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"Persone
dentro e volontari fuori"
Nicola Sansonna (detenuto e redattore di "Ristretti Orizzonti")
Parlare dopo Antonio e tanta poesia, è un compito un po’ arduo. In redazione abbiamo più volte affrontato la discussione sul quale debba essere il ruolo del volontariato visto dalla parte nostra, dei detenuti, degli utenti di questo servizio. Mi piacerebbe leggere delle riflessioni che sono venute fuori da quell’incontro. Il tema è questo, cercare di aiutare il detenuto a diventare da soggetto passivo a soggetto attivo. Tutti i giorni nelle carceri italiane, centinaia di volontari varcano quei cancelli che separano due mondi: il mondo della società libera, dove per essere un buon cittadino devi lavorare, produrre, votare, consumare, avere relazioni sociali, da quello dei "ristretti", dove è più facile essere ritenuto buon ristretto se non ti fai notare per niente. Spesso, in carcere, l’immobilismo visto sotto un certo punto di vista, paga; nel senso che se io sto in cella, steso in una branda a dormire, a guardare Beatiful, non rischio di incorrere in rapporti disciplinari, in discussioni, quindi quando raggiungo i termini per chiedere la liberazione anticipata, ne ho tutti i diritti, perché è sufficiente la buona condotta. Non avendo preso rapporti disciplinari, visto che è quello il metro di misura per dare o meno i benefici, io allora mi prendo tutti i miei giorni di liberazione anticipata; perciò l’inattività, vista da questo punto di vista, paga; il non fare niente, paga. Ecco, così si vede che l’apatia in carcere dà anche dei risultati. Il volontariato perciò, secondo noi, si deve faticosamente inserire in questo mondo. Da una parte l’Istituzione carcere, con le sue regole e i suoi schemi, dall’altra i ristretti, che vivono in un ambiente del tutto innaturale per l’uomo, chiusi in gabbia, in un luogo totalmente controllato, con moltissime limitazioni di movimento e anche di pensiero. La prima cosa che un detenuto impara, in carcere, è quella di farsi i fatti propri, a non farsi notare più di tanto, così si evitano i problemi, sia con la custodia quanto con i propri compagni. Il volontariato, con varie modalità, è portatore spesso di proposte che si concretizzano nel fare qualcosa per i detenuti. Personalmente apprezzo molto che qualcuno si occupi dei problemi immediati di chi sta in carcere. Il volontariato classico fa egregiamente tutto questo. Fa per i detenuti, propone per il detenuto. Credo che per rompere il cerchio dell’apatia bisogna smettere di pensare soprattutto di "fare per il detenuto", ma iniziare a ipotizzare a che cosa si può fare "con il detenuto", cosa può fare il volontariato affinché il detenuto diventi un soggetto attivo. Si deve cercare di fare in modo che il detenuto non cada nell’autoesclusione e ritrovi la stima in se stesso, ma bisogna cambiare l’obiettivo, che non deve essere la sola assistenza, il sostegno materiale e spirituale, ma deve diventare una sfida. Riuscire a farsi portatori di stimoli, di messaggi che "costringano" alla riflessione. Proposte concrete che richiedano il diretto coinvolgimento del detenuto nella loro realizzazione. Il volontariato può rivestire questo importante ruolo, quello di aiutare nella riscoperta del desiderio di fare, di essere attivi per se stessi e per gli altri. Questa sfida, seppur con difficoltà, può essere vinta. Personalmente sono 4 anni che faccio volontariato qui in carcere e, come me, molti altri compagni. Abbiamo accettato di farlo perché coinvolti in prima persona in un progetto concreto, in cui eravamo allo stesso tempo, con i volontari, sia ideatori che realizzatori e, credetemi, funziona. Quindi, non più "fare per i detenuti" ma "fare con i detenuti".
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