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Detenuti stranieri. Qualcuno si ricorda di loro?
Emilio Santoro, direttore del Centro di Documentazione L’altro diritto, risponde alle nostre domande su espulsioni, conversione delle multe in libertà controllata, impedimenti al rinnovo del permesso di soggiorno
A cura di Francesco Morelli
Emilio Santoro è professore di Sociologia del diritto, ma è soprattutto direttore di L’altro diritto, Centro di documentazione su carcere, devianza e marginalità, che opera in Toscana e si occupa di "quello" strato di cittadini e di stranieri emarginati in termini non solo economici e di consumo privato, ma anche etnici e culturali, e quindi esclusi di fatto dall’esercizio dei diritti di cittadinanza, in particolare dei diritti sociali". Per essere più chiari, L’altro diritto è una delle pochissime realtà, nell’ambito del volontariato che ha a che fare col carcere, che si occupano seriamente di detenuti stranieri. Ed è sulla condizione dei detenuti stranieri che abbiamo posto ad Emilio Santoro alcune domande, necessariamente tecniche, per aiutare gli operatori ad orientarsi in una situazione, che è sempre più un campo minato. Con una sola idea fissa: che non bisogna arrendersi e dare per persa in partenza la battaglia perché i ragazzi stranieri in carcere abbiano qualche prospettiva per il loro futuro.
Contro la decisione del giudice che, ai sensi dell’art. 16 comma 1 Dlgs 286/98, dispone l’espulsione dello straniero a titolo di sanzione sostitutiva della detenzione, non è possibile alcun ricorso, in particolare quando si procede con il rito ordinario (non con il patteggiamento)? Non è possibile rifiutare la sanzione sostitutiva, chiedendo di essere sottoposti ad un normale processo, quindi con l’opportunità di presentare, eventualmente, appello contro la sentenza di primo grado? (questo sarebbe importante per coloro che non sono colpevoli e vogliono provarlo, dato che oggi l’espulsione sostitutiva alla detenzione viene eseguita anche se la sentenza non è definitiva, quindi in un momento nel quale dovrebbe valere una presunzione di innocenza).
Questo è un problema molto delicato. Non sul piano di principio. Su questo piano è chiaro che l’espulsione come pena sostitutiva non può essere effettuata finché non è pena definitiva, quindi fino a quando la sentenza non è diventata esecutiva. Quindi gli stranieri hanno sempre diritto a tutti i gradi di giudizio previsti dal nostro ordinamento. Questo è pacifico. Il problema casomai si pone per l’espulsione amministrativa, che può essere effettuata anche contro una persona che ha un processo in corso, quando non è in custodia cautelare, previo nulla osta dell’autorità procedente (che però non può essere negato per la tutela del diritto alla difesa del migrante, che quindi è costretto dalla legge italiana a chiedere un permesso per tornare ad assistere al suo processo!!). Ma ripeto la sentenza di condanna alla pena sostitutiva dell’espulsione non si può effettuare se la pena non è definitiva. Il problema è: se la questura provvede non di meno all’espulsione sulla base di una sentenza non definitiva, come si fa a bloccarla? La cosa è molto difficile. Le vie percorribili sono: il ricorso gerarchico contro il provvedimento della stessa questura che dispone dell’espulsione mediante accompagnamento... il problema è che non è chiaro a chi questa impugnazione debba essere fatta. C’è chi sostiene che il ricorso debba essere fatto al prefetto, chi al ministro e comunque, anche se fatto al prefetto, non è detto che riesca a bloccare la procedura di espulsione. Si può provare a fare ricorso al giudice competente per le espulsioni chiedendo che l’annulli per mancanza dei presupposti (condanna definitiva), ma anche in questo caso non è detto che il giudice si riconosca competente (va motivata bene l’impugnazione, altrimenti il giudice dice che gli si chiede di sindacare il provvedimento di un altro giudice, va chiarito che gli si chiede di sindacare l’ordinanza del questore che dispone l’effettuazione dell’espulsione mediante accompagnamento per mancanza di presupposti) né che fissi l’udienza in tempo. Sicuramente la cosa si potrebbe far valere di fronte al giudice che convalida il trattenimento nel Centro di Permanenza Temporanea dello straniero in attesa di effettuare l’espulsione, ma di solito questo giudizio non c’è perché il soggetto viene trattenuto in carcere e non nel Centro di Permanenza Temporanea. L’ultima possibilità è quella di far valere la mancanza di presupposti di fronte al giudice che convalida l’accompagnamento alla frontiera, ma questo è un provvedimento che viene emesso con rito camerale senza contraddittorio ed entro 48 ore da quando viene comunicata l’espulsione al giudice... è quindi indispensabile che l’avvocato abbia l’eccezione pronta e presenti tempestivamente memoria (di solito gli lasciano poche ore di tempo per farlo)... È comunque una materia molto delicata e difficile, vi invito quindi a confrontare il mio parere con quello di altri!!
Su quali basi è possibile impugnare, dinanzi al Tribunale di Sorveglianza, il decreto con il quale il Magistrato di Sorveglianza dispone l’espulsione a titolo di sanzione alternativa alla detenzione? L’impugnazione è possibile anche quando l’espulsione riguarda uno straniero che non ha mai avuto il permesso di soggiorno (la maggioranza dei casi)? Se il Tribunale di Sorveglianza rigetta l’impugnazione, è prevista la possibilità di presentare ricorso per Cassazione? Diciamo che ci si può sempre appellare, lo possono fare anche gli irregolari, ad uno dei motivi dell’art. 19 del T.U. (per esempio si può dire che c’è il rischio di essere perseguitato nel proprio paese di origine), allo stato di salute del detenuto (eventuali disturbi psichici, stato di tossicodipendenza, ecc.), si può sempre contestare la certezza dell’identificazione, ma soprattutto, a mio parere, si può contestare l’esistenza di una pena pecuniaria da eseguire (che non viene sostituita dall’espulsione), oppure l’interruzione del percorso di reinserimento sociale già avviato (se il soggetto ha cominciato ad usufruire dei permessi), richiamandosi alla giurisprudenza della Corte Costituzionale in tema di art. 4 bis. Il motivo del ricorso può essere pretestuoso, perché poi il punto centrale è sollevare di fronte al Tribunale l’eccezione di incostituzionalità (che, se fatta propria dal Tribunale, sospende l’espulsione), sulla II parte dell’art. 16. Le speranze di avere una declaratoria di incostituzionalità sono fondate, perché la Corte nel passato ha sempre dichiarato incostituzionali tutti gli automatismi in fase di esecuzione pena: e la pena alternativa dell’espulsione è prevista come automatismo, nessuno spazio è lasciato al magistrato di sorveglianza per valutare il percorso di reinserimento sociale del detenuto.
Chi ha l’espulsione in sentenza (come misura di sicurezza da eseguirsi al termine della pena) e riesce, tramite un’udienza per la revisione della pericolosità sociale, a ottenere la revoca di questa misura, può ugualmente vedersi decretare l’espulsione come alternativa alla detenzione? Il problema non dovrebbe porsi in questi termini, perché la revisione della misura di sicurezza si fa a fine pena, quindi a quel punto non c’è più rischio di vedersi applicare la misura alternativa dell’espulsione. Casomai può succedere che qualcuno venga espulso con la misura alternativa prima di arrivare al giudizio di revisione della pericolosità.
Per quanto riguarda la conversione delle multe in libertà controllata, succede per lo più che il magistrato di sorveglianza non prenda neppure in considerazione le richieste dei detenuti (stranieri e italiani), poiché soltanto la Procura può chiedere al Magistrato di procedere in tal senso. Noi stiamo inviando in Procura delle dichiarazioni di insolvenza, con il sollecito ad attivare la richiesta di conversione ma, finora, senza aver ottenuto alcun risultato. Se la Procura non chiede la conversione delle multe, è possibile rivolgersi a qualcun altro? La dichiarazione di insolvenza in teoria dovrebbe essere fatta dal concessionario a cui è stata affidata la riscossione. Nell’inerzia (i concessionari di solito sono restii ad attivare la procedura perché sanno che 90 casi su 100 non riscuoteranno niente) ci sono due strade. La prima consiste nel prendere contatto direttamente con il concessionario, sollecitandolo ed agevolandolo nella compilazione della dichiarazione di insolvenza. La seconda sta nel presentare l’istanza di conversione della pena pecuniaria con l’autocertificazione della propria insolvenza al magistrato di sorveglianza (a cui la Corte Costituzionale ha di recente riattribuito le competenza in materia di conversione delle pene pecuniarie), questo dovrebbe dichiararla inammissibile ma dovrebbe sollecitare la procura a fare gli accertamenti. Merita di essere sottolineato che se i giudici accettano l’idea che non si può espellere chi deve pagare la pena pecuniaria, il ritardo nella conversione per gli stranieri è un vantaggio... consente di rimanere in Italia in quanto soggetti in attesa di esecuzione pena. Fate attenzione che ci sono Tribunali di Sorveglianza che chiedono la dichiarazione di insolvenza anche per la rateizzazione, non solo per la conversione.
Sulla rateizzazione delle multe (per un massimo di 30 rate) il problema è che viene concessa soltanto a chi può fornire qualche garanzia: nella nostra esperienza, un lavoro interno al carcere, o in misura alternativa. I detenuti stranieri possono quindi avere la rateizzazione finché sono detenuti, o in semilibertà, etc. Dal momento nel quale la pena detentiva è terminata, non possono più avere un lavoro in regola (se non hanno un permesso di soggiorno in corso di validità), quindi non possono fornire garanzie sulla disponibilità di denaro per il pagamento delle rate. Se un Tribunale chiede di fornire queste garanzie, ci sembra un po’ azzardato rispondere che, ottenendo la rateizzazione, si ottiene poi anche la possibilità di lavorare in regola… quindi ci sarebbero i soldi: è un po’ il gatto che si morde la coda! Infine, c’è da dire che molti stranieri sono condannati per reati di droga che, notoriamente, prevedono multe altissime, di migliaia di euro. Anche suddividendole in 30 rate, avrebbero comunque da pagare cifre notevoli, cosa improponibile per chi esce dal carcere e deve ripartire da zero… quindi le chiederemmo di spiegarci meglio come potremmo rendere effettivamente realizzabile la sua proposta riguardante il pagamento rateale delle multe, per contrastare la Bossi - Fini.
Sicuramente la rateizzazione la possono chiedere quelle persone che hanno un reddito. Di fatto la possono chiedere le persone che sono in misura alternativa e quindi hanno un lavoro, e che continueranno a lavorare anche una volta finita l’esecuzione della pena. La mia tesi è che il fatto di essere in esecuzione di pena consente loro di continuare a lavorare, come se fossero detenuti, anche se irregolari e quindi in teoria inassumibili, lo stato di soggetto in esecuzione pena dovrebbe consentire infatti ai datori di lavoro di stare tranquilli (ma sarà una lunga discussione con gli uffici del lavoro, che spesso ancora si rifiutano di iscrivere anche le persone in esecuzione di pena detentiva!). Quando uno lavora fa la cessione del quinto dello stipendio e paga le 30 rate... alla fine del pagamento delle 30 rate il t.u. sulle spese giudiziarie dice esplicitamente che il giudice convertirà la parte residua in libertà controllata. La conversione in libertà controllata, che comunque dovrebbe impedire l’espulsione, è l’unica strada percorribile da chi non ha lavoro (ma anche questa richiede che si trovi un posto dove la persona possa stare e un lavoro per mantenersi...).
Riguardo alla non retroattività della Bossi - Fini, per quel che riguarda l’impedimento a rinnovare (o rilasciare!?) i permessi di soggiorno, deve intendersi applicabile a tutti gli stranieri detenuti al momento dell’entrata in vigore della legge? O soltanto a quelli in esecuzione pena al momento dell’entrata in vigore della legge? Solo a quelli ammessi a misure alternative alla detenzione al momento dell’entrata in vigore della legge? Per quella che è la nostra esperienza, già prima della Bossi – Fini le questure si rifiutavano di prendere in considerazione le richieste di rinnovo del permesso di soggiorno provenienti dal carcere, in forza di una circolare del Ministero dell’Interno, che riportiamo integralmente (4.09.2001 P.N. 300/C/2001/3595/A/L264/1^ DIV "…l’art. 5 comma 4 del Dlgs 286/98 detta le condizioni a cui deve essere sottoposto il rinnovo del permesso di soggiorno, che riguardano i motivi e la sussistenza dei requisiti necessari al rilascio e la cui verifica deve essere effettuata dall’Autorità di P.S. … nel caso di richiesta volta ad ottenere il rinnovo presentata da un cittadino extracomunitario in stato di detenzione, si deve precisare che l’istanza non può essere accolta, atteso che la verifica della sussistenza dei requisiti necessari, caratterizzanti la tipologia del permesso invocata, è obiettivamente superata dal provvedimento dell’A.G. in forza del quale l’interessato è detenuto. In sostanza, si può ben sostenere che tale provvedimento contiene in se stesso la caratteristica di autorizzazione al soggiorno, rendendo vano un ulteriore intervento, peraltro di natura amministrativa, dell’autorità di P.S.").
Temiamo che oggi la situazione sia perfino più brutta, quindi, nel caso il rinnovo venga rifiutato (non parliamo di concederne di nuovi!), è possibile tentare qualche strada diversa? La irretroattività della Bossi-Fini vuol dire che non si può applicare la normativa a chiunque abbia commesso un reato precedentemente alla sua entrata in vigore. Che la Bossi Fini non è retroattiva vuol dire che si applica la normativa previgente che fondava la mancata concessione del permesso di soggiorno sulla pericolosità del soggetto. Se è vero, come dice la circolare, che questa si può considerare implicita nel provvedimento dell’autorità giudiziaria, è anche vero che, se l’autorità giudiziaria la esclude, non ci sono i presupposti per non rinnovare il permesso di soggiorno. Per cui chi va a chiedere il rinnovo del permesso di soggiorno (oltre ad avere i requisiti dell’alloggio e del lavoro) deve avere o una ordinanza del giudice di sorveglianza che lo dichiara non pericoloso o provenire da una misura alternativa andata a buon fine (che automaticamente implica la non pericolosità). In altre parole serve munirsi di un provvedimento dell’autorità giudiziaria che neutralizzi quello di condanna. Segnalo che recentemente abbiamo ottenuto una sentenza dal Tribunale di Pistoia che riconosce che il fatto che un permesso di soggiorno scada in carcere rappresenta un legittimo impedimento al suo rinnovo, per cui coloro a cui è scaduto un permesso di soggiorno in carcere, se ottengono una decisione che neutralizza la loro pericolosità, hanno diritto, se il reato per cui hanno scontato la pena è precedente all’entrata in vigore della Bossi-Fini, di vedersi rinnovare il permesso di soggiorno (in presenza dei requisiti di lavoro e alloggio). Per finire, è importante ribadire che l’espulsione come misura alternativa vale solo per chi è detenuto, quindi sicuramente non gli affidati, ci sono dubbi sui semiliberi (il Tribunale di Sorveglianza di Bologna ha sollevato due eccezioni di incostituzionalità) e sulle persone in detenzione domiciliare. Poi ci sono i problemi della pena pecuniaria e della misura di sicurezza che non estinguendosi potrebbero essere considerate ostative all’espulsione. Va ricordato che tutte le espulsioni di qualsiasi tipo siano non possono essere effettuate quando ricorrono i casi dell’art. 19*. Nel caso di espulsione disposta d’ufficio dal magistrato di sorveglianza, è lui che deve escludere che ricorra uno di questi casi, in particolare che deve escludere che l’espulso corra il rischio di essere perseguitato... la mancata esclusione di questo rischio, come detto, può essere motivo di impugnazione del provvedimento...
* Articolo 19 Legge 30 luglio 2002, N° 189 - Divieti di espulsione e di respingimento.
1. In nessun caso può disporsi l’espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione.
2. Non é consentita l’espulsione, salvo che nei casi previsti dall’articolo 13, comma 1, nei confronti: a) degli stranieri minori di anni diciotto, salvo il diritto a seguire il genitore o l’affidatario espulsi; b) degli stranieri in possesso della carta di soggiorno, salvo il disposto dell’articolo 9; c) degli stranieri conviventi con parenti entro il quarto grado o con il coniuge, di nazionalità italiana; d) delle donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio cui provvedono.
Centro di Documentazione L’altro diritto. http://dex1.tsd.unifi.it/altrodir/index.htm Una generazione che non ha un futuro neppure da sognare
Per gli stranieri detenuti oggi non c’è nulla in cui credere, nulla in cui sperare
Ion è rumeno, Ilir, Ilirian, Elton e Gentjan sono albanesi, Youssef è tunisino, Abdul è marocchino: c’è una "umanità" varia nella nostra redazione, accomunata però da una assenza di sogni. Se chiedi loro cosa faranno "dopo", dopo il carcere naturalmente, nessuno è in grado neppure di inventarsi una prospettiva di vita. Quando si discute delle difficoltà di chi esce dalla galera e si trova a lottare contro il mondo, si va sempre a sbattere la testa contro il muro di ostacoli che è lì, pronto a mettersi davanti all’ex detenuto. Ma l’ex detenuto straniero conta ancora meno dell’ex detenuto italiano, perché se l’italiano ha un futuro difficile, l’ex detenuto proprio non ha futuro. Di questo abbiamo discusso nella redazione di Ristretti Orizzonti, perché volevamo dare a chi legge un quadro crudo, realistico di cosa vuol dire vivere senza sogni.
Youssef: Ora vogliamo parlare di come sono cambiate le prospettive per i detenuti stranieri con l’entrata in vigore della Bossi – Fini, ma per me non c’è mai stato un passato migliore di questo presente… è da quando sono in Italia che si parla di aiutare gli immigrati clandestini a mettersi in regola, e di dare una possibilità anche a chi ha sbagliato e pagato con il carcere, però alla fine di risultati non ne ho visti molti.
Ornella: È vero, però la Bossi - Fini ha cancellato anche quelle poche possibilità che c’erano.
Abdul: Prima io vedevo delle persone attive, che avevano ancora la speranza di sistemare la loro vita dopo la scarcerazione… oggi questa speranza è svanita, completamente. Tutti noi stranieri la pensiamo così, perché in fondo siamo tutti nella stessa barca.
Prima della Bossi - Fini chi finiva in carcere aveva ancora la possibilità di rifarsi una vita
Gentjan: Prima della Bossi - Fini chi finiva in carcere aveva ancora la possibilità di rifarsi una vita, di lavorare e cercare di mettersi a posto; adesso nessuno ha più voglia di fare niente, perché pensa: "Ormai chi mi aiuta più?". Abbiamo sbagliato e stiamo pagando, però non è giusto che dopo aver fatto tutto il carcere devi tornare dov’eri. Io vado volentieri a casa mia, a trovare i miei parenti, ma ci vorrei andare da solo quando esco, senza bisogno che mi ci mandi qualcuno con l’obbligo. Ci sono persone che, appena arrivate in Italia, sono subito finite in carcere, e queste appena tornano al loro paese si ritrovano nella situazione che avevano lasciato e sono praticamente costrette a venire di nuovo in Italia.
Abdul: E cosa possono costruirsi là, quelli che come me hanno trascorso gran parte della loro vita in Italia? Se uno ha 18 o 20 anni lo può anche fare, ma se ha 40 anni cosa può ricostruire? Non trova il paese che ha lasciato 20 anni prima, e anche lui è cambiato come mentalità, come modo di vedere le cose. Le famiglie marocchine mandano in Europa solo i figli più svegli e intelligenti, pensando che dovranno affrontare la vita occidentale, ma quando loro arrivano si trovano in un’altra realtà, che non è quella che si vede nei film. È facile allora finire in galera.
Ilir: Con la Bossi - Fini anche se uno non ha precedenti penali e, magari, ha lavorato per anni, nel momento in cui viene licenziato dal datore di lavoro ed entro un certo periodo non trova un altro lavoro viene espulso…
Paolo: Il controsenso è un po’ questo: il detenuto a fine pena, invece, molto spesso ha già un rapporto di lavoro, perché molti hanno iniziato a lavorare in misura alternativa, e secondo me la loro condizione è migliore rispetto a quella di certi stranieri fuori, disoccupati e spesso anche soli. Il detenuto straniero che ha fatto un certo percorso è più radicato nel territorio… è chiaro che non si vogliono fare delle differenze, però questa potrebbe essere una proposta in positivo: se hai una persona che è stata seguita dai servizi sociali e ha radici nel territorio, dagli un periodo di tempo per dimostrare d’avere una casa, un lavoro e quindi di poter restare vivendo regolarmente! In fondo è quello che si dà anche agli italiani che hanno commesso un reato: una seconda possibilità.
Abdul: In carcere siamo seguiti, mentre quando siamo fuori non sappiamo niente di niente, spesso non c’è uno sportello che ci dà informazioni, non c’è nessuno che ci aiuta. Poi si vede la differenza tra un extracomunitario che non è mai entrato in carcere ed uno che invece ha fatto quest’esperienza: si nota dal suo comportamento, chi è stato in carcere è più furbo, sa come muoversi, è andato a scuola o ha frequentato dei corsi, cose che chi sta fuori difficilmente riesce a fare…
Paola: Gli sportelli per gli immigrati sul territorio in realtà ci sono, sono le persone che si devono attivare, si devono interessare e, se non lo fanno, quello è un altro problema… Però ci sono servizi che danno informazioni in tutte le lingue, se uno ci arriva può informarsi.
Ornella: In realtà, come sempre, c’è solo una piccola parte degli immigrati che ha degli strumenti per organizzarsi e informarsi. Un conto è lo straniero che sa quello che vuole, dove andare, come orientarsi, ma tutta questa gente che arriva sui gommoni non credo che sia così pronta per andare agli sportelli… Perfino in carcere nessuno vuole più fare lo scopino ai passeggi, perché bisogna stare fuori al freddo a spazzare… ormai ci lavorano solo gli extracomunitari…
Abdul: Il fatto è che un extracomunitario che arriva in Italia spesso non ha niente, deve trovarsi un lavoro, reperire soldi per vivere, e non può pensare a cercare questi sportelli.
Ilir: Io con la Bossi - Fini sarò costretto a delinquere di nuovo… ora non ho l’espulsione, ma per le nuove leggi dovrò essere espulso quando uscirò, quindi mi trasporteranno in Albania. In Italia ho una bambina, una convivente, e non le voglio portare in Albania perché le scuole e le altre strutture sono migliori qui… poi la mia convivente lavora, ha tutto a posto, perché deve venire in Albania? Sarò costretto a tornare, mi prenderanno e mi porteranno in carcere senza che io abbia commesso un altro reato, ma solo perché non ho rispettato l’obbligo di non rientrare… perché dalla bambina non mi potranno mai dividere… ho tutti i nipoti e fratelli qui, cosa vado a fare in Albania, se ho tutta la famiglia qui?
Elton: Ho la convinzione che questa legge si trasformerà in un boomerang per l’Italia, perché gli stranieri che hanno passato un certo periodo qui, da liberi, e poi hanno pure avuto la sfortuna di proseguire la permanenza dentro il carcere, hanno avuto una formazione diversa da quella che avrebbero avuto al loro paese, hanno conosciuto una realtà diversa, imparando altre cose, e non sarà facile per loro ritornare indietro. Con gli stipendi che troverebbero nei loro paesi sono sicuro che difficilmente accetterebbero di lavorare e, allora, ci sarebbero due strade: o sfruttare gli insegnamenti criminali avuti in carcere e, quindi, delinquere anche nel paese di provenienza, oppure prendere il gommone e tornare di nuovo in Italia. La seconda ipotesi mi sembra la più probabile, poi una volta in Italia uno non potrà più mettersi in regola, perché questa legge gli proibisce di rientrare, quindi rimarrà clandestino, o lavorando in nero o andando a delinquere.
Abdul: La maggior parte di marocchini espulsi dall’Italia finisce nelle carceri marocchine, e chi è ancora libero pensa solo al modo per ritornare in Italia. In realtà io credo che per molti extracomunitari non sarebbe un problema tornare al loro paese, il fatto è che vengono rispediti ai paesi di origine direttamente dal carcere… se solo avessero il tempo di prepararsi il ritorno, magari lo farebbero di propria volontà.
Paolo: Sono espulsi quando erano recuperati, o sulla buona strada per recuperarsi, e rientrano dalla finestra nuovamente irrecuperabili…
Max: Io sono stato in Francia e, praticamente, facevo il clandestino perché in Italia ero ricercato, poi ho avuto dei problemi in Francia e sono venuto via, ma io là non ci tornerò più. Posso capire chi deve ritornare perché ha la convivente e la figlia qui, ma chi non ha delle vere radici, qui cosa fa? Può cercare di andare in un altro paese, no?
Elton: Scusa Max, ma se tu in Italia prendessi cento euro al mese te ne staresti tranquillo anche sapendo che in Francia, con lo stesso lavoro, ne puoi prendere mille?
Max: Se so che in Francia avrei problemi con la giustizia non ci vado lo stesso.
Gentjan: Sono venuto in Italia a 17 anni, nel 1997. In Albania non mi mancava niente, perché essendo figlio unico tutte le cose le avevo per me, ma sono venuto in Italia lo stesso. A lavorare qui prendevo due milioni al mese, al mio paese prendevo centomila lire… poi qui c’è un altro stile di vita, che al mio paese non è permesso.
Ion: Chi viene in Italia non pensa agli sportelli e alle informazioni, pensa solo a fare soldi e per riuscirci ci sono due strade, una giusta e l’altra sbagliata…
Elton: Appena arrivato non sapevo niente per quanto riguarda l’organizzazione sociale, il lavoro, le scuole… tutto quello che conoscevo erano i miei amici della strada. Se arrivo ed ho uno zio o un fratello ben inserito, allora farò quello che fa lui, mi farà avere un contratto di lavoro, etc…, ma se vengo da clandestino e vengo ospitato da un altro nella mia condizione… Sono d’accordo però sul fatto che lo straniero in carcere impara tante cose ed è ingiusto mandarlo via quando è stato educato, recuperato e potrebbe tranquillamente essere reinserito nella società. Io conosco tante persone che fuori non hanno mai avuto un rapporto lavorativo, perché appena arrivate sono entrate in carcere. La maggior parte sono giovani, arrivano qua, trovano degli amici e si mettono a rubare o a spacciare… so anch’io che tutti hanno fatto una scelta nella loro vita, ma nel caso degli stranieri non mi sembra che vadano a delinquere per scelta, ho conosciuto tanti che in Italia hanno commesso dei reati pur non avendone mai commessi in Albania.
Francesco: In Italia ormai ci sono 2.500.000 immigrati, molti sono arrivati come clandestini eppure non sono andati a spacciare o a rubare, hanno lavorato in nero, con lo sfruttamento che c’è in questi casi, però si sono adattati e si sono messi in regola appena è uscita una sanatoria…
Luigi: Quando andate via dal vostro paese sapete a cosa andate incontro, o non ne avete la minima idea?
Ilir: Voi italiani 40 o 50 anni fa, come partivate? In Albania siamo stati per 40 anni sotto una dittatura, senza una chiesa o una moschea dove andare a pregare, con l’orizzonte chiuso… in queste condizioni alla prima occasione cerchi di scappare via. Tanti albanesi poi sono venuti in Italia per curiosità, perché vedevano qualcuno che tornava con una macchina o una moto: poi, magari, viveva sotto un ponte e tutti i risparmi li aveva spesi in queste cose…
Francesco: Un compagno albanese mi ha raccontato che fin da bambino vedeva le trasmissioni della Rai, imparando l’italiano assieme all’albanese, anche se la TV italiana veniva guardata di nascosto, perché era proibito.
Paola: È proprio l’informazione che ti muove dal tuo paese d’origine… come ho sentito ieri da un medico rumeno, che si è laureato in Romania e lì avrebbe il suo stipendietto, però ha letto che in Canada ci sono stipendi più alti e così vuole andare a fare il facchino in Canada anche se, molto probabilmente, là non ha i contatti necessari per inserirsi. Secondo me una persona non emigra solo per i soldi ma per la voglia di vivere, la voglia di migliorarsi: il giovane si muove perché ha voglia di cambiare la propria vita, l’adulto si muove perché vuole cambiarla ai suoi figli, così ci sono anche più di due milioni di immigrati che non sono in carcere…
Ornella: Uno viene qui con l’idea di fare un po’ di soldi e aiutare la famiglia, ma oggi quali categorie di stranieri possono aiutare i famigliari? Forse le badanti, perché vivendo in una famiglia non hanno le spese dell’affitto e del mangiare, per il resto è solo lo spacciatore che può mettere da parte davvero tanti soldi, perché con un lavoro regolare, se sei straniero, con gli affitti che ci sono e con quello che ti costa la vita non metti via una lira… tanti italiani sopravvivono solo se hanno una casa loro, quindi quale straniero può fare un progetto migratorio per aiutare la sua famiglia?
Paola: Il discorso che io farei all’esterno è quello della famosa riduzione del danno: sono venuto qui, ho spacciato, rapinato, ho già rotto le regole, per cui o tu mi dai la possibilità per non romperle più o sono il primo che sono costretto a romperle di nuovo… è un po’ questo che uno dovrebbe far capire agli altri.
Luigi: Noi italiani emigravamo in posti dove c’era lavoro, ma qui in Italia lavoro non ce n’è: non lo sanno in Romania, Albania?
Gabriella: Il lavoro in Italia c’è, ma non ti permette di vivere tanto bene… al tuo paese magari devi lavorare per duecentomila lire e con quelli vivi, qui prendi due milioni, ma con questa cifra sopravvivi a fatica.
Ilir: A parte che ho la bambina in Italia, vivo qui da 13 anni; 18 anni li ho vissuti in Albania e 13 qui, tra 5 anni finisco la pena e saranno 18 per parte. Voglia Bossi o non voglia l’Italia è il mio secondo paese, in Albania sono nato e qui ho avuto il battesimo, è nata la mia bambina, ho conosciuto mia moglie… io in Albania non ho più nessuno.
Paolo: Secondo me si fa un errore quando si dice "Dove emigravano gli italiani c’era il lavoro, gli stranieri vengono qui e il lavoro non c’è". In America noi non andavamo a fare gli impiegati di banca… andavamo anche noi a fare i lavori che gli americani non volevano più fare.
Ornella: I panettieri, le badanti, i pasticceri che devono alzarsi di notte, ormai sono tutti immigrati. Perfino gli industriali veneti di destra sono incazzati con il governo, perché non gli dà abbastanza lavoratori stranieri.
Francesco: Io vengo dalla provincia di Cremona e là ormai è pieno di indiani, che lavorano ad accudire il bestiame, anche lì bisogna alzarsi alle cinque di mattina e di italiani disposti a farlo non ce ne sono più…
Paolo: La Valle d’Aosta è la regione più chiusa d’Italia, eppure ai marocchini che lavorano come mandriani davano 1.800.000 lire al mese ancora dieci anni fa, con la casa pagata: lavoravano quattro mesi e poi tornavano a casa, quindi che non ci siano possibilità di lavoro non è vero, poi che ci siano venti posti e arrivino magari quaranta persone, quello è un altro discorso.
Gentjan: Basti vedere cosa succede qui in carcere: nessuno vuole più fare lo scopino ai passeggi, perché bisogna stare fuori al freddo, a spazzare e raccogliere le carte… ormai ci lavorano solo gli extracomunitari…
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