Osservatorio Parlamentare

 

Interrogazioni e interpellanze al Ministro della Giustizia

 

Giachetti - Seduta del 10 maggio 2005

 

Per sapere - premesso che:

in base a quanto riportato da agenzie di stampa del 28 aprile 2005 il garante dei detenuti della Regione Lazio Angiolo Marroni avrebbe denunciato le ormai insostenibili condizioni di estrema gravità in cui versa il carcere romano di Rebibbia;

la situazione parrebbe carente sotto numerosi punti di vista, a partire dalla intermittente sostituzione del magistrato di sorveglianza, mancante da dicembre, preposto al controllo dei detenuti i cui cognomi vanno dalla lettera A alla M, dalla frequenza di trasferimenti di detenuti impegnati in progetti di formazione che, di fatto, sarebbero costretti a sospendere, fino ad arrivare alla carenza del servizio sanitario e alla quasi totale assenza di attività culturali;

a tutto ciò si aggiungerebbe l’obsolescenza di un codice normativo datato 1938 e mai aggiornato, la lentezza burocratica nell’attribuzione degli assegni famigliari, la mancata retribuzione dell’attività lavorativa e da ultimo, in base ad una disposizione emanata dalla direzione del carcere, la spedizione di oggetti personali dei detenuti, in eccesso rispetto a limite consentito, rimandati ai famigliari a spese del detenuto;

una simile misura, in un contesto già di per sé preoccupante e drammatico come quello sopra descritto, sembrerebbe incongruente rispetto alle reali esigenze dei detenuti, spesso privati anche di diritti umani fondamentali come quello alla salute o allo studio, basilari nella prospettiva di un futuro di vita diverso -:

se non ritenga opportuno verificare quanto denunciato dal Garante dei detenuti e - nel caso in cui l’allarme lanciato trovasse effettivo riscontro nei fatti - quali urgenti ed immediate iniziative intenda adottare per risolvere una situazione tanto critica, garantendo ai detenuti diritti essenziali e condizioni di vita civili.

 

Giachetti - Seduta del 10 maggio 2005

 

Per sapere - premesso che:

nell’istituto penitenziario di Campobasso, dall’interrogante personalmente visitato lo scorso sabato 7 maggio, sono attualmente detenuti Angelo Izzo, accusato dell’omicidio della moglie e della figlia di Giovanni Maiorano, ex boss appartenente alla Sacra Corona Unita e anch’egli recluso nello stesso carcere, e gli altri 2 indagati come complici di Izzo, Guido Palladino e Luca Palaia;

avendo avuto l’opportunità di intrattenersi per un breve colloquio con ciascuno di essi l’interrogante ha potuto constatare la situazione di disagio vissuta in particolar modo dal giovane Palladino, che avrebbe manifestato segni comportamentali di sbandamento - dovuti anche al grande clamore suscitato dalla vicenda a fronte della sua "prima volta" in un penitenziario - e caratteristiche psicologiche tali da farlo ritenere ad "alto rischio" nella prospettiva di una lunga permanenza in carcere, oltre allo stato evidente di disperazione in cui si troverebbe Giovanni Maiorano, a seguito del brutale omicidio che ha sterminato la sua famiglia;

come segnalato all’interrogante dalla direttrice dell’istituto - malgrado il fatto che nella struttura carceraria di Campobasso sia presente un consistente numero di pentiti - allo stato attuale nessuno degli indagati né lo stesso Maiorano avrebbero potuto avvalersi dell’apporto di uno psichiatra, come previsto dalla legge;

in base a quanto riferito dalla stessa, il "gruppo di osservazione e trattamento" del carcere di Campobasso - composto dalla direzione e dal personale ordinario dell’istituto - si avvarrebbe di una consulenza psicologica e/o criminologica e/o sociologica limitata ad un numero di ore mensili pari a 10, in base a quanto disposto da specifici provvedimenti ministeriali;

nella attuale situazione del carcere di Campobasso, - che conta, 120 detenuti di cui 4 posti in regime di isolamento - alla già endemica carenza di personale d’assistenza psicologica, di fatto esclusivamente appaltata all’impegno della direzione e del personale ordinario dell’istituto, si aggiungerebbe anche uno stato di emergenza dovuto alla presenza di detenuti "ad alto rischio" di sopravvivenza carceraria come quelli sopra citati;

parrebbe all’interrogante necessario un immediato intervento almeno per tamponare una situazione non più gestibile unicamente grazie all’impegno e alla buona volontà della Direzione del personale ordinario della suddetta struttura -:

se non ritenga necessario per far fronte all’attuale situazione di chiara emergenza nel suddetto carcere, adottare provvedimenti affinché venga disposto un aumento delle ore di consulenza psicologica previste ed assegnate all’istituto stesso, assicurando così nell’immediato una adeguata assistenza psicologica ai detenuti ed alleggerendo, di conseguenza, la direzione e lo stesso personale carcerario da compiti di non specifica competenza;

se, inoltre, non ritenga opportuno intervenire affinché, in ottemperanza a quanto disposto dalla normativa vigente, l’istituto penitenziario venga dotato in via ordinaria di una presenza fissa e continuativa di uno specialista psichiatrico in grado di garantire assistenza e supporto basilari nella prospettiva del recupero psicologico di alcune tipologie di detenuti.

 

Buemi e Nigra - Seduta del 9 maggio 2005

 

Per sapere - premesso che:

il personale del Centro Servizio Sociale per adulti (CSSA) di Torino, nonostante i numerosi solleciti e richieste fatte dalle organizzazioni sindacali di categoria, è costretto ad operare in condizioni di perdurante disagio;

a partire dall’immissione in ruolo degli assistenti sociali vincitori dell’ultimo concorso, nel dicembre 2001, le risorse strumentali e strutturali, già carenti, si sono dimostrate del tutto inefficienti ed inadeguate;

fino ad ottobre 2002, il personale del Cssa ha garantito qualità ed efficienza, operando con un totale di oltre 65 unità, in una sede di appena 550 mq;

tale spazio era appena sufficiente per la metà dei lavoratori;

in seguito, la direzione del CSSA decise, come soluzione, la divisione dell’ufficio in due sedi operative, attraverso l’acquisizione dei locali, tuttora utilizzati, siti in Via Brindisi 15/b;

tale soluzione, tenuto conto delle complicazioni organizzative dei servizi tecnici, amministrativi e di servizio sociale, avrebbe dovuto, come da rassicurazioni date in sede di trattativa sindacale, essere temporanea;

ad oggi, dopo un anno e mezzo, la riunificazione del servizio non è ancora avvenuta e ciò ha determinato, vista l’inutilità delle continue richieste di soluzione, la dichiarazione dello stato di agitazione da parte dei lavoratori, i quali lamentano in particolare:

a) le carenze strutturali della sede di Via Brindisi, dove non vi è un adeguato ricambio d’aria e molte stanze sono fornite solo di lucernai;

b) una generale carenza di personale delle segreterie tecnica e amministrativa che determina l’impossibilità a garantire i servizi agli utenti;

c) mancanza di personale di accoglienza ed al centralino e una notevole carenza dei mezzi informatici necessari;

d) difficoltà di comunicazione tra le due sedi e, di conseguenza, uno spreco di ore di lavoro e di risorse economiche;

tutto ciò, ed altro ancora, determinano ad avviso dell’interrogante una situazione di disagio e di non funzionalità del servizio che si ripercuote sia sui lavoratori che sugli utenti -:

se non si ritenga necessario fornire di spazi e strumenti decorosi il Servizio sociale dell’amministrazione penitenziaria di Torino, restituendo così dignità ai lavoratori che svolgono un’attività fondamentale di recupero e prevenzione;

quali sono i motivi che hanno impedito, nonostante gli impegni presi, di reperire una sede unica per il CSSA di Torino, assicurando allo stesso tempo le necessarie risorse umane e strumentali e come s’intenda risolvere, in tempi ovviamente rapidi, la difficile situazione in cui sono costretti ad operare i lavoratori di tale servizio.

 

Raisi e Saia - Seduta del 9 maggio 2005

 

Per sapere - premesso che:

in questi giorni a Campobasso è avvenuto il ritrovamento dei corpi senza vita di due donne, madre e figlia, barbaramente uccise e sotterrate nel giardino della propria casa;

del duplice omicidio è stato accusato Angelo Izzo, meglio conosciuto come il "mostro del Circeo", che nel 1975 violentò e sottopose a torture atroci due ragazze, una delle quali riuscì miracolosamente a salvarsi e testimoniò al processo riuscendo a farlo condannare all’ergastolo;

lo stesso Izzo ha confessato di aver ucciso le due donne, riservandosi di "motivare" il gesto nei prossimi giorni;

Angelo Izzo è stato utilizzato da una certa parte della magistratura come teste a carico in molti importanti processi politici contro imputati dell’estrema destra;

in quelle occasioni ha dato prova, ad avviso degli interroganti, di grande fantasia, inventando racconti incredibili, pieni di particolari inverosimili e clamorosi, accusando persone poi riconosciute innocenti, che hanno patito anni di carcere, prima di essere assolte;

nella trasmissione televisiva "Otto e mezzo" del 3 maggio 2005, il difensore di Izzo affermò che allo stesso venne riconosciuta la qualifica positiva di "collaboratore di giustizia" con un provvedimento emesso negli anni novanta dal Tribunale di sorveglianza di Bologna ai sensi dell’articolo 58-ter della legge n. 354 del 1975 sull’ordinamento penitenziario -:

se quanto riferito in premessa risponda al vero;

se siano ravvisabili gli estremi per dar corso all’esercizio dell’azione disciplinare.

 

Delmastro Delle Vedove - Seduta del 5 maggio 2005

 

Per sapere - premesso che:

l’ennesimo suicidio di un detenuto nel carcere di Sulmona (il sesto dall’ottobre 2003) ha destato sconcerto e commozione;

Francesco Vedruccio si è tolto la vita in data 27 aprile 2005, aggiungendo una nuova tragica vicenda alla serie lunga, troppo lunga, apertasi con il suicidio della direttrice del carcere di Sulmona;

la situazione è tale da non consentire più interventi con lo strumento normale della visita ispettiva;

è opportuno analizzare se vi possa essere un eventuale "effetto emulazione" che potrebbe caratterizzare la situazione psicologica di buona parte della popolazione detenuta indipendentemente dalle condizioni di detenzione;

se tale tesi avesse fondamento, appare evidente che l’unica possibile soluzione del problema potrebbe essere quella di un ricambio complessivo della popolazione detenuta, come peraltro richiesto dall’organizzazione sindacale Sappe -:

se e quali iniziative intenda assumere, oltre a quelle di rito, per tentare di comprendere quel che accade nel carcere di Sulmona, e se ritenga possibile l’esistenza di un "effetto emulazione" che colpisce la popolazione detenuta nell’istituto di pena che ha totalizzato purtroppo il più elevato numero di suicidi nella storia carceraria del nostro Paese.

 

Mascia - Seduta del 4 maggio 2005

 

Per sapere - premesso che:

il Garante Regionale dei Detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, ha segnalato la grave situazione in cui versa il carcere romano di Rebibbia (Ansa 28 aprile 2005);

l’Ufficio del Garante Regionale dei Detenuti ha fatto i seguenti rilievi:

a) mancata retribuzione dell’attività lavorativa;

b) lunghe procedure per il riconoscimento degli assegni familiari;

c) assistenza sanitaria carente, nonostante recentemente sia stata firmata la convenzione con la Asl Rm B per riattivare l’assistenza odontoiatrica;

d) azzeramento dell’attività culturale interna;

e) pessimo funzionamento del casellario giudiziario;

da dicembre manca uno dei magistrati di sorveglianza (che dovrebbe occuparsi dei detenuti il cui cognome comincia con le lettere A-M);

a causa dei frequenti trasferimenti, i detenuti impegnati in attività di formazione sono costretti a sospendere i corsi;

il regolamento interno emanato nel 1938 non è mai stato aggiornato; una recente disposizione della Direzione ha stabilito inoltre che, visto che nelle stanze detentive sono stipati generi ed oggetti oltre il limite consentito, i generi in eccesso trovati nelle celle saranno ritirati e inviati ai rispettivi familiari con un pacco postale a spese del detenuto -:

se non ritenga che la situazione nel carcere di Rebibbia sia lesiva del diritto alla salute, del diritto a un lavoro retribuito e del diritto allo studio dei detenuti;

se, alla luce dei rilievi fatti dal Garante Regionale dei Detenuti del Lazio, intenda prendere opportune iniziative al fine di garantire ai detenuti di Rebibbia un adeguato reinserimento sociale a fine pena;

se non ritenga che la disposizione che stabilisce l’immediato ritiro dalle celle dei generi in eccesso aggravi le già carenti condizioni di vita dei detenuti di Rebibbia e se non intenda intervenire sulla direzione del carcere affinché sospenda immediatamente tale iniziativa.

 

 

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