Giuseppe Milan

 

L’azione educativa e formativa per la promozione

del soggetto in situazione di devianza

di Giuseppe Milan

 

La prospettiva pedagogica che ci induce a cogliere forti provocazioni e sollecitazioni non solo dalla "devianza" conclamata e stigmatizzata ma anche da altre esperienze, che sono meno gravi soltanto all’apparenza ma che in realtà nascondono difficoltà accentuate e che, comunque, rappresentano una sfida autentica al mondo dell’educazione, implicando pertanto un’adeguata formazione di pedagogisti e di educatori. Sono molteplici e assai differenziate tra loro le situazioni già in partenza particolarmente gravose, che possono favorire l’evolversi del disagio naturale - che ogni individuo percepisce nel processo di maturazione personale e di integrazione sociale - in disagio accentuato. Il concetto di difficoltà a diventare soggetto (Piero Bertolini) ci aiuta meglio di altri (disadattamento, rischio, devianza, delinquenza, etc.) ad andare alla radice comune di diversi comportamenti inadeguati, dissonanti o devianti - rispetto ai parametri di normalità socialmente condivisi - e facilita il compito di accedere al cuore del problema in chiave interpretativa e pedagogica. Difficoltà, intesa come quella sorta di frantumazione di fondo, di vera e propria disunità esistenziale che riguarda indubbiamente il rapporto con se stessi, la percezione intima della propria identità, ma appartiene ancora più direttamente alla sfera delle relazioni interpersonali e sociali.

Proprio su questo mondo delle relazioni, interpersonali e sociali, spesso "frantumate", che è importante indagare per comprendere meglio gli aspetti che stanno alla base del disagio e, in direzione pedagogica, per individuare le strategie educative più efficaci per costruire alternative solide e funzionali.

Occorre però aggiungere una considerazione: tutti i fattori esterni all’individuo, provenienti dal contesto di appartenenza, vanno attentamente valutati: essi indubbiamente introducono elementi che condizionano la sua storia (spesso in senso negativo); questo non significa, tuttavia, che essi agiscano su di lui secondo uno schema deterministico e meccanico. C’è infatti uno spazio incommensurabile del soggetto che - per la libertà ontologica che lo costituisce - può essere artefice di un agire costruttivo e personalizzante, ma anche di frantumazione di se stesso e della relazione con gli altri.

L’approccio pedagogico si fonda proprio su questo "spazio del soggetto", su questo suo costitutivo protagonismo, prescindendo dal quale troverebbero giustificazione - in ambito epistemologico - i paradigmi interpretativi di tipo meramente positivistico e, sul piano della prassi, qualsiasi forma di de-responsabilizzazione dell’individuo stesso. La "difficoltà ad essere soggetto" si manifesta in due fondamentali squilibri relazionali: "assenza di protagonismo" e "protagonismo onnipotente".

Nell’assenza di protagonismo l’io si percepisce impotente, dominato da un senso di nullità di fronte a un mondo che vede come soverchiante, ostile, troppo forte e inaccessibile. L'io è vittima di una forte disistima di se, di un’auto-svalutazione che lo fa sentire determinato dalle circostanze, dalle situazioni esterne. L’altra disfunzione relazionale: il protagonismo onnipotente. L’io, in questo caso, può essere definito malato di protagonismo: un io che si percepisce onnipotente mentre l’altro da se, il mondo, non vale nulla.

I diversi comportamenti devianti, che scaturiscono come conseguenze dell’assenza di protagonismo e del protagonismo onnipotente, sono per certi versi omogenei, simili, ma sono diversi i vissuti di fondo, le motivazioni personali implicite, e a questo bisogna dare peso. Nel caso infatti dell’assenza di protagonismo l’irresponsabilità del soggetto è legata alla sua "impotenza appresa", alla sua totale "disistima di sé" ("io non sono responsabile perché non valgo nulla"). Nel caso di un protagonismo onnipotente, invece, l’irresponsabilità è dovuta alla sua presunzione di onnipotenza di fronte all’altro da se ("io non sono responsabile perché il mondo non vale nulla"). Il processo rieducativo-educativo prevede i seguenti momenti:

"comprendere" qual è il disturbo del protagonismo del soggetto;

trasformare quella visione disfunzionale del soggetto in modo che acquisisca una visione di sé e del mondo più equilibrata;

ristrutturare un positivo protagonismo equilibrato del soggetto nel suo relazionarsi con se stesso con gli altri e con il mondo.

 

È chiaro che queste direzioni di fondo del lavoro pedagogico richiedono una compartecipazione sul piano interdisciplinare e, da parte di chi ha il compito di progettare e di realizzare il progetto educativo, l’umiltà e la capacità di affidarsi ai contributi che provengono da diversi settori disciplinari.

L’approccio pedagogico ha il delicato compito di avvalersi di tali molteplici contributi e di declinarli in una metodologia coerente, in una prassi educativa che sappia ritrovare un’unità di fondo, capace di superare la frammentazione dei saperi e degli interventi individuando nella persona umana, nel soggetto stesso, il paradigma primo dell’unità.

Alcuni elementi imprescindibili, in tale prospettiva, sono:

il rispetto e la valorizzazione della libertà del soggetto;

la relazione interpersonale educativa personalizzante;

il lavoro pedagogico di comunità;

la realizzazione concreta di "attività";

utilizzazione proficua della "risorsa tempo";

la "testimonianza".

L’educazione è "sistemica": implica la "sistemica compresenza e interazione" di vari elementi (già in se complessi), tra i quali ci sono:

il soggetto educativo;

la comunità sociale di appartenenza;

il patrimonio culturale gli strumenti a disposizione (per favorire il processo educativo).

 

Gli educatori devono porsi in rapporto agli elementi strutturali di tale "sistematicità" e "complessità" e orientarli pedagogicamente. Per questo, fatta salva l’imprescindibile necessità di saper lavorare in equipe e di avvalersi degli apporti provenienti da altri ambiti, va proposta la "leadership degli educatori": soltanto chi è fornito di adeguata preparazione teorico-pratica in ambito pedagogico può seriamente organizzare e gestire il lavoro educativo in un determinato contesto, declinandolo unitariamente in un sistema pedagogicamente orientato, nel rispetto dell’unità del soggetto educativo, dando il giusto peso ai molteplici elementi e alle varie dimensioni fondanti dell’educazione, senza le quali si rischia di perpetuare una serie di squilibri e una condizione personale e sociale che presenta molteplici difficoltà e ingiustizie.

 

 

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