Quando
il carcere è come una malattia devastante
Dall’Ordinanza
del Tribunale di Sorveglianza di Venezia del 13.2.2013
in
materia di sovraffollamento
a
cura della Redazione
Attualmente
egli si trova ristretto nella cella n. 9 del IV blocco Reparto B della Casa di
reclusione, avente le seguenti dimensioni: mt. 3,92 x mt. 2,32 con una
superficie abitabile di 9,09 mq. Il bagno attiguo, cui si accede attraverso una
porta che si apre verso l’interno della camera di pernottamento, presenta una
superficie di 5,25 mq. Il detenuto attualmente divide la cella con altri due
compagni. La cella presenta la misura ‘standard’ fissata dall’art. 2 del
Decreto del Ministero della Salute del 5 luglio 1975 che, valevole per le sole
‘stanze da letto’ di civile abitazione, è stata adottata
dall’Amministrazione penitenziaria quale parametro di riferimento della camera
di pernottamento, benché, peraltro, ivi si svolga l’intera vita del detenuto.
Ciò
detto si osserva che lo spazio a disposizione del X fin dal momento in cui ha
fatto ingresso nella Casa di reclusione (e cioè da 33 gg.) è di 3,03 mq,
mentre durante la permanenza nella Casa circondariale (131 gg.) egli ha
usufruito di uno spazio inferiore, pari a 2,43 mq. (per 9 gg.) e 2,58 mq. (per i
restanti 122 gg.). Nel primo caso lo spazio disponibile è di soli 3 cmq.
superiore al limite minimo considerato ‘vitale’ dalle ben note pronunce
della Corte Europea dei diritti dell’Uomo (Sulejmanovic v./Italia del 16
luglio 2009 e Torreggiani v./Italia dell’8 gennaio 2013) e nel secondo caso è
inferiore. Va tuttavia considerata l’ulteriore riduzione dello spazio
effettivamente utilizzabile derivante dall’ingombro costituto dalla presenza
nella cella di vario mobilio e, in particolare, presso la Casa circondariale di
7 armadietti grandi (alti da terra mt. 1) di cm. 50 x cm. 35, complessivamente
occupanti mq. 1,22, che riducono lo spazio disponibile nella cella fino a 21,87
mq. (per 9 gg.) e 23,36 mq. (per 122 gg.), pari rispettivamente a 2,30 mq. e a
2,45 mq. Per ciascun occupante; presso la Casa di reclusione di 3 armadi grandi
(alti da terra mt. 1,04) di cm 49,2 x cm 37,2, per complessivi mq. 0,54, che
riducono lo spazio effettivamente disponibile a 8,55 mq. pari a 2,85 mq. per
persona, nettamente al di sotto del limite ‘vitale’ di 3 mq. come stabilito
dalla Corte europea. La circostanza relativa all’ingombro del mobilio (nel
caso di specie non si considerano gli altri oggetti costituenti l’arredo della
cella: sgabelli e tavolino perché di fatto amovibili, utilizzati solo al
bisogno e spesso riposti nel bagno e, quanto alle brande, perché utilizzate per
distendersi e dunque rientranti nello spazio concretamente disponibile) non può
essere trascurata tanto è vero che essa è stata espressamente evidenziata
nella sentenza dell’8.01.13 della CEDU quale fattore incidente sullo spazio
vitale (v. Torreggiani v./Italia, pag. 16: “Cet espace, déjà insuffisant, était
par ailleurs encore restreint par la présence de mobilier dans les cellules”).
In definitiva lo spazio effettivamente utilizzato oggi dal X è di gran lunga
inferiore al limite di 3 mq. ove si considerino gli armadietti fissi alla
parete, non amovibili, e comunque,
ancorchè non si volesse considerare detto ingombro, lo spazio disponibile
sarebbe di pochissimo (3 cmq.) superiore a quel limite (3,03 mq.).
Sebbene
il criterio indicato dal Comitato per la prevenzione della tortura e delle pene
o trattamenti disumani o degradanti (organismo istituito in seno al Consiglio
d’Europa in virtù della Convenzione europea per la prevenzione della tortura
e delle pene o trattamenti inumani o degradanti, ratificata dall’Italia con
Legge 2 gennaio 1989, n. 7) nel 2° Rapporto generale del 13.04.1991 sia di
almeno 7 mq., inteso come superficie minima ‘desiderabile’ per una cella di
detenzione, tuttavia la Corte di Strasburgo ha ritenuto che il parametro dei 3
mq. debba essere ritenuto il minimo consentito al di sotto del quale si avrebbe
violazione ‘flagrante’ dell’art. 3 della Convenzione e dunque, per ciò
solo, ‘trattamento disumano e degradante’, e ciò indipendentemente dalle
altre condizioni di vita detentiva (afferenti in particolare le ore d’aria
disponibili o le ore di socialità, l’apertura delle porte della cella, la
quantità di luce e aria dalle finestre, il regime trattamentale effettivamente
praticato in istituto).
“Se
si sceglie di mettere tutti in prigione, per qualsiasi reato, il risultato è il
sovraffollamento, e condizioni orribili. La costruzione di nuove carceri non è
la soluzione. Per questo si devono sviluppare misure alternative”: sono parole
pronunciate di recente dal Commissario per i diritti umani del Consiglio
d’Europa Nils Muiznieks, perché l’Europa sempre più spesso è costretta ad
occuparsi delle nostre galere. Ma se ne dovrà occupare a breve anche la nostra
Corte costituzionale, “sollecitata” da un magistrato di Sorveglianza di
Padova, Marcello Bortolato, che ha svolto nel modo più attento una delle sue
funzioni, quella di impartire “disposizioni dirette ad eliminare eventuali
violazioni dei diritti dei condannati e degli internati”. (O.P.)
Un
magistrato “buono”? No, un magistrato responsabile
di
Elton Kalica
Il
magistrato di Sorveglianza di Padova, Marcello Bortolato, ha sollevato una
questione di incostituzionalità, domandando alla Corte Costituzionale di
valutare se la norma che prevede il differimento della pena in casi gravi, non
possa prevederlo anche per il sovraffollamento del carcere. Insomma al giudice
è venuto il dubbio che forse la stessa legge che consente di sospendere la pena
per chi sta male a tal punto che non può rimanere in carcere, dovrebbe
consentire di sospendere la pena quando le condizioni di vita in un carcere
strapieno sono simili a un trattamento inumano e degradante.. Ora la parola
passa alla Consulta.
Cosa
succede ora? Senza nascondere il timore per le reazioni che parleranno di
buonismo dei giudici, alla quale ricorrerà buona parte della politica e della
stampa – mi vedo già i titoloni del tipo “Carcere pieno: niente più galera
per chi delinque” – vorrei fare una riflessione sui giudici che si trovano
ad esprimersi sulla condizione delle carceri.
Se
il magistrato di Sorveglianza di Padova Marcello Bortolato chiede se sia legale
o no mettere in galera le persone nelle condizioni attuali, non lo fa perché è
“buono”. Guardando il suo operato posso affermare che è un magistrato che
non è affetto da “buonismo” quando si tratta di giudicare il percorso del
condannato.
Credo
invece che la questione sollevata dal magistrato sia un atto dovuto allo stesso
senso di giustizia e di legalità che ha portato il Presidente della repubblica
a pronunciarsi più volte sulla situazione delle carceri. Ma credo nello stesso
tempo che sia anche una risposta alla recente condanna che la Corte europea dei
diritti umani ha inflitto all’Italia l’otto gennaio scorso, nel caso
Torreggiani.
Nel
2009 c’era stata un’altra sentenza simile, il caso Sulejmanovic: lo stato
aveva (forse) risarcito il detenuto e la questione era finita lì. Questa volta
però la sentenza è diversa: è una “sentenza pilota”, che significa che
troverà applicazione in futuro a tutti i reclami contro l’Italia che hanno
come oggetto analoghe questioni di sovraffollamento carcerario, anzi, troverà
applicazione anche ai reclami che saranno sottoposti in futuro alla CEDU. E dato
che la Corte non si è limitata solo a condannare, ma ha anche indicato delle
misure generali che lo Stato dovrebbe adottare per contrastare tale situazione,
come quella di ridurre il numero dei detenuti prevedendo, in particolare,
l’applicazione di misure punitive non privative della libertà personale in
alternativa a quelle che prevedono il carcere e riducendo al minimo il ricorso
alla custodia cautelare in carcere (§ 94). Ecco che la questione sollevata dal
magistrato Marcello Bortolato è da considerarsi anche un tentativo di trovare
un rimedio alla stangata ricevuta dall’Europa, una specie di misura
alternativa alla condanna che
l’Italia deve scontare. Anche perché la Corte ha dato un anno di tempo
all’Italia per provvedere ad adottare le misure raccomandate, altrimenti
pioverà una cascata di condanne relative a centinaia di ricorsi già
presentati, e altrettanti in arrivo.
Se
i magistrati di Padova non sono spinti da buonismo, tantomeno lo sono i giudici
europei. Basta ricordare i vari ricorsi presentati contro l’Italia da detenuti
sottoposti al regime previsto dall’art. 41 bis. Si tratta di un regime di
isolamento particolare pensato per i mafiosi, dove i detenuti possono stare
anche per anni, facendo solo un colloquio al mese con i famigliari, e attraverso
un vetro divisorio. Tuttavia, la Corte ha sentenziato diverse volte che le
condizioni di detenzione, le prescrizioni e le limitazioni che tale regime
comporta non sono abbastanza gravi da superare la soglia necessaria a stabilire
un trattamento inumano e degradante. Anche se la Corte ha ammesso che questo
tipo di regime trova giustificazione in ragione degli sforzi compiuti
dall’Italia nella lotta alla criminalità organizzata, ciò non toglie che si
tratta di una posizione discutibile, dato che la tortura e i trattamenti inumani
e degradanti sono forme vietate in assoluto, anche quando applicate ai mafiosi.
Tornando alla sentenza Torreggiani, tra i membri della Corte c’era anche un
giudice italiano, Guido Raimondi, che ha sostenuto la condanna dell’Italia
perché era chiaro che sul problema del sovraffollamento delle carceri occorreva
esprimere una linea intransigente da parte delle CEDU.
Per
concludere, da oggi, chi si occupa di carcere ripone molte speranze nella
decisione della Consulta, senza però aspettarsi di trovare in essa dei giudici
buoni, ma solo dei giudici responsabili. Come lo sono stati i giudici della
Corte costituzionale tedesca, che due anni fa hanno stabilito il che debba
essere interrotta la detenzione quando essa è espiata in condizioni
“disumane”. Anche perché le cosiddette liste d’attesa vengono largamente
usate dai paesi del Nord Europa, dove l’elevato grado di civiltà è stato
raggiunto anche grazie a una visione della giustizia meno degradante, che non
significa necessariamente “buona”, e tanto meno “buonista”.
Se
vivere in 2,85 metri quadri vi sembra vita
di
Alain Canzian
Sono
un carcerato che vorrebbe farsi la sua condanna più tranquillamente possibile,
ma si trova in una situazione grave di un carcere dove, come ha scritto il
nostro magistrato, “lo spazio effettivamente disponibile (per tre persone in
una cella) è di 8,55 mq. pari a 2,85 mq. per persona, nettamente al di sotto
del limite ‘vitale’ di 3 mq. come stabilito dalla Corte Europea”.
Uno
prova a condividere con i suoi compagni le sue angosce, i suoi stati d’animo,
i suoi pochi spazi e purtroppo deve sempre combattere, anche per le cose più
semplici, come far capire che dobbiamo cercare di tenere tutto più pulito
possibile, avendo già gli scarafaggi che fanno da padroni. Mi sforzo di
rimanere calmo, per farlo devo continuare a dirmi che va tutto bene, anche se lo
so che mi sto prendendo in giro, non va per niente bene, mi sento solo e devo
sempre combattere una battaglia senza fine, e allora mi chiudo come un riccio
nel mio angolino e penso solo a qualche ricordo bello, come la mia famiglia, e i
miei figli, ma anche ai miei ex compagni di cella, quelli con i quali stavo bene
e che per motivi che non conosco sono stati spostati. Non sono l’ultimo
arrivato ma devo spesso soccombere, perché sono uno che non sa fare la voce
grossa, ma vuole solo portare a termine la sua pena in modo decente. In questo
mio percorso, sto incominciando ad usufruire di qualche beneficio, perché ho
sempre avuto una detenzione modello, e non voglio buttare al vento quello che
con grande fatica mi sono costruito nei vari anni di detenzione.
Devo
continuare allora a stringere i denti, ne ho passate tante e non mi posso
proprio fermare ora che qualcosa ho ottenuto, come passare un po’ del mio
tempo in una redazione, incontrare gli studenti, andare in permesso, sapendo che
molti come me non hanno la possibilità di fare nulla e devono lottare ogni
giorno con quella dura realtà che è un carcere strapieno di persone che non
vedono un futuro. So che dovrò ingoiare ancora molti rospi, specialmente quelli
che fanno più male, e dovrò contare solo sulla mia saggezza di persona calma,
con la speranza che qualcosa cambi, io non sono nato qui e qui non dovrò
rimanere per sempre, perché come dice un amico che sta peggio di me “tu
almeno hai il fine pena”, e questa è l’unica cosa certa, che tutto questo
un bel giorno deve finire, anche se alle volte mi sembra quasi impossibile, mi
sembra troppo lontano quel giorno.
Tento
allora di concentrarmi disperatamente su quelle poche cose che mi aiutano a
stare meglio, come la musica che anche in questo momento mi fa viaggiare con la
mente, devo evadere in qualche modo, devo scappare da una situazione che mi
provoca solo ansia. Sono sempre stato una persona positiva, anche se la vita non
è stata proprio generosa con me, ne ho passate tante e non mi devo fermare
proprio adesso, devo cercare in tutti i modi di ricordarmi ogni giorno di quando
tutto questo sarà solo un lontano ricordo.
Vita
da sovraffollati
di
Sofiane Madsiss
Come
trascorre il detenuto la sua giornata in un carcere sovraffollato? La domanda in
sé sembra facile, ma la risposta non lo è, perché come si fa a descrivere il
tempo passato a non fare nulla e la noia infinita? Cercherò comunque di
descrivere una giornata ordinaria in carcere, cosi almeno la gente cosiddetta
libera capirà bene cosa vuol dire il sovraffollamento, e si renderà conto
anche che non è un problema di esseri umani che stanno stretti in uno spazio
ridotto, ma un problema di reinserimento del detenuto, che in un carcere
strapieno non è possibile.
Credo
che la maggioranza della gente fuori immagini la giornata di un recluso come si
vede nei film americani: sveglia la mattina presto, tutti in mensa per la
colazione, lavoro, palestra, pranzo in comune in una grande sala, il tempo di
fumarsi una sigaretta e poi di nuovo in cella a leggere un libro o guardare la
TV. Sembra una cosa divertente, mangiare, guardare la televisione e dormire
sotto un tetto sicuro, e tutto gratis, sembra quasi la descrizione di una
vacanza a tutto relax, ma non è cosi la realtà delle carceri italiane.
Io
sono un detenuto che faccio parte della redazione di “Ristretti Orizzonti”,
dove scriviamo sui problemi carcerari, incontriamo gli studenti, discutiamo,
siamo impegnati per due ore la mattina e due ore il pomeriggio, cosi ogni giorno
ho qualcosa da fare e da imparare e dò un senso alla detenzione. Ma nei giorni
delle feste la redazione era chiusa, allora anch’io ho sperimentato cosa
significa dover stare in cella a non fare niente dalla mattina alla sera, come
sono costretti a fare ogni giorno almeno cinquecento detenuti, dei novecento che
ci sono nella Casa di reclusione di Padova. Ecco allora una giornata di carcere,
da dimenticare interamente perché non c’è niente che valga la pena
ricordare: mi sveglio la mattina all’apertura dei cancelli, faccio colazione e
fumo una sigaretta, dopo torno a letto a guardare la tv, alle 11:30 arriva il
pranzo, mangio e fumo un’altra sigaretta, dopo mi metto a guardare il
telegiornale, verso le 12:30 vado a fare la doccia, mi rivesto, rifaccio il
letto, bevo un caffè mentre penso a cosa dovrei fare dopo, ma siccome non c’è
niente da fare torno a letto a guardare la tv (i soliti programmi ripetuti
all’infinito) fino all’ora della cena che viene servita alle 16:30, dopo
mangiato passo un’oretta camminando avanti e indietro in pochi metri e
chiacchierando con un compagno, alle 19:30 è l’orario della chiusura delle
celle e la fine di una giornata inutile come migliaia di altre qui dentro.
Avete
immaginato bene tutte le scene della giornata? io sì, mi sono immaginato come
un cane chiuso in una gabbia di meno di tre metri quadrati, che mangia e dorme e
qualche volta si muove avanti e indietro, in questo caso gli animalisti dicono
che è maltrattamento far vivere un cane in queste condizioni, immaginate un
essere umano fare questa vita per tre quattro cinque anni anche di più, per
forza la maggior parte dei reclusi cerca di evadere da questa realtà con gli
psicofarmaci.
Ho cercato di descrivere una giornata qualsiasi di un detenuto immerso nel problema del sovraffollamento, senza un percorso di rieducazione vero. Io mi sento fortunato perché qualcosa sto facendo, ma la maggioranza dei detenuti che non fa niente dalla mattina alla sera cosa potrà imparare dalla sua carcerazione? niente, proprio niente, solo delinquenza, e potrà così diventare un pericolo per la società. Perché se nessuno cerca di fargli capire dove hanno sbagliato, è impossibile che diventino delle persone diverse e utili per la società.