Prime Conclusioni 1

Prime conclusioni sul tema “Ripartire dal carcere”

 

Secondo le statistiche del Dipartimento dell’ Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia, nei 231 istituti penitenziari italiani sono detenute oltre 56.277 persone, la capienza massima è di 48.500.

I tossicodipendenti rappresentano quasi un terzo di questa popolazione (15.442), così come i detenuti stranieri (17.049).

La violazione della legge sulla droga, la n° 309 del 1990, rappresenta la seconda causa di detenzione (20% dei casi) dopo i reati contro il patrimonio (25%), ma considerando gli stranieri essa rappresenta di gran lunga la principale tipologia di reato (circa il 40% dei casi, contro il 20% detenuto per reati contro il patrimonio).

 

Questioni critiche

 

Si registra un generale aumento delle persone tossicodipendenti in carcere, in Italia e in Europa. A livello nazionale la loro presenza è raddoppiata dal 1990.

Il fenomeno della doppia recidiva, la ricaduta nella dipendenza come preludio al ritorno nella micro-delinquenza e alle successive entrate e uscite dal carcere, testimonia la difficoltà dei servizi a proporre percorsi di recupero efficaci.

Il passaggio della medicina penitenziaria al Sistema sanitario nazionale (sancito con la legge n° 230 del 1999) è stato ostacolato dalla scelta della sperimentazione, che ha generato una serie di ritardi e decreti legge, dalla mancata identificazione delle risorse (professionali e finanziarie) e da resistenze istituzionali.

Il momento della scarcerazione costituisce una fase di particolare rischio. Secondo uno studio britannico avallato dall’Osservatorio Europeo delle Droghe e delle Tossicodipendenze, nelle due settimane successive all’uscita dal carcere le morti per overdose sono 8 volte superiori rispetto alle dieci settimane successive alla scarcerazione.

Le misure alternative alla detenzione per i tossicodipendenti: affidamento ai servizi sociali, detenzione domiciliare e sospensione della pena, sono largamente sottoutilizzate per carenza di risorse (ad esempio per le borse lavoro) e riduzione di personale (con particolare riguardo agli organici dei Ser.T.).

Per le comunità è molto difficile seguire un tossicodipendente agli arresti domiciliari - per il quale, quindi, la pena non è ancora definitiva - per i vincoli legati allo status giuridico e perché la retta, in questo caso a carico del Ministero di Grazia e Giustizia e non delle ASL, è molto più bassa.

La legge Smuraglia (n° 193 del 2000) ha cercato di incentivare il lavoro per i detenuti, dentro e fuori dal carcere, ma la scarsa informazione e i molti ostacoli burocratici ne hanno impedito la piena attuazione, specialmente sul versante imprenditoriale. Il rischio è di vanificare un prezioso strumento di inserimento sociale e di accompagnamento nell’uscita dal carcere.

 

Proposte

 

Garantire almeno quattro opportunità alla persona tossicodipendente che esce dal carcere: un lavoro in grado di assicurare un reddito, seppure minimo; uno spazio abitativo, almeno temporaneo, per chi non ha riferimenti; un collegamento con i servizi e un’eventuale copertura farmacologica che protegga dal rischio di overdose; un sostegno relazionale che attutisca la solitudine e affianchi la persona nei nuovi compiti.

Favorire il percorso d’integrazione sociale, promuovendo - all’interno degli affidamenti in prova - un patto con il detenuto tossicodipendente che associ al vincolo del trattamento la garanzia delle opportunità già citate. Questo per evitare la prima recidiva (la ricaduta nella dipendenza), e spezzare il circolo vizioso di ingressi e uscite dal carcere (doppia recidiva).

Dare effettiva attuazione all’ingresso del Sistema sanitario nazionale negli istituti penitenziari, assicurando non solo la presenza di personale specializzato ma anche la copertura finanziaria. Con la scadenza della seconda fase della sperimentazione è necessario un provvedimento legislativo per evitare l’interruzione del trasferimento della medicina penitenziaria al SSN.

Aumentare l’applicazione delle misure alternative attraverso esperienze innovative, tra cui la presenza dei Ser.T. già al momento del processo. L’esperienza pilota di Milano (il “Ser.T. in Pretura”), benché oggetto d’unanimi riconoscimenti è rimasta un caso isolato.

Istituire un’anagrafe carceraria per consentire ai detenuti il consolidamento formale di alcuni aspetti di identità (come la residenza), indispensabili per ottenere lavoro e abitazione.

 

 

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