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"Persone
dentro e volontari fuori"
Stefano Trasatti (Direttore dell'agenzia d'informazione "Redattore sociale")
Sono il direttore di una nuova agenzia di informazione quotidiana. È un’agenzia che si può vedere su Internet, ma che è fatta con il modello delle altre agenzie. È un’agenzia in abbonamento, rivolta alle testate giornalistiche, alle istituzioni e alle stesse organizzazioni. Si chiama "Redattore Sociale". Sono qui perché ci occupiamo soltanto di questi temi, temi relativi al disagio sociale, alla vita delle tantissime organizzazioni di volontariato, del terzo settore, che ci sono in Italia. Produciamo un notiziario quotidiano, che si occupa molto spesso di carcere. Pubblicando anche notizie, che noi riteniamo molto interessanti, per esempio, cerchiamo di raccogliere tutto ciò che riguarda le possibilità di formazione dentro il carcere, di reinserimento, di inserimento lavorativo e di tutti gli spazi culturali. Abbiamo molto seguito le attività delle biblioteche dentro il carcere. Sono tutte notizie, che, a nostro parere, sono scritte, lavorate giornalisticamente, sono preparate con tutti i crismi del giornalismo ma poi, fra tutte quelle che produciamo ogni giorno, sono quelle che vengono riprese meno dalle grandi testate che ci vedono. Questo per dire che del disagio, dei problemi che ci sono (adesso non voglio metterla molto in negativo) dentro il carcere, non interessa nulla a nessuno. O meglio, nella grande informazione, sul disagio, sui problemi annosi (io mi occupo di queste cose da una decina d’anni e seguo le statistiche, seguo i convegni), siamo rimasti più o meno al punto di partenza. Sono stati fatti atti amministrativi, il nuovo Regolamento penitenziario, etc., però diciamo che (per non essere troppo drastici), tra le esortazioni che venivano dai volontari, dalla società, e le intenzioni di fare qualcosa per migliorare c’è stato, e c’è ancora, un grosso squilibrio. È molto positivo che oggi qui si parli di informazione, e che se ne parli qui dentro. È molto positivo, soprattutto, che i volontari si pongano il problema di come portare fuori, all’informazione, all’opinione pubblica, i problemi che ci sono qui dentro, affinché salgano un po’ nelle scalette, nelle agende dei mezzi di informazioni, e diventino un po’ più "coperti", come si dice in gergo giornalistico. È positivo, perché uno dei problemi che il volontariato ha, storicamente, è proprio quello di non riuscire, spesso, a venire fuori dal quotidiano, dalle azioni quotidiane, dal concentrarsi troppo sulle cose utilissime che vengono fatte, ad esempio qui dentro nei confronti dei detenuti, per migliorare la loro qualità della vita, e non riuscire mai ad alzare un po’ la testa e porsi dei problemi, come questo di essere mediatori tra il carcere e gli informatori dell’opinione pubblica. Tutti i tentativi di umanizzare il carcere sono spesso frustrati, nonostante le persone molto degne che ci sono adesso e che sono passate al Dipartimento dell’Amministrazione della Giustizia. Evidentemente, c’è proprio un problema politico a monte, perché non mi risulta che in una sentenza, o in un ordine di custodia cautelare sia scritto, oltre al tempo, oltre alle misure di sicurezza, che un detenuto debba vivere in un ambiente a volte insalubre, in un ambiente promiscuo, che non debba avere un’assistenza sanitaria e sociale adeguata, che debba perdere, per intero o in parte, alcuni dei suoi diritti fondamentali. Eppure di questo, che succede normalmente, vi garantisco (ma voi lo potete confermare, credo) non interessa nulla a nessuno. Del carcere si parla pochissimo, si parla sempre meno, si parla solo quando succedono fatti eclatanti, e spesso anche in modo astratto. Oggi cercheremo di restare molto legati al tema della comunicazione, su come i volontari possono portare fuori il disagio che c’è (e che non dovrebbe esserci), con quali mezzi e con quali alleanze, perché anche di alleanze bisognerà parlare, su quali priorità insistere. Non siamo all’anno zero, ma quasi: come lo siamo un po’ su tutta l’informazione che riguarda ciò che oggi alla società fa paura, che genera intolleranza, genera rifiuto. Ecco, l’informazione su queste cose migliora molto, molto lentamente. Però ci sono già molti riferimenti validi: c’è l’esperienza di Padova, di cui parlerà Ornella; c’è l’esperienza di San Vittore e di altri luoghi che non conosco, ma è da questi riferimenti che bisogna partire. Ci sono anche degli esempi in cui si è riusciti a "bucare" l’informazione con i temi del carcere. Recentemente la rivista "Terre di Mezzo" ha fatto un’inchiesta, sulle "famiglie dentro", in collaborazione con Padova, soprattutto, e poi con San Vittore e con Rebibbia. Hanno voluto vedere quali e quante sono le famiglie che hanno più membri dentro al carcere, cioè padre, figli etc.. I componenti di queste famiglie devono, magari, fare il giro di cinque o sei penitenziari per andare a trovare tutti i parenti che hanno in carcere. Questo è un aspetto, se vogliamo, specifico e molto "curioso", pur nella sua drammaticità, però, grazie proprio alla collaborazione di chi era dentro al carcere e aveva le conoscenze, i mezzi e le competenze, si è riusciti a mettere in piedi un’inchiesta molto ben fatta, una conferenza stampa e un’ottima copertura sui giornali. Quindi, se ci si lavora bene, si può riuscire a fare. È molto dura, però incominciamo a provarci.
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