“Le
famiglie che seguiamo hanno quasi sempre un parente detenuto”
In
una realtà così complicata, rischia di finire oscurato chi ogni giorno si
batte con costanza per dare un’alternativa, soprattutto ai giovani che spesso
non hanno possibilità di scegliere da che parte stare e si trovano irretiti in
un sistema di valori sballato.
di
Vera Mantengoli
“Benvenuti
a Scampia. Basta crederci e trovi un mare di bene a Scampia”.
Le
cosiddette parole di cemento dell’artista Rosaria Iazzetta stordiscono
chiunque scenda per la prima volta a Piscinola, ultima fermata della
metropolitana e porta di ingresso del quartiere Scampia, abitato da 80 mila
persone.
Dove
si trova Scampia? Nella mappa geografica è a Napoli, ma in quella politica
sembra essere ovunque, in tutta Italia, in tutto il mondo. Qui, nel cuore di un
groviglio di cemento, si trovano i famigerati sette palazzoni dello spaccio,
capeggiati dal Lotto P che ha fama di essere il più grande emporio di
stupefacenti in Europa. Più avanti, spuntano imperiosi i complessi edilizi
chiamati Case dei Puffi, seguiti dalle abitazioni di forma triangolare
conosciute come Vele, ospitanti centinaia di appartamenti collegati da un
sistema di scale incrociate.
La
grande scritta, in italiano e in inglese, è disegnata sulle facciate di due
edifici, piazzati come le colonne d’Ercole a segnare l’ingresso di un altro
mondo. Nonostante la maggioranza della popolazione residente conduca una vita
lontana dalla camorra, non si può infatti negare che questo sia il regno della
droga e l’ultimo girone di un sistema di corruzione piramidale che sfuma a
mano a mano che si sale verso il vertice. Gruppetti di spacciatori sostano qua e
là, pronti a vendere a chi si fa sotto. I vigili non entrano nel quartiere,
solo la polizia si aggira con le volanti per le strade, in prevalenza deserte.
La
presenza tangibile della camorra ha spinto però gli abitanti a uno scatto
d’orgoglio che rende anche per questo Scampia un luogo più unico che raro.
Purtroppo i cruenti fatti di cronaca oscurano chi ogni giorno si batte con
costanza per dare un’alternativa, soprattutto ai giovani che spesso non hanno
possibilità di scegliere da che parte stare e si trovano irretiti in un sistema
di valori sballato. «Una parte di Scampia galleggia sul lavoro nero –
racconta il gesuita del Centro Hurtado, Padre Fabrizio Valletti, impegnato nelle
carceri del territorio – perché molte imprese non mettono in regola i
lavoratori, ma non lo fanno neppure le famiglie benestanti di Napoli con le
colf. Ogni giorno da Scampia tantissime donne vanno in città a fare le pulizie
nelle case dei ricchi prendendo 6 euro all’ora, ma senza essere messe in
regola”. Un problema, quello dell’economia sommersa, che qui è sotto gli
occhi di tutti, ma non si può negare che sia presente in tutta Italia. «Le
famiglie che seguiamo – continua il gesuita, ex insegnante di lettere, con
un’esperienza decennale alle spalle nelle carceri di Firenze e Bologna –
hanno quasi sempre un parente detenuto. Il problema dei bambini è che crescono
dicendo che il papà è stato arrestato mentre lavorava, il che non comporta
soltanto una concezione del lavoro totalmente sbagliata, ma la rappresentazione
di un’organizzazione sociale distorta dove c’è una grande confusione tra
legale e illegale”.
Il
Centro Hurtado si trova proprio nel cuore di Scampia e si occupa di molti
progetti, soprattutto rivolti ai bambini (www.centrohurtado.
it). Non lontano dallo stabile sorgono due campi abusivi Rom con circa un
migliaio di persone, tutte accampate vicino a cumuli di spazzatura che
raggiungono quasi la tangenziale che ci passa sopra e sulla quale altre
associazioni hanno dipinto in grande un sole nei raggi del quale è dipinta la
scritta: «È permesso?”. In realtà esistono cinque campi Rom autorizzati, ma
si trovano distanti dal centro del che si svolgono. Il problema è che, anche se
sono riconosciuti, sono isolati dal punto di vista urbanistico e finiscono per
essere ghettizzati. I più vicini, composti da un migliaio di persone, sono nati
spontaneamente, costruendo abitazioni di fortuna con pannelli di compensato o di
plastica. Quello che più colpisce è che, proprio di fronte a questa sorta di
favelas, si trova il posteggio della Sia di Napoli (Servizio Impatto Ambientale)
con una quindicina di camion per la raccolta dell’immondizia parcheggiati di
fronte alla spazzatura. «Non si tratta solo di rifiuti di Scampia – spiegano
alcuni operatori – perché qui in molti vengono da Napoli a gettare
l’immondizia. Perché i camion non raccolgono i rifiuti? La scusa ufficiale è
che questa spazzatura non si trova nel percorso prestabilito, ma la vera
motivazione è che aspettano che il cumulo diventi montagna in modo da ricevere
un contributo straordinario per la raccolta”.
Il
Centro Hurtado ha inaugurato da qualche tempo due attività che vanno di pari
passo con due iniziative, ormai decollate, che si svolgono in Veneto: l’orto
giardino nel carcere di Secondigliano, a cura di un gruppo di detenuti, e il
laboratorio di sartoria, ubicato nella sede dei gesuiti, con il marchio «Fatto@
La
colpa della cattiva fama di Scampia viene spesso imputata al giornalista Roberto
Saviano, autore del celebre «Gomorra”, da cui è stato tratto l’omonimo
film di Matteo Garrone. Molte persone continuano a puntargli il dito contro,
attribuendogli la responsabilità di una brutta reputazione. In questi giorni,
alla notizia dell’inizio delle riprese della fiction intitolata «Gomorra 2»,
a cura del regista Stefano Sollima, in collaborazione con Roberto Saviano, si è
scatenato un dibattito dai toni molto accesi che risolleva la questione se sia
giusto o meno parlare di Scampia. Il sindaco Luigi De Magistris e il presidente
della municipalità Angelo Pisani si sono infatti opposti alla produzione,
sostenendo che il film avrebbe ancora una volta leso l’immagine del quartiere.
Altri, invece, sostengono che girare un film a Scampia potrebbe aiutare a
puntare le luci dei riflettori sulla maggioranza della gente che lotta contro la
criminalità, come racconta lo scrittore Rosario Esposito in Al di là della
neve e Libera Voce. Nel mensile del quartiere di Scampia di
novembre, intitolato «Fuga di Notizie”, una parte è dedicata proprio ai
molti libri che sono usciti su Scampia, caratterizzati da quello che viene
indicato come filone testimoniale, ovvero quel ramo di scrittura che scaturisce
dal desiderio di raccontare una realtà, in questo caso quella della quotidianità.
Tra gli scrittori citati vengono ricordati Felice Pignataro con L’utopia
sui muri, Aldo Bifulco con L’angolo della gru, Domenico
Pizzuti con Le due Napoli e altri, come quello del padre guanelliano Don
Aniello Manganiello, autore di Gesù è più forte della Camorra,
scritto a due mani con il giornalista Andrea Manzi e presentato a Mestre a
dicembre in occasione della serata «Scampia chiama. Venezia risponde. Le nuove
mafie in Veneto”. Questo fatto costringe a porsi ancora la stessa domanda:
dove si trova Scampia?
Quando
nel 2006 Gomorra entra nelle teste e nei cuori di milioni di cittadini di tutto
il mondo una grande parte dei meccanismi mafiosi che lavorano nel sottosuolo
viene svelato, costringendo la popolazione a un duro risveglio. Il messaggio è
chiaro e diretto: su alcune questioni non ci si può permettere di chiudere gli
occhi, ma urge vigilare. Com’era Scampia prima del libro di Gomorra non lo
sappiamo, ma si stenta a credere che fosse un’oasi di pace. Di sicuro una
grande fetta di italiani non ne sapeva nulla di come lavora la camorra e tanto
meno che si fosse da tempo infiltrata nel ricco e produttivo Nord Est.
Parlare
di Scampia significa ammettere che l’illegalità è una questione italiana e
non napoletana
Il
fatto che le riprese di un film abbiano provocato fastidio alle istituzioni
costringe a riflettere su almeno tre punti. Il primo è quello di credere che si
possano lavare i panni sporchi con un sorriso. L’accusa all’autore di
Gomorra è sempre stata quella di aver infangato un territorio non mostrandone
la parte pulita. È davvero questo il compito di un cronista? Mostrare la brutta
faccia della medaglia è molto spesso la missione del giornalista che fa
inchiesta. Viene così da pensare se la censura alle riprese di «Gomorra 2»
non sia un modo per oscurare invece molti buoni propositi mai realizzati dalle
istituzioni, come i progetti di recupero del territorio lasciati vegetare
all’aria aperta e dei quali oggi non si vede che uno scheletro. Parliamo della
succursale del dipartimento di medicina che giace inconclusa da due anni con
tanto di impalcatura, della mancata costruzione delle case popolari prevista al
posto dell’abbattimento di alcune Vele e dell’arredo urbano di cui non si
vede traccia.
La
seconda riflessione è pensare che Scampia appartenga a Napoli o, ancora più
malignamente, al Sud. Se la catena di solidarietà umana che si respira non
appena si entra a Scampia viene messa in secondo piano dai media, è
obbligatorio domandarsi se la responsabilità sia davvero di un giornalista che
fa un’inchiesta. Chiunque inizi a informarsi su questo territorio scopre
immediatamente una rete che pullula di associazioni, fondazioni e centri
religiosi attivissimi. Parlare di Scampia significaammettere che l’illegalità
è una questione italiana e non napoletana. Infine, la terza riflessione, è
quella su una sorta di sindrome dell’etichetta che si esprime quando la stampa
e le istituzioni non valorizzano lo stato d’animo degli abitanti, che si
sentono di conseguenza spinti in un cono d’ombra o, peggio ancora, marchiati
di un timbro che non li rappresenta fino in fondo. Il punto è che non esiste
una Scampia completamente criminale come neppure una solo solidale. Cercare di
pensare che una realtà è l’insieme di più sfumature e non ridurla a un
semplice bianco e nero può spingere la ragione ad affrontare i mostri che la
minacciano, senza ripiombare in un ingenuo sonno.
«Un
artista deve potersi esprimere – commenta Padre Valletti a proposito delle
riprese – e ben venga il dibattito su Scampia, ma credo che sarebbe da fare un
film su dove stanno davvero i boss della camorra oppure su quello che ha fatto
Silvio Berlusconi in questi ultimi decenni, anche con il consenso della Chiesa.
Il problema di Scampia è che manca un vero progetto politico che faccia
l’interesse dei più deboli. C’è un grande bisogno di educazione e di
informazione, ma soprattutto c’è bisogno di un anello di congiunzione tra il
mondo carcerario e la società civile che non è preparata ad accogliere chi
vuole riscattarsi. Chiamiamo società civile una società che non è in grado di
occuparsi della rieducazione post pena e di mettere in pratica la Legge Gozzini.
Anche la chiesa dovrebbe essere più incisiva e non svolgere soltanto
un’attività di assistenza. Permane purtroppo nella cultura cattolica italiana
una diffidenza verso un mondo laico che invece può far emergere delle posizioni
e delle prospettive oneste.
Decisamente
favorevole alle riprese è il regista napoletano Gaetano Di Vaio che, dopo
un’esperienza carceraria, fonda l’associazione culturale «Figli del
Bronx” che diventa poi una Società di Produzione Cinematografica,
partecipando alle ultime edizioni della Mostra del Cinema di Venezia (ultimo il
film su Castel Volturno di Guido Lombardi intitolato «Là-bas”): «È
ridicolo sostenere che una fiction o un film possano ledere l’immagine di un
quartiere – afferma – che è da decenni violentato e stuprato da una
politica assassina. Anche il sindaco di Castel Volturno non voleva che facessimo
le riprese. Purtroppo mi sembra che chi fomenta questa polemica abbia solo
bisogno di visibilità, alimentando la diffusione di bugie come quella del
commercianteche dice di aver ricevuto la proposta di far esplodere il suo
locale, davvero assurda. Sono menzogne strumentali che fanno male perché tutto
quello che può arrivare a Scampia e in questo territorio è soltanto una grande
opportunità che muove l’economia del quartiere e offre nuovi stimoli, come
dimostra il progetto teatrale «Arrevuoto”, finanziato dal Ministero della
Cultura subito dopo le riprese di Gomorra, che ha fatto incontrare i ragazzi di
Scampia con quelli di Posillipo e continua ancora oggi con grande successo.
Oppure pensiamo a Sasà Striano, ex detenuto, prima attore di Gomorra e poi
protagonista in Cesare deve Morire dei fratelli Taviani. Ma non
solo lui. Anche Salvatore Ruocco e Carmine Paternoster hanno avuto una grande
opportunità di riscatto grazie al film, ma al di là di questo ripeto che tutto
quello che può arrivare nel quartiere da fuori è positivo anche per attirare
l’attenzione sulle molte realtà che ci lavorano come l’Associazione Mammut
o la Compagnia Vodisca (Voci di Scampia) che hanno a cuore la formazione dei
giovani”. Oltre i grigi isolati centrali, occupati dai traffici della camorra,
il quartiere si estende verso l’interno, dove trovano spazio grandi campi di
calcio, come l’Arci Scampia in Via Fratelli Cervi, restaurato da poco dalla
Fondazione FabioCannavaro e Ciro Ferrara che ha coinvolto più di 600 ragazzi e
rispettive famiglie che stimolano i figli a dedicarsi allo sport. «Come
Fondazione siamo attivi in tutto il territorio – racconta Serena Messina,
responsabile del progetto che si può vedere in sintesi nel video «Angeli dalla
faccia sporca” sul sito www.fondazionecannavaroferrara.
it – ma la solidarietà e l’efficienza delle associazioni che abbiamo
trovato a Scampia non l’abbiamo trovata da nessun’altra parte. Per questo
siamo rimasti molto legati a questo posto dove si sente una fortissima umanità.
La
polemica sul film? È vero che i media dovrebbero fare più luce sulle attività
positive, ma mi sembra una posizione un po’ integralista quella di vietare le
riprese. Nel libro di Saviano si accenna a Parco Verde, un rione di Caivano, un
luogo dove stiamo lavorando oggi con i minori di cui non parla nessuno. Scampia,
a confronto, è una passeggiata, ma l’importante è che queste attività siano
conosciute per mostrare anche che c’è chi si oppone alla malavita”.
I
discorsi della gente non si discostano molto da quelli che, recentemente, si
sono fatti sentire anch al Nord per la mancanza di lavoro. La disperazione
spinge infatti a deviare verso cattive strade pur di portare a casa qualche
soldo o, peggio ancora, a tentare la fortuna nel gioco d’azzardo che miete
vittime in tutta Italia, non solo a Scampia. Eppure, si respira un’aria di
speranza e orgoglio, visibile nelle incisive parole di cemento, come quelle sui
palazzoni che ricordano: «Quando il vento dei soprusi sarà finito, le Vele
saranno spiegate verso la felicità”. Qui la forza di gravità che tira verso
il basso sembra più vertiginosa, ma si tratta della stessa in ogni luogo
d’Italia e, forse, del mondo. «Le nuove povertà non esprimono solo
sofferenza – conclude Padre Valletti, fondatore anche della Cooperativa
Tessile La Roccia – ma anche una particolare ricchezza per come risolvere i
problemi che scaturisce proprio dalle situazioni di estrema difficoltà. Questo
è anche il mio modo di vivere la fede e l’ispirazione religiosa, ovvero come
la capacità di pensare sempre il nuovo. Bisogna dare fiducia ai giovani e avere
fiducia nei giovani che qui arrivano continuamente, a partire dai gruppi di
scout. Pensare il nuovo significa anche ascoltare e seguire chi produce delle
novità. Solo così ci si può rendere conto di quante persone sono impegnate in
un percorso di innovazione”.
E di come ci possa essere un mare di bene anche a Scampia.