La
parola ai Garanti
Da
Garante dei detenuti dico: non partiamo dalle persone detenute
Se
vogliamo costruire un’opinione pubblica più sensibile e attenta, dobbiamo
partire dai famigliari, dai bambini, per poi arrivare a chi è dentro
di
Desi Bruno,
garante dei detenuti della Regione Emilia Romagna
Diritto
e affetti in carcere
Negli
ultimi mesi si è cominciato ad affrontare in modo più articolato e deciso il
tema dell’affettività in carcere, anche a seguito del parziale superamento
dell’annoso affollamento delle nostre carceri, conseguenza dei rimedi posti in
essere dal legislatore per ottemperare alla sentenza “Torreggiani”
della Corte europea dei diritti dell’uomo dell’8 gennaio 2013. Troppo
spesso ci si dimentica che la carcerazione non punisce solo il detenuto, ma si
riverbera in modo devastante sui familiari e in particolare sui figli.
Nel
nostro ordinamento i colloqui delle persone detenute con i familiari e con le
persone autorizzate agli incontri (dall’autorità che procede in caso di
imputati sino alla sentenza di primo grado e poi dal direttore dell’istituto
penitenziario) si svolgono in appositi luoghi sotto il controllo visivo della
Polizia penitenziaria, come prevede l’art. 18 O.P. (L. n. 354/’75 e
successive modifiche).
La
legge regola il numero dei colloqui (fino a sei), prevedendo limitazioni per gli
appartenenti al circuito dell’alta sicurezza e per chi è sottoposto al regime
di cui all’art. 41 bis O.P. (appartenenti alle associazioni di stampo mafioso
di cui è ritenuta l’attualità di collegamenti criminosi con l’esterno). Ma
qui il tema si fa più complesso. A ciò si aggiungono i contatti telefonici con
la famiglia, anche questi regolamentati, uno alla settimana per dieci minuti,
con spese a carico del chiamante, oltre ai contatti epistolari.
Le
direzioni del carcere, ai sensi dell’art.39 del Regolamento di esecuzione
D.P.R. 30 giugno 2000 n. 230, possono anche concedere ulteriori telefonate, in
particolare in presenza di gravi motivi e di prole con meno di 10 anni.
Nel
corso degli anni si è consolidata quasi ovunque la prassi di consentire momenti
di incontro più lunghi, con possibilità di pranzare insieme (come previsto
anche dall’art. 62 co. 2 lett. b) del Regolamento di esecuzione cit.), in
occasione di eventi organizzati dall’insostituibile lavoro del volontariato,
come la Festa delle famiglie.
Ancora
al volontariato, in accordo con l’associazionismo di settore, si deve la
creazione e la cura di appositi spazi per l’accoglienza dei minori che vanno a
colloquio, in modo da mitigare l’impatto dei piccoli con il carcere. Del resto
è proprio l’art. 15 dell’Ordinamento penitenziario che prevede, tra gli
strumenti del trattamento intramurario, proprio l’agevolazione dei rapporti
con la famiglia.
È
ancora troppo poco, e le carceri per essere più umane devono consentire di
mantenere e rafforzare i vincoli familiari, che in realtà spesso si frantumano,
e non impedire di poter esercitare, quando possibile, una genitorialità che, se
assunta in modo più consapevole, può essere fonte di nuova responsabilità
individuale.
Va
a questo proposito ricordato che è stato di recente firmato un apposito
Protocollo tra il Ministro della Giustizia, l’Autorità garante per
l’infanzia e l’adolescenza e la ONLUS “Bambinisenzasbarre”, a tutela e
sostegno della genitorialità in ambito detentivo. Quando si parla di affettività
si pensa certamente alla possibilità di avere periodi di incontro con i propri
cari, liberi da controlli visivi, che impediscono di vivere con naturalezza
anche le manifestazioni di affetto più semplici, come un bacio o un abbraccio,
nonché di poter anche avere rapporti sessuali con il proprio coniuge o
convivente, come avviene in altre parti del mondo e in molti Paesi europei.
Questo
è un altro tema molto delicato, di recente affrontato anche dalla Magistratura
di Sorveglianza di Firenze, che con ordinanza 27 aprile 2012, ha sollevato la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 18 O.P., per contrasto con
gli art. 2, 3 primo e secondo comma, 27 terzo comma, 29, 31, 32 primo e secondo
comma Cost. laddove la norma vieta incontri non sottoposti a controlli visivi.
La questione è stata dichiarata inammissibile dalla Corte costituzionale con
sentenza 19 dicembre 2012 n. 301, che ha così rimandato la soluzione del
problema al legislatore ordinario.
In
proposito si ricorda che, da ultimo, è stato presentato un disegno di legge ad
opera dell’onorevole Sergio Lo Giudice ed altri, che in realtà riprende una
proposta già depositata nella precedente legislatura alla Camera dei deputati
dall’Onorevole Rita Bernardini e dai deputati radicali.
L’obiettivo
del disegno di legge è quello di aiutare il detenuto a vivere e consolidare i
propri rapporti affettivi, garantendo incontri più frequenti con la famiglia e
intrattenendo relazioni intime con il proprio partner, sia esso coniuge o
convivente.
L’Ufficio
del Garante ritiene che i rapporti affettivi in senso lato debbano essere
favoriti soprattutto attraverso la concessione di permessi premi e misure
alternative, come indicano sia il
Protocollo
prima citato per quanto riguarda i minori che le proposte di legge in tema di
modifica dell’art. 30 O.P. a proposito dei permessi di necessità, ancorati
anche ad eventi familiari di particolare rilevanza.
Per
quanto riguarda i detenuti non definitivi, l’utilizzo della custodia cautelare
in carcere come extrema ratio, il ricorso maggiore alla misura degli arresti
domiciliari, anche con riferimento alle esigenze familiari e in particolare alla
presenza di prole, possono consentire di affrontare all’esterno il tema
dell’affettività, che in carcere difficilmente può non subire mortificazioni
e compressioni.
Per
questo motivo, il ricorso a spazi riservati dovrebbe essere pensato solo con
riferimento a situazioni che non prevedono altre possibilità (come nel caso
dell’ergastolo, in particolare se ostativo, o comunque a pene lunghe). Ancora,
solo per non dimenticare, va sottolineato come non sia ancora
risolta la presenza di bambini in strutture penitenziarie, per essere
ancora insufficienti i luoghi diversi dal carcere per detenute madri di cui alla
L. n. 62/201.
Di
questi temi si sta occupando la campagna promossa dalla redazione di Ristretti
Orizzonti “Per qualche metro e un po’ d’amore in più”, a cui va il
ringraziamento per il lavoro di sensibilizzazione su temi spesso difficili e per
il sostegno ai familiari delle persone detenute.
Ho
accettato l’invito di Ornella e di Ristretti perché invitava ad una
riflessione e ad un contributo, e io credo che questo dobbiamo fare, perché,
scusate la franchezza, si sono sentiti molti ragionamenti sul tema degli
affetti, anche interessanti, ma difficilmente comprensibili al di fuori di
questo contesto.
Intanto,
va precisato che i Garanti dei detenuti, rispetto alle segnalazioni che ricevono
sul tema dei trasferimenti, che interrompono spesso le relazioni familiari,
fanno richiesta al DAP di ripristino delle situazioni precedenti, o di
accoglimento di quelle volte ad avvicinare le persone detenute ai familiari.
Alcune
volte le richieste vengono accolte, alcune volte no, e bisogna insistere.
“Solo
da pochi anni è cominciata a farsi avanti una cultura del rapporto tra la
persona detenuta e la famiglia, che però molto spesso è legata alla sensibilità
individuale dei Direttori”
I
Garanti dovrebbero avere un referente al DAP sul tema dei trasferimenti, ma in
realtà questo
importante
canale di comunicazione non si è mai davvero aperto, e la mancanza di
interlocuzione dei Garanti con il DAP è un dato negativo proprio quando la
situazione è, per alcuni aspetti, peggiorata, in ragione della cosiddetta
“Differenziazione dei circuiti regionali”, secondo la quale le carceri
devono essere omogenee rispetto alla tipologia dei detenuti, per cui tutte le
persone dell’Alta Sicurezza, per fare un esempio, devono essere collocate
insieme, tutte le persone che hanno problemi di tossicodipendenza dovrebbero
andare in un altro istituto, e così si pongono ulteriori problemi in tema della
territorialità della pena, a prescindere dalla valutazione sulla validità dei
circuiti. È bene fare una riflessione sulle scelte in corso, e sulle ricadute
delle stesse, ed è chiaro che la confusione regna sovrana in una situazione in
cui ancora non c’è un capo del DAP (N.d.R. è stato nominato proprio il
giorno dopo che si è svolto il seminario sugli affetti) e tutti noi avremmo
invece bisogno di sapere con chi andiamo a parlare di politica del diritto, di
situazioni concrete, di trasferimenti, di diritto all’affettività e di
quant’altro.
Proprio
perché qui ci sono i detenuti e le famiglie soprattutto, non possiamo
raccontare che il fatto che venga depositato un progetto di legge ci rende
sereni su questo tema, perché non è così, la situazione è troppo difficile,
se solo si pensa al fatto che, per fare un esempio, soltanto pochissimo tempo
fa, quando un detenuto veniva trasferito, non veniva nemmeno avvisata la
famiglia. Questo per dire che è positivo che ci siano dei progetti di legge
sull’affettività e sull’ampliamento dei colloqui, ma non basta, perché
quelli sono i progetti di legge, poi c’è tutto quello che si può già fare.
Ammettiamo poi che i disegni di legge diventino legge, vogliamo fare l’elenco
delle leggi che non sono state attuate? A cominciare, visto che si parla di
affettività, dalla legge sulle detenute madri, il primo gennaio 2014 dovevano
essere pronte le I.C.A.M., le case famiglia, per risolvere il problema di un
numero che è ovviamente importante, ma non è possibile non riuscire a
collocare 50 detenute madri con 50 bambini in tutta Italia! Ma se non riusciamo
a fare neanche quello, che cosa vogliamo aspettarci?
Ci
sarà poi la difficoltà di andare ad individuare i luoghi dedicati
all’affettività in un Paese dove solo adesso cominciamo ad avere spazi verdi
dedicati ai bambini che sono in attesa dei colloqui, gli spazi gioco per le
festività, dove si fanno le feste per le famiglie, dove solo da pochi anni
comincia a farsi avanti una cultura del rapporto tra la persona detenuta e la
famiglia, che però molto spesso è legata alla sensibilità individuale dei
Direttori, perché anche questo è un dato di cui bisogna tener presente.
Quello
che stamattina ho sentito che accade alla Casa di Reclusione di Padova non
accade ovunque, alcuni Direttori riescono ad utilizzare il dato normativo
ampliandolo, perché si può ampliare, ma ce ne sono altri che non ci pensano
minimamente a fare tutto questo.
Qui
è necessario che i Provveditori facciano circolari per rendere omogeneo quello
che succede in positivo in un determinato carcere, e che anche il Dipartimento
dell’Amministrazione Penitenziaria emani circolari che diano indicazioni, in
assenza di una legge, su ciò che Provveditori e Direttori possono anzi devono
fare.
Quando
si è posto il problema dell’aumento dei casi dei suicidi in carcere, è stata
emanata la circolare Ardita del 2010, e improvvisamente il problema delle
telefonate dal carcere verso i cellulari è stato risolto. Per anni ci siamo
battuti sostenendo che si poteva consentire ai detenuti di chiamare anche i
cellulari, e invece no, non si poteva fare, quando poi si è posto un problema
molto concreto, i suicidi in carcere, la difficoltà di fare quel tipo di
telefonata è stata superata.
Allora,
c’è quello che si può fare oggi e che il Dipartimento dell’Amministrazione
Penitenziaria deve imporre con delle circolari, rendendo omogeneo ciò che di
buono viene fatto, favorendo le telefonate, ampliandone il numero.
Come
è stato ricordato, il Direttore può, nei casi di urgenza, nei casi di necessità,
dare la possibilità di fare ulteriori telefonate e abbiamo sentito che qualcuno
lo fa, non solo a Padova fortunatamente, ma non ovunque. Quindi evidentemente ci
sono delle cose che si possono già fare in attesa dell’approvazione della
legge. Io sono d’accordo su quello che si diceva prima, cerchiamo di fare
uscire quando possibile le persone, piuttosto che far entrare a coltivare
l’affettività, perché io credo che ciascuno di noi, interrogato,
preferirebbe ovviamente uscire piuttosto che entrare, allora non indichiamo
quella strada dei colloqui intimi in carcere come l’unica soluzione possibile,
cerchiamo di favorire la fuoriuscita, i permessi.
E
anche i permessi, possibile che i permessi in alcune situazioni siano dati e
altri Magistrati di Sorveglianza non li diano quasi per niente? Possibile che i
permessi di necessità, ex articolo 30 O.P., qualcuno li dà solo quando il
detenuto ha un lutto in famiglia e c’è chi li dà anche per la cresima, la
comunione o un compleanno? Possibile che in questo Paese non si riesca a
ragionare in modo uniforme sui fatti fondamentali della vita di una persona? Io
credo che anche su questo noi dobbiamo ragionare, dopodiché, va benissimo la
modifica dell’articolo 30 O.P. , va benissimo la modifica dell’articolo 28
O.P., ma cerchiamo di utilizzare le misure alternative, facciamo in modo che ci
sia omogeneità nell’applicazione delle misure alternative, utilizziamo tutto
quello che si può per incidere sulla legge Cirielli, che rende più difficile
l’accesso alle misure alternative
per i recidivi, ragioniamo per permettere a tutti coloro che possono usufruire
di permessi di coltivare la loro affettività fuori.
Cerchiamo
di non pensare a quella legge come alla soluzione di tutti i mali, perché se
noi adesso andiamo a pensare che quella legge risolverà il tema
dell’affettività e della sessualità, noi perdiamo di vista tutto il
patrimonio di possibilità che noi dobbiamo volere, imporre e coltivare, perché
quel tema diventi un tema di normalità, perché quanto più le persone detenute
avranno la possibilità di coltivare all’esterno i propri affetti, tanto più
sarà residuale quel problema all’interno e tanto più sarà facile
assicurarlo a chi è giuridicamente ancora nell’impossibilità di uscire.
Una
delle iniziative utili assunte dal Ministero della Giustizia è il protocollo di
intesa tra il Ministero della Giustizia, l’Autorità garante per l’infanzia
e Bambini senza sbarre Onlus. Perché vi cito questo protocollo? Perché il
punto di vista assunto è quello più comprensibile all’opinione pubblica:
partiamo non dalle persone detenute, le cui esigenze noi qui capiamo, ma se
vogliamo parlarne fuori di qui, bisogna partire dai famigliari, dai bambini, per
poi arrivare a chi è dentro, dobbiamo proporre un ragionamento inverso. Allora
cito due punti del protocollo: l’articolo 1 contiene l’invito all’ autorità
giudiziaria, quando decide se applicare o meno una misura cautelare in carcere,
a dare priorità ai diritti e alle esigenze dei figli di minore età. Cosa vuol
dire? Incominciamo a pensare davvero al carcere come extrema ratio, se qualcuno
ha una famiglia, dei figli, e non è così pericoloso, non mettiamolo in
carcere, evitiamo da subito l’interruzione del rapporto tra genitori e figli,
e questa è una circostanza su cui la Magistratura nell’applicare i propri
provvedimenti non ha in passato mai abbastanza riflettuto.
Poi
nel protocollo di intesa si invita a non considerare i contatti con i figli di
minore età come premi assegnati di fronte ad un buon comportamento, ma a un
diritto! È un diritto mantenere i rapporti famigliari e consentire al genitore
durante la detenzione di essere presente nei momenti più importanti della vita
dei figli, soprattutto minori, compleanni, primo giorno di scuola, recita
scolastica, la festività, il Natale.... Partiamo da qui, partiamo dai
famigliari, questo lo dico io che sono Garante dei detenuti, ma lo dico perché
bisogna trovare modalità e ragionamenti che avvicinino e non che creino
ulteriori barriere.
Partiamo
da qui per arrivare dove vogliamo arrivare, partiamo da questo ragionamento, non
è un premio vedere i propri figli. Un detenuto potrà essere anche
indisciplinato sul piano comportamentale, ma il rapporto con il figlio, anzi,
probabilmente proprio il fatto di poter mantenere un rapporto con suo figlio lo
aiuterà ad avere un rapporto diverso con le istituzioni. Io penso che questi
siano momenti molto importanti da sottolineare.
Nella proposta di legge si propone di aumentare il numero di giorni per i permessi premio, mantenendo ancora il carattere di premialità: credo che sul tema della premialità e dei diritti facciamo ancora fatica ad orientarci in modo molto preciso. Ecco, questi erano alcuni degli spunti che volevo dare.