso gli occhi, volevo piangere, urlare. Ma non ci riuscivo.

Il pensiero correva, andava lontano, mi venivano in mente i ricordi della nostra storia che durava da tanto tempo, ripensavo a quando scorgerla da lontano mi faceva già sentire felice. Felice come lo può essere un uomo, straniero, lontano dal suo paese, che fatica un sacco per conquistare la donna che ama. Non mi rendevo conto che stavo per perdere tutto. Non sarebbe più venuta a trovarmi. Non riuscivo più a parlare, avevo un nodo in gola e mi sentivo soffocare.

 

Avevo sempre saputo che prima o poi sarei finito in carcere e avrei perso Lisa

 

L’ascoltavo mentre lei, con tanti giri di parole, cercava di dare una ragione logica alla nostra futura separazione. Percepivo il suo stato d’animo, quel malcontento che non voleva rivelare con le parole, ma anche il tremolio delle sue labbra e il desiderio di un bacio, sempre represso per il luogo in cui ci trovavamo: la sala colloquio di un carcere.

Capivo perfettamente il suo stato d’animo, perché negli ultimi tempi prima dell’arresto già sapevo che alla fine si sarebbe rovinato tutto, mi rendevo conto che, con quello che facevo, prima o dopo sarei finito in carcere e avrei perso Lisa e il suo tenero amore. Se già era stato difficile per lei affrontare l’ostilità dei suoi nei miei confronti, immaginarsi come avrebbe potuto far accettare il fatto che ero finito in galera.

Il giorno che al colloquio mi annunciò che tornava a casa sua, non ho potuto che darle ragione. Non poteva aspettare cosi tanto tempo, perché Lisa ha la sua vita da vivere. È giusto che non debba patire lei per le mie colpe.

Continuavo a guardarla in silenzio, desideravo fermare il tempo.

Quello che accadeva era crudele per il mio cuore. Non riuscivo a trovare le parole giuste per dire addio alla donna alla quale volevo bene da tanto, ma che non avevo saputo tenere con me.

Ancora oggi, Dio solo sa quanto desideri per un solo attimo sfiorare le sue mani e entrare nei suoi pensieri.

Come ho potuto non capire allora che era lei che m’interessava, come ho potuto non capire che tutto il resto non aveva senso senza di lei? Ora devo accettare il supplizio del silenzio per rispettare la sua libertà, le scelte che lei ha fatto. Si è allontanata da me. Con quale diritto potevo del resto invadere e stravolgere la vita di Lisa, dopo che avevo tradito la sua fiducia?

Quando smise di venire a trovarmi, sentii molto la sua assenza. Non volevo sapere se avesse trovato un altro uomo, tutto ciò non riguardava più me. Lei forse avrebbe potuto anche non abbandonarmi, ma purtroppo era andata così.

Ora vorrei aprire le finestre della mia vita per respirare un’aria nuova, è da molto tempo che non lo faccio, non posso farlo perché le quattro mura intorno a me non me lo permettono. Vorrei anche riuscire a dimenticarla ma non ci riesco, il mio amore per lei resiste ancora oggi nonostante tutto, nonostante il carcere, ma certo non posso consolarmi con i ricordi o tenendo "imprigionata" nella mia mente la sua voce.

Adesso sono qui in carcere, penso che tra un paio d’anni potrò uscire e chissà se la vita mi riserva come sorpresa il dono che per me sarebbe il più grande: riabbracciare Lisa. Con Lisa ci siamo detti addio, ma mi piacerebbe tanto che quell’addio diventasse un arrivederci.

La paura di tornare a casa a mani vuote. L’Europa, sogno di molti immigrati, sempre più spesso si trasforma in incubo

 

di Karim Ajili

 

Mi chiamo Karim Ajili, sono tunisino, ho abitato a Tunisi con la mia famiglia sino all’età di venti anni. Ho deciso di venire in Italia nel 1996 per cercare di migliorare la mia condizione di vita. Dalla morte di mio padre, anche se ero molto giovane, sentivo la responsabilità di tutta la famiglia. Volevo fare qualcosa. Ero il figlio maschio più grande della famiglia, toccava a me occuparmi delle mie sorelle, di mia madre. Avevo aperto un negozio in cui vendevo cassette video, ma non bastava per farci vivere, quello che guadagnavo non era sufficiente per tutta la famiglia, anche se ero stato costretto ad abbandonare gli studi di scuola superiore per lavorare. Così decisi di partire per l’Italia. Non sempre però quello che si trova assomiglia a ciò che si pensava di trovare.

È facile capire che molti degli immigrati extracomunitari arrivano in Italia nella speranza di migliorare le loro condizioni sociali, economiche e di stile di vita in generale. Per raggiungere questo obiettivo, ci vuole molta fatica. La speranza è quella di trovare la strada giusta che ti offre un futuro, l’obiettivo non è certo quello di venire in Italia o in Europa a fare le ferie… moltissimi di noi che poi siamo finiti in carcere volevamo lavorare per poter tornare alle nostre case, alle nostre famiglie con qualcosa in mano.

All’inizio si spera d’incontrare qualcuno che ti può aiutare. A me avevano raccontato che in Italia ci sono molte possibilità di lavorare, e che si guadagna bene. Le uniche persone che conoscevo però erano clandestini, qualcuno lavorava in nero, altri semplicemente si arrangiavano come potevano, e qualcuno era già arrivato a spacciare. Non si può avere sempre quel che si desidera, e quando sei in una nazione di cui non conosci niente, nemmeno la lingua, la situazione diventa molto difficile, insostenibile a volte. Se non hai parenti o amici la vita si complica e la strada diventa più stretta ed è molto diversa da quello che tu pensavi. In quel momento ti senti solo, senza nessuno che ti da una mano. La forza la trovi nel fatto che sei ancora legato alla famiglia e a quel ritmo di vita che non c’è più, agli affetti lasciati, e ti dici: lo sto facendo anche per loro.

Il distacco dalla famiglia ti crea nuovi problemi che non sei abituato ad affrontare senza il suo aiuto, anche nelle piccole cose. Ti accorgi subito di molte cose a cui tu prima non davi importanza. Per esempio prima c’era qualcuno che ti preparava da mangiare, ti lavava i vestiti, si preoccupava per te quando facevi tardi. Questo lo puoi trovare solo nella famiglia, soprattutto in quello che fa una madre. La sua presenza nella nostra vita è molto preziosa, non si può cambiarla con nessuna cosa al mondo.

Ognuno di noi spera di affrontare l’esperienza dell’immigrazione con meno problemi possibile, e questo dipende certo anche dalla fortuna, ma soprattutto dalle persone che incontri.

Se sei deciso a continuare ad andare avanti e scoprire cosa ti regalano i prossimi giorni, devi dimenticare le esperienze negative che quotidianamente ti accadono. Rimane nel pensiero quel che ti dà speranza per iniziare una nuova giornata, a me personalmente è rimasta una foto davanti ai miei occhi: quella della mia famiglia. L’unica certezza che ho è la presenza di Dio, nelle difficoltà spesso mi sono rivolto a Lui con la preghiera.

Passano i primi mesi e ti rendi conto di avere imparato la lingua, magari non perfettamente ma quello che sai ti aiuta a comunicare con le persone, e non solo con i tuoi paesani. È essenziale per essere autonomi e sapere cosa pensano di noi, decidere da solo dove mettere i piedi.

 

Per molti tornare poveri come quando si è partiti è una vergogna

 

Le decisioni che prendi nel primo periodo sono importantissime, perché determinano tutto il resto. Tu sai che ci sono due strade. C’è una strada corta ma fuori dalla legge, che ti fa guadagnare molti soldi e una vita comoda, ma per molti finisce male e li porta dietro le sbarre a scontare anni e anni. La notizia che sei finito in carcere ferisce le famiglie lontane e fa pensare che il ritorno da loro si allontana sempre più. Diventa difficile realizzare il sogno che avevi, e in quel momento la tua vita cambia, i pensieri prendono solo una via, devi affrontare le difficoltà della scelta che hai fatto e sono difficoltà immense.

Per quelli che hanno scelto una strada normale dentro i limiti della legge, la vita è certamente faticosa, con uno stipendio non altissimo come credevamo, ma appena sufficiente per vivere una vita serena. Se pensi di mettere da parte una somma di denaro, ti ci vuole molto tempo, ma sicuramente sei certo di godere della libertà. Questo non è poco per costruire un futuro, sapere di non far soffrire le persone che ti amano, poterle aiutare anche se limitatamente.

Noi stranieri in generale abbiamo il problema che, se superiamo il primo anno di permanenza lontano dal paese d’origine, poi troviamo sempre più difficile pensare di tornare di nuovo senza aver realizzato qualcosa, che ci permetta di dedicarci a un progetto in patria, non per forza milionario, ma che dia la possibilità di andare avanti e non chiedere aiuto a nessuno.

Per molti rientare al proprio paese con le mani vuote è una vergogna. Perché sei messo a paragone con gli amici dello stesso quartiere che hanno avuto la stessa esperienza, con la fortuna però di tornare con macchine e tasche piene di soldi.

Il mio giudizio su questa situazione è che per tanti di noi è diventata come una trappola. Non si può accettare la delusione e la rabbia di essere additati in patria come degli sconfitti, dei falliti. In questo caso si pensa solo a recuperare in fretta il tempo perso, e a scegliere un modo, per forza illegale, con cui facilmente riguadagnare dei soldi. Questo è quello che pensiamo noi all’idea di tornare nel nostro paese a mani vuote, mentre invece per la nostra famiglia l’importante è che torniamo a casa e basta. Perché le notizie che tante volte gli arrivano, sul fatto che spesso è difficile anche proteggere le nostre stesse vite, li lascia eternamente in ansia per noi.

Alla fine sono tanti gli stranieri che finiscono in carcere, e molti anche con una pena lunga, tanto che gli capita spesso di perdere le persone più care senza poterle vedere, e questa è una gran tristezza, ferisce nel profondo e ti fa pensare che la vita non ti dà tanto spesso quel che desideri, a volte anzi può anche ingannarti e toglierti il gusto di continuare a vivere.

 

 

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