I ricomincianti

 

Quando il tuo ruolo di ristretto termina, ritorni nessuno

Molte cose che per le persone "normali" sono di routine

a me ex detenuta appaiono incredibilmente difficili

 

di Giulia

 

È poco più di un mese che sono uscita dal carcere per fine pena. Non è stato facile, soprattutto i primi tempi, sebbene non sia neppure riuscita a soffermarmi molto su ciò che mi accadeva intorno, perché troppo presa a cercare un posto dove depositare le mie ossa almeno per un po’, un luogo ove potermi "fermare" per realizzare la mia nuova dimensione di persona finalmente libera. La ricerca di questo luogo che può, poteva essere solo un piccolissimo appartamento, un nido, un buco mi ha provocato diversa ansia, è stata una ricerca per certi versi anche affannosa, ma finalmente ho trovato qualcosa, grazie anche a un’amica. Il giorno in cui ho avuto in mano le chiavi di questa CASA ho provato la più forte emozione da quando la mia condizione è diventata di persona "libera" e non più ristretta. Un’emozione descrivibile in questo modo: un fiore reciso che riprende vita propria, certamente con molta fatica, ma almeno una fatica "amata". Questo termine, che pare detto a sproposito, spiega invece bene che, nonostante ancora io non mi possa fermare un attimo nella mia ricerca di un equilibrio di vita "fuori da libera", so però che sto facendo un percorso che può essere una rinascita. Un percorso non facile dopo anni di carcere, perché il più delle volte mi sento assorbita quasi totalmente da questa costruzione o ri-costruzione di me stessa, o almeno da quella che è una riappropriazione di un equilibrio. E questo processo provoca anche un notevole stress, ma nonostante ciò è "un trip" da vivere con i suoi pro e i suoi contro ovviamente: finalmente ho libero arbitrio su me stessa, è mia la decisione su cosa voglio fare e anche su ciò che bisogna fare, ben sapendo naturalmente che, come per tutti, esiste comunque un controllo sociale. Sono libera di essere artefice di un mio fine se mai ce l’ho, come lo sono se non ce l’ho. Non sono costretta a cercare di perseguire uno scopo altrui, come quando stai in carcere e persegui il fine pena che è il tuo obiettivo, il traguardo, ma non è dato da te, sei entrato dentro con questo già stabilito da qualcun altro, ne consegue che non è tuo. E nel tempo durante il quale persegui questo fine, persegui fini, scopi altrui. Ora, un obiettivo se ce l’ho posso dire che è scelto solo da me. Ed è uno dei lati positivi, forse il più importante, mentre invece vedo come troppo pesantemente negative le difficoltà che sempre si trovano appena si esce da un carcere dove hai scontato una pena medio-lunga. Molte cose che per le persone "normali" sono di routine, a me ex detenuta appaiono "difficili": debbo osservare, chiedere, per capire come muovermi, ad esempio in un ufficio pubblico, molte cose sono cambiate e… sto cercando di farle mie. Poi c’è una cosa che non mi riguarda personalmente ma che vorrei dire: già durante la semilibertà avevo avuto sentore e a mano a mano che andavo avanti il sentore diveniva certezza, che per la macchina che compone il carcere i ristretti sono un grande business, o comunque una realtà di cui è interessante e forse conveniente occuparsi. Ma, e questo l’ho sempre detto in vari momenti di incontro con le persone più diverse che compongono questa macchina: una volta che il ruolo di ristretto termina, ritorni nessuno. E allora nuovamente mi chiedo: a parte qualche eccezione, i diversi rapporti che si costruiscono all’interno del carcere, tra persone detenute e non, sono finalizzati al momento della detenzione o che cosa? Possibile che esistiamo solo quando abbiamo lo "status" di detenuti e poi non abbiamo più nessuna "attrattiva" per le persone che fino al fine pena si sono interessate della nostra sorte?

 

Sul territorio, per chi arriva dal carcere, non c’è niente o quasi?

Voglio però un momento specificare meglio che cosa intendo quando dico che, finita la pena, "ritorni nessuno". Si fanno diversi progetti per il futuro reinserimento sociale del detenuto nel momento in cui sta scontando la sua pena, e il detenuto, chi più, chi meno, chi per niente, dalla sua condizione di recluso partecipa a tali progetti – ad attività "considerate" educative e che dovrebbero essere finalizzate al futuro reinserimento sociale. Beh, non è poi così reale tutto ciò nel momento in cui diventi soggetto libero. Non trovi quello che in qualche modo speravi di trovare (anche fidandoti di promesse o di quelle che hai scambiato per promesse nel momento in cui ne hai parlato con qualche addetto ai lavori). Cosa speravi di trovare? Un aiuto concreto, che può andare da una soluzione abitativa (anche temporanea) a un lavoro che ti possa garantire di riuscire a gestire un buco dove abitare, una rete di persone che ti sostengano in qualche modo quando muovi i primi passi in una realtà nuova, a te sconosciuta. Queste cose le puoi chiedere, ma solitamente la risposta è sempre la stessa: non sei più di competenza dei servizi sociali con cui all’interno del carcere eri in contatto e da cui ti sentivi proporre, specie verso la fine della pena, cose del tipo: "Si potrebbe fare così, quando esci ci si potrebbe rivolgere a quel servizio, a quella persona, a quell’ente". E dunque o tu sei già una persona con grandi risorse personali, capace di muoverti da sola nelle difficoltà, oppure il rischio è che la libertà di cui non sai fare più uso ti riporti alla reclusione nel giro di non molto tempo. Questo discorso riguarda un po’ tutta la macchina che interagisce con i detenuti all’interno del carcere, servizi sociali, volontari, "benefattori". La presa di coscienza di una persona che torna in libertà riguarda il fatto che sul territorio, per chi arriva dal carcere, non c’è niente o quasi, (il quasi sono le risorse e capacità personali, gli aiuti a titolo individuale di qualcuno con cui si è instaurato un rapporto di conoscenza non superficiale). Dunque la detenzione è fine a se stessa e raramente dà delle opportunità; anche i volontari più forniti di buona volontà non hanno quasi mai risposte per il "dopo e fuori", e i servizi sociali dal canto loro non hanno un filo, una rete che possa unirli a proposte/realtà lavorative, abitative, di socializzazione al momento della dimissione del detenuto dal carcere. La loro competenza nei tuoi confronti termina nel momento in cui vieni scarcerato. Se nessuno ha proposte concrete da offrire alla persona che è in carcere e che sta per uscire, proposte che diano continuità al suo percorso al momento della dimissione, la risposta che la società continuerà ad avere non è altro che la recidiva. Un lavoro di collegamento tra volontari, servizi, territorio è l’unica soluzione auspicabile e desiderata dai più, ma che ancora non c’è. Forse anche a causa di un po’ di competizione tra chi si occupa di questi problemi, o che altro? Una risposta dagli addetti ai lavori non mi dispiacerebbe.

 

 

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