Convegno "Carcere e territorio"

Percorsi di recupero e di reinserimento sociale delle persone detenute

Galliera Veneta (Pd) - 28 novembre 2003

 

Giorgio Ronconi, Presidente Operatori Volontari Carcerari di Padova

 

Il volontariato sostegno alle famiglie e al soggetto detenuto da reinserire Visitare i carcerati è una delle cosiddette "opere di misericordia" che il cristianesimo ha sempre raccomandato. Gesù infatti ha indicato la visita al carcerato come uno degli atti di carità su cui si fonderà il giudizio finale di ciascuno. Nella Chiesa primitiva i vescovi stessi erano autorizzati a recarsi nelle carceri per fare opera di assistenza e di conforto. Nel Medioevo sono molteplici le iniziative di ordini religiosi e laicali rivolte al soccorso dei prigionieri e alla liberazione degli schiavi. In età moderna, è nota l'opera di san Vincenzo de Paoli, cappellano delle galere nella Francia del Re Sole; meno, forse, quella del sacerdote modenese Antonio Ludovico Muratori, uno dei più grandi eruditi italiani e degli spiriti più illuminati del Settecento, che non solo si dedicò per anni alla visita dei carcerati, ma che dette vita nella sua città a una vera e propria "compagnia" di nobiluomini che si recavano settimanalmente nel carcere per provvedere al cibo, al vestiario, alle medicine dei reclusi e che spesso intervenivano sulle autorità locali per lenire, sospendere o cancellare le pene. Non so se i volontari di oggi siano migliori di quelle di ieri. Lo spirito è comunque lo stesso, a prescindere dal credo religioso, perché ciò che caratterizza ogni forma di aiuto a chi soffre o si trova in difficoltà parte da un sentimento comune a tutti gli esseri umani prima che da qualsiasi prescrizione. In un paese come l'Italia di forti tradizioni cristiane è abbastanza naturale che siano state le associazioni di ispirazione religiosa a trovarsi in prima linea anche nell'ambito dell'assistenza carceraria. Segnalo la Società di S. Vincenzo de' Paoli, associazione laicale sorta in Francia nella prima metà dell'Ottocento, tuttora assai presente in Italia e nel mondo, forse la più importante organizzazione di assistenza governata da laici cristiani prima che la Chiesa Cattolica si desse una propria struttura dedita alle opere caritative, ossia la Caritas. Vincenziani erano quindi molti volontari che nel primo dopoguerra dettero vita con altri militanti dell'Azione Cattolica, a un Coordinamento degli Enti di Assistenza Carceraria che non solo promuoveva iniziative di volontariato carcerario, ma interveniva sugli organi preposti all'Amministrazione penitenziaria e sui responsabili del potere legislativo per migliorare le condizioni di vita e trattamentali all'interno delle carceri. Ricordo questi esempi perché dalle file della San Vincenzo, dell'Azione Cattolica, del Terz'Ordine francescano sono usciti anche i primi volontari che hanno iniziato a frequentare il carcere di Padova molto prima della riforma dell'Ordinamento penitenziario del 1975, quando non esisteva ancora quel famoso art. 78 che prevede l'ingresso nel carcere a "persone idonee all'assistenza e all'educazione allo scopo di partecipare all'opera rivolta al sostegno morale dei. detenuti e degli internati, e al loro futuro reinserimento nella vita sociale". Si trattava di professionisti che, grazie alla loro qualifica, di medico o di docente universitario, erano ammessi nell'istituto (allora in piazza Castello) per svolgere a titolo gratuito funzioni collegate alla loro attività, ma che di fatto si estendevano al rapporto personale col detenuto, con la sua famiglia e addirittura con le vittime del delitto. Sono stati questi volontari, all'indomani della Riforma penitenziaria, a dar vita alla nostra Associazione. Il riconoscimento ufficiale risale al 26 ottobre 1978, esattamente 25 anni fa, ma essa cominciava ad esser già una realtà nell'anno stesso della Riforma. La sua prima manifestazione pubblica risale infatti all'1l dicembre 1975, e fu una tavola rotonda sulla Riforma varata da pochi mesi che si tenne a Padova nella Sala della Gran Guardia, alla presenza di autorità e di numerosi cittadini. Cito solo i titoli dei quattro interventi, documentati in un opuscolo divulgato poco dopo: Problemi di assistenza e di reinserimento (relatore Giovanni Tamburino, allora magistrato di sorveglianza a Padova), L'assistente carcerario volontario e la nuova legge sull'ordinamento penitenziario (re latore Lorenzo Contri, docente universitario, facente ancora parte attiva del nostro gruppo); Il lavoro nel carcere (relatore: Carlo Castelli, assistente carcerario volontario della S. Vincenzo di Torino); L'assistenza alle famiglie dei detenuti (Andrea Bottari, allora studente universitario del Terz'ordine francescano); moderatore era il prof. Angelo Ferro, allora presidente della S. Vincenzo di Padova. Ho accennato a questa preistoria del nostro Gruppo non perché il risalire indietro nel tempo costituisca un titolo di maggiore nobiltà, ma per far capire come lo spirito e gli obiettivi siano rimasti gli stessi, benché oggi sia profondamente mutata la situazione del carcere, sia dal punto di vista strutturale, sia rispetto alla popolazione ristretta. In questi ultimi anni il numero dei volontari che operano all'interno del carcere è notevolmente aumentato, ma anche quello delle persone detenute ha subito una forte crescita, e per di più una notevole differenziazione, soprattutto per la presenza di numerosi extracomunitari e tossicodipendenti. Ciò ha comportato anche un diverso tipo di approccio da parte dell'operatore volontario, che richiede una conoscenza più approfondita di questa realtà e del modo di confrontarsi con essa. Il detenuto, come è facile immaginare, sente in maniera molto forte il bisogno di avere rapporti con persone esterne al carcere, disposte a dargli un aiuto, sia sul piano morale che materiale. La disponibilità all'ascolto è la prima qualità che si richiede a un volontario e che solo il volontario può offrire in maniera disinteressata, senza sollevare riserve o timori da parte del detenuto. Questi infatti lo vede in una luce diversa rispetto alle altre figure istituzionali; non ha pregiudizi nei suoi confronti, non paura di compromettersi: lo accoglie come un amico che vuole aiutarlo, che lo accetta com'è, che si sforza di capirlo, che vorrebbe consigliarlo, che gli trasmette coraggio, fiducia, energie. Ascoltare non è spesso così semplice: ci vuole delicatezza, assenza di pregiudizi e di eccessiva emotività, che rischierebbero di coinvolgere troppo nelle singole situazioni; comprensione, ma anche capacità di valutare con obiettività e di dare suggerimenti dopo aver bene ponderato. Se ne deduce che il volontario dev'essere non solo una persona equilibrata, preparata, formata, ma anche che deve sapersi rapportare con gli altri che vivono la sua esperienza, confrontandosi con loro e con gli educatori stessi che sono istituzionalmente preposti per ogni tipo di problema che possa insorgere. Di qui l'importanza di operare all'interno di un gruppo e in rete coi diversi operatori. Seguire un detenuto vuol dire accompagnarlo in un percorso, aiutarlo gradualmente ad uscire da certe situazioni psicologiche e non solo, che lo hanno condizionato e spinto alla devianza e che la condizione di ristretto finisce per accentuare ed esasperare. Un percorso verso il reinserimento che richiede spesso altri aiuti esterni e che può prolungarsi anche dopo la detenzione. È già un primo passo importante se il detenuto manifesta interessi per le attività formative e socializzanti presenti nel carcere. Può ritenersi poi un fortunato se ha la possibilità di svolgere qualche mansione lavorativa. L'inattività è la piaga peggiore che si riscontra in carcere, la più perniciosa per il recupero della persona, e purtroppo è la condizione della maggior parte dei detenuti. Sul piano del lavoro esterno il volontario non può far molto, anche se spesso cerca contatti con cooperative e ipotetici datori di lavoro per facilitare l'applicazione di misure alternative. Sul piano delle attività all'interno del carcere i volontari portano avanti diverse iniziative che vanno dai corsi di sostegno scolastico agli incontri culturali di gruppo, alla visione con discussione di film, ai corsi di lingue, di disegno e pittura, di informatica: iniziative iniziate, interrotte, riprese, in base a situazioni e a fattori continuamente variabili. La lezione scolastica individuale o individualizzata per pochi soggetti è forse quella che ha dato più frutti perché ha portato più di un detenuto a conseguire il diploma di scuola media superiore, ed alcuni a proseguire gli studi all'università: in anni passati bel tre detenuti hanno addirittura ottenuto la laurea in ingegneria, grazie all'impegno e di un docente volontario. Anche attualmente più d'uno è iscritto all'università e sostiene esami, facilitato dalla collaborazione di volontari che provvedono al suo iter burocratico e che tengono i contatti coi docenti che lo devono esaminare. Tra breve sarà creato nella Casa di reclusione di Padova un polo universitario, che dovrebbe dare ai detenuti prescelti la possibilità di alcuni esoneri dalle spese universitarie, di essere più seguiti dai docenti, e soprattutto di poter disporre di una sezione ad hoc, che permetta uno spazio e una tranquillità maggiore per lo studio. Oltre ai rapporti con la scuola e con l'università, che riguarda un numero limitato di detenuti, i volontari si attivano per svolgere anche fuori della struttura carceraria una serie di servizi che vanno dalla raccolta degli indumenti, poi distribuiti all'interno dei due istituti padovani, al pagamento di bollette, multe e altre pendenze, al disbrigo di pratiche burocratiche (attualmente funziona anche all'interno della Casa di Reclusione uno sportello per le pratiche pensionistiche), ai rapporti con enti, cooperative e privati per questioni di lavoro. Dopo un certo periodo di detenzione, di solito a metà pena, il recluso che non ha avuto richiami può accedere ai benefici di legge, tra cui i cosiddetti permessi premio. In passato erano i volontari stessi a farsi garanti e ad ospitare i beneficiari in casa propria o presso un collegio religioso. Da alcuni anni il Comune di Padova ha concesso al nostro Gruppo una casa ai confini col Comune di Limena, sede un tempo degli uffici del dazio. Da tre anni ormai la casa è adibita sia ad accoglienze prolungate per dimessi e ammessi alle misure alternative, sia ad accoglienze brevi per chi usufruisce di permessi per uno o più giorni. Il servizio è svolto da altri volontari del Gruppo, che provvedono a prelevare e a riaccompagnare gli ospiti in carcere, e a trattenersi con loro nelle ore di permanenza nella casa. Durante il soggiorno il detenuto può ricevere le visite dei familiari e godere di una intimità che il carcere non gli offrirebbe, vivendo l'emozione, spesso per la prima volta dopo lunghi periodi di detenzione, di trovarsi in un ambiente confortevole e familiare. Chi non ha la visita dei parenti, ha la possibilità di mettersi in contatto con loro attraverso il telefono. Chi è autorizzato ad uscire, può visitare la città accompagnato da un volontario, sostenere colloqui di lavoro, recarsi in qualche centro commerciale per piccoli acquisti o per soddisfare altri interessi e curiosità. Va da sé che lo svolgimento da parte dei volontari di queste diverse attività avviene in piena collaborazione con gli operatori istituzionali, dalla direzione del carcere, agli educatori al magistrato di sorveglianza, coi quali si è stabilito un rapporto fiduciario basato sulla nostra responsabile disponibilità a partecipare all'opera di reinserimento, cooperando perché l'ambiente carcerario offra opportunità sempre più ampie e coinvolgimenti più mirati nel trattamento delle persone ristrette, secondo una programmazione non affidata al caso o alla giornata. Si tratta insomma di lavorare assieme agli operatori penitenziari, a tutti i livelli, con chiarezza di attribuzioni e di competenze, in un clima disteso e costruttivo. L'appartenenza a un Gruppo rende più efficace l'azione del volontario anche nell'aspetto pratico, che riguarda il coordinamento e la distribuzione di compiti particolari. Facilita anche il suo relazionarsi con l'esterno. Il contatto con le persone detenute e con gli operatori penitenziari costituisce poi un bagaglio di conoscenze e di informazioni veritiere da utilizzare come elementi di equilibrio nella conversazione, nei dibattiti esterni, in cui spesso manca la conoscenza della realtà carceraria e i giudizi sul carcere sono mal formulati e soltanto basati su pregiudizi. Far conoscere fuori delle mura le problematiche del carcere, e in genere della devianza e della emarginazione, specie nell'ambito del mondo giovanile, è un modo per creare una cultura del dialogo e della comunicazione che dovrebbe far maturare un cambiamento di mentalità nei confronti di questa istituzione e di chi vive e vi lavora. Perché i problemi del carcere non si risolvono nel carcere, ma fuori, in una società purtroppo ancora assente, riluttante o troppo prevenuta.