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"Persone
dentro e volontari fuori"
Emilia Patruno (Giornalista e direttrice di "Magazine 2", rivista di San Vittore)
Io non mi sento di rappresentare i colleghi dei giornali importanti, dei quotidiani, dei settimanali, ma voglio dire una cosa molto chiara. Ha ragione Trasatti quando dice che del carcere non interessa niente a nessuno perché, in effetti, è così. Io sono giornalista in un settimanale molto diffuso, di ispirazione cattolica, quindi, almeno teoricamente, di gente orientata a dar retta a quello che succede appunto nel disagio, nella devianza etc.. In più sono volontaria, in più faccio un giornale in carcere, quindi, teoricamente, dovrei avere la strada spianatissima, ma non è assolutamente così… Questa giornata l’ho puntualmente segnalata e sono riuscita ad ottenere di poterla recensire. Sono riuscita anche a entrare nel novero di quelli che danno dati sbagliati, perché io ho detto che i volontari in carcere erano 8.500. Mi accorgo che la situazione di un giornalista comune è molto diversa rispetto a quella di un giornalista che è entrato in carcere, perché chi entra in carcere non riesce a scrollarselo di dosso nel momento in cui esce: questa è la mia esperienza, però è successo anche a tanti altri giornalisti che sono entrati. Non sono d’accordo con chi dice che c’è sempre disinteresse verso il carcere: c’è disinteresse finché l’informazione che viene dal carcere non è soddisfacente, non è puntuale, suona falsa. Ha ragione Ornella Favero e penso che il suo pessimismo sia un po’ sbagliato: noi stiamo facendo delle cose, chi fa informazione dal carcere sta facendo delle cose, che coinvolgono i detenuti. Sarà anche un lavoro a macchie, come dice Albinati, sarà un lavoro che non ha una missione altissima, però è un lavoro che i detenuti affrontano molto seriamente e trova, quando è fatto seriamente, anche attenzione fuori. Don Ciotti diceva che dobbiamo educarci a guardare i fatti buoni, a guardare in positivo. Io penso che quando l’informazione dal carcere è seria, come succede (ed è successo, per esempio, per una inchiesta che abbiamo fatto, per la quale il D.A.P. ci ha chiesto dati), allora c’è un’attenzione: non solo per quello che riguarda i detenuti, ma anche per quello che riguarda i volontari. Il volontariato del carcere è un volontariato molto particolare, che si sporca molto le mani, che si misura quotidianamente con delle sofferenze, con degli espedienti, con delle mortificazioni, con un problema molto grosso e tutti noi siamo convinti di fare il meglio di quello che si può fare. È vero che il volontariato del carcere, come ci hanno detto, è indispensabile. Il Provveditore alle carceri ha detto, addirittura: "Non possiamo sopravvivere, senza la vostra forza". Quindi i volontari sono importantissimi però, se siamo così importanti e se l’informazione che viene dal carcere spiega la realtà, spiega che i fatti stanno in questo modo, allora perché non riusciamo a farlo capire ai cittadini? Mettiamoci quest’altra categoria, perché ci sono i giornalisti, ci sono i detenuti, ci sono i volontari, però ci sono anche i cittadini. Non è assolutamente vero che fare un giornale in carcere sia una cosa semplice. Non saranno belli, i giornali del carcere, non saranno tutti allo stesso livello, ma le difficoltà si incontrano perché l’istituzione non è trasparente e non deve essere trasparente e, forse, non lo sarà mai. Io vorrei sapere se si sentono così a loro agio i rappresentanti delle istituzioni (e parlo di D.A.P.) in una situazione del genere. Non credo ci possa essere un compromesso. L’istituzione fa il suo lavoro e i volontari fanno quello che possono. Se il volontariato del carcere viene fuori, nella sua importanza, attraverso questi giornali, io penso che dovrebbe anche esserci un rapporto diverso di fiducia che si dà a questo tipo di comunicazione. Perché, che il volontariato del carcere sia così importante, forse non lo sanno tutti i cittadini, in effetti: se non entrassero i volontari, nel carcere la situazione credo sarebbe molto peggiore di quella che è oggi. Quindi, dobbiamo forse ripensare il rapporto tra l’associazionismo del carcere e chi, in questo settore, si occupa della comunicazione. Io accolgo le proposte di Ornella e di tutti coloro che ne faranno altre in tal senso. Certo, bisognerebbe essere più informati, bisognerebbe essere più organizzati, bisognerebbe contare di più anche perché sentirsi dire in continuazione che si è bravi e si è indispensabili, però poi non avere nessun tipo di facilitazione, non mi sembra una situazione proprio ideale. Quanto poi a cambiare la mentalità sul detenuto, questa è una cosa molto difficile. Ai giornali, come diceva benissimo Trasatti, non interessa proporre un servizio sul carcere. Ti dicono "Ma no, ne abbiamo appena parlato, ma no quello è evaso…". Adesso, per esempio, non si parla che di guerra: chi può fare un altro discorso? Ci sono le mode e, in quei momenti in cui c’è il discorso della sicurezza, l’emergenza sicurezza, non si fa un millimetro più in là. Non c’è niente da fare. Anche il lettore più disponibile umanamente vuole leggere com’è andata la rapina, non è interessato a che cosa succede poi di quelle persone. È chiaro che non ci si deve accodare a questo facile movimento, però non è molto semplice riuscirci. Penso anche che ciò che si fa è un po’ scoordinato e, per fortuna, c’è pure qualcuno che cerca di coordinarlo, c’è molta buona volontà e, se si riuscirà a trovare un metodo valido, noi siamo disponibili.
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