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Giornata nazionale di studi
Io non so parlar d'amore…
Venerdì 17 maggio 2024, ore 9.00-17.00 - Casa di reclusione di Padova
LE ISCRIZIONI SONO CHIUSE
“Desertificazione
affettiva”: è questo “il paesaggio del carcere” che la Corte
Costituzionale descrive nella sentenza 10/2024, che, rendendo possibili i
colloqui intimi, è destinata a rivoluzionare la vita detentiva riportando
vegetazione, acqua e amore in quel deserto.
Ristretti
Orizzonti usciva nel 1998, nel suo numero Zero, affrontando senza timidezze il
tema degli affetti e del sesso negato in carcere, oggi a distanza di più di
venticinque anni per la prima volta intravediamo la possibilità di un
cambiamento vero, profondo, radicale. La sentenza della Corte Costituzionale è
il faro che ci guida in un viaggio, che può davvero trasformare le carceri in
luoghi più umani, a partire da quegli spazi che finalmente devono essere
garantiti alle persone detenute per incontrare le persone care senza controlli
visivi.
Prima
tappa: il magistrato e il costituzionalista
Per
l’amore in carcere serve “uno spazio il più possibile simile alla vita
all'esterno”
Fabio
Gianfilippi è il magistrato di sorveglianza di Terni che ha sollevato la
questione di costituzionalità sull’articolo 18 dell’Ordinamento
Penitenziario, che impone il controllo visivo nei colloqui delle persone
detenute con i loro cari, di fatto impedendo l’esercizio del diritto a
coltivare un rapporto, affettivo e sessuale, con il proprio partner: “La Corte
non detta delle tempistiche, ma certamente dice - secondo me in modo molto
chiaro - che non c'è da attendere il legislatore, il legislatore interverrà se
e quando lo riterrà, ma intanto bisogna organizzarsi. Le tempistiche saranno
inevitabilmente un po' diverse da istituto a istituto”.
-
Fabio Gianfilippi, magistrato di
sorveglianza a Terni, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 18 dell’Ordinamento penitenziario.
Sesso
e carcere: un problema incandescente, perciò da sempre rimosso
Scriveva Andrea Pugiotto, costituzionalista che da anni vigila che la Costituzione non si fermi sulla soglia del carcere: “Il binomio affettività-carcere stringe a tenaglia un problema intorno al quale è inutile circumnavigare: la possibilità di mantenere dietro le sbarre una relazione amorosa che non sia amputata della propria dimensione sessuale. Problema incandescente, perciò da sempre rimosso nonostante la reiterata richiesta dei detenuti ad avere in carcere, in condizioni di intimità, incontri con persone con le quali intrattengono un rapporto di affetto. È un desiderio legittimo. È anche un diritto?”. Sì, oggi è anche un diritto, “si tratta ora di vigilare contro il rischio di manovre dilatorie che – c’è da scommettere – non mancheranno”.
- Andrea Pugiotto, Ordinario di Diritto costituzionale, Università di Ferrara, estensore e primo firmatario dell'appello - sottoscritto da oltre cento accademici, garanti dei detenuti, presidenti e aderenti dell'UCPI, esponenti del Volontariato e del Terzo Settore - a sostegno della questione di costituzionalità promossa dal Magistrato di sorveglianza di Terni.
Seconda
tappa: incontrando i minori, detenuti e non solo, e le emozioni bloccate
Ragazzi
che hanno dovuto congelare le proprie emozioni
Se
te ne vai da casa che sei ancora un ragazzino, se lasci il tuo paese e i tuoi
genitori non ti fermano perché sanno che non c’è futuro a restare,
l’affetto, l’amore, i ricordi, li devi reprimere per non stare troppo male.
E invece, dice ai ragazzi del minorile Chiara Gregori, sessuologa capace di
parlare con delicatezza di sesso e di amore, le emozioni “…imparate a
riconoscerle, a rispettarle, quindi a modularle, prima di passare all’azione;
è importante per poter star bene voi, ma anche per far stare bene chi è con
voi”.
Con
i ragazzi parla anche
“dell’importanza
del piacere nelle nostre vite e nella sessualità, ma anche l’importanza della
gentilezza e cura dell’altra persona e infine la tendenza che abbiamo a fare
cose per piacere alle altre persone più che per noi. Questi sono tre aspetti
che, a mio parere, andrebbero sempre dosati e valutati nelle relazioni umane”.
-
Chiara
Gregori, Ginecologa
e sessuologa, segue un progetto con una classe di minori stranieri dell’Istituto
penale minorile Beccaria, nel quadro di un programma finanziato dall’Università degli Studi di
Milano. È appena uscito, per le edizioni
Becco Giallo, "Per
piacere. Piccola guida per una sessualità consapevole".
Terza
tappa: i detenuti adulti e l’amore “congelato”
Il
carcere degli adulti che ti fa diventare “analfabeta amoroso”
Ridurre
i danni provocati dalla galera, forse a questo servirà la sentenza della Corte
Costituzionale. Che sembra poco, e invece è un’enormità, perché permette
alle persone detenute di ritrovare la loro umanità, la bellezza di un
abbraccio, il piacere di un bacio che non sia rubato.
-
Francesca Melandri, sceneggiatrice, scrittrice e documentarista. È
autrice, tra l’altro, di Più alto del mare, dove
racconta gli anni bui del terrorismo da una prospettiva diversa, quella dei
parenti dei colpevoli, vittime a loro volta ma condannate a non essere degne di
compassione.
- Massimo Cirri è psicologo e giornalista. Da venticinque anni lavora nei servizi pubblici di salute mentale. Dal 1997 è autore e voce di Caterpillar, su Radio2. È autore, tra l’altro, con Chiara D’Ambros, di Quello che serve, un libro delicato, ironico e profondo, che conferma la fondamentale importanza del diritto alla salute sancito dalla Costituzione. E il dovere di tutelarlo.
Quarta
tappa: il ruolo della Polizia penitenziaria e quello degli operatori civili
Polizia
Penitenziaria, da uno sguardo ostile a uno sguardo accogliente?
Scrive
Roberto Cornelli, criminologo “Analizzare
il punto di vista degli operatori e delle operatrici di Polizia Penitenziaria è
rilevante (…)
per consentire una discussione pubblica sulle polizie, in modo da rafforzare i
presupposti democratici della loro legittimità.
L’uso
della forza di polizia è sempre problematico in una società democratica,
anche quando risulta legittimo: possibile che il poligono di tiro e
l’addestramento tecnico non possano essere accompagnate da altre materie di
approfondimento? Possibile che la formazione sia gestita in modo così
autoreferenziale da non consentire spazi di dialogo con la società esterna?”.
A
queste domande vogliamo rispondere con un confronto con la Polizia Penitenziaria
anche sulla sentenza della Corte Costituzionale, che non trasforma gli agenti in
“guardoni di stato”, come ha scritto qualche sindacato, ma al contrario gli
dà un ruolo meno di controllo e più di accoglienza attenta.
-
Roberto Cornelli è
Professore Ordinario di Criminologia all’Università degli Studi di Milano,
dove insegna anche Giustizia Riparativa. È
autore, tra l’altro, di “La forza di polizia. Uno studio
criminologico sulla violenza”; alla Polizia
Penitenziaria ha dedicato diverse ricerche, tra cui la “Prima indagine sul
personale lombardo della Polizia
Penitenziaria” e lo studio su “La polizia penitenziaria di
fronte agli eventi critici”.
L’amore
“affidato” ai direttori?
La
sentenza della Corte Costituzionale ha bisogno di direttori che sappiano sfidare
la lentezza, che a volte diventa immobilismo, delle Istituzioni. La Corte dunque
invita tutti a dare il loro apporto e, aggiungiamo noi, a non fare come con il
Regolamento di esecuzione dell’Ordinamento Penitenziario che dal 2000 a oggi
ancora non è stato del tutto applicato: “È altresì opportuno
valorizzare qui il contributo che a un’ordinata attuazione dell’odierna
decisione può dare – almeno nelle more dell’intervento del legislatore –
l’amministrazione della giustizia, in tutte le sue articolazioni, centrali e
periferiche, non esclusi i direttori dei singoli istituti”.
Ma sono proprio i direttori che devono porre un freno alla violenza e dare più spazio ai sentimenti, "guardando" con occhi diversi, come sostiene Girolamo Monaco, direttore dell'IPM di Treviso
"Non posso non dire che la violenza accade sempre (ripeto: sempre) quando le persone non vengono guardate. 'Guardare': parola ricchissima, che significa osservare, conoscere e proteggere; significa: vedere, valutare e conservare (conservare, non distruggere); guardare significa vigilare, stare attenti, vegliare; guardare significa aver
cura".
- Girolamo Monaco è stato educatore penitenziario presso strutture detentive per minorenni, poi direttore dell'Istituto Penale per Minorenni di Caltanissetta. Ha parlato di educazione e rieducazione in diversi articoli su riviste specializzate. È autore, tra l'altro, di
La parola chiave. Nel carcere minorile di Rocca Spaccata.
Quinta
tappa: morti di carcere, facciamo di più per fermare tutto questo dolore
Quando
in carcere l’amore e il dolore si intrecciano
L’amore
di cui parliamo è quello di tante madri, i cui figli stanno in carcere e non
dovrebbero essere lì: “Mio figlio – racconta Stefania - aveva avuto una
perizia psichiatrica, in cui appunto era chiaramente scritto che era inidoneo al
carcere, e quindi doveva fare un percorso comunitario. (…) e infatti era in
attesa di essere trasferito in una REMS. Poi ci sono stati degli episodi
disastrosi, ad esempio qualche giorno prima si era tolta la vita un ragazzo di
una cella accanto con cui Giacomo era diventato amico. Questa
cosa praticamente ha innescato il grilletto, anche se non sappiamo quanto sia
stata volontaria la sua morte, nel senso che lui cercava di lenire il suo dolore
devastante in qualsiasi modo”. Prevenire queste morti non è facile, ma si
deve fare di più: cominciamo almeno ascoltando i racconti di quelle madri che
hanno “perso” un figlio in carcere.
-
Stefania, madre
di Giacomo, che ha perso la vita in carcere a 22 anni
Sesta
tappa: le nuove speranze di figli, compagne, genitori stritolati dalla galera
L’amore
e la sofferenza dei famigliari
Come
guarderanno alla sentenza figli, compagne, genitori delle persone detenute? È
con loro prima di tutto che bisogna aprire un dialogo, perché il rischio è che
si creino illusioni, diffidenze, e anche la sensazione di essere discriminati o
esclusi, dal momento che la sentenza limita la possibilità dei colloqui
riservati al coniuge, la parte dell’unione civile o la persona
stabilmente convivente.
-
Zaccaria, studente
del progetto scuole/carcere che racconta che in carcere c’è entrato già da
bambino, quando andava a trovare suo padre, e che non è stato per niente
facile, tanto che l’ha narrato per la prima volta ai compagni e agli
insegnanti proprio durante l’incontro della sua scuola con la redazione di
Ristretti al Due Palazzi
-
Angelica, ora
educatrice, con un padre per anni
detenuto, ha dedicato la sua tesi alla scrittura autobiografica, che
“potrebbe aiutare i figli di genitori detenuti a scavare dentro di sé per
trovare il coraggio di raccontare gli eventi che hanno segnato profondamente la
loro esistenza, per riconoscerne la portata drammatica e per rendere narrabile
ciò che altrimenti non si riuscirebbe a spiegare”.
-
Jessica, compagna
di una persona detenuta, di sé racconta: “Io e il mio ragazzo non
siamo sposati, ma questo non vuol dire che non siamo una coppia stabile, ho
continuato a stare al suo fianco ho continuato a venire a ogni colloquio e mi
sono presa cura di lui e non l’ho mai abbandonato, e mai ho pensato di farlo,
nemmeno quando non avevamo nulla a nostro favore, Ma una cosa che noi abbiamo e
che tanti hanno perso è l'amore”.
Partecipano
ai lavori con le loro testimonianze i redattori detenuti di Ristretti Orizzonti,
che dialogheranno anche con i loro famigliari.
Coordinerà
i lavori Adolfo Ceretti, Professore ordinario di Criminologia, Università
di Milano-Bicocca, e Coordinatore Scientifico dell’Ufficio per la Mediazione
Penale di Milano. È autore, tra l’altro, con Lorenzo Natali di “Io
volevo ucciderla. Per una criminologia dell’incontro”.
Sono
invitati a intervenire i magistrati di Sorveglianza di Padova, la presidente del
Tribunale di Sorveglianza di Venezia, la provveditrice dell’Amministrazione
penitenziaria per il Triveneto, il comandante, gli operatori della Casa di
reclusione.
Il programma della Giornata di Studi è stato curato da Ornella Favero con la redazione di Ristretti Orizzonti.