Fuori!
Un audio corto dal Gruppo di scrittura al cinema
di
Angelo Ferrarini* e Marco Fantacuzzi*
Dal
Gruppo Scrittura Due Palazzi - ospitato dal 2009 presso la redazione di «Ristretti»
- è nato un breve film sonoro dal titolo Fuori (regia e montaggio di
Angelo Ferrarini e Marco Fantacuzzi, sceneggiatura di Angelo Ferrarini e
Donatella Erlati). In realtà si tratta di un radiodocumentario che ha
una storia lunga, come gestazione, ma che ne racconta una breve: la prima
volta di un detenuto all’esterno, a seguito di permesso, o, in linguaggio
carcerario “il primo esterno”.
A
raccontarla in realtà sono le voci vive dei protagonisti, cinque voci dal
carcere, raccolte nella sala uno del “blocco Ristretti” (quella delle gocce)
con un registratore mp3 della redazione di «Ristretti», tre mattine di
settembre e con assistenza di Ismail (e lo zampino di Dritan). Le voci molto
efficaci e ben caratterizzate in ordine di apparizione sono quelle di Angelo M.,
Alain, Wieser, Lorenzo e Ulderico.
Il
titolo primitivo del documento sonoro era La prima volta fuori, con
l’aggiunta necessaria del “fuori” per limitare le narrazioni alla uscita
dal carcere per qualche tipo di permesso. Infatti – come scrive Wieser, «quando
ci han detto scrivete qualche cosa su “la prima volta” abbiamo pensato
subito alla prima volta con una ragazza». L’origine del ‘misfatto’
involontario risale alla primavera 2013. Fu proprio Wieser l’appicciafuoco,
con un racconto originale: “La prima volta che sono stato in permesso…”
insieme ad un racconto di Angelo, la “Storia di Toni”. Altri racconti e
altre storie seguirono, di Lorenzo (racconti scritti) e di Alain e Ulderico
(racconti orali) sulle emozioni dell’uscita dallo spazio costretto della
detenzione.
I
racconti del laboratorio, come sempre, subiscono a loro volta una storia, una
vicenda, uno sviluppo: vengono riletti, vengono commentati, passati alla
Redazione di «Ristretti Orizzonti»… e finiscono fuori, una sera d’estate
al bastione Alicorno, in una conversazione con alcuni registi padovani, tra cui
Marco Fantacuzzi. Scatta allora una seconda scintilla decisiva: perché non
farli diventare un film?
Così
i racconti escono dal laboratorio di scrittura e diventano soggetti, poi
un registrato sonoro di 3 ore, infine un corto di 8 minuti, Fuori,
premiato con la menzione speciale della giuria al workshop Cinema Lab 2013
di Kinocchio e proiettato per la prima volta domenica 22 settembre 2013 al
Teatro Comunale Polivalente di Abano Terme, Padova.
In
mezzo (tra agosto e settembre) c’è stato un Laboratorio di cinematografia dal
tema “L’integrazione non fa notizia”, organizzato da «Kinocchio – Il
cinema in movimento», un progetto culturale dedicato al cinema nelle sue
diverse forme artistiche e dimensioni sociali.
Durante
questo workshop 15 cineasti esordienti provenienti da varie regioni d’Italia
si sono confrontati con autori e maestri del cinema italiano come Giorgio
Diritti (L’uomo che verrà, Un giorno devi andare), Pietro Marcello (La
bocca del lupo), Wu Ming 2 (Lavorare con lentezza) in un percorso
creativo che li ha portati a scrivere, girare e montare i loro progetti in dieci
intensi giorni di lavoro. I partecipanti si sono confrontati anche con altri
professionisti del mondo del cinema (Carlo Bettin, Roberto Cavallini, Federico
Fava, Alberto Scapin, Marco Zuin, Riccardo Cattapan...), hanno lavorato a più
mani per realizzare 8 cortometraggi, parlando di sceneggiature, di trame, di
personaggi, di effetti, di scelte (o rifiuto delle immagini, come nel nostro
caso), di montaggio. E così, anche grazie al contributo di Donatella Erlati e
di Maria Elena Frusciante, sono state messe a punto delle brevi sceneggiature
delle voci narranti di questo Fuori. Un film in nero, solo le voci nel
buio sala, tra essenziali titoli di coda…
La
storia continua con una proiezione a Padova il 23 ottobre 2013 al “Fronte del
Porto del Porto Astra”, insieme ai 7 cortometraggi scelti e premiati, che
trattano il tema dell’integrazione culturale e dell’inclusione sociale da
punti di vista diversi, e con linguaggi eterogenei, che vanno dalla commedia
surreale alla JimJarmush di Vivo e Veneto - in cui un biciclettaio tenta
di insegnare il dialetto veneto ad un africano - al nostro Fuori appunto:
i quasi dieci minuti di suoni (voci, rumori, passi) dal carcere Due
Palazzi “hanno ben espresso”, secondo la Giuria, “l’atmosfera che
accompagna il momento primo dell’uscita da un luogo di detenzione”: il
disorientamento di fronte al mondo esterno, con i suoi suoni, rumori, gas,
ostacoli e la richiesta immediata di inserirsi, di stare attento, di saper
attraversare la strada, entrare in un bar, chiedere un caffè...
La
normalità acquisita a poco a poco dunque, il che potrebbe alzare un “viva il
carcere” che ci fa apprezzare le piccole cose, quando invece te le toglie per
il semplice fatto che lo spazio sempre misurato e il dover sottostare ai livelli
minimi di autonomia ti riduce a un bambino e così quando esci inciampi nel
primo marciapiedi. Sei sbarcato. Alzati
e cammina!
*Angelo
Ferrarini, conduce laboratori di “scrittura lettura ascolto” in carcere
presso Ristretti (dal maggio 2009) e fuori (Lanterna Magica, Nuovi Spazi,
Officine della Musica, Vivipadova). Insegnante di lettere, scrive poesie-visive
in pubblico (Buskers Festival). Tiene un blog di racconti dal carcere: scritturasbarre.wordpress.com.
Socio fondatore di “Artisti a Progetto”, associazione culturale di
promozione sociale.
*Marco
Fantacuzzi,lavora
come produttore, regista e montatore in ambito audiovisivo e cinematografico. E’
fondatore e direttore artistico di Kinocchio, con cui organizza workshop di
cinema dal 2008. Kinocchio è il luogo ideale di tutti gli aspiranti registi, un
luogo dove è possibile sviluppare e realizzare i propri progetti con l’aiuto
dei maestri (www.kinocchio.com)
Ragni e parole in cella. Echi dal corso di
scrittura
Al
corso di scrittura si parla anche di animali, quelli trattati meglio di noi
detenuti o quelli che animano i nostri spazi, le celle. E allora si scrive anche
di quelli. Racconti e pensieri su animali domestici, addomesticati.
No,
semplicemente liberi. Perché inconsci del loro stare chiusi, lavoratori
indefessi instancabili rispettando la loro legge scritta chissà dove e da chi.
Per
scrivere al nostro corso si danno sempre delle idee, degli spunti di partenza,
dei testi-starter. Per esempio un racconto, anche orale nostro o di autore (da
qualche libro) o pensato apposta per far partire la narrazione, un testo esca,
uno spunto, una spinta (penso allo spinterogeno). E il gioco della scrittura non
finisce, come quello del pensare. Parola dà parola, pensiero dà pensiero. Una
parola tira l’altra. Per questo bisogna dare la parola, perché nessuno resti
senza parola. E parola detta, sasso gettato. Si tira, a volte non si tira
indietro, e tirata non si ritira più, ma si può correggere però.
di
Angelo Ferrarini,
il
laboratorio di scrittura di Ristretti
al Due Palazzi
Testo
Starter
Sono
sotto la doccia. L’occhio intercetta qualcosa che si muove verso la tenda. Un
ragno sulla mattonella. Mi rendo conto che siamo in due. L’istinto di
schiacciarlo c’è. Non lo faccio. Perché?
Il
ragno nella doccia /1
Il
professore va di fretta, va a farsi la doccia, vede un ragno, ma, non avendo
tempo, anche se l’istinto è di schiacciarlo, continua a lavarsi…
Il
ragno scivola e finisce giù nello scarico della doccia. Forse il ragno
sopravvivrà. Non è stato schiacciato, in quanto il professore andava di
fretta.
Una
convivenza sana
Sono
steso sul letto. L’occhio intercetta qualcosa che si muove sul muro: un ragno.
Mi rendo conto che non ero in cella da solo. Mi giro verso Tarak e gli dico: -
Hai visto che abbiamo un altro compagno? Cosa facciamo? Lo accettiamo e vediamo
come si comporta?
Abbiamo
deciso di lasciarlo perché non dà fastidio, siccome non abbiamo la fobia verso
di lui e non c’era neanche la voglia di ucciderlo. Perché, pensandoci bene,
c’è un motivo nella sua visita o per trovare terreno di caccia o un posto
caldo per passare la notte. Comunque mi diverto a osservarlo che passeggia
avanti e indietro.
Volevo
capire qual era la sua intenzione.
Alla
fine mollo per un po’ di tempo e non mi accorgo dove si è nascosto. Ma sono
sicuro che farà qualcosa di utile in cella, perché è un predatore e così
almeno riesce a cacciare gli insetti che entrano, come le zanzare, che ci danno
tanto fastidio.
Alla
fine, pensandoci bene, è una convivenza strana ma sana, perché uno aiuta
l’altro e la vita è un diritto per tutti. E come si dice: la vita è un
teatro, ognuno ha il suo ruolo e tutti sono indispensabili per l’altro.
Sofiane
Oggi
in doccia
Oggi
mi trovo in doccia e casualmente vedo un ragno. Per la testa mi passano tante
idee, ma l’idea più bella mi viene di tenerlo vicino e così faccio. Lo
prendo anche con un po’ di paura. Ma sono consapevole che non è un ragno
velenoso.
Mi
trovo in isolamento e non so con chi parlare. Parlare per me è un’occasione
fondamentale e un passatempo perché parlo quasi in ogni momento: non sono
stupido, ma non so con chi parlare, poi sono un detenuto e penso alla mia libertà
e non vorrei privarlo anche della sua. Non mi permetterei mai di tenere come
ostaggio qualcuno, perché penso ogni momento alla mia libertà.
Anzi
ora mi viene di mantenerlo in vita, perché è anche un passatempo, devo pure
parlare con qualcuno. Ma comunque è libero di andarsene quando vuole. Lo lascio
libero di decidere. D’altra parte mi dispiacerebbe, perché ho bisogno di
compagnia, mi sento solo. Ecco, in questo momento sto pensando alla mia
carcerazione, paragonandomi al ragno. Mi rendo conto com’è difficile pensare
di poter tenere rinchiuso un ragno. Figuriamoci un essere umano. L’ingiustizia
c’è dappertutto ma non per tutti. Sono sicuro che se qualcuno ha sbagliato è
giusto che paghi, ma in un modo giusto e umano.
l primo giorno di scuola
Paolo
Cambedda mi ha dato il testo per il corso di scrittura. E mi ha dato anche il
titolo: Il primo giorno di scuola. Mi ha consegnato il testo un giovedì, al
corso di scrittura, appunto, era il 20 febbraio, lo ricordo bene, come fosse
ora. Me lo dà in silenzio, me lo passa come si dà un foglietto a scuola, oggi
si dice un pizzino. L’ho letto a casa, riletto, pensando al nostro Gruppo. E,
come fanno tutte le riviste, l’ho rivisto, ma solo qua e là. Ed eccolo qua,
il racconto di Paolo. Questa riscrittura non è un atto di maleducazione o di
violenza: lo si fa abitualmente con tutti gli articoli che portate alla
Redazione della Rivista «Ristretti Orizzonti». O che portate qui al Gruppo.
Niente di particolare, in realtà, qualche parola spostata, qualche virgola in
più. Perché Paolo sa raccontare bene. Il bello è che l’ho letto al Gruppo,
presente Paolo, e poi lui l’ha raccontato a voce, e ci ha messo un’anima
nuova e lì si vede e si sente il narratore isolano, il pastore sardo nel prato
sotto il cielo o sull’aia davanti a casa, sotto il pergolo a raccontare. Il
titolo trae in inganno, come la realtà. Ma questa volta era davvero la prima
volta. Un ritorno a scuola, quando tutti ascoltano la maestra e a te, accidenti,
ti viene da andare in bagno. Scusi, maestra. Che c’è? Dovrei uscire? E perché?
Dovrei andare in bagno. In bagno? Sì. Posso? E va bene, ma fai presto. Non è
andata così, ma quasi…
Angelo
Ferrarini
Il
primo giorno di scuola
di
Paolo Cambedda
Dopo
circa un ventennio di detenzione, il 14 febbraio di quest’anno sono uscito per
un “permesso giornaliero”. Si trattava di partecipare al «Progetto Scuola
Carcere», che, come ormai tanti sanno, consiste in questo: alcuni detenuti
possono fruire, appunto, di alcune ore di permesso, di uscita, per incontrare
gli studenti a scuola; oppure sono gli studenti che possono entrare in carcere
per incontrare noialtri detenuti.
Noi
di «Ristretti Orizzonti» di studenti ne incontriamo oltre seimila l’anno.
Dico noi, intendendo la Redazione. Per quanto mi riguarda, a questi incontri
avevo già partecipato prima, ma solo in carcere. Col permesso di uscita ho
fatto dunque un’esperienza nuova.
Venendo
al “primo in esterno”, oltre alla spietata paura che tutti si ha quando si
esce la prima volta, dopo lunghissimi anni, in me incombeva anche un altro tipo
di paura, quello di incontrare gli studenti a “casa loro”. A casa loro però,
forse uno si sente più protetto, ma questo era solo un mio vago pensiero.
Finalmente,
dopo ansia e immaginazioni di ogni tipo, io e gli altri in permesso siamo
entrati in aula. L’accoglienza era usuale a quelle che si provano negli
incontri con le scuole in carcere. Questa ritrovata sensazione quindi mi ha
permesso subito di “respirare” con più facilità.
Tutto
dunque andava bene, racconti, risposte, fatte con quella forma civile che a me
non apparteneva più da anni. Ho cercato di spiegare il progetto in cui siamo
inseriti, il recupero, il cammino e così via.
A
un certo punto della “lezione” ho avuto bisogno dei servizi igienici. Alzo
la mano e chiedo di poter fruire del bagno. Nell’aula silenzio totale. Ho
sentito freddo, ho immaginato che gli altri, tutti?, avrebbero pensato “’mo
quello scappa dalla finestra”. Timorosamente mi sono avviato. Ho fatto ciò
che dovevo. Mi stavo lavando le mani quando a un certo punto sul lavandino del
bagno vedo un anello, bell’anello. Descrivere questo momento mi viene quasi
impossibile, come descrivere il terrore non è facile. Per qualsiasi cittadino
onesto sarebbe stato chiaro sapere cosa fare. Io lì per lì non sapevo proprio
che pesci pigliare. Buttarlo nel water? Pensavo fosse una trappola per mettermi
alla prova. Ci sono rimasto male. Poi ho pensato l’ovvio, prenderlo e
consegnarlo alle professoresse, là dove stavamo facendo l’incontro. Ma mi
sono detto: e se durante il tragitto arriva qualcuno? mi avrebbe fermato e mi
avrebbe chiesto spiegazioni.
A
quel punto ho accumulato tutta la mia forza e come un deficiente, ma dopo dieci
minuti, sono uscito dal bagno, con l’anello sulla punta delle dita e il
braccio alzato come un cretino. Corro in classe, entro, poso l’anello sulla
cattedra. Ho detto: -Non sono scappato e ho pure trovato un anello. Un fragorio
di applausi, risate e ringraziamenti pervade l’aula, ma credo anche la scuola.
Mi
sono sentito bene, mi sono sentito leggero, mi sono sentito quello che speravo
fossi diventato. Ma mi sono reso conto che il diavolo è sempre dietro
l’angolo! La giornata proseguiva e io pensavo spesso a quel particolare, ero
fiero di me.
Ci
stavamo avviando a una trattoria per mangiare qualcosa. In una stradina stretta
vedo una signora che dal bagagliaio della sua auto scarica delle sedie
pieghevoli, faceva fatica. Così mi sono avvicinato per darle una mano, ho preso
qualche sedia e gliele ho portate sino all’uscio, presumo di casa. Quando ho
visto che stava infilando la chiave nella serratura (questa è la seconda paura)
sono scappato via. Mi son detto: “Porca miseria magari penserà che voglio
rubarle in casa”. Mentre invece quella mi riempiva di ringraziamenti infiniti.
Queste
sono due delle tante paure (ma tante altre ci sono) che s’incontrano quando un
detenuto esce così, all’improvviso, dopo tanto, senza un avvicinamento
graduale alla società.
Aspetto
le prossime paure, ma con la determinazione di poterle superare. Un cittadino
sardo.