Vittorio Cerri

 

Associazione "Diritti umani - Sviluppo umano" di Padova e Associazione "Antigone"

Il difensore civico per le carceri

 

 

Vittorio Cerri

 

Ringrazio l’organizzazione del convegno che ha dato spazio al mio modesto intervento, modesto perché io sono un giurista che applica il diritto in maniera molto pratica perché lavoro in carcere e questo, secondo me, spoglia da ogni aspetto curiale la mia figura di giurista. Ma sono consolato dalla speranza che il diritto che, siccome è una cosa molto viva e come ogni istituzione anche il diritto se non è vivo non ha nessun senso, muore presto, funziona poco e in una società come la nostra in evoluzione molto veloce le cose che non sono vive non hanno alcun senso. Il mio tema riguarda la tutela della dignità della persona nei luoghi di detenzione, quindi il trattamento, così viene chiamato questo principio nell’art. 1 dell’ordinamento penitenziario.

Tecnicamente il trattamento ha due significati: il primo è proprio la tutela della dignità della persona nel senso di un trattamento penitenziario conforme ad umanità, che assicuri il rispetto della dignità della persona; il secondo è un altro aspetto cui poi accennerò. Per quanto riguarda questa prima accezione del principio del trattamento sostengo con ragionevole certezza che nel nostro paese il trattamento umanitario di base negli istituti di pena vi sia. Ritengo che la consapevolezza che l’utenza dell’amministrazione penitenziaria è un’utenza di uomini sia un principio ben saldo nella nostra amministrazione, quindi si può senz’altro sviluppare questo principio che nel 1975 è stato scolpito così monoliticamente, per renderlo veramente importante come una evoluzione del senso di intendere uomo l’utenza dell’amministrazione penitenziaria. Significa per esempio che le condizioni di vita all’interno degli istituti di pena debbano essere migliorate nella stessa misura in cui ciò è richiesto dalla società. Ciò significa che legare il carcere come deve essere dentro a ciò che la società attuale vuole è già un principio di modernità, è già un principio di legame evolutivo rispetto a quello che la società esterna crea in se stessa. Ritengo anche che questo modo di fare del trattamento sia inscindibilmente correlato alla seconda accezione del termine trattamento : trattamento significa l’insieme dei mezzi, l’insieme delle attività che si possono fare, realizzare all’interno di un istituto penitenziario perché la pena tenda al reinserimento del detenuto nel mondo esterno. Penso che ogni cosa che si riesca a fare in carcere debba essere teleologicamente legata al fatto che questa persona uscirà perché altrimenti si rischia di fare dell’intrattenimento anziché del trattamento e questo secondo il mio punto di vista non è giusto. E per fare un trattamento adeguato o quanto meno tendenzialmente adeguato a poter restituire alla società esterna il detenuto per il suo reinserimento nel mondo da cui proviene, occorrono secondo me delle condizioni di base.

Queste condizioni di base sono sicuramente oggettive e soggettive: per quanto attiene alle condizioni di base oggettive mi riferisco alle strutture penitenziarie che devono essere dignitose per il fatto che ospitano degli uomini, igienicamente idonee, adatte alle qualità del trattamento che viene in esse attuato; soggettive significa fare riferimento al personale che vi opera, personale penitenziario e personale non penitenziario, comunque un personale sereno, soddisfatto delle proprie aspettative professionali, formato per essere soggetto attivo e consapevole dell’azione trattamentale. Inoltre penso anche che le strutture dell’amministrazione penitenziaria dovrebbero tra di esse potersi differenziare di più : penso ad esempio a un tipo di strutture penitenziarie che possano ospitare omogeneamente detenuti colpevoli di reati gravi quali il 41 bis e l’Alta Sicurezza, in modo da attuare un circuito penitenziario, chiamiamolo severo ordinario; altre strutture penitenziarie per detenuti che hanno commesso reati comuni fino alla rapina compresa in modo da poter realizzare all’interno di queste strutture un circuito penitenziario con una custodia più attenuata dove le risorse trattamentali si possano realizzare e far fruttare più facilmente, meno oppresse dalla necessità della sicurezza; penso inoltre a un’altra struttura non necessariamente realizzabile in ambito penitenziario ma magari più vicina a delle strutture locali come per esempio già adesso esistono le vecchie case mandamentali riciclate in cui lavora personale dei Comuni dove potrebbero essere ospitati detenuti con pene inferiori ai tre anni, dove sia possibile parlare di strutture magari di accoglienza. È probabile che queste strutture, se fossero realizzate, potrebbero contenere certi tipi di detenuti completamente diversi e il cui trattamento potrebbe essere nettamente contrastante con quello che si può fare nel primo caso : penso a detenuti per reati legati alla tossicodipendenza, legati al foglio di via nei casi di prostituzione che niente hanno a che fare con i problemi che crea il trattamento dei detenuti ad alta sicurezza e poi una struttura per la custodia cautelare.

In sostanza avere in una Casa circondariale tutto questo insieme di detenuti, divisi per piano, per sezioni, può senz’altro determinare una maggiore difficoltà a livello di realizzazione di piani trattamentali comuni. Mi riferisco al fatto che se in una Casa circondariale con 300 detenuti ce ne sono una ventina di 41 bis, una decina di pentiti e così via, questo crea un appesantimento della struttura stessa. In una condizione del genere è difficilmente ipotizzabile la soppressione del servizio di sorveglianza esterna, ma in un carcere dove ci sono detenuti a basso indice di pericolosità questo per esempio potrebbe essere fatto con minore spreco di energie di personale e di denaro. Strumenti di controllo, si parla appunto di difensore civico e io non posso che dare ragione, non certamente per piaggeria al mio Direttore generale quando parla di approccio dell’amministrazione verso una ulteriore forma di controllo, ma dico che gli strumenti di controllo non debbono essere improntati a un’alimentazione dei conflitti, viceversa a una funzione promozionale, di garanzia del buon andamento del servizio penitenziario nel pieno rispetto della legge. Pertanto una funzione che debba essere più di aiuto per l’amministrazione penitenziaria che di controllo perché di controlli ne abbiamo già abbastanza.

 

 

 

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