Antonio Condini

 

S.E.A.C. Triveneto - Conferenza Regionale Volontariato Giustizia

Sportello Giustizia di Rovigo - Ristretti Orizzonti

 

Meno carcere, più impegno sociale

 

Seminario sul volontariato penitenziario

(Padova, 3 - 5 luglio 2003)

 

 

Antonio Condini (Direttore dei Servizi Sociali dell’U.S.L. 16 di Padova)

 

Da pochissimo tempo sono direttore dei Servizi Sociali dell’U.S.L. 16, ho alle spalle la carriera universitaria, per la quale al momento sono in aspettativa e devo dire che questi problemi, che pure afferiscono alla direzione dei Servizi Sociali, non sono ancora da me completamente esplorati, capiti e digeriti.

Ho avuto l’incarico, dall’Assessore De Poli, di portare qui la sua sostitutiva presenza, perché si è trovato impegnato in compiti istituzionali che non poteva lasciare. Devo dire, poi, che l’insistenza con cui mi è stato affidato questo incarico, mi hanno dato il senso di quanto l’assessore De Poli tenesse a questo incontro, senso che vi trasferisco.

Dicevo, io non ho molta esperienza della organizzazione della vita carceraria, né delle attività che si svolgono dentro. Se devo pensare a questo, devo dire che il primo contatto con il carcere, professionalmente, con un manicomio giudiziario, l’ho avuto 30 anni fa, quando sono stato incaricato dal giudice di vedere una giovane ricoverata ed esprimere un parere.

Poi, qualche contatto l’ho avuto, con il carcere di Padova, quando la facoltà mi mandava a fare degli esami a degli studenti universitari che si trovavano in carcere. Contatti più frequenti li ho avuti, piuttosto, con le comunità, come quella di Anguillara, ad esempio, che accolgono ragazzi che hanno compiuto dei reati e che sono in attesa di giudizio, oppure svolgono lì un internato riabilitativo.

Quello che mi ha colpito, di questa vicenda, è stato che l’entrare in carcere mi ha fatto pensare a una metafora, che fa parte poi della disciplina che io insegno, che ho insegnato per tanti anni, che è la neuropsichiatria infantile: cioè che il carcere è la visualizzazione completa del nostro carcere interno. Quando, per esempio, siamo preoccupati, o abbiamo dei grossi problemi, o abbiamo delle depressioni, o delle ossessioni, e come queste rappresentino una specie di barriera che ci impedisce di fare tante attività, o ci limita nelle nostre attività.

Quindi mi pare che il carcere sia un po’ la metafora di quello che accade nel nostro mondo interno. E dico questo perché io penso che, quello che conta davvero, aldilà della realtà oggettuale, è quello che c’è dentro di noi, quello che pensiamo e come lo sperimentiamo. Questo mi è venuto in mente ascoltando chi mi ha preceduto, che ha portato qui i detenuti, attraverso quella ricerca analitica e approfondita che ci ha presentato.

Ha portato qui i detenuti e ce li ha fatti, per certi aspetti, conoscere. E mi ha colpito, in modo particolare, quest’alta percentuale di persone che chiedono un sostegno morale. Perché io penso che questa sia la richiesta più nobile che noi possiamo fare, quella che allude al massimo grado del funzionamento della nostra mente. Molti di noi non hanno questa potenzialità, non sono cioè capaci, quando hanno un problema, o vivono una situazione angosciante, di formulare questa richiesta, che implica una relazione con un altro.

Dico questo a titolo introduttivo e mi permetto anche di aggiungere un’altra cosa. La mia disciplina, che è, appunto, la neuropsichiatria infantile, nella quale ho costruito per 40 anni la carriera accademica, è nata e si è sviluppata proprio da questi problemi, sul tipo di quelli che voi state affrontando. Ora, voi forse conoscete Giovanni Bolea, un anziano professore che forse avete visto in televisione, che si occupa dei problemi dei minori e che ha diretto, per tanti anni, la cattedra di neuropsichiatria infantile dell’Università "La sapienza" di Roma.

Questo professore è diventato uno dei più grandi psichiatri dell’infanzia e dell’adolescenza e veniva interpellato dai giudici quando c’erano dei ragazzi che commettevano dei reati. Gli veniva chiesto, nell’immediato dopoguerra, quale fosse il suo parere in ordine alle misure restrittive che i giudici intendevano proporre per questi minori e la grandezza di quest’uomo consistette nel fatto che, progressivamente, lui rifiutò di rispondere a queste richieste - che gli venivano rivolte perché conoscevano la passione di questa persona per l’ambito dell’infanzia e dell’adolescenza – impostando la sua valutazione non sull’analisi dei comportamenti ma sull’analisi dei funzionamenti. Cioè, non proponendo tanto la descrizione dei comportamenti, quanto la descrizione e il significato del funzionamento mentale di chi era stato protagonista di questi comportamenti. E lui, in questo modo, fece fare un salto in avanti grandissimo, in questo campo, ed è stato il vero fondatore della psicopatologia dell’infanzia e dell’adolescenza.

Per questo vi dico che, anche se sono arrivato qui all’improvviso, non ancora troppo ferratamente preparato, guardandovi in faccia mi sento un po’ uno di voi e mi sento di condividere la passione e l’impegno che mi è sembrato caratterizzarvi.

Vi dicevo che, dalla regione, ho avuto in queste poche ore numerose telefonate e mi è stato detto che dovevo dire questo e quest’altro ed io me lo facevo ripetere, ad un certo punto l’ho ripetuto anch’io. Mi pare che il succo di quello che mi è stato detto è questo: la regione Veneto tiene molto a questi problemi e il documento principale intorno a questi problemi è rappresentato dal Protocollo d’Intesa, recentemente firmato, tra il Ministero della Giustizia e la regione Veneto.

Questo Protocollo è una edizione aggiornata, in realtà, e chi ha avuto occasione di leggerlo, come il sottoscritto, può vedere come sia un Protocollo che ha un’impostazione e prevede delle azioni di ampio, ampissimo respiro.

La seconda osservazione è che questo Protocollo è stato trasferito, in blocco, nel nuovo piano sociosanitario per la persona e la comunità, che la Giunta regionale ha preparato e proposto al Consiglio regionale. Questo piano sta avviandosi per l’iter consigliare e verrà approvato entro settembre, al massimo entro ottobre, trasformando quello che è un Protocollo, elaborato da una commissione interistituzionale, che fa delle proposte, in norma. È anche in corso di avanzata costituzione una Commissione paritetica per l’attuazione del Protocollo d’Intesa. La regione, l’assessore De Poli per primo, considera questo un grossissimo passo in avanti.

La terza osservazione riguarda il fatto, per il quale sono stato giustamente chiamato in causa, che la regione ha affidato alla direzione dei Servizi Sociali dell’U.S.S.L. 16 l’Osservatorio regionale sul carcere. Per quest’Osservatorio è stato fatto un progetto, che ora si trova sul tavolo dell’assessore alle politiche sociali, e che dovrebbe venire approvato entro brevissimo tempo.

Un’altra indicazione che mi è stato pregato di portare riguarda, invece, il fatto che uno dei problemi in questo momento più vivi e aperti della vita carceraria, attiene all’assistenza sanitaria e psicologica dei detenuti. Per questo problema c’è un momento di vacatio perché, in seguito alle norme attuative del trasferimento dei poteri alle regioni, deve essere risolto in sede locale. Tuttavia è stato assicurato che, in attesa che gli organi responsabili prendano le loro decisioni, sta per uscire a brevissimo tempo un decreto che garantisce una fase transitoria, di passaggio, per questa assistenza che, quindi, almeno nelle condizioni con le quali oggi viene erogata, non verrà a cadere.

Queste sono le cose che mi è stato pregato di riferire. Aggiungo, per quello che vale, anche un impegno personale: io sono un tecnico, non so perché mi hanno chiamato a fare il direttore dei Servizi Sociali. Spesso i bravi tecnici, o i discreti tecnici, non sono dei bravi manager. Io spero di sfatare un po’ questo concetto, per quello che mi riguarda, per quello che riguarda l’U.S.S.L. 16, assicuro l’attenzione estrema a questi problemi. Mi unisco alla condivisione e all’apprezzamento per il lavoro che, mi è parso di intravedere, state svolgendo.

 

 

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