La
parola alla Politica
Gli
elementi di crudeltà nel sistema che regola gli affetti in carcere: serve una
legge giusta per garantire dignità e rieducazione
Nel
nostro Paese c’è una sorta di adattamento passivo del detenuto, che è
costretto spesso a interrompere i legami famigliari, affettivi e sessuali
di
Alessandro Zan,
deputato del Partito Democratico
Sono
ormai un ospite abbastanza fisso della Casa di reclusione di Padova: venivo
spesso anche quando ero assessore all’ambiente, al lavoro e alla cooperazione
in Comune ed era stato elaborato un progetto sulla raccolta differenziata che
poi non è partito per alcuni ostacoli burocratici; ed è appunto la burocrazia
ad avere grandi responsabilità rispetto a tanti progetti interessanti che poi
non riescono ad avere un corso.
È
risaputo che la qualità della democrazia e di una società si vede dalla qualità
del carcere, da ciò che vi accade all’interno: studi, molto consolidati, sui
legami familiari dimostrano per esempio che un detenuto che ha conservato tali
legami e vincoli affettivi, e anche la possibilità di esprimere la propria
sessualità, rischia in percentuale tre volte meno la recidività rispetto a un
detenuto i cui legami familiari si sono interrotti o sono stati spezzati.
Nel
nostro Paese c’è una sorta di adattamento passivo del detenuto, che è
costretto spesso a interrompere i legami famigliari, affettivi e sessuali, e ciò
è più volte emerso anche dalle testimonianze dei figli dei detenuti: un
detenuto, avendo avuto come tutti, prima di finire in carcere, dei legami
importanti e una storia familiare e di “amicizia sociale”, estende la
propria pena e la propria detenzione anche ai famigliari e al partner.
Dunque
ciò che il legislatore deve fare è evitare che anche i famigliari si trovino
costretti a scontare di riflesso una pena, garantendo che vi sia sempre il
rispetto della dignità umana anche per chi è dietro le sbarre di una cella.
Purtroppo,
anche relativamente ai recenti provvedimenti approvati in Parlamento, la qualità
del dibattito parlamentare è stata davvero bassa, soprattutto da parte di
alcune forze politiche, che dipingono le carceri come una sorta di albergo dove
i detenuti stanno bene, perché non lavorano e vengono mantenuti dallo Stato,
mentre le persone fuori pagano le tasse, faticano, hanno una vita grama, assai
difficile soprattutto in un momento di crisi economica come quello che stiamo
attraversando. Ecco, questa demagogia, questo populismo che ormai è diventato
imperante nella nostra società, attecchisce molto nell’opinione pubblica, ed
è per questo che dobbiamo assolutamente far uscire le testimonianze dei
famigliari dei detenuti e renderle il più visibili possibile all’esterno.
Da
diverse legislature si sta tentando di calendarizzare una proposta di legge che
è stata realizzata con il grande contributo di Ristretti Orizzonti e con la
collaborazione di Alessandro Margara, uno dei padri della legge Gozzini: si è
trattato di un lavoro tecnico molto rigoroso che ha prodotto un pdl che ho
ripresentato alla Camera con il sostegno di molti altri colleghi. È una
proposta estremamente chiara e semplice, perché le leggi buone sono quelle
fatte con pochi articoli. Intanto si introduce un concetto molto preciso
all’art. 1, che parla di “diritto all’affettività in carcere”: un
diritto che si può realizzare attraverso la possibilità per il detenuto di
incontrare e avere un contatto anche fisico e intimo con le persone care, in
luoghi adeguati a questo scopo e con un aumento da sei a un massimo di
ventiquattr’ore per la durata del colloquio senza controlli visivi e auditivi,
cioè senza l’incombenza di fattori che impediscono un rapporto autentico e
spontaneo, sia di natura affettiva con familiari e amici, sia di natura sessuale
con il proprio partner.
Devo
poi sottolineare che il tema dei dieci minuti di telefonata a settimana, con una
voce che a un certo punto annuncia che sta per scadere il proprio tempo a
disposizione, introduce anche un vero e
proprio
elemento di crudeltà e di sadismo, che non ha nulla a che fare con lo stato di
diritto, che non ha nulla a che fare con i nostri principi costituzionali: sul
più bello, mentre un detenuto sta salutando i propri cari che non sente da
tempo, una voce interrompe quel momento e riporta alla sconvolgente realtà
dell’isolamento.
Certo,
chi ha sbagliato deve pagare: tuttavia, lo Stato deve considerare
complessivamente che cosa è il carcere, che cosa è la pena e come essa viene
inflitta a una persona.
Da
qualche settimana sono membro della commissione Giustizia alla Camera dei
Deputati: ho parlato con il capogruppo del Partito Democratico e con la
Presidente della commissione Giustizia e c’è un impegno concreto sulla
questione degli affetti delle persone detenute. Ovviamente sta anche a Ristretti
Orizzonti vigilare affinché questo impegno venga mantenuto; da parte mia,
garantisco il massimo sforzo nel seguire passo passo questa proposta di legge,
con l’obiettivo, entro la fine di questo 2015, di riuscire a incardinarla.
Speriamo
di farcela anche con il vostro aiuto e le vostre sollecitazioni.
Ci
sono aspetti della vita carceraria che rappresentano delle piccole, frequenti e
gravi torture
Il
trattamento inumano, l’esperienza degradante, la mortificazione della
personalità, della dignità della persona all’interno del carcere riguardano
infatti anche i rapporti delle persone detenute con i loro familiari
di
Sergio Lo Giudice,
senatore Partito Democratico
Ringrazio
Ristretti Orizzonti per l’invito perché mi porterò dietro questa mattinata
come una esperienza molto importante, anche rispetto alla proposta di legge che
ho presentato e che voi avete riempito d’anima con le testimonianze di
stamattina delle persone detenute, delle loro figlie e di altri familiari, che
danno anche a me un motivo in più per un impegno forte in questa direzione.
Devo
subito dire che il disegno di legge che ho depositato è la proposta presentata
da Rita Bernardini nella scorsa legislatura che ho voluto ripresentare per
cercare di darle nuova vita e nuove gambe in questa legislatura.
È
una proposta molto sintetica che introduce la possibilità per le persone
detenute di avere dei rapporti con il proprio compagno o la propria compagna, il
proprio marito o la propria moglie in un ambiente riservato, quindi in una
stanza chiusa non controllata, non monitorata. Inoltre prevede la possibilità
di avere dei momenti di incontro più ampi di quelli attuali con i propri
familiari, un pomeriggio al mese da passare con i propri affetti.
La
proposta interviene anche sulla possibilità, per quegli stranieri che hanno più
difficoltà ad avere degli incontri diretti personali con i propri familiari, di
avere, in sostituzione, dei colloqui telefonici mensili aggiuntivi.
Oggi
si è parlato molto di un aspetto che andrà senz’altro arricchito, quello del
potenziamento dei colloqui telefonici che rappresenta, anche sulla base delle
esperienze che sono state riportate, una questione fondamentale, che mostra il
permanere di un elemento inumano nelle modalità con cui si svolgono le
telefonate.
Nei
mesi scorsi in Senato, e in particolare in Commissione giustizia, siamo stati
impegnati con numerosi provvedimenti che riguardavano i trattamenti inumani e
degradanti all’interno del carcere, ma erano tutti provvedimenti che
discendevano direttamente dalla famosa sentenza Torreggiani, dalle sanzioni
della Corte Europea dei Diritti Umani a cui l’Italia doveva dare risposte
urgenti se non voleva essere costretta a pagare cifre elevatissime. Si è
intervenuti su vari fronti rispetto al tema della permanenza in condizioni di
sovraffollamento, che era il motivo delle sanzioni, con ulteriori misure nel
campo dell’esecuzione penale esterna, della messa alla prova invece che
dell’esecuzione della pena, della reclusione domiciliare come pena principale,
di un ulteriore sconto di pena semestrale: tutti provvedimenti che andavano
nella direzione di intervenire sulla questione del sovraffollamento, per ridurre
le presenze e aumentare gli spazi a disposizione pro capite. Le testimonianze di
oggi mostrano come il trattamento inumano, l’esperienza degradante, la
mortificazione della personalità, della dignità della persona all’interno
del carcere passano anche attraverso modalità differenti da quelle che il
legislatore sta prendendo in considerazione.
Sarà
importante riuscire a collegare il tema di cui stiamo parlando a quella
riflessione ampia provocata dalle sanzioni europee verso l’Italia in quanto
Paese che commina trattamenti inumani e degradanti ai propri reclusi, e anche a
quell’altra discussione che ha già portato all’approvazione in un primo
ramo del Parlamento, il Senato, dell’introduzione del reato di tortura, per
arrivare a modificare quegli aspetti della vita carceraria che rappresentano
delle piccole, ma frequenti e quindi pesanti torture.
Il
Presidente della Commissione Diritti umani del Senato, Luigi Manconi, uno dei
firmatari di questo disegno di legge, ripete spesso che quando si parla di
diritti umani ci si riferisce ai diritti dei “cattivi” non ai diritti dei
“buoni”, ai diritti dei poveri, degli emarginati delle minoranze, di quelli
che non sono ben visti dalle altre parti della popolazione.
Quando
si parla di diritti umani uno pensa subito ad altri, agli zingari, ai detenuti,
agli immigrati, a settori della popolazione considerati come diversi e peggiori
di sé. Ragionare sui diritti dei detenuti ha questo elemento di difficoltà. In
più c’è un altro problema riguardo all’approvazione di una proposta di
questo genere ed è che stiamo parlando di affettività, di sentimenti, di
sessualità.
Il
legislatore italiano ha una difficoltà fortissima a occuparsi di temi che
riguardino la sessualità. In questo Paese non esiste una legge
sull’educazione sessuale, non esiste una legge sui diritti delle persone
lesbiche e gay, stiamo cercando, fino ad adesso invano, di rinnovare la legge
sulle persone transessuali che è ormai vecchia di 30 anni e quindi mostra la
corda. Il delitto di stupro è diventato un delitto contro la persona e non
contro la morale solo nel 1996. C’è una difficoltà di chi fa le leggi anche
solo a mettere in campo le opinioni diverse e parlare direttamente di questa
cosa. Pensate com’è difficile parlarne in relazione a un contesto come quello
carcerario, in cui anche una pratica di autoerotismo diventa un reato.
Naturalmente
ribadisco qui il mio impegno chiedendo a tutti voi, e a Ristretti Orizzonti che
è il megafono di quello che accade all’interno delle mura carcerarie, di
premere molto in questa direzione. Di recente, in riferimento a un’altra mia
proposta di legge che ha una affinità con questa, quella per il diritto alla
sessualità delle persone disabili, dicevo che una legge sarà approvata solo se
ci sarà una forte pressione sull’opinione pubblica dei soggetti interessati e
delle loro famiglie. C’è bisogno che il Parlamento si renda conto che non si
tratta solo di una iniziativa di alcuni parlamentari - anche se i firmatari di
questa proposta di legge sono una ventina tra cui due ex responsabili del
Ministero per le pari opportunità oltre a Manconi e molti altri - ma che si
tratta effettivamente di un tema sociale sentito.
Le
testimonianze che abbiamo ascoltato oggi mostrano che siamo di fronte a una
questione che ha a che fare non solo con la dignità delle persone coinvolte, ma
con il senso profondo della dignità della nostra stessa comunità civile. Per
questo mi auguro che in tempi rapidi riusciamo a mandare in porto questa
proposta.
In
Parlamento abbiamo solo parlato di quanto è grande una cella
E
invece è importante che durante il periodo di detenzione il rapporto con la
famiglia non venga mai a mancare e sia un rapporto di alta qualità
di
Gessica Rostellato,
deputata Movimento 5 Stelle
Inizio
ringraziando tutti per la presenza, è bello vedere un pubblico così numeroso.
Ringrazio prima di tutto il direttore del carcere, perché come già ho potuto
appurare in incontri precedenti, lui ha quella sensibilità nei confronti dei
detenuti e dei familiari dei carcerati che, purtroppo, non tutti i direttori di
carceri hanno. Ringrazio anche
Ornella Favero proprio per il suo grande impegno nella redazione e soprattutto
voglio ringraziare i detenuti che oggi hanno parlato, ma anche quelli che non
hanno parlato ma che magari spesso leggo nella vostra rivista Ristretti
Orizzonti. Io poi la leggo sempre con molto piacere e mi lascia sempre delle
emozioni che difficilmente riesco a spiegare, perché il carcere è un mondo
sconosciuto per chi è fuori purtroppo. Ringrazio anche le figlie che hanno
parlato, perché immagino che non debba essere facile esternare i propri
sentimenti di fronte alle persone, però è stata una emozione veramente grande
e di questo vi ringrazio e anzi so che è difficile,
però chiedo anche a voi un impegno maggiore nel parlare di queste cose,
perché la gente fuori veramente non capisce che cosa significa il carcere e non
ha sufficiente sensibilità per i detenuti. Io mi impegno come parlamentare a
fare la mia parte, però il problema è soprattutto culturale, come diceva prima
il costituzionalista Andrea Pugiotto il problema è che non c’è sensibilità
su questi temi perché non si conoscono. Quindi siete proprio voi quelli che
invece devono andare a sensibilizzare le persone che sono fuori, perché se la
gente fuori è convinta di quello che voi andrete a spiegargli, sarà più
facile anche portare avanti in Parlamento queste questioni, perché se non c’è
la sensibilità su questi temi è difficile poi anche intervenire positivamente.
Per
me l’esperienza del carcere, quando sono venuta a conoscervi la prima volta,
è stata molto forte e
sicuramente
una delle esperienze più forti che io ho avuto in questo anno e mezzo di
legislatura, proprio perché ha cambiato totalmente la mia idea sul carcere, sul
mio modo proprio di vedere e di pensare il carcere. Purtroppo, la gente ha
l’idea che i detenuti devono stare rinchiusi in carcere e basta, e non gliene
frega assolutamente nulla di quali sono i loro bisogni, non ci pensano
minimamente, è una cosa proprio
che
la gente non vuole nemmeno accettare, il fatto che i detenuti possano avere dei
diritti e dei bisogni.
Nonostante
ciò è evidente che la nostra Costituzione all’art. 27 parla chiaro, parla
anche di rieducazione, e il rapporto con la famiglia rientra nella rieducazione.
Io non posso dire niente di più di quello che avete già detto, perché mi
sembra evidente dalle vostre parole che l’affetto è una parte importante
della rieducazione.
Volevo
però condividere con voi l’emozione che mi ha lasciato la prima volta che
sono venuta in carcere e voi mi avete fatto due richieste. Io sinceramente mi
aspettavo che mi chiedeste delle carceri più grandi, le celle più grandi, una
riduzione di pena, invece voi mi avete chiesto due cose: una era di poter
lavorare e l’altra era quella di poter vivere più serenamente, in modo più
intenso gli affetti con le vostre famiglie, e questa cosa mi ha colpito molto.
Mi ha colpito molto, però, appunto, poi ho capito che sono necessarie queste
due cose molto più degli spazi della cella di per se stessi, perché purtroppo
in Parlamento abbiamo solo parlato di quello, abbiamo parlato solo di quanto è
grande una cella, ma non abbiamo parlato di tutto il resto, non abbiamo parlato
del fatto che avete bisogno di più persone che vi seguano, di educatori, di
psicologi che vi aiutino anche a comprendere meglio il reato che avete commesso.
Non
si parla mai di lavoro in carcere e si lavora troppo poco in carcere, e non si
parla mai appunto di affetti. Io credo che la frase che avete messo nel
volantino di oggi “Carceri più umane significa carceri
che non annientino le famiglie” sia vera. Una volta uno di voi mi ha
detto: la famiglia è importante, noi dobbiamo mantenere i contatti perché la
mia famiglia è l’unico motivo che mi permette di rimanere in vita ed è
l’unica cosa che ritroverò quando uscirò di qui. Allora penso appunto anche
agli ergastolani, che hanno dei momenti di sconforto che possono portarli a
pensare di mettere fine alla loro vita, però spesso, appunto, non lo fanno per
non dare un ulteriore dolore alla loro famiglia, perché è già un dolore
enorme non avere questa persona vicino, se poi gli danno l’ulteriore dolore
della morte diventa veramente insostenibile.
Per
cui anche in quel caso, come dite voi, una telefonata può salvare la vita, in
questo caso quindi perché non lasciare che i detenuti possano farla più di
frequente, quella telefonata? Oltre a questo, appunto, per quelli che invece
avranno la fortuna di uscire, quindi quelli che non sono ergastolani, l’unica
cosa che rimane dopo anni e anni di carcere è la famiglia, perché ovviamente
il lavoro se c’era è andato perduto, gli amici scappano purtroppo se non
erano veri amici e certo non rimangono, l’unica cosa che rimane è quasi
sempre la famiglia. Quindi proprio per questo è importante che durante il
periodo di detenzione il rapporto con la famiglia non venga mai a mancare e sia
un rapporto di alta qualità. Anche io ho presentato una proposta di legge come
voi mi avevate chiesto e che quindi appunto auspico verrà discussa alla Camera
assieme a quella dell’Onorevole Zan. Prevede appunto maggiori spazi per
intrattenere delle relazioni personali e anche in maniera un po’ più
riservata con i famigliari, prevede una liberalizzazione delle telefonate con un
aumento ovviamente anche della durata, perché 10 minuti non sono certo
sufficienti, prevede anche di creare degli spazi dove sia possibile effettuare
delle visite come dicevamo prima fino a 24 ore, cosa che finora non era
possibile, ma che a mio parere potrebbe essere rivista all’interno del piano
carcere dove potrebbe essere inserita. Altre cose sono previste, anche il fatto
di avere più tutela dei bambini che entrano nelle carceri, perché magari
possono rimanere traumatizzati dai controlli, appunto come ci hanno spiegato le
figlie dei detenuti, anche proprio dalle strutture che dividono e non permettono
di avere un rapporto normale con i loro genitori.
Un’ultima
cosa che non era prevista nelle proposte di legge che erano state depositate, un
ulteriore impegno che mi sono presa è per la costruzione delle case famiglia
protette, questa è una questione che ho approfondito con l’associazione A
Roma Insieme, che appunto mi ha sensibilizzato su questa problematica delle
detenute madri.
Io
ho presentato anche un ordine del giorno che è stato approvato in Parlamento,
in cui il Governo si impegnava appunto a trovare, a organizzare queste case
famiglia protette proprio per dare la possibilità alle mamme detenute di stare
con i loro bambini.
Ecco
io credo che effettivamente queste non sono misure impossibili da mettere in
pratica dal punto di vista legislativo, e anzi credo che un Governo e un
Parlamento lungimiranti dovrebbero farlo anche solo come investimento per
evitare la recidiva degli stessi detenuti, perché questa rieducazione
attraverso il lavoro, attraverso un percorso psicologico, attraverso la famiglia
può evitare la recidiva e quindi un ulteriore costo sociale per lo Stato. Anni
fa questa proposta non è stata neppure presa in considerazione, perché
sembrava una cosa rivoluzionaria, purtroppo il problema culturale esiste ancora,
lo sappiamo si fa fatica a parlare di sesso, di sessualità, di affettività in
carcere soprattutto, però dobbiamo appunto anche
avere
il coraggio finalmente di parlarne. Secondo me oggi i tempi sono sicuramente più
maturi di allora, e quindi auspico che possiamo discutere questa proposta, che
possano essere rivisti il Regolamento e l’Ordinamento penitenziario, proprio
per dare la possibilità ai detenuti e alle loro famiglie di avere, come dite
voi, “qualche metro e un po’ di amore in più”. Grazie.
Dobbiamo
rieducare questo Stato al rispetto delle regole
di
Rita Bernardini, Segretaria
di Radicali Italiani
Una
cosa che mi pare non sia stata detta a proposito dell’affettività, o almeno
non abbiamo oggi dati statistici da questo punto di vista, è quanti bambini
hanno dei veri e propri traumi psichici a causa della lontananza dal proprio
genitore sia padre che madre. Perché io dalle tante lettere che ho ricevuto in
tutti questi anni, mi arrivavano proprio le certificazioni dell’ASL che
dicevano che era necessario che il bambino potesse andare a trovare il proprio
genitore, e devo dire che in alcuni casi questa documentazione è servita per
fare avvicinare il genitore. Ecco però che qui c’è una persona sicuramente
innocente, che è il bambino che subisce questo torto, questa violazione dei
suoi diritti e però se ne parla pochissimo, il problema viene visto molto dal
punto di vista del detenuto, ma non delle conseguenze che un distacco così
prolungato provoca nel bambino, e guardate di casi ce ne sono tantissimi. Credo
che se si facesse una ricerca da questo punto di vista sarebbe veramente poi da
paragonare con quello che avviene all’esterno per i bambini che non subiscono
questo distacco dai propri genitori.
Non
molti giorni fa abbiamo avuto, nel carcere di Como, tre suicidi in 37 giorni. Il
primo era un cileno aveva 30 anni, il secondo ed è di questo che voglio
parlarvi, era Maurizio Riunno, scriveva delle lettere fino al giorno prima di
suicidarsi, delle lettere che erano piene d’amore per la sua compagna e per i
suoi bambini piccolissimi tra i 4 e gli 8 anni. Disegnava per loro i cuoricini,
gli scriveva “papà torna presto, però non fate disperare la mamma, io vi
voglio il più grande bene del mondo, mi raccomando non fate i capricci”, le
cose che si dicono ai bambini. Come mai Maurizio Riunno si è suicidato, se si
è suicidato? Perché poi gli interrogativi ce li poniamo. Se li è posti la
compagna. Ma intanto il suo suicidio è avvenuto perché stava in isolamento, la
chiamano osservazione ma in realtà corrisponde ad un isolamento, significa non
poter avere contatti con gli altri. Poi ci sono tanti lati oscuri, abbiamo
presentato un’interrogazione parlamentare grazie a Roberto Giachetti
il vice presidente della Camera, perché la morte è avvenuta alle 16 del
pomeriggio e la famiglia ha avuto la notizia alle 19.30. Perché tutte queste
ore, dalla morte all’avviso alla famiglia, e poi come sono fatti questi
avvisi? È qualcosa di terribile se uno ci pensa, perché insomma ti telefonano
e ti dicono che il tuo congiunto non c’è più, è morto, un ragazzo di 28
anni che stava in ottima salute è morto. Si dice sempre “per arresto
cardiaco”. Ma insomma io credo che su tutte queste morti in carcere
bisognerebbe fare indagini serie, cosa che purtroppo oggi in Italia non si fa. I
casi sono tanti, li ricordiamo, ricordiamo questa madre, Maria Ciuffi, che lotta
da 14 anni perché le hanno restituito, arresto cardiaco anche in quel caso, le
hanno restituito il corpo del figlio in un lago di sangue, con due buchi in
testa, 8 costole fratturate e le hanno detto “morte naturale”. È chiaro che
una madre, sapendo che il figlio era sano, non si può arrendere a questa
didascalia dolorosa che lo Stato mette sotto queste morti, “morte naturale”,
e poi ci sono le foto con un lago di sangue e i segni sul corpo di questo
ragazzo.
Per
quanto il carcere possa essere aperto come è questo carcere, e sicuramente qui
la differenza la fa sia il Direttore, la differenza con gli altri istituti
penitenziari, la fa sia il direttore che non smetterò mai di ringraziare, ma
anche Ristretti Orizzonti, cioè quest’opera continua, giorno dopo giorno, di
contatti con gli altri, studiare le proposte di legge, studiare quello che si può
fare, però una legge in Italia spesso non ha valore, l’Italia è, io lo dico
perché voglio cambiare la situazione, l’Italia è ormai il paese
dell’antidemocrazia, dove non esiste lo stato di diritto. Perciò cari
detenuti, cari familiari, cari operatori del carcere, quello che dobbiamo fare
insieme è un’opera fondamentale perché riguarda la vita di tutti i cittadini
non solo qui, è quella di rieducare questo Stato al rispetto delle regole
partendo dalla Costituzione, cioè dai principi fondamentali che non sono
rispettati. Ma insomma che nella Costituzione ci sia l’art. 27, ci siano tutte
le cose bellissime che conosciamo, il diritto al lavoro, questo non basta, poi
nella realtà dei fatti guardate come scrivono le leggi, la legge che è stata
fatta per non essere condannati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo
sulla base della sentenza Torreggiani, la legge sui rimedi preventivi e
risarcitori come è stata scritta? È stata scritta in modo tale che possa
essere interpretata nei modi più diversi dai diversi magistrati di
Sorveglianza, e ci sono stati dei magistrati che dicono che a loro non compete
perché il pregiudizio deve essere attuale, quindi proprio non se ne occupano.
Ci sono stati dei magistrati di Sorveglianza che hanno detto invece “Sì, io
me ne vorrei occupare, ma come faccio a ricostruire la storia detentiva di una
persona?”. Guardate che la Corte Europea dei diritti dell’uomo con la
sentenza Torreggiani era stata precisissima, perché aveva detto che i rimedi
dovevano essere effettivi. Ora voi vi immaginate che cosa significa per un
detenuto ricostruire le detenzioni precedenti? Perché chi ha fatto un minimo di
esperienza sa che in una cella le condizioni cambiano da un momento all’altro,
una volta stai in 7, una volta stai in 2 a seconda dei periodi, vai a
ricostruire tutto questo, e questo che cosa ha determinato? Ha determinato che
questa legge è una legge inutile.
Noi
abbiamo fatto un’interrogazione, scusate se io lo cito in continuazione,
Roberto Giachetti vice presidente della Camera è una persona straordinaria da
questo punto di vista e ha fatto tutta una serie di domande al Ministro, in
sostanza dicendogli: tu vuoi fare una legge di orientamento, vuoi spiegare come
si deve applicare? perché altrimenti può succedere che in una regione oppure
in un ufficio di Sorveglianza tutti hanno i risarcimenti, che poi per chi sta in
carcere è solamente lo sconto di un giorno ogni 10, e in altre parti tutto
questo invece non c’è, ma è giustizia questa? è una legge applicata secondo
il criterio dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge? No, perché
ogni magistrato di Sorveglianza può fare esattamente quello che vuole. Allora
ecco perché dobbiamo rieducare lo Stato. Io sono contenta che il senatore
Sergio Lo Giudice abbia ridepositato la proposta di legge che io avevo
presentato nella scorsa legislatura, ma che risale anche a legislature
precedenti, sull’affettività in carcere, ma oggi non esiste l’esame delle
proposte di legge, il massimo al quale puoi aspirare è che una proposta di
legge, gli articoli soprattutto se sono pochi, siano collegati a un decreto
mille proroghe, a un carro più grosso, perché sono tutti decreti del Governo.
Tutta l’attività del Parlamento si riduce a questo, per cui poi vengono fuori
leggi omnibus che contengono tutto e il contrario di tutto, e la vita dei
cittadini è completamente disorientata perché non c’è la certezza del
diritto.
Vedete,
a me piace quando ci incontriamo che poi ci lasciamo con un impegno, qui dalle
persone che ho incontrato emerge che i problemi sono veramente tanti, da chi non
riesce da 12 anni a vedere il proprio figlio, a chi si sente dire che potrebbe
essere trasferito in Sardegna, a te che magari hai i familiari vicino o a te che
hai deciso di impegnarti in qualche cosa che veramente ti rieduca, ti consente
di reinserirti nella società, e si sentono queste voci che sono voci fondate se
non altro per il fatto che in Sardegna si sono sbagliati e hanno fatto mille
posti detentivi in più, quindi li devono riempire, capito?
Perché
le deportazioni non vengono fatte solamente adesso con l’Alta Sicurezza, noi
l’abbiamo denunciato e lo abbiamo detto anche in sede europea, sono state
fatte anche quando dovevano dare ad ogni detenuto i famosi tre metri quadri,
perché li hanno spostati da una parte all’altra e stavano lì con il
centimetro che non avevano mai, o quel metro che non avevano mai usato in
precedenza, lo hanno usato per dare a tutti il grande diritto dei tre metri
quadri, il che vuol dire che la sentenza Torreggiani nemmeno l’hanno letta
perché non parlava solamente dello spazio dei tre metri quadri. Però è questo
che hanno fatto, e allora, dicevo, mi piace lasciarci sempre con un impegno.
Noi siamo abituati come Radicali al “dover essere”, cioè se
riteniamo che qualcosa è scandaloso per la vita civile di un Paese, riteniamo
che occorra un impegno che sia straordinario. Marco Pannella, che vi saluta
naturalmente, e che inizierà da stasera lo sciopero della sete, ha scelto una
cosa scandalosissima, pensate vuole liberare Bernardo Provenzano, boss mafioso,
proprio il maggiore delinquente. Però Bernardo Provenzano sta in regime di
41bis, non è in grado di intendere e di volere, alimentato artificialmente, avrà
attorno a sé non so quanti agenti, quanti medici, cioè lo vogliono tenere in
vita perché non deve morire, loro sono buoni, sono così buoni che impediscono
magari al figlio di potergli tenere la mano per cinque minuti, e questa è la
bontà di uno Stato che applica il 41bis fino all’ultimo. I famigliari
continuano a vederlo con il vetro divisorio, è un simbolo quello di dove può
arrivare la perversione di uno Stato, e allora noi l’obiettivo
dell’abolizione del 41bis ce lo dobbiamo porre, noi l’obiettivo
dell’abolizione dell’ergastolo ce lo dobbiamo porre, deve essere portato
avanti. 9999, questa è la data che viene scritta, è inaccettabile questo. Ma
guardate i nostri politici dovrebbero andare, a me dispiace ma voi sapete che
siamo super laici, però devono andare a lezione da Papa Francesco, perché il
discorso che ha fatto all’assemblea internazionale degli avvocati è stata
proprio una lezione magistrale per i suoi contenuti. Come l’ha chiamato
l’ergastolo? Una pena di morte nascosta, che cosa è una pena di morte
nascosta? È una tortura. Ha parlato contro la pena di morte, ha parlato contro
il 41bis, ecco perché devono andare a lezione da Papa Francesco, non per i
principi cristiani cattolici che dicono di voler professare, ma per i principi
fondamentali del diritto o dello stato di diritto, per quello devono andare a
lezione.
Il
messaggio poi del Presidente della Repubblica Napolitano, anche quello è un
messaggio straordinario, ma ormai sono passati 13 mesi ed è stato proprio
allontanato dal Parlamento come un fastidio. E la visita dei delegati ONU sulla
carcerazione arbitraria, che cosa hanno detto questi delegati quando hanno
finito la visita? Ma come, il Presidente della Repubblica ha parlato di amnistia
e indulto e nessuno gli ha dato ragione? Il Parlamento non ha fatto niente? Ma
come, avete ancora il 41bis nonostante tutte le raccomandazioni che vi abbiamo
fatto?
Ma
avete visto qualcuno della delegazione ONU al Tg 1, Tg 2, Tg 4, Canale 5? No,
perché tutto questo deve essere tenuto alla lontana e non essere ascoltato, non
si parla dei suicidi in carcere e non si parla dei suicidi causati dal carcere,
perché scusate ma credo che fino a questo momento si siano suicidati anche 10
agenti di polizia penitenziaria, cioè appena succede qualche cosa di
scandalistico tutti si precipitano, ma qualcuno è andato a intervistare la
moglie, il figlio di un agente che ha deciso di togliersi la vita per la vita
stressante che è costretto a fare dentro al carcere? Bene, dobbiamo porci
l’obiettivo di rieducare lo Stato, dobbiamo trovare un modo per rapportarci a
questo potere che deve essere rieducato, si parla molto degli Stati Generali
delle carceri e noi chiediamo che non solo gli esperti si riuniscano e parlano
di carcere, bisognerà ascoltare la voce dei detenuti, e quale luogo migliore se
non farlo qui da Ristretti Orizzonti? Quindi ci sono in discussione punti
precisi, c’è questo delle “deportazioni” in Sardegna, c’è persino
quello di Bernardo Provenzano, ci sono i rimedi risarcitori perché siano
effettivi come chiede la Corte europea dei diritti dell’uomo, perché Papa
Francesco l’ha fatta in un giorno, l’abolizione dell’ergastolo, c’è la
modifica del 41bis, ma insomma ci vorrà pur qualcuno che abbia il coraggio di
dire in un Paese come il nostro che è una vergogna la tortura del 41bis.
Dobbiamo dirlo. Dobbiamo dirlo con la non violenza, con il non mollare cercando
di stare assieme tutti quanti per rieducare, come ci ha insegnato Ornella Favero,
questo Stato che purtroppo si comporta come un delinquente professionale.
Grazie.
Ma
ci vuole una legge per capire che i figli di detenuti non hanno alcuna colpa?
Bisogna
prima di tutto cambiare la nostra cultura, uscire dalla logica della democrazia
del dolore, dove tutti devono soffrire, i figli delle vittime, come i figli
degli assassini, le mogli delle vittime, come le mogli degli assassini
di
Enrico Sbriglia,
Provveditore dell’Amministrazione
penitenziaria
per il Triveneto
Si
è fortunati a stare qui, perché si vedono delle cose che stando dall’altra
parte non è possibile vedere. Queste ore mi hanno anche deliziato, ho visto
mani intrecciate, madri e figli, compagni, figlie che vengono accarezzate dai
propri genitori, e che a loro volta accarezzano i padri, e quindi è una bella
cosa quella che da questa parte riusciamo a vedere. Non vi nascondo che ho
aderito a questa iniziativa, dopo essermi imposto di superare le titubanze, che
da qualche tempo mi agitano ogni qual volta partecipo a convegni o a seminari
sulle carceri, in queste iniziative è come sbucciare le cipolle, ad ogni
lamina, ad ogni tunica, ne compare un’altra di problematicità, e poi
un’altra ancora, fino a quando non arrivi alla parte che ti interessa sempre.
Poi ti accorgi di avere semmai gli occhi lucidi e o rischi di vedere male o ti
rendi conto di aver scartato troppo, però ecco non potevo non partecipare, lo
dovevo ad Ornella Favero, alla redazione di Ristretti Orizzonti e alle persone
detenute che collaborano alle loro attività.
Una
redazione che con la Rassegna Stampa da anni è divenuta il mio interlocutore
privilegiato per
confrontarmi
sui temi del carcere, il luogo della coscienza ma anche della conoscenza, dove
cerco di informarmi su una realtà intensa e complessa nella quale tutti quanti
siamo calati. E poi lo dovevo all’amico e collega Salvatore Pirruccio, il
Direttore della Casa di Reclusione di Padova, che conosco da tanti anni e di cui
conosco il profondo impegno, la passione con la quale svolge la sua funzione di
capo di una comunità. Lo dovevo a questa realtà che ci ospita e che da un
po’ di tempo viene stigmatizzata per il peggio, che di recente è venuto
fuori, dimenticando però il meglio che per anni ha rappresentato e che continua
ancora a rappresentare, sia in Italia che all’estero.
Il
carcere è una cosa preziosa, e per questo è una realtà fragile, basta poco
per frantumarla, è come i vetri soffiati di Murano, qui vicino a Venezia,
allora quando ci troviamo nelle loro trasparenze, nelle loro volute, nelle loro
luminosità, può bastare poco, anche una leggera pressione dei polpastrelli per
farli esplodere e possono andare in frantumi. Poi, ciò nonostante non sappiamo
rinunciare a queste cose, continuiamo ad amarle e vogliamo anche ammirarle e
farle vedere agli altri. Il carcere di Padova con la sua storia e con le sue
storie è anche questo. Dicevo che ero dubbioso ad assicurare la partecipazione,
perché sono queste le occasioni nelle quali si possono leggere ed intravvedere,
anche forse dai miei occhi o cogliere dalle mie
espressioni,
la fragilità, la fragilità di un sistema, che è un sistema di comunità, e
che ha bisogno di continue manutenzioni, ha bisogno di continui aggiornamenti,
ha bisogno di continue sperimentazioni.
Ma
ero dubbioso anche all’idea che possiate scoprire la fragilità di un
operatore penitenziario come io credo di essere, di un servitore dello Stato,
che stenta, anzi, che non vuole ostinatamente cancellare le immagini delle cose
che ha visto, che ha sentito, che ha vissuto, in tutti questi anni nel mondo
delle prigioni. La fragilità che talvolta può apparire come pudicizia
istituzionale, di chi teme che gli si faccia, come Ornella Favero pubblicamente
prova a fare, mille domande, ma non si è in grado neanche di dare una risposta.
Nessuno
può cancellare quella sgradevole e crescente sensazione che in questi posti, ma
anche in altri l’enunciazione di un diritto non è altro che il modo più
semplice e più facile per depennarlo, ecco annuncio i diritti, indico dei
diritti per depennarli. Il carcere, o meglio, il luogo della privazione della
libertà, si scriva bianco ma si legga nero, si scriva rieducazione ma si legga
disperazione, si scriva legalità per leggere invece indifferenza, se non anche
abuso, o addirittura abuso dell’indifferenza, che è anche peggiore. Ma non
partecipare, poteva anche significare essere interpretato come indifferenza del
Provveditore, che se mai si aggiunge ad altra indifferenza, mentre invece la
realtà, seppure con le sue contraddizioni, seppure con le sue sofferenze, può
indurre a non rinunciare ad avere una speranza, una speranza laica per chi creda
nel diritto, nelle regole. Un sistema dove la locuzione, che a me piace, Law and
Order, va declinata, non nel modo in cui la diceva Charles Bronson nel
Giustiziere della notte o che è visto nel Braccio violento della legge. Una
speranza laica che sappia anche distinguersi da quella religiosa, per chi invece
sia confortato dal credere in un Dio buono e misericordioso, guarda su questo
Ornella, tu hai fatto un cenno, hai rappresentato la tua laicità, ebbene io in
questo luogo paradossalmente sento il contrario, costantemente percepisco il
contrario, e lo percepisco nelle madri sofferenti che mi ricordano altre
immagini, nei figli sacrificati che mi ricordano altre immagini, e nelle parole
bellissime, che Agnese Moro ci ha raccontato qualche minuto fa. Sento una forte
ondata di religiosità, è paradossale ma è così. Non vorrei ingannarvi però,
io credo che ancora il carcere rimanga una soluzione obbligata di fronte alla
commissione dei reati, per i quali altra forma di conciliazione o rimedio, che
consenta altro tipo di rassicurazione sociale, non è stata ancora trovata.
Mentre però è pacifico che vi siano domande di giustizia, non sempre vi sono
le risposte in eguale numero, e non sempre è possibile usare pesi e
contrappesi, ed è comprensibile: la società libera si sente in grado di
rischiare e sacrificare all’oggi una eventuale sicurezza del domani? No!
L’oggi prevale sul domani, e prevale anche, fatemi dire, nella visione della
politica.
Ecco,
in verità da tempo assistiamo ad un continuo palleggio, ma vorrei comprendere,
non sono forse questi i temi principali dello Stato? Calendarizzare una proposta
di legge, un disegno di legge, ma fatemi capire, questi temi, che sono temi di
cittadini, non sono temi di detenuti, io sto parlando a dei cittadini, poi
alcuni vi stanno donando la libertà, altri ancora riescono a portarsela
appresso, ma sono cittadini. Ebbene, questi temi non dovrebbero essere i primi
temi da affrontare in un contesto politico e anche governativo? Ho qualche
dubbio. Da Direttore penitenziario tante volte ho ricevuto i famigliari di
persone detenute e i loro bambini, per questa ragione il mio ufficio, ecco vi
racconto questo, avevo posto su una mensola facilmente raggiungibile dei
giocattoli, che erano per me dei simboli sacri, perché erano i giocattoli dei
miei tre figli, ormai sono adulti, quando venivano le madri con i bambini, lo
ammetto, mi distraevo, nel senso che, pur sentendo la mamma parlarmi di problemi
legati al padre, legati alla carcerazione, legati a quelle cose stupide, il
pacco che non entra e il pacco che entra, vengo da lontano e non vogliono farmi
fare i colloqui, ho questo problema, vorrei consegnare dei soldi a mio marito ma
oggi non è la giornata dei colloqui e quindi non posso depositare questa somma,
ma ho difficoltà a ritornare. Quando mi distraevo da queste immagini, guardavo
i ragazzini, e cercavo di vedere quali somiglianze avessero con i miei figli, e
gli vedevo fare gli stessi gesti, coglievo il loro sguardo curioso e
indispettito quando si trattava di giocattoli meccanici, oppure vedevo lo
sguardo amoroso delle bambine quando si trattava di un pupazzetto. Loro non
hanno alcuna colpa! È possibile che ci voglia una legge per capirlo?
È
possibile che ci voglia questo? Loro non hanno alcuna colpa! Non potevano
tecnicamente averla, ma sono stati privati del diritto del bene genitoriale.
Allora è strana questa democrazia, una democrazia che ormai considero la
democrazia del dolore, dove tutti devono soffrire. I figli delle vittime, come i
figli degli assassini, le mogli delle vittime, come le mogli degli assassini, e
poi tutti coloro che in ogni modo sono coinvolti in questo contesto, compreso,
fatemelo dire, coloro che hanno l’ingrato compito di essere i sorveglianti di
un sistema.
Avete
parlato di suicidi, forse qualche cosa dovrebbe richiamarci alla mente la
circostanza che i suicidi possano anche riguardare le persone che lavorano in
carcere, allora si può provare a cambiare tutto ciò, senza per questo ridurre
la sicurezza, e la sicurezza poi, questo bene così grande che ormai non c’è
più nelle periferie, e lo si vuole in carcere però. Di questa parola ci
riempiamo la bocca, però è forse nella politica, nella buona politica, la
capacità di immaginare, di spingere chi come noi ha il compito di governare le
difficoltà a mani nude, spesso senza strumenti, a capire che forse altre forme
nuove di confronto e di governo delle persone detenute si potrebbero immaginare,
io penso di si! E non sono l’unico, ecco io posso dirvi che tanti operatori
penitenziari, sia in uniforme sia in abiti civili come quelli che indosso io, la
pensano allo stesso modo. Modificare l’Ordinamento penitenziario e prevedere
un numero ben maggiore di colloqui visivi, quanto meno quando si è in presenza
di anziani genitori e di bambini, quando si è in presenza di mogli gravide che
vorrebbero sentire la mano del padre appoggiata sul ventre.
Parliamo
poi delle telefonate. Ricorderete era il 1992-1993, l’attore era il bravo
Massimo Lopez, la pubblicità era quella della Sip, e diceva: “Una telefonata
allunga la vita!”, si vedeva l’attore di fronte ad un plotone di esecuzione,
doveva essere nella legione straniera, era ambientato in un ambiente desertico,
ecco lui iniziava a telefonare e questa telefonata non finiva mai, tant’è che
i sorveglianti si mettevano a terra e si addormentavano. Ebbene, io mi chiedo,
quanti suicidi in meno avremmo avuto se ci fossero state telefonate in più?
Quanti meno atti autolesionistici avremmo avuto se ci fossero state telefonate
in più? Quante meno risse avremmo avuto tra detenuti e detenuti o con il
personale di polizia se ci fossero stati colloqui in più o telefonate in più?
Domanda: ma se ci fossero tutte queste telefonate aumenterebbero le rapine?
Aumenterebbero i furti? Aumenterebbero gli stupri? cioè, che cosa è che mi
impedisce di pensare che possano servire ad aumentare la sicurezza, questi riti,
da dove ricavo questo dato scientifico? Quale scuola di pensiero mi dice che
questo corrisponda a verità? O invece non si tratta semplicemente di una
vendetta? Allora anche su questo credo che occorre fare uno sforzo di
intelligenza, noi non possiamo modificare le norme, noi siamo vincolati a volte
anche a forme creative di interpretazione, perché abbiamo il problema davanti,
lo abbiamo in carne ed ossa, però non è giusto! Non è giusto che il problema
non sia affrontato seriamente, nei luoghi in cui il problema deve essere
risolto, il luogo è il Parlamento, il luogo è il Governo della Repubblica.
Ecco perché allora occorra fare un salto creativo, culturale, come si diceva
prima. Guardate, in Francia, un paese vicinissimo a noi già da anni esistono,
le chiamano U.V.F., Unità di vita famigliare, ci sono all’interno degli
istituti dei mini appartamenti, dove la persona detenuta può essere ammessa ad
avere un contatto con i propri famigliari, da un minimo di 6 ore ad un massimo
di 72 ore al mese. All’inizio la loro Polizia penitenziaria era ostile a
questo tipo di possibilità, sembrava come se fossero divenuti essi una sorta di
lenoni istituzionali, perché la concezione era sempre quella estrema,
addirittura avevano manifestato in maniera anche forte, contro quella che
sembrava essere solo un’iniziativa governativa, ebbene, dopo che hanno
sperimentato questo rimedio sono i primi sostenitori di questo tipo di
iniziativa, sono calati gli atti autolesionistici, sono calate le violenze tra
detenuti, sono calati gli atti contro l’amministrazione penitenziaria,
rappresentata dal personale. Quindi dico, se la Francia è un Paese a noi molto
simile, molto vicino, basti pensare che gran parte della nostra formazione
statuale deriva dai Codici Napoleonici, tanto per fare un esempio, ecco, se la
Francia, ma anche altri Paesi hanno questa capacità di governare la complessità,
è possibile che il Paese di Cesare Beccaria non sia in grado di farlo? Allora
forse il tributo più grande, che anche da questo convegno può venire è di
rilanciare un’idea culturale, un’idea laica, un’idea rispettosa della
Costituzione, che veda finalmente impegnati i nostri politici su questo tema, se
davvero intendono fare sicurezza. Se poi invece vogliono continuare a blandirci
con le loro parole non cambierà più nulla. Grazie.
Ornella
Favero: Io
vorrei chiedere una cosa al Provveditore. È vero che noi abbiamo fatto ai
politici delle richieste precise di cambiare l’Ordinamento penitenziario nella
parte che riguarda gli affetti, però io aggiungo anche che a Padova, in questo
carcere sono state introdotte delle migliorie, che non richiedono leggi nuove.
Il Direttore qui presente lo sa quanto abbiamo rotto le scatole con le nostre
richieste, però ecco, sono iniziati i colloqui con Skype, tutti i detenuti
fanno due telefonate in più al mese, le “terze persone” sono autorizzate ai
colloqui con facilità, ci sono dei detenuti che hanno una lista di dieci terze
persone che entrano a colloquio. Io però vado in altre carceri di questa
regione, ed è l’esatto contrario, se si chiede di far venire un amico,
un’amica, no! Controlli su controlli, difficoltà, se non si ha il certificato
di convivenza devi inventartelo, una specie di istigazione a mentire per salvare
i propri affetti. Allora, perché una circolare sull’umanizzazione a partire
da qui non è possibile? Un invito agli altri Provveditori a fare una circolare
che inviti i Direttori ad allargare per quanto possibile le maglie della legge
per concedere più colloqui e telefonate, sappiamo che ci sono delle resistenze,
ma abbiamo visto e sentito che le relazioni famigliari sono quelle che fanno
vera protezione dal suicidio. Allora, se davvero volete parlare di umanizzazione
delle carceri, forse i politici faranno la loro parte, forse no, però tutti
quanti io credo che in questo si debbano impegnare, ecco io chiedo che le cose
conquistate e ottenute a Padova siano estese a tutte le carceri del Triveneto e
ci sia una spinta perché tutti i Direttori si misurino con queste piccole cose
della vita quotidiana che rendono un po’ migliore il rapporto con le famiglie,
se è possibile.
Enrico Sbriglia: Mi tocca una replica. Le carceri sono diverse, perché diverse sono le persone, abbiamo operatori che buttano via l’orologio e altri che fanno esattamente il contrario. Allora la prima risposta che devo dare ad Ornella è che, anche in questo caso, entra in gioco nuovamente la politica, è importante infatti che si rivedano le modalità attraverso le quali sono individuate le persone che lavorano in questi posti di sofferenza, perché chi banalizza questo lavoro credo che sia il primo nemico che si deve affrontare se si vogliono cambiare le cose. Però anche questo non dipende dal Provveditore, ma dipende da qualche altra cosa, che è quella che io considero e che chiamo la coscienza morale.