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Giornata nazionale di studi
Disinnescare...
Attrezziamoci
per disinnescare i conflitti, non per fomentarli
Venerdì 23 maggio 2025, ore 9.00-17.00 - Casa di reclusione di Padova
PER PARTECIPARE ALLA GIORNATA DI STUDI E' NECESSARIO ISCRIVERSI TRAMITE QUESTO MODULO
L'iscrizione costa 15 euro (riduzione a 10 euro per gli studenti delle medie superiori, con unico versamento cumulativo per ogni classe scolastica)
“Per
moltissimi anni, prima con il regolamento Rocco che era del 1930 ed è stato in
vigore fino al 1975, il carcere era segregazione, quindi era gestione e
prosecuzione di un conflitto. Dopo quegli anni, gli anni del terrorismo e della
criminalità organizzata hanno spinto il carcere a proseguire nel conflitto.(…)
l’idea che è necessaria una polizia nel carcere
sottintende l’idea che con l’esecuzione della condanna non inizia il periodo
di risoluzione del conflitto ma è la prosecuzione di quel conflitto”.
L’analisi
che il magistrato
Francesco Cascini, profondo
conoscitore della realtà carceraria, faceva anni fa è
di stringente attualità:
la finalità costituzionale della pena sparisce, soffocata dall’accentuazione
degli aspetti conflittuali del rapporto detenuti/istituzione
penitenziaria. E la pena torna a
essere prevalentemente una pena rabbiosa, dove le persone detenute diventano
“fascicoli viventi” e, nel rapporto con chi esercita il potere, non
riescono mai a portare le loro ragioni, e tanto meno ci riusciranno con lo
spettro della denuncia per “resistenza passiva”.
Se il Decreto
sicurezza sta disegnando un’idea di società e di carceri, dove i conflitti
sociali si risolvono con la forza, senza spazi di mediazione, l’Ordinamento
penitenziario dice però che sono ammessi a frequentare gli istituti
penitenziari “tutti coloro che avendo concreto interesse per l'opera di
risocializzazione dei detenuti dimostrino di potere utilmente promuovere lo
sviluppo dei contatti tra la comunità carceraria e la società libera”: oggi
più che mai è allora importante il ruolo della società civile nel rendere le
carceri più trasparenti possibile, attrezzarsi per disinnescare i conflitti,
lavorare perché non si affermi l’idea di carceri in cui tensioni, proteste,
momenti di resistenza passiva si risolvono solo con la forza.
“Essere
cattivo cosa aggiungerebbe di bello nella mia vita?”
Quando la redazione di Ristretti Orizzonti ha proposto a Gino Cecchettin di entrare per la prima volta in carcere e dialogare con persone detenute, lui non ha esitato ad accettare l’invito. A meno di un anno dall’uccisione della figlia Giulia, Gino ha avuto la forza di ascoltare le domande dei detenuti e di rispondere con generosità, e con straordinaria gentilezza. Una lezione di vita, la sua, più che un semplice incontro: “Ma io la risposta ce l’ho sotto gli occhi: mi concentro su Giulia, penso a tutto il bello che lei mi ha dato e un po’ alla volta la rabbia e l’ira sono passate. Mi sono meravigliato, è stato un esercizio che ho fatto proprio perché sapevo che stava arrivando un'onda alta 100 metri che mi avrebbe travolto e portato via. E allora ho detto - sembra così semplice la ricetta - che concentrandosi su delle cose belle, alla fine pensi cose belle (…) Ammettiamo, per ipotesi, che io avessi detto tutto il peggio. Probabilmente la società mi avrebbe anche capito e perdonato. Ma quale sarebbe l'utilità? Essere cattivo cosa aggiungerebbe di bello nella mia vita? Essere cattivo, arrabbiato, sarebbe umano, ma mi renderebbe peggiore come essere umano”.
-
Gino Cecchettin,
oggi impegnato nella costruzione di
progetti per combattere la violenza di genere, in memoria di sua figlia Giulia
Ragazzi
“cattivi”, pieni di rabbia
La
rabbia e l’aggressività spesso sono i motori principali dei reati commessi
dai minori, ma se poi questi ragazzi entrano in carcere e trovano, come è
successo al Beccaria, degrado e violenza e se non si fa qualcosa per aiutarli a
controllare e gestire la rabbia, il loro destino è segnato e la prospettiva è
solo il carcere per adulti.
Secondo
Alfio Maggiolini, psicoterapeuta esperto di “cattivi ragazzi” “La rabbia è una delle più frequenti manifestazioni di
disagio negli adolescenti. I loro comportamenti violenti preoccupano sempre più
gli adulti, che tendono a interpretarli come espressione di cattiveria, mancanza
di valori morali, insensibilità, noia o come sintomo di un disturbo mentale. In
realtà, la rabbia è più spesso la conseguenza della disperazione, una
reazione di fronte a ostacoli percepiti come insormontabili nel percorso di
sviluppo. I comportamenti oppositivi e provocatori, la trasgressività e
l'aggressività sono da sempre presenti in bambini e adolescenti e ultimamente,
dopo il trauma collettivo dovuto alla pandemia da Covid-19, sembrano anche più
diffusi”.
-
Alfio Maggiolini, Psicologo e psicoterapeuta,
è direttore del Master del Minotauro “Adolescenti
trasgressivi. Valutazione e trattamento”. È autore, tra l’altro, di Pieni di rabbia. Comportamenti trasgressivi e bisogni evolutivi negli
adolescenti
Rom,
Sinti, nomadi, zingari: gli ultimi degli ultimi, comunque li si chiami
È
incredibile come non sappiamo quasi niente delle vicende che hanno
caratterizzato la presenza delle comunità rom in Italia. Carlo Stasolla, a cui
il presidente Mattarella ha appena conferito il titolo di Ufficiale dell'Ordine
al merito della Repubblica italiana, parla della necessità di de-segregare
completamente le comunità rom in emergenza abitativa (superando i cosiddetti
"campi rom", istituzioni totali quanto lo erano ieri manicomi e oggi
lo sono le carceri), decostruire la stigmatizzazione di questi gruppi, avviare
processi di de-istituzionalizzazione e assicurare la loro completa
inclusione nella società.
-
Carlo Stasolla ha più di 30 anni di
esperienza nel campo dell’inclusione delle comunità
rom, ha vissuto all’interno
degli insediamenti della Capitale per circa 14 anni, è presidente
di Associazione 21 luglio,
organizzazione indipendente che lavora per supportare comunità e individui in
condizioni di segregazione estrema e di discriminazione
Quando
la mala “Giustizia” innesca la rabbia
Racconta Gaia
Tortora che suo padre “come ebbe a dire,
veniva quotidianamente ‘squartato, aperto, violentato, insultato in un modo
che va al di là della umana sopportazione’. Eravamo sempre più arrabbiati.
La rabbia ha una caratteristica: se non le dai un minimo di spazio, se non la
sfoghi, quella finisce di rivoltarsi contro di te”. Gaia Tortora porta la
sua testimonianza nella consapevolezza che non sia solo sua: ogni giorno tre
innocenti finiscono in carcere per errore, e i media però non hanno imparato
nulla dalla vicenda di suo padre Enzo e continuano a produrre titoli urlati e a
non chiedere scusa quando la realtà si rivela radicalmente diversa dal racconto
mediatico.
-
Gaia Tortora è giornalista
televisiva, vicedirettrice
del Tg La7 e conduttrice di «Omnibus».
È autrice del libro Testa alta, e
avanti. In cerca di giustizia, storia della mia famiglia.
“Se
il parametro dell’afflittività della pena dovesse essere l’equivalenza del
dolore che ha provato la vittima o i suoi familiari allora ci troveremmo nella
condizione di occhio per occhio, dente per dente. (…) L’idea,
davvero spaventosa che l’assoluzione dell’imputato sia il naufragio
della giustizia, e la condanna il suo trionfo,
è l’idea più in voga nella pubblica opinione, nei bar
come sui social o nei talk-show televisivi. A nessuno viene in mente, nemmeno
per un attimo, che un’accusa possa essere infondata (e che un innocente ne
risulti maciullato nella sua vita professionale, nella sua dignità, nei suoi
affetti): se ci sono degli imputati, devono esserci dei condannati”.
-
Gian Domenico Caiazza, avvocato penalista, è stato per anni Presidente
dell’Unione Camere Penali italiane dal 2018 al 2023.
Dirige PQM, inserto del Riformista dedicato ai temi “caldi” della Giustizia
C’è
sempre un nemico, qualcuno da caricare di colpe
Racconta Anilda Ibrahimi,
scrittrice nata in Albania, ma che vive da anni in Italia: “L’albanese
degli anni Novanta era il male, un pericolo che veniva da fuori. (…) gli
albanesi hanno dovuto giustificare il loro essere albanesi tutti i giorni.
Adesso è molto facile parlare di
‘albanesi di successo’, ma c’è stato un processo di integrazione molto
duro dietro le quinte. Per vent’anni la rappresentanza albanese in Italia è
stata assente, quella albanese è stata una comunità orfana, senza difese.
(…) siamo stati un popolo orfano. Soprattutto perché uscivamo dal comunismo
in cui c’era “il Padre”, una serie di strutture, e siamo arrivati in un
luogo senza nulla, con sconosciuti che ci davano dei ‘criminali’, noi donne
albanesi eravamo tutte ‘prostitute’”.
-
Anilda Ibrahimi è nata a Valona, Albania, ha studiato
letteratura a Tirana. Nel 1994 ha lasciato il suo paese, dal 1997 vive in
Italia. Il suo ultimo romanzo pubblicato è Volevo
essere Madame Bovary.
Violenza
virtuale
“Nella
vita virtuale possiamo diventare chi vogliamo, cambiare identità e indole
quando lo desideriamo. Possiamo fare quello che nella quotidianità ci sarebbe
precluso e persino proibito.
Ma
molte sono le domande che ci assalgono: la violenza che vediamo sugli schermi
dei nostri computer si chiude nello spazio digitale o ha ripercussioni al di là
dello schermo? Quello che nasce su Internet resta solo su Internet?”:
Francesco Striano affronta una delle maggiori questioni irrisolte della nostra
contemporaneità – la responsabilità della nostra vita digitale –
invitandoci a riflettere sul rispetto da esercitare nei confronti di un dolore
che resta assolutamente reale.
-
Francesco Striano è ricercatore in
filosofia morale presso l’Università degli Studi di Torino. Si occupa di
etica delle tecnologie e teoria dei media. Violenza virtuale è il suo
primo libro.
Qualunque
atto di violenza lascia dietro di sé l’irreparabile
Quello che Agnese
Moro rimprovera alla giustizia penale è il fatto che “non si occupa della cosa più importante che qualunque atto di violenza
lascia, che è l’irreparabile. Qualsiasi atto contro un'altra persona
produce in chi lo subisce qualcosa che non la renderà mai più la stessa
persona di prima. Io non credo si possa abbellire l'irreparabile, io credo che
l'unica cosa che si può fare è avere il coraggio di guardarlo negli occhi e la
possibilità di raccontarlo, questo irreparabile”. “La
bellezza della giustizia riparativa, la novità vera, importante
è che mette al centro tutti: vittime, responsabili e
comunità. Io poi sto
riflettendo tanto su questo tema della disumanizzazione,
che è l’inizio di tutto. Cioè, tu puoi uccidere una persona perché è un
nemico, un avversario, un cattivo, una funzione, gli togli la sua umanità e
quindi non è come te. Anche ‘vittime’
è una disumanizzazione,
tu diventi una vittima e ti devi comportare in un certo modo, devi odiare
l’altro, devi seguire una regola che ti costituisce come vittima.
Il bello della giustizia riparativa è che fa saltare tutti gli schemi di
disumanizzazione e rimette persone, vive, una di fronte all’altra, con i loro
errori, con le loro risorse, persone tra persone, e questo è l’unico modo per
ristabilire la giustizia: far ritornare tutti persone”.
-
Agnese Moro, laureata
in psicologia, giornalista e scrittrice, figlia
dello statista e presidente della Democrazia Cristiana Aldo
Moro, rapito e ucciso dalle
Brigate Rosse nel 1978
Strumenti
per disinnescare
Ci sono reati, come
quelli della strada e non solo, che spesso scatenano la rabbia e il senso di
impotenza, sentimenti che non permettono più a tanti famigliari
“sopravvissuti” di tornare a vivere una vita degna di essere vissuta.
Federica
Brunelli e
Carlo Riccardi, mediatori penali,
ne parlano con Sonia Fusco, a cui è
stata “rubata” una figlia, travolta in motorino da un guidatore spericolato
e Yehia Elgaml,
il padre di Ramy, giovanissimo
ragazzo morto dopo una caduta dal motorino nel corso di un inseguimento dei
carabinieri per le strade di Milano.
-
Federica Brunelli, avvocata, mediatrice e formatrice esperta in
programmi di giustizia riparativa, è socia
fondatrice di DIKE – Cooperativa per la Mediazione dei Conflitti e opera
presso il Centro per la Giustizia riparativa e la Mediazione Penale del Comune
di Milano.
-
Carlo Riccardi, laureato in giurisprudenza,
specializzato in Criminologia clinica, mediatore e formatore esperto in
programmi di giustizia riparativa, collabora con vari organismi pubblici e
privati, fra cui il Centro per la Giustizia Riparativa e la Mediazione Penale
del Comune di Milano
Dialogo
su
quei reati che suscitano odio sociale, sugli autori
spesso giovanissimi, su come disinnescare la miccia del rancore dei famigliari e degli amici.
Aprirà i lavori la direttrice della Casa di
reclusione, Maria Gabriella Lusi.
Partecipano
ai lavori con le loro testimonianze i redattori detenuti di Ristretti
Orizzonti..
Coordinerà
i lavori Adolfo Ceretti, Professore
ordinario di Criminologia, Università di Milano-Bicocca, mediatore e formatore
esperto in programmi di giustizia riparativa, supervisore del Centro per la
Giustizia Riparativa e la Mediazione Penale del Comune di Milano. È autore, tra
l’altro, con Lorenzo Natali di “Io volevo ucciderla. Per una
criminologia dell’incontro”.
Sono
invitati a intervenire i magistrati di Sorveglianza di Padova, la presidente del
Tribunale di Sorveglianza di Venezia, la provveditrice dell’Amministrazione
penitenziaria per il Triveneto, il comandante, gli operatori della Casa di
reclusione, il Sindaco e il Garante del Comune,
i Capi DAP e DGMC.
Il programma della
Giornata di Studi è stato curato da Ornella Favero con la redazione di Ristretti
Orizzonti.
*Programma in attesa di autorizzazione dal DAP
PER PARTECIPARE ALLA GIORNATA DI STUDI E' NECESSARIO ISCRIVERSI TRAMITE QUESTO MODULO
L'iscrizione costa 15 euro (riduzione a 10 euro per gli studenti delle medie superiori, con unico versamento cumulativo per ogni classe scolastica)