A scuola di scrittura

 

Come scrivere un articolo

Tanti modi per sviluppare l’idea centrale dell’articolo

 

(sesta puntata)

 

A seconda del genere di testo e dei materiali di cui disponiamo, l’idea centrale può essere sviluppata in vari modi. Vediamone alcuni.

 

  1. Paragrafo di definizione che sviluppa e chiarisce un’idea, un concetto fondamentale. Un esempio da un saggio storico dedicato al Corano: Il Corano è la Scrittura musulmana, vale a dire la Scrittura dei seguaci dell’islam. L’islam è la religione diffusa agli inizi del VII secolo tra gli arabi (un popolo fino ad allora in gran parte confinato nella penisola araba) dal Profeta Maometto. Secondo la tradizione musulmana, il Corano fu rivelato a Maometto da Dio tramite l’angelo Gabriele; questo avvenne in parte alla Mecca, città natale di Maometto, e in parte a Medina, dove egli riuscì a creare uno stato in una società sino ad allora tribale. Il messaggio fu rivelato in arabo, la lingua del popolo cui era rivolto.

     

  2. Paragrafo di illustrazione: si forniscono esempi, che servono ad illustrare e a chiarire quanto affermato nell’idea centrale. Un esempio: Sono sempre più diffuse, fra i giovani, "prove di coraggio" attraverso le quali si selezionano i membri giovanissimi di club e di bande sempre più pericolosi e violenti [frase tematica]. A Londra, per esempio, uno dei giochi o riti più in voga consiste nella cosiddetta "prova bandiera", che si svolge all’interno della metropolitana. Per essere ammessi alla banda occorre attaccarsi all’esterno di un vagone e staccarsene quando il treno ha preso velocità e prima che entri nel tunnel. Chi sbaglia muore, chi ce la fa diventa socio del gruppo.

     

  3. Paragrafo di analisi descrittiva che precisa i vari elementi o caratteristiche del fenomeno o della questione trattata. Un esempio: La savana è un sistema di transizione fra la foresta e la prateria, tipico della fascia tropicale [frase tematica]. Il clima è caldo, con lunghi periodi di siccità alternati ad una breve stagione con precipitazioni abbondanti (periodo aprile-agosto). Le piogge e il caldo fanno crescere rapidamente un tappeto erboso formato in prevalenza di graminacee, la cui altezza varia da 1 a 3 metri. Verdeggiante e rigogliosa nel periodo delle piogge, assume un aspetto arido, colorandosi di giallo, durante la siccità. Sono presenti anche arbusti spinosi e bassi cespugli. Qua e là si trovano rari alberi.

     

  4. Paragrafo di analisi causale: si danno spiegazioni, che evidenziano le cause, i motivi, il significato di quanto si afferma nell’idea centrale; la descrizione della causa può precedere o seguire quella dell’effetto. Un esempio: Nel Rinascimento ebbero grande impulso i lunghi viaggi marittimi che portarono alla scoperta del nuovo mondo [frase tematica]. I viaggi e le ricerche, di cui si fecero promotori portoghesi e spagnoli, furono stimolati dalla rinnovata fede dell’uomo nelle sue capacità. A questa sete d’avventura si aggiunsero altre ragioni più concrete: l’esigenza di mercati più ampi, la politica di espansione dei nuovi stati e la caduta di Costantinopoli in mano ai turchi, che costituì una minaccia alla via tradizionale dei traffici con l’Oriente.

     

  5. Paragrafo di confronto o contrasto: si svolge nei suoi vari aspetti un confronto proposto nell’idea centrale. Il confronto può riguardare le somiglianze fra due fenomeni o personaggi o situazioni, oppure gli aspetti contrastanti; oppure entrambe. Un esempio recente: Qualcuno avanza già un paragone con il Kosovo, liberato dal tallone serbo, ma non redento e perciò rimasto in un inestricabile limbo diplomatico-militare. Con la differenza che il Kosovo è poco più grande della Lombardia e le etnie da dividere sono soltanto due. Mentre l’Afghanistan è più di due volte la Francia e le tribù rivali sono molto di più che nei Balcani (Dalla "Repubblica" del 15 novembre 2001). Si può sviluppare il confronto secondo uno schema alternato A-B, A-B, A-B. Un esempio tratto da un articolo del 1991: Mikhail Gorbaciov abita in una enorme dacia, molto lussuosa. Boris Eltsin risiede in un appartamento di quattro stanze. Mikhail Sergevich ha una moglie bella. Boris Nikolaevic non può certo dire altrettanto. Il presidente sovietico ama il teatro d’avanguardia. Il presidente russo preferisce Cechov. Gorby beve solo acqua e latte. "Corvo bianco" è sulla vodka. Mikhail sta a dieta e fa sport. Boris gioca a tennis e a pallavolo. Gorbaciov si veste con abiti ispirati al gusto londinese di Savile Row. Elstin si copre con roba sovietica color carta da zucchero e non molla mai la camicia bianca di terital etc.

     

  6. Paragrafo di classificazione o enumerazione: si presentano i diversi tipi o categorie in cui può essere distinta la cosa di cui si parla. Un esempio: La tipologia dei medici fuorilegge è davvero molto variopinta [frase tematica o d’inquadramento]. C’è chi la laurea se la falsifica da solo; di solito uno sprovveduto senza coraggio di confessare alla moglie o ai genitori di non essere mai riuscito a laurearsi. C’è chi, invece, la compra da truffatori organizzati, come l’università Pro Pace di cui hanno parlato di recente i giornali. E infine chi ne fa spudoratamente a meno, ed esercita senza alcuna iscrizione all’Ordine.

     

  7. Paragrafo di prova: si forniscono elementi probanti a sostegno di quanto affermato nell’idea centrale. Questo tipo di sviluppo è caratteristico dei testi argomentativi. Un esempio: Una delle passioni principali degli italiani è lo sport [frase tematica]. Lo dimostrano gli stadi affollati, il tifo che esplode ogni domenica sugli spalti, la diffusione, anche nei centri più piccoli, di società sportive di ogni genere. Ma la prova forse più evidente è costituita dalla presenza di giornali esclusivamente sportivi, che raggiungono tirature altissime: il quotidiano più venduto nel nostro paese, difatti, è La Gazzetta dello Sport, caso pressoché unico nel mondo occidentale.

     

  8. Il paragrafo per enunciazione/soluzione di una questione. Si usa la forma retorica di porre e successivamente risolvere un problema per sviluppare un discorso. Un esempio: Perché canta l’usignolo? E’ una domanda che forse ci siamo già posti ed alla quale non abbiamo esitato ad improvvisare qualche risposta. Canta per tristezza […]. Oppure: canterà per allegrezza… Ebbene, per quanto plausibili siano tutte queste ragioni di gioia o di pianto dobbiamo riconoscere che sono tutte ugualmente infondate. L’usignolo "canta" (e non è l’unico uccello a farlo) per delimitare il suo territorio, per avvertire gli altri uccelli che non è consigliabile avventurarvicisi (dalla "Repubblica" del 16 settembre 2001).

     

  9. Paragrafo di raccordo: talvolta, può essere utile inserire un breve capoverso a sé, con funzioni di transizione. Del tipo: "… Ma lasciamo queste questioni piuttosto oscure e affrontiamo un tema più divertente..."

 

Importante: queste indicazioni vanno prese con beneficio d’inventario. Ve le abbiamo date solo come schemi di riferimento. Non prendetele troppo alla lettera. Spesso le tipologie si intersecano, si accavallano, si confondo. L’importante è che i paragrafi siano ben delimitati e delineati. A questo proposito buttiamo lì una regoletta utile: ogni paragrafo dovrebbe poter essere riassunto con una singola espressione sintetica, se ciò non è possibile vuol dire che il paragrafo è aria fritta. Insomma, quando hai portato a compimento un pensiero vai a capo e comincia un altro pensiero. Certo, a volte un capoverso non basta a esaurire un ragionamento; allora non preoccuparti: spezza quel concetto in più capoversi. Anche in questo caso comunque l’articolazione in più capoversi di quell’unico argomento trattato non dev’essere casuale, ma fondata su una sorta di suddivisione interna dell’argomento in questione (i due tre o quattro capoversi devono essere molto connessi tra loro e costituire una specie di super-paragrafo). Resta che la regola principale da seguire è quella che ci impone di evitare comunque i paragrafi troppo lunghi che affaticano il lettore.

 

Stefano Brugnolo

 

 

Oltre i limiti dell’appartenenza

 

Un laboratorio di scrittura collettiva a Torino, in cinque quartieri periferici, coinvolgendo persone spesso "difficili"

 

"Una scommessa della minchia". Fin dal primo giorno, il fotografo Alberto Ramella non ha avuto peli sulla lingua: incaricato di tradurre in immagini "Un eroe per ricominciare", l’atelier di scrittura collettiva organizzato dalla associazione "Parole MOLEste" e finanziato da Comune di Torino e Regione Piemonte, Ramella non ha nascosto le sue perplessità di fronte ad un progetto che sembrava troppo rischioso per essere vero.

Il laboratorio si presentava come qualcosa di inedito ed i suoi obiettivi, già sulla carta per nulla scontati, ad una verifica sul campo si rivelavano davvero di difficile realizzazione.

Prendete cinque quartieri "periferici" di Torino, quindici persone - spesso "difficili" – per quartiere, cinque settimane di lavoro, sei scrittori italiani, una sceneggiatrice, due video-operatori ed un fotografo, mescolate e fateci uscire un romanzo collettivo, una sceneggiatura, un cortometraggio ed una mostra fotografica e… ancora qualcosa? "Minchia"! Appunto.

Tutto nacque da un incontro di qualche anno fa con lo scrittore francese Ricardo Montserrat, che a forza di laboratori di scrittura collettiva era riuscito non solo a far risorgere pezzi di periferie francesi (avete presente quelle con i palazzi in cartongesso da cui stanno alla larga anche i "flic" della "Gendarmerie"? Ecco, quelle…), ma a costruire dei veri e propri casi letterari. Eh sì, perché i romanzi che lui scriveva con la gente che partecipava – retribuita - ai suoi atelier non solo venivano pubblicati, ma vendevano pure. Roba da far traballare le certezze neoliberiste dei maître à penser della Ville lumière. Per una volta tanto iniziative sociali e culturali rivolte alle periferie, ai disoccupati cronici, agli alcolisti o ai tossicodipendenti, a chi aveva perso tutto, anche gli affetti, agli immigrati, a chi veniva messo ai margini, non solo non si erano dimostrate un buco nell’acqua ed uno sperpero di denaro pubblico, ma avevano anche distribuito reddito e prodotto profitto. Oltre che nuove vite ed identità a chi rischiava di perderle. Incredibile. Eppure vero.

Se poteva funzionare in Francia, perché non anche in Italia? Perché non anche a Torino, laboratorio sociale permanente, ricca di risorse umane ma anche di ferite da rimarginare? Di fratture fra "centro" e periferie, fra intellettualità da salotto e cultura da osteria, fra scrittura e oralità da ricomporre? Fu lo stesso Montserrat, in visita nella città della Mole per la "Settimana letteraria" del 1998, a proporlo. Non si sbilanciò a caso. Sapeva di trovare degli interlocutori: un’amministrazione cittadina forte di un neonato "Progetto Speciale Periferie" ed un’associazione culturale, "Parole MOLEste", che cercava altre vie, altre strade per fare e proporre cultura.

Da quello stimolo prese forma, nell’arco di meno di un anno, un progetto ambizioso a tal punto da sembrare una boutade. Perché accontentarsi di una realtà, di un gruppo di lavoro, quando, con un po’ di sforzo e fantasia se ne possono avere ben di più, diciamo almeno cinque? E perché non immaginare la costruzione di un romanzo talmente collettivo da diventare quasi un affresco della città, delle sue identità, dei suoi drammi, della sua multiforme umanità? E perché solo un romanzo e non qualcosa in più, magari una sceneggiatura da trasformare in film, magari un cortometraggio da svolgere in documentario, magari delle fotografie da raggruppare in mostra?

Ma per un amalgama così ricco occorrevano molti ingredienti. Tutti, ovviamente, di qualità. Occorrevano le persone qualificate, e le strutture idonee. Occorreva costruire, oltre che un’inedita intesa con gli uffici comunali preposti all’iniziativa, un rapporto tutto da inventare con il territorio, le associazioni ed i soggetti che già vi lavoravano, che lo conoscevano, che sapevano leggerne l’intrico delle trame. Ecco allora la necessità di realizzare una rete di lavoro che non fosse solo funzionale ad una conoscenza preliminare, ma alla gestione del laboratorio stesso. E che potesse diventare anche qualcosa di più duraturo, quasi un tentativo di costruire una nuova politica del territorio.

Vennero individuati così, grazie alle associazioni dei cinque quartieri coinvolti, luoghi fisici dove svolgere l’atelier ed una lista di potenziali partecipanti. Da selezionare in un secondo tempo, ma in base a quali criteri? Nessuna pregiudiziale, ma i gruppi – di una quindicina di persone ciascuno - avrebbero dovuto essere più eterogenei possibile (per età, classe sociale, provenienza geografica, livello di istruzione), in modo da rappresentare al meglio le zone. E magari avrebbero dovuto annoverare di preferenza persone che per la prima volta si confrontassero con un laboratorio, che per la prima volta, grazie all’iniziativa, avessero la possibilità di esprimersi e confrontarsi creativamente attraverso la scrittura.

 

Un laboratorio di scrittura che coinvolga donne e uomini spesso "invisibili" per la cultura ufficiale

 

Quello che si voleva era coinvolgere donne e uomini spesso "invisibili" per la cultura ufficiale, e talvolta anche per le amministrazioni pubbliche, e per questo spesso "espropriati" della loro stessa dignità di cittadini. Ma ricchi di saperi, sensibilità, storie da raccontare, da condividere. Non solo "casi umani", comunque: intanto quelli, a giudicare dai quartieri dove si sarebbe svolto il laboratorio, non sarebbero mancati in ogni caso.

Dopo un lungo lavoro di preparazione, la sospirata vigilia. E tutto era pronto. Tutto salvo – particolare non trascurabile – Ricardo Montserrat, assente per non trascurabili motivi di salute.

Per fortuna che ad affiancare il francese erano stati comunque previsti Davide Pinardi, autore milanese che la sa lunga sia in fatto di libri (ha pubblicato con Fazi e con Rizzoli) sia in fatto di laboratori di scrittura (ne ha tenuti al carcere di San Vittore), e Chiara Laudani, giovane sceneggiatrice.

Anche grazie a loro, di lì a poco, il progetto "Montserrat" si sarebbe realizzato in una forma diversa ed autonoma dal progetto del francese. Pur conservando le motivazioni e lo spirito dell’originale (i partecipanti sarebbero stati comunque trattati – e pagati – come autori a tutti gli effetti) il libro avrebbe preso un’altra strada.

Mentre le persone coinvolte nell’atelier avrebbero continuato ad avere il ruolo di "motori" dell’azione narrativa (da loro sarebbero nati gli spunti e i canovacci, fra loro sarebbero stati discussi personaggi e situazioni) allo scrittore "demiurgo" si sarebbero sostituiti cinque autori, uno per ogni quartiere: Enrico Fovanna per San Salvario, Yoss per il quadrilatero di Via Arquata, Marco Bosonetto per Mirafiori sud, Luca Ragagnin e Elena Varvello per Corso Taranto, Patrick Raynald per Porta Palazzo. Ogni scrittore avrebbe portato il proprio stile personale, talvolta complementare al gruppo, talvolta così diverso da apparire quasi stridente: che ne direste di due poeti "calati" dalla ‘torre d’avorio’ alla monotona scenografia di grigi caseggiati in serie; e di uno scrittore di fantascienza cubano catapultato nella "Baraca", un circolo al bordi della ferrovia; e di un scrittore francese di noir che si trova all’improvviso in Porta Palazzo, nel cuore del suk torinese…

Il Mix si fa esplosivo soprattutto se si pensa che i "professionisti della scrittura" avrebbero dovuto vivere a contatto con i loro colleghi dilettanti – che così tra l’altro si sarebbero riconosciuti in una nuova identità di gruppo - anche nei momenti ricreativi: pranzi, spuntini, piccole feste (tenuti rigorosamente nei luoghi "simbolo" della zona). Tanto per complicare un po’ il gioco delle parti e mischiare bene le carte

In mancanza di un solo scrittore "demiurgo" la struttura del libro di fatto è destinata a cambiare; e allora perché non dissolvere ulteriormente l’identità dell’autore e la sua volontà in nome di una ancor più anarchica "polifonia" narrativa? Da un romanzo si passa ad un insieme di racconti racchiusi da una cornice rielaborata ed arricchita di settimana in settimana grazie al contributo di tutti. Tutti così avrebbero attinto a un medesimo numero di elementi necessari per capire la natura del progetto ma non la sua effettiva portata o direzione definitiva: tutti sarebbero stati parte di un collettivo senza leader, di un coro senza solisti.

Bene, tutto questo è successo. Le persone hanno partecipato, narrato, scritto accettando le regole del gioco, e mettendosi in gioco: amando e detestando (spesso anche riconoscendovisi) i personaggi che creavano, i propri come quelli degli altri. Il rapporto con il territorio, con i suoi umori, le sue contraddizioni, le sue ricchezze e risorse, c’è stato così come ha avuto luogo il confronto con la città, e le sue istituzioni.

Grazie ad una festa finale "aperta" tenutasi nello storico quartiere di Porta Palazzo tutti i partecipanti hanno potuto incontrarsi e conoscersi e si è potuto finalmente cominciare a vedere questo lungo percorso di storie e di immagini.

Il libro sarà pubblicato dalla casa editrice romana Minimum fax a e al salone del libro sarà presentato il progetto, la sceneggiatura di Chiara Laudani, il video curato da Giuseppe Calopresti, la mostra fotografica. E anche, probabilmente, un’associazione nuova di nuovi scrittori, ovvero l’ottantina di persone che hanno partecipato agli atelier. Un passo che darà una legittima continuità all’iniziativa e dignità a chi vi ha partecipato.

Questo progetto voleva essere una fuga attraverso la scrittura, dall’ombra, un’affermazione non di personalità o di personale "gloria" ma di identità; una scappatoia dalle tradizionali logiche del mercato, che li (e ci) vorrebbero solo consumatori passivi e omologati. Volevamo conseguire un risultato – per usare una parola demodé – "politico". In futuro noi o altri sapranno e diranno se e quanto ci siamo riusciti.

L’impegno a portare le periferie al centro, per democratizzare la cultura c’è stato e in un’epoca di tagli, in cui l’economia dell’istruzione mette a dura prova la logica del profitto, a pensarci bene, è stata proprio una straordinaria scommessa "della minchia". E noi pronti a rilanciare.

 

Associazione Culturale Parole MOLEste

 

 

 

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