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"Persone
dentro e volontari fuori"
Carmelo Cantone (Direttore della Casa di Reclusione di Padova)
Io, oltre che ringraziare ancora tutti per l’attenzione e la partecipazione che c’è stata, che mi pare estremamente ricca: più di 300 persone, oltre ai detenuti. Mi auguro che l’ospitalità che avete ricevuto sia stata per voi piacevole, ovviamente questa è una struttura di pena e non un centro convegni, questo lo sottolineiamo sempre. Io non so se sia il caso di fare qualche considerazione, come operatore istituzionale, ma comunque periferico dell’amministrazione, rispetto anche a una serie di cose importanti che sono state dette anche dal dibattito di stamattina, sia dai nostri referenti centrali (parlo dell’intervento di Tamburino e Di Somma) e poi anche dalle sferzate consuete di don Ciotti, di Palma e di altri interlocutori. Anche gli interventi di oggi pomeriggio, comunque, sia gli interventi programmati, sia le iscrizioni al dibattito, mi pare che confermino quella sensazione che avevo stamattina, cioè che c’è una ricchezza e una varietà di posizioni. Ogni operatore, ogni referente, sia esso istituzionale o del volontariato, o del territorio, che lavora nel carcere e più intensamente ci ha lavorato, si porta a maggior ragione sicuramente dietro la sue ferite. Albinati ha detto alcune cose, una serie di disagi comprensibili, che comprendiamo noi stessi che abbiamo, per forza di cose, un altro tipo di storia all’interno dell’istituzione penitenziaria. Gli stessi disagi, gli stessi imbarazzi che venivano manifestati sulle esperienze di San Vittore, che poi sono quei denominatori comuni che vediamo anche nel confronto che c’è qui nel nostro istituto con Favero e con altri. Con il volontariato che si occupa di quello di cui abbiamo dibattuto oggi, di informazione, di buona informazione, o che si occupa anche di tante altre cose. Oggi non abbiamo parlato di lavoro. Forse, come dice Mozzi, non abbiamo parlato, non abbiamo messo tra virgolette il discorso degli stranieri: non mi pare, ma è una presenza così quotidiana la presenza della riflessione della condizione dello straniero in carcere, insomma non mi sembrava francamente necessario fare ulteriori sottolineature, perché è lavoro quotidiano. Ciascun operatore può raccontare le sue: anche il nostro provveditore, stamattina, diceva qualcosa. Anche le cose molto pragmatiche, per certi aspetti anche inquietanti, che evocava il nostro vice direttore generale stamattina. Dicono che ci sono delle ferite che ci portiamo dietro, lavorando in questa amministrazione, che non impediscono assolutamente la prosecuzione di un confronto, di un lavoro assieme, sopratutto fra le varie componenti di chi lavora in carcere. Poi è difficile dire quale sarà il panorama dei prossimi anni. È vero che, un’eventuale opacità (mi pare che Mauro Palma la evocava questa mattina), un’eventuale periodo futuro di opacità sui problemi del carcere, non solo non giova al carcere, ma sicuramente non giova nemmeno alla società civile nel suo complesso. Una delle cose che, come operatore, più mi dispiace è quella di assistere, quando si parla di carcere, a esercizi di stile, a esercizi di retorica, cioè si parla del carcere perché in quel momento conviene parlare del carcere, per fregarsene bellamente il giorno dopo. Chi sta qui, ovviamente, non corre questo rischio, penso che un aspetto d’intervento che bisogna curare nel futuro sia questo, cioè fare in modo di accettare il fatto che le sofferenze, le pragmaticità quotidiane anche che evocava Albinati nel suo intervento, siano comprese e elaborate a patrimonio anche all’esterno. Ieri pomeriggio, a un dibattito che c’è stato in città, organizzato sul rapporto tra pena e etica, c’è stato un intervento di un docente di diritto penale, il professor Eusebi, che ha tirato fuori una metafora: è stata un’immagine molto efficace, perché, in effetti, ha sottolineato come la parentesi del carcere è una ferita. Una ferita anche sanguinante. Facciamo in modo che in questa frattura, in questa ferita che si viene a creare, ci sia un ponte: non può scomparire una ferita, non si può fare un’operazione... però si può creare un ponte. Io credo che ci sia già questo ponte e tanta gente sta lavorando perché questo ponte venga fortificato, mantenuto e arricchito. Credo che sia molto importante, nel futuro prossimo, continuare a chiedere conto, a chi non vuole, o a chi non interessa che ci sia questo ponte, a chiedere conto (ciascuno per il proprio livello di responsabilità) del perché si vuole rimuovere o rifiutare questo ponte. Su questo non credo che gli amici del volontariato si possano tirare fuori, a tutti i livelli, accettando un livello di confronto continuo, a tutto campo, con l’amministrazione penitenziaria Chi è più addentro, degli esterni, l’ha capito, ha compreso sicuramente che il panorama, anche all’interno dell’amministrazione penitenziaria, è molto variegato e vasto. Quando si diceva (è stato citato nel dibattito anche oggi pomeriggio): "Come mai, da dieci anni non si fanno concorsi per assumere educatori…". E questo è stato riportato, anche prima, da Santoiemma, come un elemento di scandalo. Ci sono anche queste componenti, c’è anche una componente (c’è stata in questi anni) di gestione del personale. L’amministrazione penitenziaria costituisce un grosso affare, per tutti coloro che ci lavorano e che hanno dei rapporti lavoro con l’amministrazione penitenziaria. Io non credo che si debba smontare e distruggere l’affare, ma si deve fare in modo che questo affare sia funzionale a una crescita di civiltà. Vi ringrazio ancora, mi faccio carico di ringraziare i detenuti che hanno partecipato all’organizzazione di questa kermesse, avete visto anche con effetti speciali, la prossima volta faremo anche i fuochi pirotecnici, non so qualcosa dovremo inventare e poi i nostri ragazzi, i nostri agenti, che hanno partecipato con entusiasmo, con la solita verve, e sicuramente anche con qualche sacrifico in più. Mi pare giusto sottolinearlo, rispetto al consueto, grazie.
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