Il tempo libero in carcere

 

Convegno: "Il tempo libero in carcere"

Lodi, 8 novembre 2003

 

 

Intervento di Luigi Pagano (Direttore Casa Circondariale San Vittore)

 

Il mio intervento è più che altro una testimonianza, rispetto a ciò che si riesce a fare in Istituto. Parlare di tempo libero in carcere potrebbe sembrare paradossale, potrebbe sembrare una provocazione. Si parla sempre meno di carcere, ci si incontra sempre meno, per parlare di carcere e di pena, di a che cosa serve la pena e a che cosa serve il carcere.

In carcere il problema non è il tempo. Non sarà tempo libero ma in carcere il problema è semmai quello di un eccesso di tempo, ossia come utilizzare tutto il tempo che i detenuti hanno a disposizione. Cioè riempire quelle ore che per la maggior parte degli Istituti si passa in una cella, a parlare dei propri problemi, delle proprie vicissitudini. Il problema è riempire questi spazi e questi tempi, non soltanto per ovviare all’ozio del carcere, ma per cercare di dare quelle basi che poi possono essere utilizzate per il cosiddetto trattamento, per quel processo individualizzato che dovrebbe portare al reinserimento sociale.

Diventa sempre più difficile lavorare all’interno degli Istituti, a volte anche per motivi di sicurezza, e ricordo la Circolare che, di recente, ha identificato alcune condizioni che potrebbero portare i detenuti all’evasione, tra cui c’è anche quella di una condizione fisica che gli potrebbe permettere di evadere. Cosa che un anno fa, a me personalmente, sarebbe potuto sembrare anche abbastanza divertente, ma così non è stato perché il detenuto che è evaso aveva proprio queste caratteristiche fisiche.

Poi c’è il problema degli spazi all’interno degli Istituti. Naturalmente sto parlando di San Vittore, costruito nel 1879, una struttura panottico, esteticamente bella, almeno per quel che riguarda il mio gusto, però assolutamente con degli spazi inadeguati alle esigenze d’oggi. Mentre gli altri due Istituti di Milano, Bollate ed Opera, hanno quegli spazi che a San Vittore mancano.

Infine c’è l’eterna carenza del personale, quello di Polizia Penitenziaria e ancora di più quello dell’area educativa. Non è che di agenti di Polizia Penitenziaria ne abbiamo a iosa, ma quella che sentiamo drammaticamente in questo momento è la mancanza di personale dell’area educativa, quello che dovrebbe prendere in mano la situazione, cercare di coordinarla e poi di trarre anche quelle conclusioni che potrebbero servire nell’ambito dell’analisi e della sintesi per l’eventuale concessione di misure alternative alla detenzione.

Queste tre situazioni, nella realtà di San Vittore, avrebbero anche potuto portarci alla paralisi: non abbiamo personale, mancano gli spazi, c’è bisogno di sicurezza… fermiamoci ed aspettiamo, tanto in carcere non succede assolutamente niente. Però non abbiamo voluto che succedesse questo. Tanto è vero che quando, per effetto di qualche amnistia ricorrente, si riusciva a calare dai 2.400 detenuti ai 1.300, all’improvviso si svuotava il carcere e cercavamo di prendere qualche cella, qualche spazio in comune, per farne una biblioteca, per creare un laboratorio per le attività ricreative o culturali. Cercavamo di prenderci quello spazio e di farlo rimanere fisso all’interno dell’Istituto, sapendo però che nel momento in cui la curva del sovraffollamento si fosse rialzata quello spazio l’avremmo rimpianto rispetto alla detenzione.

Nel momento in cui siamo riusciti a ristrutturare l’intero Istituto abbiamo previsto che all’interno di ogni reparto, in ogni piano - San Vittore è fatto di quattro piano per ogni reparto -, trovassero collocazione delle sale che potessero essere utilizzate per degli incontri, per dei laboratori, o altre attività in comune, utilizzando allo scopo anche i vecchi sotterranei - che in passato erano stati chiusi - dopo averli messi a norma.

Riguardo al problema del personale devo dire che Milano ha una ricchezza, ha il volontariato. La nostra politica penitenziaria è sempre stata quella di aprire le porte del carcere, cercare di portare – questa volta nel senso di andata e ritorno – più gente possibile all’interno, cercando anche di non differenziare troppo, o meglio di non essere troppo selettivi, troppo snob, rispetto alle offerte del volontariato. Nel senso che poteva esserci chi veniva per guadagnarsi il suo pezzo di paradiso amando un detenuto, però sapendo che tra i tanti volontari saremmo sicuramente incappati in quello che possiamo chiamare volontariato professionale, con il quale costruire attività serie e concrete, che poi sarebbero rimaste e sarebbero state utilizzate per quel trattamento progressivo e individualizzato per il reinserimento del detenuto.

Una delle prime esperienze è stata quella della biblioteca, con Mario Olivetti, che era un volontario decano di San Vittore ed ha mantenuto una biblioteca, che poi è cresciuta con il tempo ed è riuscita ad arrivare a quasi tutti i detenuti. Non solo con la consegna dei libri, ma anche creando dei momenti culturali intorno alla lettura.

Altre attività culturali che siamo riusciti a creare, che poi si sposano anche con l’attività lavorativa: da un’iniziativa sostenuta dalla regione è nato il laboratorio, presso la sezione femminile, di costumistica teatrale, quindi una cooperativa che a Milano è diventata abbastanza importante, tant’è che hanno fatto dei costumi per la Scala, per il Regio di Parma e anche i costumi – sia pur molto succinti – per le veline di "Striscia la notizia".

Sempre per quanto riguarda le attività culturali abbiamo un gruppo di lavoro che è nato con Cusani e che in ogni caso è rimasto. Dunque ci sono dei detenuti che s’incontrano, due volte alla settimana, in uno spazio che abbiamo loro concesso, per discutere del carcere, per lanciare delle idee. L’idea nostra è sempre stata che non si può calare un’attività dall’alto, abbiamo sempre cercato di farci suggerire – naturalmente nell’ambito della sicurezza e della fattibilità – dagli stessi detenuti, cosa può essere più utile, dopo di che cerchiamo di realizzarlo.

Da una costola di questo gruppo di lavoro si è staccato, con il nostro psicologo, dottor Aparo, il gruppo della trasgressione e della sfida, cioè dei detenuti che ragionavano sul valore culturale della trasgressione, anche applicata a quella che poteva essere la devianza e la delinquenza. Un gruppo trasgressione e sfida così importante che poi è stato organizzato un convegno di due giorni, con filosofi, con tutti coloro che avevano superato, nel bene o nel male, quel limite che si può chiamare trasgressione, o sfida.

Paradossalmente, però, le maggiori attività le abbiamo svolte nell’ambito sportivo. Sembra strano, ma un cortile di passeggio che può essere grande come questa stanza l’abbiamo utilizzato per un campionato di calcio interno – esterno. Quello che è stato fatto al carcere di Opera, ad esempio, noi sono 10 anni che lo portiamo avanti. Evidentemente giochiamo sempre in casa e per questo – dicono i cattivi – vinciamo sempre, però è un tentativo di portare l’esterno all’interno del carcere, ma per i detenuti stessi è l’occasione di sentirsi ancora parte attiva di quella società.

L’ultima esperienza che abbiamo avviato è molto interessante perché ha messo insieme la Provincia di Milano, Assessorato allo sport, con l’Assessorato alla formazione professionale, con il presidente Moratti e diversi altri gruppi privati, e siamo riusciti a creare delle palestre all’interno. Nel momento in cui utilizzo questi termini, "palestre", "campi sportivi", pensate a limitazioni di spazio abbastanza nette: le palestre sono delle celle, che abbiamo ristrutturato e in cui abbiamo organizzato queste palestre, che sono sponsorizzate e pagate dalla Provincia.

Nell’ambito di quest’attività, che abbiamo chiamato polisportiva, di modo che capitalizzasse le risorse e riuscisse a portarle all’ultimo detenuto dell’ultima cella dell’ultimo reparto, abbiamo portato una squadra di detenuti, che interessava San Vittore e Bollate, in un triangolare di calcio all’esterno, che ha visto anche gli arbitri di serie A. Ed anche in questo caso abbiamo vinto noi… è stata simpatica, come iniziativa, ed anche importante perché tutto il ricavato è stato devoluto, tramite l’Unicef, per i bambini dell’Iraq.

Quindi queste attività che diventano non soltanto l’occasione per i detenuti di uscire, ma vedono i detenuti che pensano, che si attivano, che diventano utili – scusate questo brutto termine – ma dobbiamo sempre dire che il recupero dei detenuti è importante in termini di sicurezza sociale. Il passare del tempo all’interno del carcere, se non è utilizzato, non serve assolutamente a nulla, serve soltanto a rendere le persone più pericolose, più cattive di quelle che erano all’inizio.

Quindi il "trattamento" – questo termine che, tanto per intendersi, è utilizzato dall’Ordinamento penitenziario - è l’unica arma che ha la società per evitarsi dei guai peggiori nell’ambito della recidiva.

Un ultimo problema, che secondo me è grosso e meriterebbe un convegno a parte, è cosa si può fare per la Polizia Penitenziaria. Molte volte si parla dei custoditi e non si pensa ai custodi, non si pensa che per poter lavorare serenamente e seriamente per il detenuto è necessario che la società sappia chi sono i custodi, che cosa possono fare e com’è possibile avere questo rapporto, questo cordone ombelicale con la città. Questo difficilmente capita. Non so voi ma San Vittore ha questo problema, tanto è vero che molte volte tentano di portarci fuori dal centro della città. Il carcere, se c’è, deve essere visto in quest’ottica trattamentale e deve avere questo rapporto costante con la città. Nel caso specifico, la Polizia penitenziaria deve avere quel riconoscimento e quella possibilità all’esterno anche per poter impiegare il proprio tempo libero. Ho fatto soltanto un accenno a questo tema, magari può sembrare poco articolato ma, ripeto, è un argomento molto importante che andrebbe ripreso con un convegno a parte.

 

 

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