Alternative alla detenzione di Antonio Lovati
Nello sviluppo della vita sociale, quando alla forza bruta del singolo si è andata sostituendo la forza del diritto di un’autorità, è nata la necessità di allontanare le persone che avevano arrecato del male o che si temeva potessero comunque nuocere. Fin dai primordi della storia si venne a stabilire una gradazione della colpa, nel senso che chi avesse compiuta una infrazione grave ad una norma del vivere comune o avesse arrecato un danno notevole veniva colpito nel bene sacro della vita, mentre chi avesse attentato alla persona ed al patrimonio altrui in modo più leggero, anziché essere ucciso, veniva allontanato. Nei tempi antichi il carcere rappresentava più un luogo di estradizione che di pena, con una finalità volta all’isolamento più che all’emendazione del soggetto. Nei tempi moderni la privazione della libertà in carcere ha sostituito pena di morte, esilio, pene corporali, con funzioni:
In Italia le norme penali e penitenziarie sono contenute nel Codice Penale, nel Codice di Procedura Penale e nell’Ordinamento penitenziario. Il Codice Penale risale alla formulazione del 1930 (Codice Rocco). Ha subito nel corso del tempo tali e tante modificazioni, che il suo impianto originario è stato trasformato radicalmente. Gli interventi settoriali, al di fuori di una coerente impostazione globale, hanno toccato numerose situazioni, quali genocidio, armi, stupefacenti, aborto, inquinamento, pedofilia. In questi ultimi anni sono stati svolti numerosi studi da parte di commissioni di esperti per la redazione di un nuovo testo. Nel frattempo, sono state approvate alcune modifiche con il Decreto Legislativo n. 307 del 20.12.1999, con la depenalizzazione di reati minori, per contribuire a decongestionare l’attività della giustizia e ridurre la popolazione carceraria. Il Codice di Procedura Penale è entrato in vigore ormai da diversi anni: introduce nuove norme relative alle indagini e prevede riti alternativi ed abbreviarti. Di rilievo poi la Legge n° 165 del 27.5.1998 (detta Legge Simeone dal nome del proponente) che ha introdotto procedure particolari per ridurre gli ingressi nelle carceri, consentendo a persone con condanne brevi di evitare l’ingresso in carcere, nell’attesa che il Tribunale di Sorveglianza si pronunci circa la concessione di una misura alternativa alla detenzione. L’Ordinamento Penitenziario è stato varato nel 1975 e la legge Gozzini del 1986 ha ampliato e rilanciato la riforma penitenziaria della Repubblica Italiana. A grandi linee nei suoi elementi base contempla:
Meno carcere, più impegno sociale
È il titolo del Convegno e significa anche che la detenzione non è l’unica risposta possibile, di fronte alla violazione delle regole di civile convivenza. La punizione e la riabilitazione delle persone condannate possono passare attraverso strumenti diversi ma serve, innanzi tutto, una cultura penale che punti di più sulla ricomposizione delle relazioni sociali, anziché consistere nell’esclusione dalla vita sociale. L’Ordinamento penitenziario del 1975 già orienta l’esecuzione penale verso logiche di decarcerizzazione: la filosofia sottesa è quella di proporre un sistema sanzionatorio non più incentrato sul carcere, il cui ruolo, invece, deve essere ridotto e limitato il più possibile. La legge ha accolto, infatti, il "sistema di probation" che si era andato affermando in molti Paesi dell’Europa, in diverse forme. Probation significa "mettere alla prova". I diversi modelli si possono sinteticamente distinguere come:
La soluzione adottata in Italia dalla legislazione del 1975 e tuttora vigente è dell’ultimo tipo. (Per un approfondimento del tema si veda Renato Breda, Celso Coppola e Anna Sabattini (1). Tratto comune a tutte le misure alternative alla detenzione è che esse sono riservate esclusivamente a coloro che sono stati condannati con sentenza definitiva e cioè, a quelle persone nei confronti delle quali il giudice ha pronunciato un "verdetto di colpevolezza" non più soggetto ai mezzi di impugnazione ordinari (appello, ricorso per cassazione). Nella versione originaria, le misure alternative si configuravano come modalità esecutive della pena detentiva che si svolgevano in tutto o in parte in ambiente extracarcerario, ma solo dopo che il condannato aveva trascorso un certo periodo di carcerazione. Con la Legge n° 663 del 1986 e con la Legge Simeone sono state però introdotte alcune ipotesi di misure alternative applicabili al condannato direttamente dallo stato di libertà, cioè senza che si richieda un periodo di espiazione di pena detentiva. È opportuno anche ricordare che il Decreto del Presidente della Repubblica n° 55 del 6 marzo 2001, che contiene il nuovo regolamento del Ministero della Giustizia - in ottemperanza del Decreto legislativo n° 300 del 30 Luglio 1999 e del Decreto Legislativo n. 246 del 21 Maggio 2000 per la razionalizzazione e il riordino dei Ministeri - prevede per il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP) l’articolazione in cinque direzioni generali:
Di rilievo la separazione dei compiti delle due ultime direzioni. Di particolare interesse un intervento del nuovo Direttore della DGEPE. (2) Il tema dell’esecuzione penale esterna è stato recentemente ripreso e dibattuto ampiamente: il volume di Adriano Morrone, Il trattamento penitenziario e le alternative alla detenzione (3) ne parla sistematicamente, come pure l’articolo di Antonietta Pedrinazzi, Pene detentive o misure alternative? (4 . Se ne è discusso di recente al Consiglio pastorale nazionale 2002 dei Cappellani delle carceri (5) e nel Seminario Meno carcere, più impegno sociale del luglio 2003, organizzato dal SEAC Triveneto. Quest’interessamento è giustificato anche dall’elevato numero di persone oggi coinvolte nell’esecuzione penale esterna. Nel 2001, secondo (6), il Servizio Sociale del Ministero della Giustizia ha seguito 44.607 casi, di cui:
Alternative alla detenzione
Per raccontare in breve la situazione mi riferisco al volume di Maria Pia Giuffrida, I Centri di Servizio Sociale dell’Amministrazione Penitenziaria (7). Il capitolo IV della III parte dedicato alle misure alternative alla detenzione inizia affermando che "parlare di misure alternative è un impegno improbo per la continua evoluzione del settore dell’esecuzione penale fuori dal carcere. La difficoltà nasce altresì dalla mancanza di chiarezza su cosa sia "misura alternativa", termine che viene impropriamente utilizzato per ricomprendere differenti modalità di esecuzione della pena fuori dal carcere, trascurando o sottacendo le differenze sostanziali che ciascun istituto giuridico presenta nella sua enunciazione normativa, al di là dell’uso spesso massificante che di essi viene fatto". E ancora: "Il principio cardine dell’ordinamento penitenziario attuale consistente nella individualizzazione del trattamento è parimenti scomparso, nella misura in cui anche gli aspetti prescrittivi basilari per l’esecuzione delle misure alternative sono ormai in larga parte stereotipati ed imposti a singoli soggetti a mezzo di elenchi prestampati, facenti parte integrale di ordinanze anch’esse sommariamente predisposte per un uso generalizzato". L’Affidamento in prova al Servizio Sociale viene distinto in: "ordinario", in casi particolari (per tossico e alcooldipendenti) e per il condannato militare. Per ognuno di questi casi vengono indicati con chiarezza nel volume i possibili fruitori, l’istanza, l’inchiesta di servizio sociale e l’esecuzione della misura; viene infine specificato in dettaglio i compiti dei Centri di Servizio Sociale (CSSA). Come indicato nell’articolo 47 dell’Ordinamento penitenziario, l’affidamento è concesso quando i risultati dell’osservazione del condannato (sia quella condotta collegialmente per almeno un mese in carcere, sia quella all’esterno effettuata dal Servizio Sociale ai sensi dei comma 3 e 4 dell’art. 47 dell’Ordinamento penitenziario, come riformato dalla Legge Gozzini) consentono un giudizio prognostico positivo nel re inserimento nel contesto sociale. Il Regime di semilibertà è in realtà una particolare modalità di esecuzione della pena detentiva, restando il semilibero a pieno titolo in posizione giuridica di detenuto o internato. La semilibertà consente ai soggetti di trascorrere soltanto alcune ore fuori dall’Istituto, a condizione di partecipare ad attività lavorative, istruttive o comunque utili al reinserimento.
La detenzione domiciliare
La detenzione domiciliare permette ai beneficiari di espiare la pena di reclusione nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in un luogo pubblico di cura o di assistenza. I casi di applicazione sono numerosi. I più importanti sono quelli che si riferiscono a condannati con pena minore di quattro anni, anche se costituente residuo di maggior pena, con i seguenti requisiti: donna incinta o madre di prole di età inferiore ad anni dieci con lei convivente;
Sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi
La Legge n° 689 del 24 novembre 1981 stabilisce che il giudice, nel pronunciare sentenza di condanna, ha facoltà di dispone la sostituzione:
A titolo di chiarimento si può evidenziare la differenza tra semilibertà e semidetenzione: la semilibertà è una modalità di trattamento di un soggetto detenuto, mentre la semi detenzione è una sanzione penale imposta a un condannato in stato di libertà, con l’obbligo di sottoporsi alla privazione connessa al regime detentivo per alcune ore al giorno.
La giustizia riparativa
In questi ultimi tempi si va sempre più affermando un nuovo modello di giustizia, chiamato "giustizia riparativa". La giustizia riparativa non costituisce ancora, a livello costituzionale, un vero e proprio modello alternativo di giustizia, ma fornisce modalità di intervento applicabili al modello socio - riabilitativo, che a sua volta tende ad una rivalutazione della vittima del reato nell’interno dell’esecuzione penale. In ambito internazionale la sua applicazione è ben illustrata da un volumetto del Gruppo Abele (8). Nella legislazione italiana le possibilità di applicazione della giustizia riparativa sono già reperibili nell’ambito dell’istituto dell’affidamento in prova al Servizio Sociale, laddove prevede che l’affidato si adoperi a favore della vittima del reato o che presti la sua opera a titolo risarcitorio del danno. Avrà sede a Modena il laboratorio del progetto sulla mediazione penale, che per la prima volta coinvolge nel percorso di reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti anche le vittime. L’iniziativa nasce nell’ambito del Protocollo d’Intesa firmato nel 1998 fra Regione Emilia - Romagna e Ministero della Giustizia (9). La mediazione penale è più ampiamente applicata nel caso della giustizia minorile: la situazione chiaramente discussa da Claudia Mazzucato (10). Bibliografia
(1) R. Breda, C. Coppola e A. Sabattini, "Il Servizio Sociale nel sistema penitenziario", Torino 1999 (2) R. Turrini Vita, "Non solo pena", in Le due città 3 - 2003 (3) A. Morrone, "Il trattamento penitenziario e le alternative alla detenzione", CEDAM, Padova 2003 (4) A. Pedrinazzi, "Pene alternative o misure alternative?", in Aggiornamenti Sociali 5 - 2002 (5) "Misure alternative alla detenzione", in La Pastorale del Penitenziario 1 - 2003 (6) S. Anastasia e P. Gonnella, "Inchiesta sulle carceri italiane", Carrocci, Roma 2002 (7) M.P. Giuffrida, "I Centri di Servizio Sociale dell’Amministrazione Penitenziaria", Roma 1998 (8) "Dare un posto al disordine: sicurezza urbana, vittime, mediazione e riparazione", EGA, Torino 1995 (9) "A Modena un laboratorio per la mediazione penale", in SEAC Notizie 3 - 2003 (10) C. Mazzucato, "Mediazione penale: una testimonianza e qualche riflessione", in Dignitas 1 - 2002 |
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