In-Veneto: notiziario settimanale sul carcere realizzato nell'ambito del Progetto "Dal Carcere al Territorio"
Notiziario n° 4, del 9 gennaio 2010 Notizie da Padova Notizie da Venezia Notizie da Verona
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Capodanno diverso al Due Palazzi, con i Radicali
La notte di capodanno è stata veramente particolare per i detenuti della casa di reclusione di Padova. Marco Pannella e Rita Bernardini dei Radicali Italiani e la direttrice di Ristretti Orizzonti, Ornella Favero, sono entrati in carcere alle 7 di sera del 31, con Michele Bortoluzzi di Radicali italiani e il Consigliere regionale del PD Giovanni Gallo, e sono stati accolti dal direttore dell’Istituto dott. Pirruccio, per trascorrere la notte di capodanno insieme agli "ospiti" del Due Palazzi. Vogliamo in questo numero della nostra newsletter far percepire ai lettori quali possano essere state le sensazioni di chi quella sorpresa l’ha vissuta in prima persona.
Tre ore di libertà rubate alla galera, di Elton Kalica
La visita di Marco Pannella e Rita Bernardini in carcere ci ha permesso per la prima volta di stare fuori dalle celle fino alle dieci di sera. Le lenticchie avevano già iniziato a bollire sul fornellino da campeggio, e le due buste di cotechino appoggiate in piedi sul lavandino aspettavano il loro turno quando Gentian tornò dal colloquio e tirò fuori dalla borsa un grande contenitore di plastica. Tolse il coperchio e con un sorriso soddisfatto disse mostrandoci il contenuto "Ragazzi, è arrivato il tacchino". La regola del carcere vuole che i famigliari ci possano portare della carne cucinata, che non deve però avere ossa, in modo che il contenitore si possa perquisire facilmente. Per via di questa regola i piatti più comuni che i famigliari preparano sono le bistecche o lo spezzatino, ma la cena di fine anno è una cosa importante per gli albanesi, e la sorella del mio compagno di stanza aveva disossato il tacchino, e i suoi pezzi, dorati dal caldo di un vero forno di casa, hanno rubato subito la scena alle lenticchie. C’era poi un altro contenitore con il byrek, che se non fosse per la complessa preparazione che richiede potrebbe essere chiamato un torta salata, e delle qofte, che sono delle polpette molto speziate. Nei giorni precedenti aveva fatto colloquio anche qualcun altro e la borsa-frigo che usiamo per conservare gli alimenti si era riempita con cibi che avevano percorso centinaia di chilometri per arrivare in carcere: affettati, formaggi, e anche un bel pezzo di pecorino albanese che mia madre aveva portato direttamente da Tirana. Di solito mangiamo insieme - un rituale previsto dal regolamento del carcere e chiamato "socialità" - godendo del privilegio di rinviare la cena di qualche ora rispetto al carrello del vitto che l’amministrazione distribuisce alle quattro e venti del pomeriggio. Ma siccome per la fine dell’anno il personale di custodia è molto ridotto, ci avevano comunicato che alle sette avremmo dovuto rientrare ognuno nella propria cella, quindi verso le cinque abbiamo messo a riscaldare tutti i cibi portati da casa e lasciato a fuoco basso le lenticchie ormai già pronte.
Una cena col sapore di casa
Alle sei e mezza, mentre l’agente nel suo stanzino riempiva il registro delle consegne e in fondo al corridoio una finestra aperta rompeva il silenzio con quel rintocco ormai a noi famigliare, noi avevamo già consumato il byrek, le qofte, il tacchino, e Sandro ci aveva anche convinti a mangiare un po’ di lenticchie per la famosa e fortunata caratteristica che assumono durante questa festività. A quel punto Piero cominciò a montare la panna girando la forchetta di alluminio con una velocità tale da fare invidia anche alla forza meccanica del miglior frullatore. La panna serviva per coprire il dolce che Piero aveva preparato alla mattina - usando ingredienti acquistati per l’occasione dallo spaccio del carcere - e che non vedevamo l’ora di mangiare. Questo dolce per noi è la torta delle grande occasioni. In realtà l’abbiamo inventato qui dentro e si tratta di una specie di tiramisù gigante fatto con pezzi di panettone, e nonostante nessuno abbia mai pensato di dargli un nome, lo mangiamo sempre con particolare riguardo, che si trasforma in devozione quando è associato a qualche occasione speciale. Mentre Piero metteva il dolce nei piatti, qualcuno ha proposto di mangiarne una piccola porzione subito e portare il resto in cella per consumarlo durante la serata, raccogliendo il consenso unanime, e, dato che ormai erano quasi le sette, a malavoglia abbiamo iniziato a sparecchiare per avere così qualche minuto per anticipare i saluti prima di essere rinchiusi. Quando squillò il telefono dell’agente, nessuno immaginava che eravamo noi i destinatari di quella telefonata e della visita che essa annunciava.
Arriva Marco Pannella
La notizia che stavano arrivando dei parlamentari per farci gli auguri significava soprattutto che avremmo continuato a rimanere fuori dalle celle, ma la gioia, per quanto grande, venne subito sostituita dalla preoccupazione di riservare agli ospiti una dignitosa ospitalità. Nel frattempo l’agente aveva aperto il pesante cancello di ferro e Marco Pannella, Rita Bernardini e altri radicali italiani accompagnati dal Direttore e dal comandante del carcere varcarono la porta del nostro piccolo reparto. Di solito, i detenuti sono contenti quando vedono i radicali in televisione perché sanno che molte delle loro battaglie hanno come obiettivo il miglioramento del sistema penale italiano. Ma se oltre a vederli si ha anche la possibilità di parlare con loro, è davvero un privilegio. Ad accompagnare il gruppo c’era anche Ornella Favero, l’anima di Ristretti Orizzonti che ha fatto del carcere di Padova anche una fucina di idee e di cultura. Dopo i saluti sono corso subito ad aprire la borsa-frigo e a tirare fuori gli affettati mentre Gianluca ha rimesso a scaldare le lenticchie e i due cotechini sono stati finalmente messi nel loro ambiente naturale: la pentola. Così, in pochi minuti avevamo apparecchiato di nuovo la tavola e stavamo godendo della piacevole compagnia di Marco che, alle prese con uno sciopero della fame, si divertiva a raccontare storie di battaglie politiche vecchie e nuove, mentre noi stavamo attenti a non perdere nemmeno una parola. Le mie iniziali esitazioni a riprendere a mangiare sono state facilmente superate dai complimenti di Rita sul formaggio di mia madre, mentre Marco Pannella raccontava della sua ultima visita a Tirana e delle persone e dei luoghi che aveva visitato, dei gusti e dei sapori che aveva provato. La rivelazione del suo particolare affetto per il mio Paese non solo ha reso l’atmosfera ancora più famigliare, ma confesso che ha suscitato in me anche qualche antico impulso d’orgoglio.
Nuovo anno, nuove speranze
La notizia della presenza di Marco Panella sicuramente aveva fatto il giro del carcere suscitando nei detenuti il desiderio di ricevere una visita così speciale anche nelle loro celle. Dal canto nostro, avevamo iniziato a provare di nuovo l’imbarazzo che ci invade ogni volta che nella nostra sezione si svolge qualche attività - qui siamo tutti detenuti/studenti e lo studio ci permette di organizzarne parecchi e di sentirci anche dei privilegiati - e volevamo che l’incontro con noi fosse solo una tappa di una maratona che coinvolgesse tutto il carcere. Conversando come se fosse una rimpatriata di vecchi amici, sono volate via tre ore e, passate le dieci, ci siamo scambiati un caloroso abbraccio, con la stessa spontaneità con cui si saluta ogni ospite che ci ha appena rallegrato la casa con la sua visita: per la prima volta eravamo rimasti fuori dalle celle fino alle dieci di notte e forse la gioia stava per arrendersi alla tristezza di un altro conto alla rovescia passato in solitudine, ma avevamo comunque rubato tre ore di libertà alla galera e l’entusiasmo ci ha ubriacati così tanto che, a distanza di giorni, non l’ho ancora smaltito del tutto. Marco Panella, Rita Bernardini, il direttore Salvatore Pirruccio e Ornella Favero sono poi andati negli altri reparti del carcere, hanno chiesto di aprire le porte blindate delle celle e poi hanno fatto compagnia ai detenuti aspettando insieme il cambio dell’anno: ho parlato oggi con qualcuno di loro che mi ha confessato come vedersi aprire la porta di ferro per salutare e stringere la mano da parte di persone che ti guardano e ti parlano con rispetto è il regalo più bello che gli si poteva fare. Il fatto poi che fosse anche il direttore stesso a sacrificarsi per portare un po’ di umanità in carcere ha segnato per noi l’inizio di una nuova era nei rapporti tra detenuti e amministrazione. Di certo, questa esperienza ha seminato un po’ in tutti noi il dubbio, o meglio la speranza che un cambiamento "radicale" anche qui dentro forse è possibile.
Spesso sono i piccoli gesti che hanno enorme valore, di Maurizio Bertani
In una vita dai ritmi straordinariamente identici, puoi misurare il potere di un gesto semplice. Carcere di Padova capodanno 2009, la solita routine, cena verso le sei e mezza due chiacchiere in corridoio la chiusura delle celle, certo siamo in tre in una cella, la sera c’è chi guarda la televisione, chi legge un libro, e chi magari scrive, ma nulla sembrava turbare i ritmi di una vita sempre uguale. Insolito quindi appare a tutti il rumore di chiavi che aprono il blindato della cella fra le dieci e mezza e un quarto alle undici, la prima cosa che salta alla mente del detenuto è che sia successo qualcosa o che ci sia in atto una perquisizione, tutte e due le cose sufficientemente fastidiose e preoccupanti. Niente di tutto questo, alzo la testa dal mio computer su cui sto scrivendo per capire che cosa stia succedendo, e attraverso il cancello vedo una figura di persona che conosco benissimo, Ornella Favero, una volontaria nonché la responsabile di Ristretti Orizzonti, rivista prodotta all’interno della Casa di reclusione Due Palazzi, in cui io sono inserito come redattore volontario. Subito penso "questa è matta", mi alzo e mi avvicino al cancello, ci salutiamo e le chiedo "Che cosa fai da queste parti?". Ornella mi risponde: "Tu non ci credevi, ma te lo avevo detto che sarei venuta". Nel frattempo sento altre voci e chiedo chi altro c’è. Ornella mi dice che c’è Marco Pannella, Rita Bernardini, il direttore del carcere e tutti insieme stanno facendo il giro del carcere per fare gli auguri ai detenuti. Si continua a chiacchierare, nel frattempo passa Marco Pannella, passa Rita Bernardini, passa il direttore, ci si scambia gli auguri di fine anno e quelli per il prossimo anno con la speranza che sia migliore, trascorre cosi una mezz’ora insolita e a dir poco fuori dal comune, anzi senza a dir poco perché mai in trent’anni di carcere scontati e con altrettanti capodanni mi era successa una cosa simile. Finito il giro degli ospiti con gli scambi degli auguri richiudono il blindato e tutto torna alla normalità, ma quale normalità? Certo si è chiuso il blindato, ci siamo ritrovati ancora in tre, cioè noi detenuti in quella cella, ma sicuramente in ognuno di noi navigavano pensieri e domande sull’evento appena accaduto. I miei di pensieri erano concentrati per cercare di capire perché persone di questa società, con una vita sociale impegnata, chi in politica, chi nelle istituzioni e chi nel volontariato, con una discreta cerchia di amicizie e interessi vari, preferiva passare le proprie ore di capodanno nelle sezioni di un carcere a fare gli auguri a dei detenuti, che in fondo non è un grande spasso, perché si sa, bisogna stare lì ad ascoltare un po’ tutti, con i loro problemi e le loro miserie, e i detenuti di problemi e di miserie ne hanno da vendere. Eppure queste persone hanno preferito passare una serata in questo modo, rinunciando a quella che è forse nel sentire comune "la festa" per eccellenza, il Capodanno, che dovrebbe essere una sera di totale divertimento, tra amici, famigliari, cene e altre mille situazioni. Come detenuto la rottura della routine mi ha sorpreso e non poco, e sempre come detenuto credo di non essermi mai sentito cosi stordito, perché vedere persone che rinunciano a qualcosa che non è di tutti i giorni, ma di un giorno su 365 e per altro con un forte impatto emotivo, ha lasciato un forte segno nei meandri dei miei pensieri, facendomi rivivere ancora una volta tutta la mia vita dissennata, alla ricerca ossessiva del denaro e di altre futili motivazioni. E mettendomi di fronte delle persone che in quella notte del 31 dicembre 2009 altro non desideravano che dare un segno della propria presenza e umanità a chi, per un motivo o per l’altro, parte della propria umanità se l’è giocata sul piatto della futilità e dell’egoismo personale. Un gesto che a tanti può sembrare banale, ma per molti detenuti è stato importante, personalmente questo ricordo rimarrà con me per molto, molto tempo ancora. Grazie per la visita.
Non ci sono vacanze per gli incontri con i ragazzi
Lo scorso 4 gennaio, una volontaria e un detenuto che sta scontando la parte finale della pena in misura alternativa, in rappresentanza dell’associazione Granello di Senape e di Ristretti Orizzonti, hanno incontrato a Levico novanta ragazzi, tra i 13 e i 18 anni, che si trovavano lì per un’esperienza di confronto e riflessione sui diversi significati che può avere il gruppo amicale durante l’età dell’adolescenza. L’iniziativa è stata organizzata da Don Marco Pedro, parroco di Deserto d’Este, un piccolo comune della bassa padovana. Don Marco non è nuovo ad esperienze di questo tipo, ad affiancarlo nelle sue attività ci sono una ventina di adulti, molti di loro insegnanti. Negli ultimi cinque anni, nell’ambito del progetto "Il carcere entra a scuola. Le scuole entrano in carcere", sono state diverse decine di migliaia i ragazzi che abbiamo incontrato, sperimentandone la profonda capacità di ascolto rispetto ad una realtà così dolorosamente complessa, come quella del carcere. La novità di questo incontro è stata la modalità scelta per avvicinare i ragazzi a questi temi. All’inizio era stato semplicemente detto loro che avrebbero ascoltato una testimonianza, che si sarebbe rivelata significativa nell’ambito del percorso che stavano affrontando in quei giorni. Andrea, il detenuto, si è seduto di fronte a loro e, in rigoroso silenzio, si è lasciato esaminare in silenzio per qualche minuto, mentre ai ragazzi era stato chiesto di provare ad immaginare quale tipo di esperienza avesse alle spalle. Dopo. una pausa di una ventina di minuti, durante i quali i ragazzi si sono ritrovati in gruppi per confrontare le loro idee e suggestioni in seguito a quei pochi minuti di incontro. Al rientro in sala i vari gruppi hanno espresso le loro diverse considerazioni e impressioni su chi avrebbe potuto essere quella persona che si sono ritrovati di fronte. Andrea ha ascoltato tutte le loro considerazioni, basate solo sono una prima impressione, per cui sono uscite diverse immagini, dall’attore di fiction spagnolo, allo psicoterapeuta, allo sbandato con un passato da cocainomane. Dopo di che è arrivato il turno di Andrea, che ha raccontato loro la sua storia in un’atmosfera di assoluto e attento silenzio. Finita la sua testimonianza, i ragazzi sono stati invitati ad uscire all’aria aperta, alcuni di loro, molto emozionati, hanno subito chiesto di parlare con Don Marco. Ma per la maggior parte hanno serenamente commentato tra loro la storia appena ascoltata. Al rientro Andrea ha risposto a tutte le loro domande. Dopo un’ora di confronto c’è stata la terza pausa, per un momento di convivialità, un pranzo in una dimensione di grande allegria e serenità. Alle 15 ci si è ritrovati nuovamente in sala e la giornata si è conclusa dopo un’altra ora di confronto, basato non più sull’esperienza del gruppo e sul tema della droga, ma sulla realtà del carcere. Una formula azzeccata, frutto sicuramente delle competenze di questo parroco laureato in psicologia, come del gruppo dei suoi collaboratori, ma anche per la maturità dimostrata ancora una volta dai ragazzi.
Bilancio natalizio positivo per la Cooperativa AltraCittà
La Cooperativa Sociale "AltraCittà" chiude il 2009 con un bilancio molto positivo. Per il quarto anno consecutivo la Cooperativa ha partecipato al Mercatino dell’Avvento in piazza Capitaniato, con il suo allegro banchetto, pieno di invitanti oggetti di legatoria creati dai detenuti. L’iniziativa ha riscosso un buon successo: molti i clienti "affezionati", che attendevano di ritrovare i prodotti artigianali in Piazza, cui si sono aggiunti nuovi acquirenti, a cui far conoscere la realtà della Cooperativa. Al contempo, il negozio di via Montà ha permesso di dare nuova visibilità ai prodotti, e anche allo stesso quartiere: gli abitanti che lo frequentano, infatti, si dicono orgogliosi di questa nuova vetrina, che rende il loro quartiere più attraente e vivace. Molti hanno scelto di acquistare qui i regali di Natale, sia per il risvolto"sociale", che per valorizzare il lavoro dei detenuti, ma soprattutto perché hanno apprezzato la qualità e l’originalità degli articoli. Il legame che si sta creando con la popolazione del rione è davvero positivo, e gli attraenti oggetti colorati della vetrina aiutano anche a comunicare e sensibilizzare rispetto alla realtà "grigia" del carcere, smorzando almeno un poco le paure della gente.
Notizie da Venezia
La tradizione continua: il Patriarca va alla Giudecca
Come ogni anno, il 5 gennaio il Patriarca di Venezia, cardinal Angelo Scola, era nel carcere femminile della Giudecca per la Santa Messa, seguita da un incontro informale con le donne detenute. Suor Gabriella, volontaria da molti anni in quel carcere e grande organizzatrice di "giornate diverse", ci ha raccontato come si è svolta quella giornata di grande emozione per tutte le ospiti. Sapendo che le festività sono per le persone recluse momenti di grande tristezza e sofferenza, si potrebbe dire quasi di depressione, suor Gabriella porta dentro in quei giorni alcune giovani volontarie. Quest’anno erano 12 studentesse universitarie che hanno organizzato giochi, canti, lavori artigianali per 4 giorni e che hanno partecipato insieme alle detenute all’incontro con il Patriarca. Il cardinal Scola nella sua omelia ha parlato di "luce" e di "verità": che la luce entri nel nostro cuore e permetta la verità su se stessi. Attraverso questi due passaggi si riesce ad arrivare al cambiamento che, dice il Patriarca alle detenute, non dev’essere iniziato quando si esce dal carcere, ma da subito. Le donne devono prendere coscienza subito, senza attendere. La messa è stata preceduta da una breve danza di accoglienza preparata ed eseguita dalle 16 detenute provenienti da diversi paesi africani, e il cardinale è rimasto piacevolmente sorpreso nel vedere come la preparazione della chiesa rispecchiasse un ambiente tutto femminile e fortemente multietnico. Sono infatti 43, su 86, le donne straniere alla Giudecca e naturalmente non mancano i bambini che al momento sono 5. La messa è stata concelebrata con i cappellani don Mauro Haglich e don Antonio Biancotto, padre Andrea Cereser, parroco del Redentore e storico cappellano di varie carceri e il diacono Tiziano Scatto. Scola ha lanciato un messaggio: «Davanti agli occhi abbiamo il diritto calpestato, la pace vilipesa, l’emarginazione non condivisa. Non dobbiamo lasciarci impadronire dallo scetticismo e dalla tristezza. È possibile aiutare la nostra società cambiando i rapporti al suo interno». Le donne poi hanno portato dei doni che illustravano il significato della luce secondo loro: due ragazze, una rumena e una Rom che seguono i corsi nel laboratorio di sartoria, hanno confezionato una spilla di stelle fatta con dei pannolenci, un’altra ragazza rumena ha scritto una poesia sul significato di sé e della luce nel cuore scritta su un cartoncino dorato, le ragazze africane hanno fatto un’altra danza sulla luce, Katarina ha disegnato il modello di un abito da sposa che si chiama "La luce delle stelle", Cristina ha fatto una composizione di fiori che sembra una stella. Altre donne poi hanno scelto un altro modo per descrivere la "luce": una semplicemente mostrando la foto dei suoi figli, la sua luce, e un’altra quella dei suoi genitori. Quando il Patriarca se ne è andato la festa è continuata con panettoni, cioccolata calda, bibite e dolci.
Notizie da Verona
L’igiene a Montorio: segnali di ripresa, ma il degrado è vecchio
Negli ultimi due mesi, all’interno delle sezioni del carcere di Montorio, è stata aggiunta la figura di un lavorante destinato a occuparsi dell’igiene del luogo. Una persona che va ad affiancarsi a chi già si occupa della pulizia quotidiana, per tentarne una più approfondita, in un luogo in cui sembra impossibile attuarla. "Con l’arrivo del nuovo direttore si avverte un netto segnale di ripresa, ma il degrado è vecchio", spiega Roberto Sandrini della Fraternità. "Le detenute arrivate da Potenza durante il periodo natalizio (per permettere agli agenti della loro struttura di andare in ferie) non vedono l’ora di tornarci. Si lamentano della sporcizia interna alla sezione che, a detta di alcuni agenti, non è comunque nulla in confronto a quella delle sezioni maschili, dove loro stessi camminano distanti dai muri e dallo sporco impestante". Quegli stessi muri che il cappellano Don Maurizio, con la presenza del nuovo lavorante, ha notato che stanno iniziando ad essere ripuliti. "C’è un’attenzione maggiore all’igiene - spiega - forse anche grazie all’arrivo del nuovo direttore e a seguito delle lamentele di detenuti e agenti penitenziari, desiderosi di vivere e lavorare in un ambiente più sano". Sono anche stati avviati i lavori di copertura del tetto dello spaccio e degli alloggi degli agenti. "Un ottimo segnale - conclude Sandrini - che speriamo durerà nel tempo, per dare sollievo a chi già vive problematiche di sovraffollamento e di mancanza di organico". La polizia penitenziaria di Montorio è infatti in carenza di almeno cento unità. E sempre cento saranno i detenuti che, non appena saranno terminati i lavori interni a una delle sezioni del carcere, torneranno a popolare le celle della struttura veronese, riportando a 900 il numero delle presenze.
Mariana, figlia adottiva dei detenuti di Montorio
Mariana ha 4 anni e vive a Quixada, nel nordest del Brasile. I suoi genitori sono contadini troppo poveri per poterle garantire tutte le cure di cui necessita una bambina della sua età. Per questo i detenuti di Montorio hanno raccolto un po’ di soldi per poterla mantenere nella comunità della Fondazione Regina Pacis di Verona di cui è ospite. Un luogo accogliente, in cui Mariana riceve vitto, alloggio e un’educazione scolastica. Non è la prima volta che chi è rinchiuso a Montorio partecipa a progetti di solidarietà. Sempre a Quixadà i detenuti avevano sostenuto gli studi di Felipe che adesso, dopo due anni, è potuto tornare nella sua famiglia. A Pasqua, inoltre, sempre i detenuti avevano raccolto più di mille euro da inviare ai terremotati dell’Aquila. Spiega il cappellano del carcere, Don Maurizio Saccoman: "Non sappiamo ancora la cifra della colletta per Mariana, che si concluderà solo domenica prossima. Ma per sostenerla per un intero anno bastano poco più di 400 euro".
Il carcere raccontato a futuri sacerdoti e fedeli
Un incontro tra la cappellania del carcere e chi si accinge a prendere la strada del sacerdozio. È quanto avverrà lunedì prossimo nel Seminario Maggiore di Verona. Su invito del Rettore del Seminario, infatti, Don Maurizio Saccoman, Fra Beppe Prioli e il Diacono Carlo incontreranno i giovani teologi per parlare della loro esperienza all’interno dei luoghi di detenzione. Un altro modo per avvicinare la realtà del carcere al territorio circostante. "Anche la diocesi ultimamente ci è venuta molto incontro", spiega Don Maurizio. Grazie al progetto di condivisione, sostegno e reinclusione sociale dei detenuti, dal nome Dammi la tua mano!, alcune parrocchie si sono già dimostrate più attente alle problematiche interne al carcere. "L’iniziativa lanciata dalla Caritas durante il periodo natalizio ha avuto un riscontro immediato da parte di alcune parrocchie del territorio - continua il cappellano - e, al di là dei soldi raccolti con la colletta per le necessità primarie dei detenuti, il fatto più importante è proprio quello di sentire la comunità in ascolto dei problemi di chi è recluso". Ascolto arrivato a Natale anche dal vescovo che, la domenica del 27 dicembre, ha celebrato la messa nella sezione maschile di Montorio. "Un momento sentito e partecipato - afferma Don Maurizio - che speriamo non resti isolato. Invitiamo il vescovo a entrare nel carcere anche in altri momenti dell’anno, persino a sorpresa, per valutare con i suoi occhi le condizioni interne, e farsi portavoce dei detenuti all’esterno delle mura del carcere". All’invito si unisce anche il presidente dell’associazione La Fraternità, Roberto Sandrini, che aggiunge: "è importante che il vescovo porti il messaggio dei detenuti in occasione delle visite pastorali presso le parrocchie, ancor più che presso le autorità costituite".
E i permessi di Natale?
Da sempre, in carcere, i giorni di Natale sono amici dei permessi. Quale occasione migliore per un temporaneo ritorno a casa, per trascorrere, magari dopo tanto tempo, le prime ore in famiglia? Anche quest’anno pare sia successo che per Natale le carceri si siano un po’ svuotate, al punto da far litigare i sindacati della Polizia penitenziaria con il Dap sui numeri delle presenze nei primi giorni di gennaio (vedi "Avvenire" del 5-1-10). Il brusco calo del sovraffollamento registrato durante il periodo natalizio (pari a circa 1.500 detenuti), si rivela infatti strettamente collegato soltanto ai posti vuoti, ancora per poco, di chi in questi giorni sta rientrando dal permesso natalizio. Ma stiamo parlando dell’Italia, di dati nazionali. E a Verona? Vorremmo sentirci dire che siamo male informati, speriamo vivamente in un autorevole comunicato che ci smentisca ristabilendo le cifre esatte. Per ora, raccogliendo quel che si dice tra i detenuti, i volontari, i "solitamente bene informati", ne viene fuori quest’unica notizia: che per la prima volta, per il primo anno, malgrado gli oltre 800 detenuti del carcere di Montorio, di cui almeno 200 definitivi con pene brevi, nessuno è uscito in permesso per Natale. Sarà vero? E se è vero, perché?
Appuntamenti
Treviso: Presentazione del volume "Condannati a vivere. La quotidianità dei detenuti del carcere di Treviso raccontata dal suo cappellano". In questi primi mesi del 2010 il libro di Don Pietro Zardo, cappellano della Casa Circondariale di Treviso, dal titolo "Condannati a vivere. La quotidianità dei detenuti del carcere di Treviso raccontata dal suo cappellano" (pubblicato da Ogm editore e distribuito dalla Tredieci) verrà presentato al pubblico nelle seguenti occasioni: - Giovedì 21 gennaio 2010, alle ore 20.30, presso la sala della biblioteca comunale di Povegliano "Card. A. Pavan", in Borgo San Daniele, 1/b, si terrà un incontro pubblico sul tema del carcere, durante il quale Don Pietro Zardo presenterà il suo libro; - Venerdì 22 gennaio 2010, alle ore 20.30, presso la sala della parrocchia di San Liberale in via Mantiero a Treviso, si terrà un incontro culturale dal titolo: "Il carcere possibile. Riflessioni sulla detenzione, con uno sguardo alla condizione dei clandestini, dei giovani e degli ergastolani", in cui interverrà Don Pietro Zardo; - Domenica 31 gennaio 2010, alle ore 16.30, presso i locali dell’oratorio della parrocchia di Paderno di Ponzano Veneto, a presentare il libro "Condannati a vivere" ci sarà don Artemio Favaro, parroco a Quinto di Treviso. - Venerdì 19 febbraio 2010, alle ore 20.45, presso i locali della parrocchia di San Giorgio Martire di Quinto di Treviso, si svolgerà un incontro sulla realtà del carcere, a cui parteciperà, assieme al parroco don Artemio Favaro, don Pietro Zardo.
Verona: incontro sul tema "Immigrazione fonte di ispirazione"
Venerdì 15 gennaio alle 20 nella sala Pastore della Cisl di Verona in via Lungadige Galtarossa, 22, Giampaolo Trevisi, scrittore e vice questore di Verona, incontra i cittadini immigrati della città in occasione della Giornata del migrante e dell’apolide. Una serata di racconti e di esperienze migratorie sul tema "Dal foglio di via al permesso di soggiorno. Quando la diaspora è fonte di ispirazione e di crescita culturale. La serata si concluderà con un buffet multietnico.
Il Progetto "Dal carcere al territorio" è finanziato dall'Osservatorio Nazionale per il Volontariato - Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali - Direttiva 2007 sui progetti sperimentali delle Organizzazioni di Volontariato. |