Il
punto di vista della moglie di un detenuto
Le
piccole cose all’interno del carcere possono assumere delle dimensioni
gigantesche
di
Emanuela,
moglie di un detenuto
Io
sono la moglie di un detenuto che non è in carcere qui a Padova, ma a Firenze.
Mi hanno invitata oggi perché ho inviato per il concorso “Per qualche metro e
un po’ d’amore in più” un testo. Mi sta naturalmente a cuore, per ovvie
ragioni, il discorso di aver dovuto mettere da parte completamente la mia vita
affettiva da sei anni a questa parte. Mentre cercavo delle ispirazioni per
scrivere questo testo, ho iniziato a pensare, a immaginarmi che in realtà
queste leggi per gli affetti delle persone detenute non fossero in divenire, ma
che fossero già state approvate. Infatti ho intitolato il mio testo “È stata
approvata la riforma del carcere affettivo” e ho cominciato a scrivere che il
Governo ha stabilito di approvare subito questa riforma per il grande movimento
popolare che c’è stato a suo sostegno, non solo di detenuti e di familiari di
detenuti, ma anche di persone comuni che avevano capito quanto l’argomento del
carcere in realtà riguardasse anche loro in prima persona.
Sia
perché il carcere è comunque un luogo dove la comunità riversa grandi somme
di denaro, di denaro pubblico, sia perché le persone, che oggi sono detenute,
un giorno rientreranno nella società, quindi come persone migliori potranno
essere una risorsa, ma se non si applica un reale metodo educativo di queste
persone, in realtà ci ritroveremo semplicemente dei nuovi delinquenti, perché
sappiamo che la recidiva di chi sconta tutta la pena in carcere è al 70%,
quindi altissima.
Nel
mio racconto, la presa di coscienza di queste persone ha pressato il Governo ad
approvare finalmente questa riforma. Ci saranno, appunto descrivevo, alcune
novità come delle case create all’interno delle strutture carcerarie per gli
incontri con i familiari, in modo da non avere lo sguardo della polizia addosso,
più telefonate, un accesso più semplificato ai colloqui con meno burocrazia e
lungaggini, e senza che la propria persona sia in qualche maniera violata dal
dover essere perquisiti. Insomma, in un momento di crisi, le maggiori novità
che proponevo si ispiravano proprio alla cosa più low cost che esista, ovvero
all’amore, quindi attraverso l’amore riuscire a recuperare il detenuto.
Parlavo poi alla fine anche degli agenti, cioè della necessità di avere non
solamente delle guardie, cioè delle persone pagate per guardare, per guardare a
vista i detenuti, e in caso dei colloqui anche i familiari, ma dei
professionisti che avessero una preparazione umana, con anche delle nozioni di
psicologia, di sociologia. Quindi basi umane e non solamente militari per
supplire a quella che è un’altra grande mancanza del sistema penitenziario
italiano, ovvero il supporto psicologico. Quindi utilizzare il grande corpo che
abbiamo della Polizia penitenziaria per sostenere anche il detenuto dal punto di
vista psicologico. Una migliore professionalizzazione degli agenti, poi
gradualmente si rispecchiava in un abbassamento del controllo.
Arrivata
alla fine di questo articolo, l’ho riletto e mi sembrava veramente quasi
reale, non sembrava una cosa inventata. L’unico dettaglio che poteva fare
ancora capire che era stata inventata era la data del 30 febbraio 9999 e alla
fine mi domandavo: ma deve rimanere per forza un sogno che non si avvererà mai?
Perché poi la data è quella, una data che non esiste, una data che si
identifica con il mai. Ecco questa era la mia domanda.
Poi voglio dire soltanto una cosa breve sulle telefonate. È vero che la telefonata è importantissima, ma è anche una grandissima fonte di stress, nel senso, per esempio, che io per anni ho sempre avuto paura del momento legato alla telefonata, quel momento è una cosa così importante per un detenuto, che anche tutto quello che c’è intorno, quindi il fatto di accompagnare il detenuto a telefonare in orari stabiliti, crea grandi problemi. Io lavoro e mio marito sapeva che io non lavoravo in determinati momenti, ecco non sempre la sua telefonata riusciva a coincidere con i momenti in cui ero a casa e potevo rispondere. Questo in lui creava grandissimo stress e lo creava anche in me, perché mi domandavo sempre: riusciremo ad incontrarci? e se mi chiama e io non riesco a rispondere, non è che lui può magari perdere la testa? Quindi bisogna avere moltissima cura anche del contesto in cui avvengono le telefonate e i colloqui, degli orari, delle modalità. Per questo ci vuole tantissima umanità nel capire che anche le piccole cose, che per le persone normali non valgono assolutamente nulla, come appunto può essere una telefonata, all’interno del carcere possono assumere delle dimensioni gigantesche. Per questo ci sarebbe veramente bisogno di molta, moltissima umanità e sensibilità da parte delle persone che lavorano all’interno del carcere, anche per capire i bisogni delle persone detenute e dei loro familiari.