Figli del
41 bis
Ma
come avvengono i colloqui tra detenuti rinchiusi in regime di 41 bis e i loro
figli?
di
Carmelo Musumeci
Ieri
sera, la pioggia batteva malinconicamente sui vetri. E la luce dei fari del muro
di cinta entrava con fatica dalle sbarre della finestra. Ieri, come facciamo
tutti i sabati sera, Biagio ed io, abbiamo cenato insieme. Abbiamo mangiato un
piatto di spaghetti con il pomodoro fresco, melanzane (portate al colloquio
dalla madre di Biagio) e una cascata di formaggio sopra. Dopo abbiamo preso il
caffè. Ci siamo messi a fumare una sigaretta davanti alla finestra. E abbiamo
iniziato a parlare e a commentare quello che abbiamo letto nella rassegna stampa
di Ristretti Orizzonti del 29 gennaio 2014: Confindustria di Ascoli ha donato
al carcere di Marino del Tronto attrezzature e vernici per
dipingere muri, spazi comuni e la stanza destinata agli incontri
dei detenuti del 41 bis coi familiari, bambini compresi. Una
risposta anche a chi sosteneva che ai detenuti soggetti al cosiddetto carcere
duro fosse impedito di vedere i minori. ”È assolutamente falso poiché
il contatto con i figli è tra gli aspetti più importanti nel percorso di
recupero dei detenuti, compresi quelli del 41 bis”, ha detto oggi la
direttrice del carcere Lucia Difeliciantonio nel ricevere insieme ad alcuni
detenuti il materiale che verrà utilizzato nell’ambito del progetto
“Coloriamo il carcere”.(Comunicato Redazione di “Io e
Caino”). Noi non sappiamo chi abbia mai sostenuto “che ai
detenuti soggetti al cosiddetto carcere duro fosse impedito di vedere i
minori”, perché sarebbe una bugia, e a noi piace invece
dire le cose come stanno, noi abbiamo criticato e condannato i
modi spesso inumani degradanti e barbari in cui avvengono questi
colloqui. E sentir dire che “il contatto con i figli è tra gli
aspetti più importanti nel percorso di recupero dei detenuti, compresi quelli
del 41 bis” è una coltellata al cuore per quei padri (e per quei
figli ormai grandi) che hanno visto per decenni i propri figli
crescere tramite un vetro divisorio (a parte gli ultimi dieci minuti) vedendoli
solo un’ora al mese senza poterli toccare, abbracciare, baciare, a parte quei
miseri dieci minuti dove i figli prima venivano separati dalla propria madre e
poi accompagnati, spaventati e soli, dai loro padri. E molti padri per non
traumatizzare i propri figli rinunciavano a quei dieci minuti. Alla dirigente
del carcere di Ascoli Piceno chiediamo allora semplicemente una cosa: di
spiegare come avvengono i colloqui con i famigliari dei detenuti ristretti al
regime del 41 bis. Poi Biagio mi ha raccontato che è stato sottoposto al regime
di tortura del 41 bis nel carcere di Ascoli per anni in una cella dell’Area
Riservata dove lo stesso magistrato di Sorveglianza (che è più credibile dei
detenuti) aveva censurato quella situazione, lamentando come il detenuto viveva
in uno spazio ove “il letto occupa la maggior parete dello spazio ed
è praticamente contiguo al water e che al detenuto non rimane
perimetro sufficiente per compiere qualsiasi movimento in libertà”(Ordinanza
dell’Ufficio di Sorveglianza di Macerata 20 marzo 2006). E solo dopo questo
provvedimento la sua cella è stata allargata facendo abbattere un muro. Che
altro aggiungere? Nulla! Solo che i nostri occhi ricordano ancora le manine dei
nostri figli che battevano su quegli spessi vetri per abbracciare il padre. E
ora molti di noi si domandano se tutto questo è servito per sconfiggere la
mafia o piuttosto il rischio è di farne nascere una nuova?