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Giornata di Studi su Casa di Reclusione di Padova - 16 febbraio 2001 La protezione del minore straniero Nell’ambito dell’attività giurisdizionale di protezione del minore e degli interventi di tutela della famiglia lo status di irregolare o clandestino, come si vedrà, non costituisce un limite giuridico per l’esistenza di competenza della Autorità giudiziaria italiana o per l’applicabilità di alcuni istituti, ma funziona invece come presupposto di fatto valutato dall’Autorità giudiziaria stessa nel corso dell’intervento. 17. L’attività giurisdizionale di protezione Come già accennato, in materia di protezione dei minori l'individuazione della legge applicabile e della autorità competente avviene, in base dell'art. 42 della legge 31 maggio 1995 n. 218 di riforma del diritto internazionale privato, con riferimento alla Convenzione dell'Aja del 5 ottobre 1961. In base all’art. 1 della detta Convenzione dell'Aja le autorità, sia giudiziarie che amministrative, dello Stato di residenza abituale di un minore sono competenti, in linea generale, ad adottare misure tendenti alla protezione della sua persona o dei suoi beni. In tale ambito devono ricomprendersi sia quelle misure di protezione che vengono poste in essere quando i genitori del minore manchino o siano impediti o inidonei all'esercizio della potestà, sia quelle necessarie quando in caso di emancipazione sia riconosciuta al minore una capacità limitata. La stessa Convenzione dell'Aja già prevedeva che tutte le autorità che hanno adottato misure previste dalla Convenzione ne informino senza indugio le autorità dello Stato di appartenenza o di abituale residenza. A tale prescrizione si è ora aggiunta quella ben più dettagliata della nuova legge sulla immigrazione n. 49/1998, per la quale l'autorità giudiziaria, l'autorità di pubblica sicurezza e ogni pubblico ufficiale hanno l'obbligo di informare la rappresentanza diplomatica o consolare più vicina del paese a cui appartiene lo straniero nel caso in cui essi abbiano adottato, fra gli altri, provvedimenti di tutela dei minori o di status personale. In ogni caso, il pubblico ufficiale ha l'obbligo di agevolare lo straniero interessato da un suo provvedimento a prendere contatto con le autorità del paese di cui è cittadino (art. 2 legge n. 40/1998). La legge sull’immigrazione vieta gli atti di discriminazione; fra gli altri è considerato tale l'atto del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio che nell'esercizio delle sue funzioni compia o ometta atti nei riguardi di un cittadino straniero che, soltanto a causa della sua condizione di straniero o di appartenente ad una determinata razza, religione, etnia, o nazionalità, lo discriminino ingiustamente; o l'atto di chi per gli stessi motivi rifiuti o renda più difficile l'accesso all'istruzione, ai servizi sociali e socio‑assistenziali 18. Le misure di protezione e gli interventi di urgenza Le autorità amministrative e giudiziarie dello Stato di residenza abituale adottano le misure previste dalla loro legislazione interna (art. 2 Convenzione dell'Aja del 5 ottobre 1961). Questo dunque significa che al minore straniero in Italia si applicheranno le normali misure di protezione previste dalle nostre leggi. Un primo problema da risolvere è quando si possono applicare le norme italiane in materia di protezione. Innanzitutto occorre che il minore straniero abbia “residenza abituale”[45] in Italia. Ciò va ritenuto sussistente quando il minore ha formalmente la residenza in Italia (cioè quando è regolare) ma anche quando pur senza regolarizzare la sua posizione è presente in modo costante nel territorio; in caso contrario potranno essere applicate solo le norme di urgenza. Un secondo problema è quali norme italiane siano applicabili, atteso che la Convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961 non contiene una definizione delle misure tendenti alla protezione del minore, né una elencazione esaustiva o indicativa[46]. Si ritiene che si debbano intendere ricomprese nell'ambito della Convenzione la tutela (artt. 343 sgg. cod. civ.), gli interventi urgenti di protezione della pubblica autorità (art. 403 cod. civ.), gli affidamenti eterofamiliari (artt. 2‑5 legge n. 184/1983 sull’adozione), i provvedimenti giudiziari relativi all'esercizio della potestà genitoriale (artt. 330 sgg. cod. civ) e altri ancora[47]. In tutti i casi di urgenza, le autorità di ogni Stato in cui si trova il minore adottano le misure di protezione "necessarie" (art. 9 Convenzione dell'Aja del 5 ottobre 1961); tali misure sono necessariamente provvisorie, destinate a cessare non appena lo Stato di appartenenza (o di residenza abituale) avrà adottato le misure definitive. Anche in questo caso occorre preliminarmente chiarire quali sono le misure di urgenza previste dal nostro ordinamento applicabili al minore straniero. Sul punto infatti è intervenuta una disposizione di legge[48]a stabilire che l'adozione dei provvedimenti provvisori e urgenti previsti dalla Convenzione dell'Aja del 1961 è di competenza del tribunale per i minorenni del luogo ove il minore risiede. 19. La tutela Il nostro ordinamento prevede una serie di interventi a protezione del minore nel caso in cui i entrambi i genitori esercenti la potestà manchino definitivamente o momentaneamente. È evidente come tali interventi, previsti (e applicati per i minori italiani) come rimedi a situazioni eccezionali, abbiano trovato una nuova, diversa e amplissima applicazione relativamente ai minori stranieri. Secondo l’art. 343 cod. civ., se entrambi i genitori sono morti o per altre cause (sono scomparsi, non si trovano, etc) non possono esercitare la potestà dei genitori, viene aperta la tutela. In questi casi il giudice tutelare[49] nomina tutore una persona (che se possibile è preferibilmente scelta fra gli ascendenti o i parenti del minore) la quale dia affidamento di educare e istruire il minore come un genitore. Oltre a curare la persona, il tutore rappresenta il minore in tutti gli atti civili e ne amministra i beni; ne fissa la residenza e ha diritto di richiamarvelo. Il minore gli deve obbedienza. L'ufficio tutelare è di norma gratuito. L'apertura della tutela, in presenza di questi presupposti, è obbligatoria. Pertanto essa troverà applicazione sia nei confronti dei bambini stranieri che si trovano in Italia senza i genitori, affidati di solito a presunti parenti più o meno prossimi; sia nei confronti degli adolescenti stranieri soli, giunti nel nostro paese assieme ad altri adulti e che si comportano come tali, occupandosi di sé stessi[50]. In particolare in questi ultimi casi, qualora non vi fossero procedimenti giurisdizionali a carico del minore, si riteneva spettasse al giudice tutelare effettuare una valutazione dell'interesse o meno del minore a rimanere in Italia, disponendo ai sensi dell'art. 371 comma 1, n. 1 cod. civ. sulle modalità della sua collocazione in Italia o per il suo rimpatrio. Tale competenza pare essere passata ora al Comitato per i minori stranieri istituito dalla legge n. 40/1998, al quale secondo la legge spetta adottare il provvedimento di rimpatrio del minore straniero non accompagnato, previo eventuale nulla osta del Tribunale per i minorenni qualora sia instaurato un procedimento giurisdizionale nei suoi confronti[51]. Va ricordato che al compimento del diciottesimo anno di età al minore affidato ai sensi dell'art. 2 della legge n. 184/1983 sull’adozione - e per analogia al minore senza genitori che sia stato collocato dal giudice tutelare - può essere rilasciato un permesso di soggiorno definitivo, anche se giunto in Italia irregolarmente. La figura del tutore è fondamentale, in quanto questi rappresenterà gli interessi del minore nell'ambito di tutte le procedure, di assistenza o di sostegno. Proprio per questo è prassi che il tutore dei minorenni stranieri venga individuato nella persona che nelle istituzioni rappresenta l'organo di assistenza o nel responsabile delle strutture, anche private o di volontariato, che concretamente si occupano del minore. Il trattamento penale del minore straniero 20. Il minore straniero e il processo penale Al minore straniero che si trova in Italia e che commette un reato si applicano ovviamente le norme penali e processuali ordinarie: pertanto, a prescindere da eventuali differenti legislazioni nazionali, il minore è considerato tale fino a diciotto anni e sotto i quattordici anni è considerato non imputabile. Qualche problema di coordinamento sorge fra la normativa sugli stranieri e le disposizioni in favore dei minori contenute nella legislazione minorile. Ad esempio, ci si chiede se il minore straniero, che ai sensi dell'art. 17 legge n. 40/1998 non può essere espulso se non per seguire i genitori, possa usufruire in caso di condanna a pena detentiva entro i due anni della sostituzione della pena con la misura dell'espulsione per cinque anni, prevista all'art. 14 della legge stessa; o se possa egli stesso richiedere la sua espulsione negli altri casi previsti dalla legge. Purché l'espulsione avvenga con modalità che salvaguardino il minore (consegna ai genitori o alle autorità dello Stato di appartenenza...) pare difficile però pensare che tali vantaggi siano preclusi al minore solo perché tale. Deve rispondersi positivamente alla domanda se il minore straniero clandestino o irregolare possa usufruire della messa alla prova prevista dal processo minorile, in quanto il provvedimento giudiziario, che contiene nel corso della prova l'affidamento del minore ai servizi minorili dell'amministrazione della giustizia, può comunque essere equiparato ad una misura di protezione e quindi permettere il rilascio di un permesso di soggiorno quantomeno provvisorio. In tal senso vi sono numerose pronunce di tribunali per i minorenni e lo stesso Ministero del lavoro ha disciplinato con una sua circolare tale eventualità[52]. 21. Le comunicazioni all’autorità consolare. Di grande rilievo è l’obbligo introdotto dall’art. 2 T.u.d.i.s. di informare la rappresentanza diplomatica o consolare più vicina del paese cui appartiene lo straniero in ogni caso in cui sia adottata nei suoi confronti un provvedimento in materia, fra l’altro, di libertà personale e di tutela dei minori. Ciò significa che ogni provvedimento civile del Tribunale per i minorenni nonché ogni arresto, accompagnamento e misura cautelare devono essere comunicati all’autorità consolare, informandola di quale provvedimento è stato emesso e dove si trova lo straniero (art. 4 Reg. Att.). Il dato letterale e il contesto normativo sembrano togliere ogni dubbio sull’obbligatorietà di tale comportamento, con corrispondente responsabilità dei destinatari della norma, che sono l’Autorità giudiziaria, l’autorità di pubblica sicurezza e ogni pubblico ufficiale. I maggiori problemi pratici però saranno creati sicuramente dalle due previsioni di deroga di tale obbligo, che non sussiste: a) quando lo straniero dichiari espressamente di non volersi avvalere degli interventi della rappresentanza del proprio paese; in tal caso “per lo straniero di età inferiore ai quattordici anni la rinuncia è manifestata da chi esercita la potestà sul minore”; b) quando dall’informazione possa derivare il pericolo per lo straniero e i componenti del nucleo familiare, di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di religione etc. In sostanza, i destinatari della norma allorquando si trovano di fronte uno straniero dovrebbero informarlo della facoltà di rinunciare alla comunicazione, tenendo conto che nel caso in cui il minore ultraquattordicenne si avvalga di essa diventa problematico anche porre in essere molte attività di sostegno; mentre se il minore è infraquattordicenne (si pensi solo a tutti coloro che per tale motivo sono dimessi dai C.P.A. o dagli I.P.M.) dovrebbero interpellare i genitori o chi per essi. E’ infatti impensabile che una scelta così delicata (che potrebbe esporre non solo il minore, ma anche e soprattutto la sua famiglia, a persecuzioni o altro) possa essere presa dal semplice operatore. Ritorna quindi anche in tal caso l’opportunità di richiedere la nomina di un tutore. 22. Il sostegno sociale nel corso del procedimento penale Numerosi sono i casi in cui il servizio sociale, sia quello ministeriale che, direttamente o indirettamente, quello dell'ente locale, si trova a dover seguire un minore straniero coinvolto nel processo penale. Infatti le disposizioni sul processo penale minorile (art. 6) prevedono che l'autorità giudiziaria si avvale dei servizi sociali “in ogni stato e grado dei procedimento”. In particolare, il minore può essere affidato al servizio sociale per la attuazione della "messa alla prova" (art. 28 disp. proc. pen. min.), per compiere accertamenti sulla personalità del minore (art. 9 disp. proc. pen. min.), nel corso dell'applicazione di misure cautelari (art. 19 disp. proc. pen. min.), nel procedimento per l'applicazione di misure di sicurezza (art. 36 disp. proc. pen. min.). Non vi sono particolari problemi per questa assistenza per quanto riguarda i minori stranieri presenti regolarmente sul territorio, cui va riservato lo stesso trattamento giuridico del minore italiano. La questione si pone relativamente ai minori irregolari, sia perché entrati clandestinamente, sia perché non più in regola con la normativa relativa al soggiorno. Soprattutto in passato, l'incertezza normativa aveva lasciato spazio a orientamenti assai diversi, da parte sia degli organi giudiziari che di quelli amministrativi[53]. Attualmente, alla luce delle novità inserite nel nostro ordinamento dalla legge n. 218/1995 sulla riforma del diritto internazionale privato, dalla Convenzione sui diritti del bambino di New York del 1989, dalla legge n. 40/1998 sull’immigrazione, può probabilmente affermarsi che anche il minore irregolare gode del medesimo trattamento giudiziario; questo anzi gli consente di poter usufruire di possibilità di inserimento e, in prospettiva, di regolarizzazione, superiori a quelle dei coetanei non coinvolti in questioni penali. 23. Il problema dell’esatta identità del minore straniero Anche i servizi sociali si trovano di fronte ad un problema che rende ardua l'attività dei tribunali[54] ed ora anche del Comitato per i minori stranieri, e cioè l'identificazione del minore straniero[55]. La esatta identificazione permette di applicare correttamente gli strumenti di sostegno e di assistenza: non si applicano gli interventi specifici, se l'assistito in realtà è maggiorenne; non si apre una tutela, se il minore risulta avere genitori in Italia; si possono informare le autorità consolari, se si conosce la nazionalità. Per avere elementi certi sulla identità del minore oggetto dell'intervento, l'operatore può rivolgersi anche di sua iniziativa alle forze di pubblica sicurezza, che hanno la competenza relativamente alla identificazione degli stranieri mediante l'acquisizione di tratti significativi della persona (in pratica, le impronte digitali). Alle attività di identificazione preventiva, l'autorità di pubblica sicurezza può provvedere attraverso gli strumenti normativi del testo unico leggi di pubblica sicurezza[56]; se l'attività di identificazione avviene in conseguenza di un reato, la polizia giudiziaria procede alla identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini nei tempi e nei modi previsti dal codice di procedura penale[57]. Nonostante vi siano incertezze da parte di alcuni, non vi sono validi elementi per dubitare che si possa procedere a rilievi segnaletici anche di minori infraquattordicenni, sia preventivamente, sia dopo la commissione di un reato: l'art. 348 cod. proc. pen. ordina alla polizia giudiziaria di assicurare le fonti di prova e l'art. 349 cod. proc. pen. indica a tale scopo proprio i rilievi dattiloscopici. Anzi proprio quando l'indagato è infraquattordicene maggiore è l'opportunità di procedere (come sempre dovrebbe farsi quando l'indagato è minorenne) ad acquisizione di documenti e a rilievi dattiloscopici delle persone che si presentano e a cui vengono consegnati i minori, per giungere ad identificare i genitori. E ciò sia in via genericamente preventiva, sia agli specifici fini di identificazione ex art. 7 disp. proc. pen. min. (dovendo ai genitori essere notificati alcuni rilevanti atti processuali), sia al fine di una maggiore adeguatezza dell'intervento di assistenza e di sostegno. Anche attraverso i colloqui con i minori possono essere acquisite informazioni utili alla identificazione. [45] Risulta difficile definire la "residenza abituale" del bambino, che non è la residenza dei genitori, e che è una nozione che non esiste nel nostro ordinamento e ha dato luogo a pronunce discordanti fra i giudici. Secondo l'opinione prevalente, per identificare la residenza abituale vanno principalmente considerati i legami affettivi ed importanti che il bambino ha con l'ambito familiare o sociale in cui vive e quindi essa deve essere valutata caso per caso: vedi T. Ballarino, “Il nuovo diritto internazionale privato della famiglia”, in Famiglia e diritto, 1995, p. 491. [46]Ciò avverrà peraltro con la Convenzione dell'Aja 19 ottobre 1996, che indica all'art. 3 le misure di protezione adottabili e all'art. 4 le decisioni escluse. [47] Vedi M. Franchi, La riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, in Le nuove leggi civili commentate, 1996, n. V/VI , pp. 1244 sgg. [48] Si tratta dell'art. 3 della legge n. 64 del 1994, disposizione ampiamente criticata da chi si è occupato della questione. [49] Il giudice tutelare è un giudice specializzato costituito presso il tribunale ordinario, o la sezione distaccata di detto tribunale, del luogo ove il minore ha i suoi principali interessi o, in mancanza, del luogo ove il minore si trova, che tra l’altro ha competenze in materia di tutele ed esercita un controllo sull’operato degli istituti ove sono collocati i minori. [50] In particolare si vedano per un contrasto di pronunce in ordine alla competenza sui minori stranieri non accompagnati, due provvedimenti del Tribunale per i minorenni di Brescia (che afferma la competenza del giudice tutelare) e del Giudice Tutelare di Castiglione delle Stiviere (che la nega) pubblicati in Diritto, immigrazione e cittadinanza, n. 1/1999, p. 185. [51] Ciò a seguito dell'emanazione del D. L.vo 13.4.1999, n. 113, che ha modificato l'art. 33 del Testo unico approvato con D. L.vo n. 25.8.1998, n. 286. [52] Ci si riferisce alla Circolare n. 67/94 in data 16 giugno1994, che ha come oggetto “Accesso all'impiego dei minori extracomunitari in stato di abbandono in Italia" e che prevede una apposita procedura in presenza di un provvedimento dell'autorità giudiziaria che disponga interventi di protezione del minore (quali ad esempio inserimento in istituti assistenziali, affidamento familiare, affidamento preadottivo ecc.), sicché è certamente applicabile anche al caso di messa alla prova. [53] Fra i numerosi scritti in materia, segnalo quello riassuntivo di A. Vancheri, “Il trattamento giudiziario del minore straniero”, in Minorigiustizia, 1994, 4, p. 97. [54] Su questo problema vedi L. Miazzi, “Identificazione e trattamento dei minori nomadi ed extracomunitari”, in Minorigiustizia, 1996, 4, p. 91. [55]Vedi, al riguardo, "Interventi e problemi aperti per i minori stranieri a Torino", in Minorigiustizia, 1997, 2. pp. 152 sgg.. [56]Recitava l’art. 144 t.u.l.p.s.: "L'autorità di pubblica sicurezza ha facoltà di invitare, in ogni tempo, lo straniero ad esibire i documenti di identificazione di cui è provvisto, e a dare contezza di sé. Qualora siavi motivo di dubitare della identità personale dello straniero, questi può essere sottoposto a rilievi segnaletici". La norma, abrogata dalla l. n. 40/98, è sostanzialmente ripresa dall’art. 6 T.u.d.i.s.. Per quanto riguarda gli italiani, i poteri dell'autorità di pubblica sicurezza sono più limitati: vedi art. 4 t.u.l.p.s. [57] Art. 349 cod. proc. pen.: Alla identificazione "può procedersi anche eseguendo, ove occorra, rilievi dattiloscopici, fotografici e antropometrici, nonché altri accertamenti"; a tal fine la polizia giudiziaria può accompagnare la persona nei propri uffici e trattenerla "per il tempo strettamente necessario per la identificazione e comunque non oltre le dodici ore". Lorenzo Miazzi
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