Raccontare
le “vite da galera” per aiutare a “fermarsi in tempo”
Il
dialogo che da anni ormai si è instaurato a Padova e nel Veneto tra il carcere
e le scuole sta diventando sempre più spesso un’occasione di crescita per gli
studenti, perché permette loro di riflettere su quanto è sottile la linea che
separa il rispetto della legge dai comportamenti illegali, per i detenuti, perché
dà alle storie delle loro vite devastate un senso nuovo, le rende finalmente
utili agli altri, ma anche per i genitori degli studenti, coinvolti spesso dai
loro figli in questo progetto. È per questo che ci soffermiamo spesso sulle
testimonianze dei protagonisti di questo dialogo sui reati, sulle pene e sul
carcere: gli studenti e i detenuti.
Non
si pensa alle conseguenze dei propri gesti, quando si crede di avere tutta la
vita davanti
di
Alessandra,
Liceo
Marchesi-Fusinato
Andrea
è ormai un uomo sulla quarantina che, a vederlo gironzolare per le vie del
centro in sella alla sua bici, si potrebbe pensare abbia trascorso una vita come
tutte le altre persone: ma non è così. Andrea quand’era un adolescente ha
iniziato a drogarsi, è stato un eroinomane, ha ucciso una persona, è stato in
carcere e rimarrà per sempre un assassino.
Ho
ascoltato la sua storia attraverso un video, a scuola, e quandosono tornata a
casa, raccontando a mia madre di questa nostra prima fase del “Progetto
Carceri”, sostanzialmente le ho detto questo. Ho tralasciato volutamente i
dettagli della storia che descrivevano la famiglia dalla quale Andrea proviene,
il percorso che l’ha portato al mondo della droga e soprattutto come vive ora
da quando ha finito di scontare la sua pena; non mi interessava e non volevo far
apparire Andrea come una vittima, per certi aspetti, di vari problemi
adolescenziali o compagnie sbagliate. Drogarsi è una scelta, fumare è una
scelta, uscire con le persone sbagliate è una scelta e poiché le conseguenze
della droga ora si sanno molto di più rispetto agli anni scorsi, drogarsi e di
conseguenza uccidere qualcuno diventa una colpa. E se io ritenevo folle dover
andare un’intera mattinata ad ascoltare altre testimonianze di ex-detenuti o
ancora carcerati poiché lo ritenevo inutile, non avevo in realtà capito che la
folle ero io: presuntuosa liceale diciottenne che pensava di dover andare lei a
spiegar loro gli sbagli che avevano fatto e far loro una predica morale sulla
vita.
Ero
uscita di casa quella mattina prima dell’incontro, volendo chiedere a quelle
persone se non si vergognavano quando vedevano la loro immagine riflessa nello
specchio, e invece, mentre ascoltavo la storia di Paola, un’exdetenuta una
volta all’interno di un’organizzazione che spacciava cocaina, che
raccontandosi, aveva gli occhi bassi e si toccava freneticamente mani, capelli e
viso, provavo vergogna io stessa per la facilità con la quale avevo giudicato
queste persone, che chissà per quale e quanta debolezza e senso di solitudine
sono andate dietro le sbarre. L’unica domanda che ho sempre in testa è:
”Perché?” perché, se ne sapevano le conseguenze, l’hanno fatto lo
stesso? Ma in mente ho sempre la risposta di un attore del film
“Radiofreccia” di Luciano Ligabue, in cui il protagonista disintossicatosi
dalla droga, alla domanda ”Perché ti sei bucato quella sera?”, risponde che
l’unica cosa che pensò mentre aveva la siringa in mano era: “Perché
no?”. Anche Andrea, nel suo racconto, ha detto più o meno la stessa cosa:
nonostante l’educazione, la consapevolezza, l’estate dei suoi diciotto anni,
tutti i suoi valori a poco a poco sono precipitati nel nulla.
Ammiro
Andrea, Paola e gli altri detenuti e non, che hanno avuto il coraggio di
raccontare la loro storia senza mezzi termini, senza giustificazioni,
consapevoli che avevano sbagliato e che l’unica cosa davvero utile ora è
informare soprattutto noi giovani di cosa vuol dire non pensare alle conseguenze
dei propri gesti, perché ci si vede tutta la vita davanti e il mondo sotto il
nostro controllo, perché anche noi adolescenti possiamo vedere le vicende da un
altro punto di vista e soprattutto perché le persone come me, prima di
giudicare, imparino ad ascoltare e a pensare che tutti possono commettere errori
e che la differenza sta nel voler ricominciare.
In
quei ragazzi intravedo me stesso qualche anno fa
Di
Alessandro Pfeifer
Frequento
da poco la redazione di “Ristretti Orizzonti” grazie alla quale per la prima
volta, durante questa mia detenzione, sto riuscendo a fare qualcosa di
costruttivo, confrontandomi con gli altri come mai avrei pensato di fare.
L’idea di poter scontare la mia pena riflettendo e provando a far riflettere
tanti ragazzi delle scuole, attraverso una esperienza personale come quella che
mi ha portato in carcere, mi fa sentire una persona migliore. Infatti gli
incontri che più mi hanno colpito finora sono quelli che la redazione fa con le
scuole della regione, perché è importante che esista qualcuno che ascolta i
giovani come me, qualcuno che ti mostra il male offrendoti la possibilità di
imparare a distinguere, valutare e soprattutto saper scegliere.
La
cosa che più mi intimorisce e che nel contempo mi incoraggia è vedere ragazzi
della mia stessa età ed essere già per loro un esempio negativo, da una parte
qualcosa mi blocca e infatti non sono ancora riuscito a parlare in uno di questi
incontri, dall’altra però mi spinge a provarci perché mi rende
consapevole che sto facendo qualcosa di importante e di utile, dando il
mio contributo a quei ragazzi nei quali intravedo me stesso qualche anno fa.
Nessuno di noi potrebbe mai fare loro la morale sul rispettare le regole, ma
semplicemente il nostro è il tentativo di trasmettere qualcosa di positivo
raccontando quello che di negativo abbiamo commesso, e di dimostrare loro che
non ci vuole molto per perdere tutto e passare dalla parte opposta, che non si
risolvono i problemi con gesti violenti come noi credevamo di fare, che cadere
in questo tunnel causa davvero solo dolore e distruzione a se stessi, alle
persone che ci vivono intorno e a chi è stato vittima dei nostri reati. Infine
vorrei dire che precludere a una persona la libertà per un reato è giusto e
non sono tanto folle da dire il contrario, ma sono altrettanto convinto che non
è la soluzione del problema, insieme a quello c’è bisogno di un altro
aspetto, che è il più importante e significativo: insistere nel recupero della
persona e con gli strumenti giusti portarla a capire e a non ripetere i reati
una volta espiata la sua pena.
Voglio
trovare la forza per incominciare a parlare del mio passato
di
Alain Canzian
Io
ancora trovo difficoltà a prendere la parola in pubblico, specialmente davanti
ai ragazzi che hanno l’età di mio figlio. Molte volte ci ho pensato, anche
sentendo i miei compagni, che stanno facendo tanta fatica a raccontare il peggio
della loro vita, ed allora cerco di farlo come mi viene meglio, usando la
scrittura. Prima di tutto vorrei dire che io con mio figlio non ho un buon
rapporto, avendo purtroppo perso tanti anni belli della sua vita, e proprio con
questo progetto di confronto tra scuole e carcere sto cercando di trovare quella
forza che mi serve per incominciare a parlare del mio passato, magari proprio
con i ragazzi che abitualmente vengono a farci visita. Forse è la paura di
riaffrontare mio figlio, non sapendo cosa dirgli o cosa insegnare, che mi rende
così vulnerabile sapendo che per lui gli anni sono passati senza avere vicino
un papà che gli voleva bene, e poteva insegnargli qualcosa per il suo avvenire,
perché in quei momenti io non ero in me, per problemi legati alla droga. È da
parecchi anni che sono rinchiuso in un carcere, ed il pensiero che sempre viene
alla mia mente è che forse non meritavo tutto questo, sapendo che per molti
anni io sono stato una buona persona, che cercava di vivere lavorando duramente
per farsi una famiglia e crescendo sempre solo, perché durante la mia
adolescenza non avevo dei genitori che potessero indirizzarmi nel modo giusto
per affrontare i problemi che la vita mi presentava.
Proprio
in questo periodo sto cominciando faticosamente ad avere i primi permessi
premio, tutto questo è una gioia ma anche una sofferenza, perché prima o poi
davanti a me ritornerà mio figlio, e io avrò bisogno di tutta la forza
possibile, e anche di una grande preparazione, perché sono comunque un padre,
anche se purtroppo con mio figlio non l’ho messo molto in pratica. Questo è
quello che mi spinge ad ascoltare le domande di voi studenti, sperando che sia
un aiuto sia per voi che state incominciando ad assaporare il gusto della vita,
sia per me che dovrò riprendere in mano la mia, di vita, con tutti quei
problemi che questo comporterà. Quando si sta in un posto di sofferenza come
questo, non si vedono molte possibilità di venirne fuori nel modo giusto, ma io
mi ritengo “fortunato”, perché ho voi studenti con cui parlo della mia
brutta storia, con la speranza che a voi mai capiterà. Guardate bene quando
entrate per queste porte, e fate sì che questo per voi sia solo un modo per
imparare a capire quanto male provoca vivere rinchiusi.
A
un certo punto mi sono sentito io stesso il possibile carcerato che parlava con
gli studenti
di
Alberto Steccanella,
genitore
di una studentessa
Buongiorno,
mi chiamo Alberto Steccanella e oggi per la prima volta in vita mia, non solo mi
sono avvicinato ad un carcere ma ci sono pure potuto entrare, approfittando di
mia figlia, appartenente al quarto anno del liceo linguistico dell’Istituto
Scalcerle, impegnata con altre quarte ad un progetto che prevedeva il colloquio
con alcuni detenuti, esteso gentilmente anche a qualche genitore.
Sono
rimasto abbastanza colpito di trovare persone come noi tutti e non solo persone
che hanno fatto della loro vita una scommessa con il diavolo. Ad un certo punto
del colloquio mi sono sentito io stesso il possibile carcerato che poteva
parlare con gli studenti, perché la realtà che ci circonda a volte, in momenti
incalcolabili per chiunque ci porta
ad avere reazioni violente che, senza volerlo, ci potrebbero portare al di là
di quei muri e dietro le sbarre.
Mi
è venuta una irrefrenabile voglia di fare il possibile per poter permettere al
signor Carmelo, ergastolano e detenuto già da 22 anni, che ho sentito oggi
parlare della sua esperienza, di potersi togliere le scarpe per poter camminare
su un tappeto di erbetta fresca, fargli abbracciare un albero e magari riuscire
a portarlo al mare a fare un bagno.
Sì
lo so che non sarà mai possibile tutto questo, però almeno vorrei fare
qualcosa per lui e per quelli come lui che probabilmente non avranno mai più la
possibilità di uscire dalla struttura carceraria. Poter dare a Carmelo una
piccola speranza o comunque un appoggio morale, forse farebbe rifiorire una
persona nuova, quello che tuttora lo stato non gli permette di diventare
lasciando quelli come lui lì a fare niente, se non progettare nuovi modi di
fare i soldi facili a qualsiasi costo, causa della sua detenzione.
Vorrei
trasmettere al signor Carmelo la consapevolezza di non essere dimenticato dal
mondo di cui anch’io fino a ieri facevo parte. Aspetto pertanto di essere
contattato dall’associazione perché mi dia un compito seppure marginale, di
poter operare in qualche modo all’interno dell’associazione stessa per un
possibile reinserimento nella società di quelle persone che, dopo aver scontato
la loro condanna, vogliono smettere di essere delinquenti per rifarsi una vita
onesta e quindi VERA GRAZIE!