Candidare alle elezioni un ragazzo del Beccaria? di Claudio Cerasa Il Foglio, 30 maggio 2024 La rivolta nel carcere minorile di Milano e la cieca assenza dei politici tutti. Sulla prima pagina di ieri abbiamo suggerito alla politica italiana tutta quanta, che per un “piccolo e formidabile miracolo” ha messo al centro dell’agenda (elettorale) “l’attenzione alle condizioni delle carceri nel mondo”, che forse i partiti tutti dovrebbero dedicarsi con serietà e decenza alle “uniche carceri che la politica italiana sembra ignorare all’interno del famoso globo terracqueo: quelle italiane”. Abbiamo suggerito ai partiti italiani di candidare “uno qualsiasi dei 61.049 detenuti nelle patrie galere”; non voleva essere una provocazione: le condizioni di detenzione in Italia non permettono provocazioni di sorta. Era un modo per ricordare che nelle carceri italiane ci sono 61 mila detenuti a fronte di una capienza ufficiale di 51 mila e da inizio anno 35 persone si sono suicidate. Il richiamo alla politica si fa ancora più grave guardando all’istituto penale per minorenni Beccaria di Milano: sovraffollato, gravemente sotto organico, con strutture inadeguate. Un luogo che più di altri dovrebbe essere consacrato al recupero e reinserimento dei minorenni è invece un preambolo infernale. Ieri al Beccaria è scoppiata una drammatica rivolta, decine di ragazzi hanno rifiutato di rientrare dal cortile, tanti in rapporto al numero dei giovani detenuti. C’è stata molta tensione, il sindacato Sappe ha parlato di una situazione “molto grave. Ci arrivano dal Beccaria segnali allarmanti di una crescente tensione”. Sul posto è giunta anche la polizia di stato. Poi la protesta è fortunatamente rientrata senza violenze. Ma il giorno precedente c’era stata l’aggressione a un agente da parte di un detenuto con problemi psichiatrici, e a innescare la protesta di ieri sarebbe un controllo antidroga. Droga, problemi psichiatrici, strutture inadeguate. E nelle scorse settimane l’inchiesta su 21 agenti accusati di torture e violenze sui giovani reclusi. Dovrebbe essere la prima delle emergenze per ogni politico che abbia consapevolezza del futuro di un paese. Non c’è bisogno di candidare in Europa un minorenne del Beccaria, basta candidarlo a vivere. “Caro ministro Nordio, sovraffollamento e suicidi in carcere non sono ineluttabili” di Valentina Stella Left, 30 maggio 2024 “La soluzione al sovraffollamento delle carceri c’è”, dice Rita Bernardini, candidata alle Europee e al ventesimo giorno di sciopero della fame. “Sta nella nostra proposta di legge sulla liberazione anticipata speciale consentirebbe ad alcune migliaia di detenuti vicini al fine pena”. Rita Bernardini, capolista nella circoscrizione Isole per la lista Stati Uniti d’Europa, sta conducendo la sua campagna elettorale facendo un digiuno nonviolento da quasi ormai 20 giorni per invitare i decisori politici a mettere immediatamente in campo delle soluzioni contro il sovraffollamento carcerario e i suicidi. Da quanti giorni è in sciopero della fame e come sta? Oggi è il 29 maggio e sono giunta al 20esimo giorno. Scherzando c’è chi dice che in Sicilia- dove mi trovo dall’inizio della campagna elettorale- un giorno di digiuno vale doppio per le infinite tentazioni della sua eccellente cucina. Sto tutto sommato bene perché sono molto motivata: conosco i volti, le storie e le condizioni di coloro che sono a languire umiliati nelle carceri italiane e li ho presenti in ogni momento della giornata. Perché questo digiuno nonviolento? Voglio che i decisori politici istituzionali non dimentichino (come fanno da troppo tempo) un problema di civiltà europea e di democrazia. Un problema che richiede un intervento immediato, a partire dalla riduzione significativa del sovraffollamento. Con il deputato di Italia Viva Roberto Giachetti abbiamo incardinato in Parlamento l’unica proposta concreta per ridurre l’enorme squilibrio che c’è fra posti disponibili, detenuti presenti e deficit degli organici di ogni tipo. Ce la spiega meglio? La proposta di legge sulla liberazione anticipata speciale consentirebbe ad alcune migliaia di detenuti vicini al fine pene e che in carcere (nonostante tutto) hanno avuto un buon comportamento di poter uscire prima. Pensi che abbiamo settemila reclusi che devono scontare da 15 giorni a un anno. Si tratta di una misura già sperimentata in passato quando l’Italia fu condannata dalla Corte Edu. A chiedere a gran voce di ridurre il sovraffollamento non siamo solo io o Roberto Giachetti: ci sono i garanti dei detenuti, le associazioni che fanno volontariato in carcere, l’Unione Camere Penali, il Movimento Forense, Magistratura Democratica. Per più di due anni il Presidente Sergio Mattarella ha più volte lanciato il fermo quanto inascoltato monito di ridurre il sovraffollamento. Cosa aspettano? Secondo lei non è penalizzante parlare di carcere durante una campagna elettorale? Sono rimasta sconcertata quando ho saputo che la discussione della proposta di legge era stata rimandata a dopo le europee perché di carcere sotto elezioni sembra non si possa parlare. Devo dare atto alla Lista Stati Uniti d’Europa, a partire da Giachetti e Renzi, di aver fatto una scelta coraggiosa fregandomene della vulgata che sostiene che occuparsi di carcere e di giustizia faccia perdere voti. Addirittura, sono capolista nelle isole e Renzi si è messo all’ultimo posto della lista per consentirmi di avere più visibilità sul dramma che di consuma nei nostri istituti penitenziari dove dall’inizio dell’anno ci sono stati i suicidi di 35 detenuti e di 5 agenti di polizia penitenziaria. Si avvicina l’estate e gli istituti di pena si trasformano letteralmente in un inferno. Può raccontarci di qualche situazione in particolare? Il 10 agosto del 2021 quando visitammo il carcere di Siracusa con una temperatura che si avvicinava ai 50 gradi (fu un record europeo). Boccheggiavamo tutti: noi della delegazione e tutta la comunità dei detenuti e dei detenenti. 6 ore e mezzo di inferno per noi, giorni e giorni irrespirabili per tutta la comunità penitenziaria. Lei se lo spiega il motivo per cui nel 2024 non ci siano i condizionatori e nemmeno i ventilatori? E perché sia rarissimo trovare nei passeggi le docce che l’ex Capo del Dap Santi Consolo aveva ordinato fossero installate in tutti i cortili. È proprio vero: il carcere è quel luogo dove ciò che è facile diviene difficile attraverso l’inutile. Non è un caso che 700 carcerati di Siracusa stiano in queste ore facendo lo sciopero del carrello in solidarietà con la mia iniziativa nonviolenta. Il ministro Nordio sostiene che i suicidi sono dei fardelli ma inevitabili come le guerre e le malattie. Come replica? Non è che l’ha detto sotto il solleone dei passeggi di un carcere siciliano? Lo dico perché può capitare a tutti di dire sciocchezze, ma questa mi sembra enorme perché la storia sta lì a dimostrare come le guerre e le malattie si possano debellare. L’Europa, per esempio, se fosse federalista nel modo in cui l’avevano concepita Spinelli-Colorni-Rossi avrebbe per sempre allontanato la possibilità delle guerre che oggi invece viviamo per l’aggressione di Putin all’Ucraina. Parlo della frantumazione in 27 eserciti e in 27 politiche estere nazionali. Einaudi parlava dell’idolo immondo dello Stato sovrano che deve scomparire dal cuore e dalla mente delle persone. Affettività in carcere. Molti sostengono che sarebbe un lusso da concedere ai detenuti. E invece? Questi se ne fottono di tutto ciò che affermano le giurisdizioni superiori, le carte costituzionali dei diritti umani, l’Oms. Considerano ancora sporco e peccaminoso il sesso. Se vogliamo restare in Europa, persino nelle immonde carceri rumene, dove sono reclusi due nostri connazionali siciliani di Caltanissetta (Filippo Mosca e Luca Cammalleri) sono previsti i rapporti intimi. Cosa si può fare al Parlamento europeo per migliorare l’esecuzione penale? Tantissimo, a partire dal pretendere il rispetto della Convenzione Edu e dalla consequenziale necessità di riformare in senso liberale e di rendere cogenti le regole penitenziarie europee. Due riforme che chiederei subito è consentire a ciascun parlamentare europeo di poter visitare a sorpresa senza autorizzazione ciascun istituto dei 27 Stati. La seconda richiesta è quella di mettere online tutte le informazioni che riguardano ciascun carcere, sulla scia delle schede trasparenza italiane che ottenemmo tanti anni fa grazie proprio Santi Consolo. Lavoro in carcere, il Cnel approva Disegno di legge nel solco del progetto “Recidiva Zero” redattoresociale.it, 30 maggio 2024 L’Assemblea del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro ha approvato all’unanimità un documento di “Osservazioni e Proposte in tema di lavoro, studio e formazione in carcere” e un Disegno di legge di iniziativa Cnel volto a favorire l’inclusione socio-lavorativa dei detenuti, che verrà ora trasmesso alle Camere. L’iniziativa si inserisce nel solco del progetto “Recidiva Zero”, realizzato in stretta collaborazione con il Ministero della Giustizia e che ha visto lo scorso 16 aprile un’importante giornata di lavoro con il coinvolgimento di istituzioni, parti sociali, realtà del terzo settore ed operatori pubblici e privati. Tra i punti rilevanti del Disegno di legge - che è il primo Ddl dell’attuale Consiliatura - vi è il principio di parità di trattamento dei detenuti nella veste di lavoratori alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria, la valorizzazione del ruolo delle Commissioni regionali per il lavoro penitenziario, il miglioramento delle misure previste dalla “legge Smuraglia” e l’istituzione del collocamento mirato per i giovani che escono dagli Istituti penali per minorenni, dopo un percorso certificato di formazione. Via libera a separazione carriere, il Cdm approva riforma. Mantovano: “Testo non blindato” di Francesco Machina Grifeo Il Sole 24 Ore, 30 maggio 2024 Tre i cardini della riforma: separazione delle carriere, doppio Csm e Alta corte disciplinare. Nordio: “Mettiamo fine alla degenerazione correntizia”. Riunione d’urgenza dell’Anm immagine non disponibile. Via libera alla separazione delle carriere dei magistrati in Consiglio dei ministri. È stato infatti ha approvato il disegno di legge costituzionale in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare. L’approvazione, a quanto viene spiegato, è stata salutata da un applauso. Il testo si compone di otto articoli e modifica gli articoli 87, 102, 104, 105, 106, 107, 110. L’articolo 104 della Costituzione nella nuova formulazione, al primo comma, così recita: “La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere ed è composta dai magistrati della carriera giudicante e della carriera requirente”. Il secondo comma è così modificato: “Il Consiglio superiore della magistratura giudicante e il Consiglio superiore della magistratura requirente sono presieduti dal Presidente della Repubblica”. Il comma 3: “Ne fanno parte di diritto, rispettivamente, il primo Presidente e il Procuratore generale della Corte di cassazione. Il comma 4 invece prevede il sorteggio: “Gli altri componenti sono estratti a sorte, per un terzo, da un elenco di professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati dopo quindici anni di esercizio, che il Parlamento in seduta comune, entro sei mesi dall’insediamento, compila mediante elezione, e, per due terzi, rispettivamente, tra i magistrati giudicanti e i magistrati requirenti, nel numero e secondo le procedure previsti dalla legge”. Il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, aprendo la conferenza stampa ha ringraziato il Ministro Nordio “per il lavoro svolto” richiamando l’attenzione sui cardini della riforma: “separazione delle carriere, doppio Csm e Alta corte disciplinare, proposta dal ministro”. Interrogato sulla possibilità di un referendum ha aggiunto: “Se vale l’adesione alla sostanza, e se vi sarà un confronto nel merito in Parlamento, quale noi auspichiamo di fronte a un testo che certamente non è blindato, ma aperto al contributo dell’intero Parlamento, non è così certo, non al 100% che si arrivi al referendum. Facciamo un passo alla volta”. Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, particolarmente soddisfatto, ha detto: “Poniamo rimedio alla degenerazione correntizia”. “Interrompere questo legame” che “ha portato a tutta una serie di anomalie è stato il nostro compito principale, attraverso il sorteggio”. Aggiungendo: “Ho finito di rendere omaggio in questo modo alla memoria di due grandi personaggi. Uno era il collega Falcone che era favorevole alla separazione delle carriera e alla memoria di Giuliano Vassalli, eroe della Resistenza, che aveva voluto il codice accusatorio al quale ci siamo ispirati con questa riforma costituzionale”. Riguardo poi alla convocazione da parte del Presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia “in via d’urgenza” della Giunta esecutiva centrale alle 16.30, ha aggiunto: “Siamo aperti al dialogo, accettiamo contributi, suggerimenti ma devono accettare principio che volontà popolare è sacra e se ci è stato dato il mandato di separare le carriere noi ubbidiamo alla sovranità che appartiene al popolo”. “È un provvedimento epocale - ha spiegato il Ministro- che si articola su tre principi fondamentali: il primo è la separazione carriere, che attua il principio fondamentale del processo accusatorio voluto da Vassalli, gli altri sono la composizione e la elezione del Csm. Queste tre rivoluzioni - ha spiegato - sono un ossequio all’indipendenza della magistratura. Non sempre i magistrati che pure sono dipendenti dal governo e dal parlamento sono in realtà indipendenti dalle varie pressioni nell’ambito dell’associazione alla quale partecipano”. “Abbiamo dato rilevanza costituzionale al fatto che anche la magistratura requirente è, deve essere, e resterà assolutamente indipendente da qualsiasi interferenza del potere esecutivo e da qualsiasi pressione di altri organismi. Gode e godrà delle stesse garanzie di indipendenza della magistratura giudicante”. “Vi è un’enfatizzazione dell’autonomia e dell’indipendenza del magistrato. Proprio perché sono tutti uguali davanti alla legge, il sistema del sorteggio attraverso la selezione che abbiamo previsto di magistrati già valutati varie volte è una selezione che per definizione non può fallire. Noi non possiamo immaginare che vengano sorteggiate persone inette, incapaci, magari anche di scarsa credibilità etica perché il canestro da cui vengono estratte è estremamente qualificato”. Nasce l’Alta Corte per le questioni disciplinari - “La questione cosiddetta disciplinare che agisce nell’ambito del Csm, che quindi cumula in un modo abbastanza anomalo varie funzione amministrative, è stata staccata attraverso la composizione di un’Alta corte composta da 15 giudici”, ha spiegato Nordio. “Anche in quest’Alta Corte vi è una prevalenza di elementi togati, ma il sorteggio avviene in un canestro di persone estremamente qualificate. Sono magistrati che hanno almeno 20 anni di esperienza e stanno svolgendo funzioni di legittimità. La cosiddetta cultura della giurisdizione rimane ovviamente inalterata perché la magistratura è unica”. La correzione (parziale) della riforma della giustizia dopo la visita di Nordio al Quirinale di Giovanni Bianconi Corriere della Sera, 30 maggio 2024 Primo sì alla riforma della giustizia: durante l’incontro tra il ministro Nordio e il Capo dello Stato sono emerse alcune anomali. I nodi irrisolti frutto dell’accelerazione voluta da Forza Italia. La notte ha portato consiglio, almeno in parte. Durante il colloquio dell’altra sera al Quirinale tra il capo dello Stato Sergio Mattarella e i due ex magistrati passati al governo - il ministro della Giustizia Carlo Nordio e il sottosegretario a Palazzo Chigi Alfredo Mantovano - erano emerse alcune criticità contenute nel disegno di legge costituzionale che sancisce la separazione delle carriere delle toghe. Così ieri mattina i tecnici sono tornati al lavoro per cercare di togliere almeno quelle più palesemente irragionevoli, ed è stato corretto il chiaro squilibrio nella scelta tra i membri laici e quelli togati dei due neonati Consigli superiori della magistratura (uno per i pubblici ministeri e l’altro per i giudici): nominati dal Parlamento i primi, estratti a sorte i secondi. Una disparità che lasciava trasparire la volontà di mantenere un certo grado di influenza politica negli organi di autogoverno di pm e giudici, sia pure all’interno di una prevalenza della componente togata rimasta invariata (due terzi dei consiglieri). Nella nuova formulazione verranno sorteggiate entrambe le componenti, sebbene con una residua discrasia: i laici da un elenco di qualificati giuristi indicati dalle Camere in seduta comune (dunque scelti dai partiti), i togati non si sa; sarà la legge ordinaria a indicare eventuali criteri di selezione preventiva. Sanata almeno parzialmente la più manifesta illogicità, restano altri punti interrogativi. Figli dell’improvvisa accelerazione decisa per motivi elettorali: Forza Italia chiedeva un risultato da spendere nelle ultime due settimane di campagna prima del voto per l’Europarlamento e l’ha ottenuto attraverso l’istituzione di due Csm separati anziché di uno unico ma diviso in due sezioni, come indicato nelle ultime bozze circolate. È il segno del radicale e definitivo distacco tra pm e giudici, l’antico sogno berlusconiano ora rivendicato dai suoi seguaci. Tuttavia, la precisazione che si tratta di una proposta “non blindata” lascia aperta la strada a modifiche sia durante il percorso parlamentare della riforma, sia attraverso le norme di attuazione che andranno varate con leggi ordinarie. Compreso l’eventuale ritorno a un unico Csm frazionato al suo interno; dipenderà dall’evoluzione degli orientamenti e dei rapporti nella maggioranza di qui al paio d’anni lungo i quali si snoderà l’iter di approvazione. Nel 2011 era stato proprio Silvio Berlusconi a ricorrere al termine “epocale” per il progetto presentato e poi naufragato insieme al suo ultimo governo; ieri la premier Giorgia Meloni ha usato la stessa definizione per annunciare questa “riforma della giustizia”. Che in realtà è una riforma della magistratura, perché le nuove regole non incideranno in nessun modo sul funzionamento di indagini e processi, né risolveranno alcuno dei problemi che affliggono i tribunali. Le toghe sono contrarie perché temono sia la premessa per minare l’indipendenza dei pm, e la replica del governo sta nella formulazione del primo comma del nuovo articolo 104 della Costituzione: “La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere, ed è composta dai magistrati della carriera giudicante e della carriera requirente”. Una salvaguardia che non basterà a placare le preoccupazioni e le contromosse dei magistrati. Così come non basterà l’estrazione a sorte dei togati del Csm a garantire l’estromissione delle correnti dalla gestione delle carriere, dal momento che oltre il 90 per cento delle toghe è iscritta all’Associazione magistrati e molte continuano ad aderire alle correnti. Anche la sottrazione dell’attività disciplinare ai due Csm per attribuirla a una inedita Alta Corte, presso la quale le carriere di pm e giudici si riunificano inopinatamente, presentava anomalie corrette in corsa. Inizialmente si pensava di affidare a quest’organismo anche gli illeciti della magistratura contabile, mentre alla fine ci si è limitati a quella ordinaria. La sua frastagliata composizione richiama il modello della Corte costituzionale, i togati sorteggiati devono avere un’anzianità non prevista per i Csm e provenire dalla Cassazione, con i ricorsi previsti davanti alla stessa Alta Corte, sebbene in composizione diversa. Un altro strappo all’autogoverno, sul quale rischia di consumarsi uno scontro con le toghe che tutti a parole vorrebbero evitare ma che con queste premesse pare inevitabile. Nonostante i consigli portati dalla notte trascorsa dopo l’incontro al Quirinale. Separazione delle carriere, garantisti scettici su iter e referendum di Aldo Torchiaro Il Riformista, 30 maggio 2024 Via libera del Consiglio dei ministri alla riforma della Giustizia. Meloni e Nordio: “Epocale”. L’ipotesi del soccorso centrista in Aula. L’Anm già minaccia burrasca. Il passo avanti c’è stato. Piano, a parlare di aver fatto la storia. Per ora si tratta di seguire la geografia: del percorso che il ddl giustizia dovrà fare a Montecitorio e a Palazzo Madama, di come verrà letto a Palazzo dei Marescialli e come il Colle seguirà, a giusta distanza, l’iter. Ma intanto un fatto c’è. Ci sono - anzi - tre fatti. La separazione delle carriere di giudici e pubblici ministeri. Due Csm, con componenti scelti solo per sorteggio. E l’istituzione dell’Alta Corte disciplinare. Al di fuori della retorica, queste le novità previste dalla riforma della Giustizia messa a punto dal Guardasigilli Carlo Nordio e approvata ieri dal Consiglio dei ministri. La premier Giorgia Meloni ha parlato di una “riforma giusta, necessaria e storica”, mentre l’Associazione nazionale magistrati ha espresso preoccupazione. La replica di Nordio: “Le critiche sono il sale della democrazia. Accettiamo contributi e suggerimenti”, ma “anche loro devono accettare che la volontà popolare è sacra”. Il ddl costituzionale andrà ora in Parlamento. Il sottosegretario Alfredo Mantovano è fiducioso: “Se vi sarà un confronto nel merito in Parlamento, su un testo che non è blindato, non è così certo che si arrivi al referendum”. L’Anm annuncia burrasca - La reazione dell’Associazione nazionale dei magistrati non si è fatta attendere, e dai primi toni preannuncia burrasca. “Un comitato direttivo centrale, convocato d’urgenza per il 15 giugno per assumere altre iniziative”, è quanto detta una scarna nota delle toghe, riunite già ieri pomeriggio per discutere della riforma della Giustizia approvata dal Cdm. Il Comitato sarà aperto anche alle altre magistrature, viene fatto sapere. Non un monolite, quello che cercherà la sua forza in Parlamento, scongiurando le forche caudine di un referendum di cui si conosce non l’esito ma la china. Da tempo ormai in Italia il quorum non lo raggiunge più nessuno. Per modularsi al meglio e proporsi al voto delle Camere la triplice riforma potrebbe aver subito nelle ore precedenti il suo varo una modifica. Sarebbe stato messo a punto da ultimo il meccanismo che vedrà la componente laica del Csm interamente nominata con un sorteggio, così come avverrebbe per i magistrati secondo quanto già previsto dalla nuova riforma. La gioia di Nordio - Il titolare di via Arenula, Carlo Nordio, si intesta con orgoglio il traguardo del ddl. “Questo disegno di legge sulla separazione delle carriere è un provvedimento epocale”, si lascia andare il Guardasigilli in conferenza stampa. “La separazione delle carriere faceva parte del programma elettorale ed è tesi che tratto da 25 anni e attua un principio fondamentale del processo accusatorio voluto da Vassalli, eroe della resistenza anche lui favorevole alla separazione che non è riuscito ad attuare, ovvero sulla differenza sostanziale tra pm e i magistrati giudicanti”, ha spiegato. “Essendo una riforma impegnativa, abbiamo lavorato fino all’ultimo con le forze politiche di maggioranza”, ha reso noto il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano. Ottimista - come dicevamo - sul percorso parlamentare in discesa: alla maggioranza di centrodestra potrebbero arrivare il soccorso centrista. Raggiante, Giorgia Meloni ha messo lo svolazzo sotto alla firma del provvedimento: “In molti - ha detto la premier - hanno detto e scritto in questi mesi che non avremmo mai avuto il coraggio di presentare questa riforma, attesa da decenni: evidentemente ancora non conoscono la nostra determinazione. Quando è giusto fare qualcosa nell’interesse dell’Italia e degli italiani noi semplicemente la facciamo. Ma certo varare questa riforma, dopo 30 anni che se ne parla, è un risultato epocale”. Si vedrà. Il fronte garantista scettico - Il fronte garantista vuol vedere le carte. Da Azione, Enrico Costa apre: “Valuteremo con attenzione il testo del governo. Se sarà in linea la nostra proposta voteremo a favore. Se fosse annacquato o indebolito, proveremo a correggerlo. Ci sono due paletti non aggirabili per una seria separazione delle carriere: concorsi separati per giudici e pm, due Csm (non due sezioni di un unico Csm). Senza questi punti essenziali - conclude Costa - non è una vera separazione delle carriere”. E per Italia Viva, Raffaella Paita: “Da quando questo governo si è insediato abbiamo assistito a tanti annunci e zero fatti, col ministro Nordio ostaggio di una maggioranza dalle idee confuse e spesso giustizialiste. Speriamo dunque di non trovarci nuovamente di fronte all’ennesimo proclama cui poi non seguono i fatti. Per quanto ci riguarda siamo pronti a dare il nostro contributo per quei provvedimenti che siano davvero garantisti”. Più scettico il senatore Davide Faraone: “Di epocale c’è solo la presa in giro. Una riforma costituzionale a metà legislatura non completerà mai il suo iter”. A dieci giorni dalle elezioni, sembra che l’esecutivo corra per portare nelle urne un qualche risultato spendibile. E a proposito di separazione delle carriere, forse bisognerebbe distinguere quella delle istituzioni e delle influencer. La giusta lotta contro i populismi giudiziari di Claudio Cerasa Il Foglio, 30 maggio 2024 Carriere separate, nuovo Csm. È ora di un patto trasversale per difendere la riforma Nordio dal partito delle procure. È ora di essere tosti. E forse anche un po’ stronzi. Diranno che è un attacco alla Costituzione, un oltraggio alla magistratura, un atto di arroganza, una mossa propagandistica, una scelta eversiva, un ritorno al populismo. Ma la verità è che chiunque abbia a cuore i valori minimi dello stato di diritto, la lotta contro il populismo, il rispetto per la Costituzione, la tutela delle garanzie, la depoliticizzazione della magistratura, l’indebolimento delle correnti, la terzietà della funzione giudicante, di fronte al disegno di legge approvato in Consiglio dei ministri non può fare altro che esultare, gioire, rallegrarsi e augurarsi, con forza, che la riforma costituzionale che comprende la separazione delle carriere tra pubblico ministero e giudice e il sorteggio del Csm possa trovare in Parlamento i numeri necessari per approvare i testi senza che sia necessario andare al referendum. Separare le carriere e sorteggiare i componenti del Csm è un atto antipopulista perché non c’è nulla di più populista in Italia che assecondare la tendenza del nostro paese ad avere una magistratura irresponsabile, dotata di pieni poteri, dove il ruolo di pubblico ministero si confonde con quello di giudice (e viceversa), e dove il ruolo terzo che deve avere un giudice viene spesso annacquato all’interno di un sistema democratico dove la legge che conta è quella dettata dalla repubblica delle procure. Diceva nel 1989 Giovanni Falcone, non esattamente un populista, che “disconoscere la specificità delle funzioni requirenti rispetto a quelle giudicanti, nell’antistorico tentativo di continuare a considerare la magistratura unitariamente, equivale, paradossalmente, a garantire meno la stessa magistratura, costituzionalmente garantita sia per gli organi requirenti che per gli organi giudicanti”. L’articolo 111 della Costituzione, in effetti, dice che “ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale” e non ci vuole molto a capire che avere una doppia carriera, con un doppio Csm, per i pubblici ministeri e per i giudici significa fare un passo in avanti non per tradire lo spirito della Costituzione ma per onorarlo fino in fondo. Scommettere finalmente sulla terzietà (separazione delle carriere), garantire il più possibile l’imputato (con più divisione tra i ruoli), muovere un passo per rendere meno centrali nel Csm le correnti (attraverso il sorteggio) è un insieme di princìpi sacrosanti che sono gli stessi in fondo che mise nero su bianco il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel giorno in cui accettò un secondo mandato come capo dello stato. Era il due febbraio del 2022 e, di fronte alle Camere, Mattarella disse che all’Italia occorre “un profondo processo riformatore che deve interessare anche il versante della giustizia” (profondo processo riformatore: eccolo). Disse che, “nella salvaguardia dei princìpi, irrinunziabili, di autonomia e di indipendenza della magistratura - uno dei cardini della nostra Costituzione - l’ordinamento giudiziario e il sistema di governo autonomo della Magistratura devono corrispondere alle pressanti esigenze di efficienza e di credibilità, come richiesto a buon titolo dai cittadini” (pressanti esigenze di credibilità: eccoci). Disse che il Consiglio superiore della magistratura, che Mattarella presiede, avrebbe dovuto fare di tutto per “svolgere appieno la funzione che gli è propria, valorizzando le indiscusse alte professionalità su cui la Magistratura può contare, superando logiche di appartenenza che, per dettato costituzionale, devono restare estranee all’ordine giudiziario” (superare le logiche di appartenenza: eccoci). Disse, ancora, che “i cittadini “neppure devono avvertire timore per il rischio di decisioni arbitrarie o imprevedibili che, in contrasto con la certezza del diritto, incidono sulla vita delle persone” (meno politica in magistratura, più terzietà nel sistema giudiziario: eccoci). E, infine, Mattarella disse di auspicare un percorso riformatore capace di “recuperare appieno prestigio e credibilità alla funzione giustizia, allineandola agli standard europei” (in Francia, in Germania, in Portogallo esistono delle forme di separazione dei poteri tra funzione giudicante e funzione requirente: standard europei, eccoci). La separazione delle carriere, come il sorteggio del Csm, non è solo una riforma di buon senso ma non è neppure una riforma di destra, nonostante negli ultimi anni sia stata la destra ad appropriarsi di questa bandiera, e un paese desideroso di non sputare sui valori non negoziabili di uno stato di diritto dovrebbe oggi formulare due auspici. Il primo auspicio riguarda il vero rischio che vi è dietro a questa riforma: non farla. La storia, purtroppo, ci insegna che buona parte dei governi che hanno cercato di sfidare la repubblica delle procure, provando a introdurre dei contrappesi, provando a inserire dei nuovi punti di equilibrio, provando semplicemente a tutelare ciò che prescrive la Costituzione all’articolo 27 (l’imputato non sia considerato colpevole sino alla condanna definitiva) e all’articolo 111 (ogni processo si svolga nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità), ha fatto una pessima fine. Chiedere a Matteo Renzi cosa gli è successo quando ha provato ad abbassare l’età del pensionamento dei magistrati. Chiedere ai parenti di Silvio Berlusconi cosa è successo all’ex presidente del Consiglio ogni volta che ha provato a mettere mano agli ingranaggi della giustizia. Chiedere a Clemente Mastella cosa è successo a sua moglie quando da ministro della Giustizia ha provato a portare in Parlamento una riforma delle intercettazioni. Chiedere alla famiglia di Ciriaco De Mita cosa successe quando nel 1993 si provò a discutere di riformare la giustizia via Bicamerale e quando, fatalità, in quelle settimane venne arrestato il fratello dell’allora presidente della commissione bicamerale, Michele De Mita, prosciolto anni dopo da tutte le accuse. Tema: riuscirà Meloni a non farsi impressionare se qualcuno del suo giro dovesse ricevere attenzioni speciali in seguito a una riforma che prova a depotenziare i capicorrente della magistratura? Il secondo auspicio, invece, riguarda i numeri. Il disegno di legge presentato e approvato oggi in Consiglio dei ministri è una riforma costituzionale. Le riforme costituzionali, per essere approvate senza che sia necessario passare per il referendum, hanno bisogno dei due terzi del Parlamento. Se si sommano i parlamentari e i senatori della maggioranza con quelli di Azione, Italia viva e Più Europa, favorevoli alla separazione delle carriere, il pallottoliere indica questi numeri: 261 alla Camera (dove la maggioranza dei due terzi è a quota 267) e 128 al Senato (dove la maggioranza dei due terzi è a quota 136). Per superare la quota dei due terzi, un modo ci sarebbe: far sì che tutti i parlamentari e i senatori del Pd che hanno sottoscritto nel 2019 la mozione congressuale di Maurizio Martina siano coerenti con le proprie idee. E cosa diceva quella mozione? Forse lo ricorderete: “Il tema della separazione delle carriere appare ineludibile per garantire un giudice terzo e imparziale”. È ora di essere tosti, sulla giustizia, e se serve, detto con rispetto, anche un po’ stronzi. Contro i veri populisti, contro i veri nemici della Costituzione, contro tutti coloro che sognano ancora di scommettere sulla via giudiziaria come scorciatoia perfetta per combattere i politici che non si amano. Da Boato a Castelli, da Mastella a Cartabia. Trent’anni di giri a vuoto di Mauro Bazzucchi Il Dubbio, 30 maggio 2024 Nel corso dei decenni ogni tentativo di armonizzazione tra processo e ordinamento è rimasta lettera morta. Risultava necessario fornire una cornice coerente alla progressiva trasformazione del processo penale - avviata nel 1989 - da un’impostazione inquisitoria a una accusatoria. Nel corso dei decenni, però, ogni tentativo di armonizzazione tra processo e ordinamento è rimasta lettera morta. Il primo paradosso di questa vicenda è che il primo governo a provare a smuovere le acque fu un governo di centrosinistra, con la Bicamerale per le riforme istituzionali presieduta da Massimo D’Alema, prima che la sinistra politica accettasse in toto le posizioni intransigenti delle toghe. Nel 1997, la Bicamerale adottò un documento passato agli atti come “bozza Boato” (dal nome del parlamentare verde che lo redasse) che non a caso è stato citato più volte in questi ultimi giorni, nell’imminenza del Consiglio dei ministri di ieri che ha licenziato il ddl costituzionale. Il documento Boato, in realtà, interveniva blandamente sulle carriere, non prevedendo una separazione e introducendo solo qualche paletto ai passaggi di funzione, che comunque restavano possibili. La vera novità nella proposta Boato era la previsione di un’Alta Corte per i provvedimenti disciplinari, in luogo dell’apposita sezione del Csm, una proposta ripresa varie volte nel corso degli anni, fino al ddl di ieri. Naufragata la Bicamerale, i successivi tentativi hanno risentito della acerrima contrapposizione tra toghe e una parte del mondo politico, determinata dall’approdo al governo con una salda maggioranza da parte di Silvio Berlusconi, che investì della missione di riformare la giustizia il guardasigilli leghista Roberto Castelli, all’inizio del suo secondo esecutivo. Per velocizzare i tempi, evitando doppie letture e referendum, fu scelto lo strumento legislativo della legge delega, con una lunga serie di decreti attuativi che avrebbero dovuto essere approvati a cadenza annuale. Il cuore del provvedimento, anche in questo caso, consisteva nel porre dei limiti alle “porte girevoli”, ma si dovette optare per la formula della separazione delle funzioni, dopo che la prima versione del testo fu rinviata alle Camere dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, proprio perché quest’ultimo riteneva necessaria una legge costituzionale per separare il corpo giudiziario. A inizio carriera ogni magistrato, secondo la delega, avrebbe dovuto sostenere, oltre ovviamente al concorso (unico), un test psicoattitudinale (altra vexata quaestio, come dimostrano le polemiche delle scorse settimane per la sua parziale introduzione da parte dell’attuale ministro Nordio), in base al quale scegliere tra funzione inquirente o giudicante. Sarebbe stato possibile cambiare solo una volta, entro i primi cinque anni, previo corso di formazione, superamento dell’esame e cambio obbligatorio di distretto. La caduta del governo Berlusconi e il ritorno di Romano Prodi a Palazzo Chigi, sostenuto da una maggioranza favorevole alle istanze della magistratura, fecero sì che il ministro della Giustizia, Clemente Mastella, assolvesse alla missione di smontare la parte della riforma Castelli che rendeva più difficili i passaggi da una funzione all’altra. Si tolse l’obbligo di decidere entro i primi cinque anni, riportando sostanzialmente tutto allo status quo, ma nonostante questo l’introduzione di valutazioni periodiche e l’obbligo di frequenza della Scuola della magistratura posero in forte conflitto Mastella con l’Anm. Il governo cadde poi per il ritiro della fiducia da parte del partito dello stesso guardasigilli, la cui consorte fu oggetto di un provvedimento cautelare. Da quel momento, la strada verso la riforma della giustizia è stata sempre più tortuosa, lastricata prevalentemente da promesse non mantenute, da interventi-spot o da altri referendum falliti, fino all’ultima riforma Cartabia approvata due anni fa (che prevede un solo passaggio di funzione), per la quale sembra un déjà-vu - il problema è nella mancanza dei decreti attuativi. La riforma della giustizia contro la magistratura-famiglia, dove il pm è il fratellone del giudice di Tiziana Maiolo Il Riformista, 30 maggio 2024 Dovranno scegliere: funzione inquirente o giudicante. E no, non potranno cambiare idea. Finalmente un primo passo verso una riforma della Giustizia tanto voluta da Carlo Nordio e nella quale c’è l’ipotesi sorteggio per la componente laica del Csm. Prevista inoltre anche la nascita dell’Alta Corte che giudica gli errori dei magistrati. Chissà se si arriverà alla divisione dei palazzi, magari anche in vie diverse. Da una parte i pubblici ministeri, dall’altra i giudici. Per ora accontentiamoci della separazione delle carriere, approvata ieri con un applauso dal Consiglio dei ministri e fortemente voluta da uno come Carlo Nordio che ha passato la vita sullo scranno del pubblico accusatore. Un babau per quelli che, come Silvio Berlusconi e Forza Italia, hanno sognato per trent’anni questo giorno. Pure il primo cambiamento, la rottura dell’anomalia italiana, lo sta realizzando questa “strana” ex toga veneziana. Da Falcone a Calamandrei, il “caso italiano” - Nordio ha dedicato la riforma a due grandi giuristi del passato. Giovanni Falcone, la cui effigie orna gli uffici di indegni successori, uno dei primi a sostenere la necessità di separare chi accusa da chi decide e di rafforzare l’imparzialità del giudice. E Giuliano Vassalli, colui che riuscì a portare in Italia, nel 1989, il processo di tipo accusatorio, per quanto annacquato dall’avverbio “tendenzialmente”. Avrebbe potuto ricordare anche Piero Calamandrei, che nell’assemblea Costituente aveva manifestato i primi dubbi sull’unicità delle carriere. Gli fu detto che qualcuno se ne sarebbe occupato in seguito. Non è più capitato. È una storia che comincia da lì, questa della corporazione unica, il “caso italiano” che rappresenta il vero peccato originale della storia delle tante ingiustizie del Paese. I casi Montesi, Tortora, Piccioni: la giustizia in Italia - Si va dal “caso Montesi” degli anni cinquanta, uno scandalo politico che coinvolse il figlio innocente del vicepresidente del consiglio democristiano Attilio Piccioni, fino alla tragedia di Enzo Tortora del 1987, anno in cui fu definitivamente assolto, trent’anni dopo il riconoscimento dell’innocenza di Piero Piccioni. Ogni volta, dopo ogni scandalo, si denunciò il mal funzionamento della giustizia, ogni volta il parlamento giurò che se ne sarebbe occupato, che avrebbe risolto. Che per prima cosa si sarebbe attuata una riforma per separare le carriere di chi accusa da chi giudica. Gli italiani si abbeveravano ai primi filmini con Perry Mason, l’avvocato che sconfiggeva l’antipatico procuratore distrettuale. E lo poteva fare perché gli erano consentite le indagini investigative e poteva muoversi alla pari con il suo antagonista. Per accedere alla stanza del giudice, l’unico che in aula sedeva su uno scranno più alto, mentre da noi nel processo inquisitorio anche il pm godeva di quello stesso diritto, i rappresentanti di accusa e difesa dovevano bussare alla porta. Ora, avete mai visto in Italia, mentre l’avvocato deve chiedere permesso possibilmente a capo chino e cappello in mano, un pubblico ministero che debba bussare per entrare dal giudice? Sta andando da un collega, mica da uno superiore. Ma anche dopo che Enzo Tortora di ingiustizia ci era anche morto, e anche dopo un referendum sulla responsabilità civile dei magistrati, in Italia non cambiò nulla. La riforma del processo penale trovò la resistenza assoluta della gran parte dei magistrati, che rimasero affezionati al sistema inquisitorio e fecero di tutto per interpretare il nuovo con la mentalità del vecchio. Ci mise del suo la Corte Costituzionale la quale, in nome della necessità di non disperdere le prove, sancì che in quell’aula dove si sarebbe dovuta formare la prova ex novo potesse entrare di tutto, chili di carte del fascicolo del pm. Un inquinamento di tipo inquisitorio che troverà i suoi momenti di trionfo, in seguito, con la legislazione “antimafia” e la nascita del doppio livello. Nasce, a partire dal 1992 con le aggressioni violente di Cosa Nostra, la cultura legislativa del “salvo che”, l’eccezione che vanifica qualunque regola dello Stato di diritto. La giustizia in Portogallo, Francia e Germania - Che cosa succedeva nel frattempo in Europa? In Portogallo fin dal 1978, pur non optando per il modello anglosassone, si è attuata una separazione organica tra la carriera dei giudici e quella dei pubblici ministeri. Sono due corpi autonomi, pur non dovendo rispondere il pm al ministro di giustizia. È il sistema più simile al progetto di riforma del ministro Nordio. Ma è anche l’unico, se il modello italiano approvato dal governo rimarrà tale anche dopo i doppi passaggi parlamentari, ad avere un pm forte che non risponde a nessuno del proprio operato. Come è invece nella gran parte degli altri sistemi europei, come la Germania, dove il pubblico accusatore è addirittura un funzionario dipendente del governo. Persino in Francia, dove invece non c’è separazione di carriere ma dove il pm dipende dal governo, il che non ha impedito alla magistratura di processare persino il ministro guardasigilli in carica. La ‘magistratura famiglia” - A dimostrazione del fatto che tutti i mantra agitati dal sindacato delle toghe sull’autonomia possono essere carta straccia se ci sono magistrati professionali, preparati e lontani dal circo mediatico. Ma noi abbiamo invece il culto della magistratura-famiglia, in cui giudici e pubblici ministeri provengono dalla stessa cucciolata e guardano con sospetto chiunque sia “fuori”. Così, nel corso delle indagini, che restano il piatto forte del processo, anche perché sono i momenti in cui la difesa è costretta a essere cieca sorda e muta perché nulla può fare, il pm sembra il fratellone grande del giudice e l’avvocato solo l’intruso arrivato da fuori. Il fratellone grande passa le carte al piccolo e guai a discostarsi. O il giudice fa il copia e incolla oppure rischia, se sfida il pm. Ben venga quindi questa riforma che separa le carriere e i Csm e sottrae all’autogoverno della magistratura il potere sul disciplinare. Ma quando divideremo i palazzi? “No, la separazione delle carriere non trasforma il pm in ostaggio della politica” di Riccardo Lo Verso Il Foglio, 30 maggio 2024 Il giurista ed ex senatore di Pci e Ds Giovanni Pellegrino: “Non ho cambiato idea. Ho sempre pensato che con l’introduzione del rito accusatorio una modificazione sarebbe stata normale e opportuna”. Si compiace, con garbo ma si compiace. Non vede nuvole nere all’orizzonte per la nostra malandata giustizia. Una delle sue idee da “eretico di sinistra” fa parte dello schema per la riforma costituzionale della giustizia approvata dal governo su proposta del ministro Carlo Nordio. C’è, infatti, anche la separazione delle carriere tra magistratura requirente e giudicante. “Bene, non ho mai avuto occasione o ragioni per cambiare idea”, dice Pellegrino, ex senatore (Pci-Pds-Ds, da qui il suo autodefinirsi “eretico di sinistra”). Ottantacinque anni, giurista con una lunga militanza professionale. Perché è necessario separare le carriere? “Ho sempre pensato che con l’introduzione del rito accusatorio una modificazione sarebbe stata normale e opportuna. Passando al rito accusatorio, infatti, la parità tra le parti era ed è un dato essenziale. Invece da noi non si realizza immediatamente perché abbiamo un giudice che non è terzo ma vicino al pm poiché provengono dallo stesso ordine”. In soldoni, la macchina della giustizia funzionerebbe meglio? “La separazione delle carriere non risolverà tutti i problemi, ma renderà le decisioni giudiziarie più credibili. Questo è il vero beneficio. Se non si dubita che il giudice propenda per l’accusa la credibilità ne uscirà rafforzata. Non mi pare poco”. Se lo dice lei. Quindi deduco che non ha alcuna paura di vedere un pubblico ministero ostaggio della politica. “Ma no, ma quale paura. Non né reale, né concreta. A condizione che il pm mantenga l’indipendenza. Non mi pare che si vada in direzione opposta”. Perché la magistratura è da sempre contraria alla separazione? “Giulio Andreotti diceva che a pensare male si fa peccato ma spesso si indovina. La magistratura è contraria perché per il singolo magistrato le ambizioni di carriera vengono meno, finora ha una sola possibilità di cambiare da requirente a giudicante o viceversa. C’è una componente utilitaristica accanto al legittimo timore di essere privati della loro indipendenza”. E la politica? Su certi temi si litiga sempre e comunque. “La sinistra tradizionalmente si è sempre sentita vestita dell’impegno di tutelare gli interessi corporativi della magistratura ordinaria”. Toghe rosse? Non mi dica. Scherzi a parte, perché? “Il numero dei magistrati ordinari che ha fatto parte degli schieramenti soprattutto nel Pci e nel Pds è incontrovertibile. Prima il Pci era un partito che vedeva nei giudici il mezzo di controllo in favore del popolo. Con il terrorismo i pm rischiarono e persero la vita per difendere le istituzioni repubblicane. Quasi istintivamente il partito si identificò nell’azione della magistratura”. Il provvedimento non tocca invece l’articolo 112 della Costituzione, quello che riguarda l’obbligatorietà dell’azione penale. L’eguaglianza fra i cittadini è salva: quando un pm scoverà una notizia di reato la perseguirà senza scimmiottare il potente o governante di turno. “L’obbligatorietà dell’azione penale è una chiacchiera, perché non è realmente obbligatoria. Tra le tante notizie di reato il pm sceglie sempre quale porre alla base della sua azione. In alcuni casi con un accanimento che non riesco a capire”. A cosa si riferisce? “Nell’ultimo caso di Spinelli e Toti, nessuno si concentra su un tema. I finanziamenti visti come corruzione escludono la possibilità da parte delle forze economiche di soccorrere la politica in maniera trasparente. In America, ad esempio, nessuno sui scandalizza che le lobbies delle armi finanzino il partito repubblicano. Ancora una volta si vuole ricondurre la politica ad una condizione amorfa per cui commette un reato se viene aiutata con un finanziamento trasparente. I reati sono una cosa e vanno perseguiti. Altra cosa è se Spinelli finanziava in maniera trasparente Toti e Toti nell’esercizio della discrezionalità non gli era ostile. D’altra parte della legittimità delle proroghe in favore di Spinelli i concorrenti non hanno dubitato”. L’Anm sul piede di guerra: “Riforma punitiva, è una sconfitta per la giustizia” di Valentina Stella Il Dubbio, 30 maggio 2024 Sì alle carriere separate: protesta l’opposizione, esulta la maggioranza. Il Cnf: “Avanti verso il giusto processo”. Da una parte le forze di maggioranza, il governo e l’avvocatura. Dall’altra parte le opposizioni e l’Anm. È la netta divisione creatasi dopo il varo, in Consiglio dei ministri, della riforma costituzionale della magistratura, imperniata sulla separazione delle carriere. La premier Giorgia Meloni parla di “riforma giusta, necessaria e storica”, il vicepremier e leader di Forza Italia Antonio Tajani di “successo straordinario”, il capo della Lega Matteo Salvini rivendica “un’altra promessa mantenuta”. Plauso per il risultato è arrivato dal presidente del Cnf, Francesco Greco: “La separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri costituisce un importante passo avanti verso il giusto processo, previsto dall’articolo 111 della Costituzione, perché assicura equidistanza tra accusa e difesa nei confronti del giudice. Inevitabile, dunque, è la previsione dell’istituzione di un Csm giudicante e di uno requirente, perché mantenere un unico organo di autogoverno finirebbe, nel concreto, per vanificare la separazione delle due carriere. Questi passaggi, che concretizzano il principio costituzionale dell’uguaglianza tra accusa e difesa, contribuiranno a rendere chiara la terzietà del giudice e, dunque, a rafforzare la fiducia nel sistema giudiziario”. Il vertice della massima istituzione forense ha quindi aggiunto: “Un processo penale ideale necessita di un pm forte, di un avvocato forte e di un giudice terzo altrettanto forte. Con la separazione delle carriere si passa da una cultura della giurisdizione ristretta ai magistrati a una cultura della legalità comune tra tutte le parti del processo, anche al difensore, e di conseguenza di maggior tutela per i cittadini”. Interpellato dal Dubbio, Greco ha commentato quindi così l’assenza, dal ddl appena varato, del comma sull’avvocato in Costituzione: “Immagino si sia voluto intervenire solo sul riordino della magistratura e che ci sia voluti riservare di definire in un secondo momento anche il ruolo dell’avvocatura”. Secondo Francesco Petrelli, presidente dell’Unione Camere penali, “il testo governativo, a una prima lettura, appare conforme alle attese, in quanto segue le fondamentali linee della nostra proposta di riforma costituzionale di iniziativa popolare del 2017”, sulla quale i penalisti raccolsero oltre 72mila firme. Dall’altra parte della barricata, innanzitutto il Pd che, per voce della responsabile Giustizia Debora Serracchiani, attacca: “Più che in presenza di una riforma della giustizia assistiamo a un intervento che, insieme agli altri su autonomia differenziata e premierato, conduce allo smantellamento del sistema istituzionale repubblicano che affonda le radici nella nostra Costituzione”. Mentre il presidente del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte trova “scandaloso che questa maggioranza, di fronte alle inchieste giudiziarie, anziché mandare via il marcio che c’è nei partiti, i politici corrotti, voglia mettere la mordacchia alla magistratura, separare le carriere, metterle sotto il potere esecutivo e impedire di andare avanti con le inchieste”. La reazione dell’Anm è arrivata addirittura prima ancora che iniziasse il Consiglio dei ministri, quando il presidente Giuseppe Santalucia ha riunito “in via d’urgenza” la Giunta del “sindacato”, che ha deciso di convocare un Comitato direttivo centrale, il cosiddetto parlamentino, per il 15 giugno, aperto anche alle altre magistrature, per assumere iniziative in merito alla riforma. Nel tardo pomeriggio poi una nota: “La logica di fondo del disegno di legge sulla separazione delle carriere e l’istituzione dell’Alta corte - scrive la Giunta - si rintraccia in una volontà punitiva nei confronti della magistratura ordinaria, responsabile per l’esercizio indipendente delle sue funzioni di controllo di legalità. Gli aspetti allarmanti delle bozze del disegno di legge sono molteplici, leggiamo una riforma ambigua che crea un quadro disarmante. È una riforma - prosegue la nota - che non incide sugli effettivi bisogni della giustizia, ma che esprime la chiara intenzione di attuare un controllo sulla magistratura da parte della politica, che si realizza essenzialmente con lo svilimento del ruolo e della funzione di rappresentanza elettiva dei togati del Csm e con lo svuotamento delle sue essenziali prerogative disciplinari, affidate a una giurisdizione speciale di nuovo conio”. Secondo le toghe si tratta di “una sconfitta per la giustizia” e si finirebbe per assicurare “più potere alla maggioranza politica di turno, danneggiando innanzitutto i cittadini”. A rilasciare dichiarazioni, tra i gruppi associativi, solo la corrente progressista di Area, prima col segretario Giovanni Zaccaro - per il quale “sorge il dubbio che la riforma non miri a togliere la politica dal Csm ma ad affidare il Csm, e con esso l’indipendenza della magistratura, alla politica dei partiti, privando i cittadini di un presidio fondamentale per il principio di uguaglianza e di divisione dei poteri” - e poi con il componente del direttivo Anm Rocco Maruotti, che si dice”preoccupato dell’introduzione del concetto di “carriera”, che allude a una magistratura gerarchizzata e non distinta solo per “funzioni”“, così come della “previsione di due diversi Csm, composti da laici individuati con un sistema misto, elezione e poi sorteggio, mentre per i componenti togati si prevede la sola estrazione a sorte”. David Ermini, ex vicepresidente del Csm, dichiara a sua volta: “L’assalto al Csm e conseguentemente alla autonomia e all’indipendenza della magistratura non si ferma”. Mimma Miele: “Per i cittadini sarà un problema, il pm diventa soltanto un accusatore” di Mario Di Vito Il Manifesto, 30 maggio 2024 La consigliera del Csm eletta con Magistratura democratica: “È del tutto evidente che il sorteggio per i componenti di nomina parlamentare rischia di svolgersi esclusivamente tra quelli graditi alla maggioranza di turno”. Mimma Miele, consigliera del Csm eletta con Magistratura democratica, non possiamo che partire dal fatto del giorno: la riforma della giustizia è passata in consiglio dei ministri... Andiamo con ordine: quello che è stato approvato è un disegno di legge costituzionale che dovrà seguire un iter ancora molto lungo e complesso. È vero che formalmente ancora non si parla di separazione delle carriere, ma è comunque un segnale: si parla di creare due organi di autogoverno per poi rimandare alle leggi ordinarie i vari aspetti applicativi. Diciamo che è il presupposto per arrivare a un’effettiva separazione. Cosa significherà, nella pratica, separare le carriere? Significherà ad esempio il rischio che il magistrato requirente diventerò il vertice della polizia giudiziaria. Inoltre si correrà il rischio di avere magistrati assoggettati all’esecutivo, nel senso che saranno di certo portati a perseguire quelle fattispecie che maggiormente interessano il governo di turno, omettendo quelle che magari sono meno gradite. Ma questo non è il problema più grave… E qual è? Il problema più grave non riguarda i magistrati ma i cittadini e l’assetto costituzionale del paese, che si fonda sulla separazione dei poteri e sull’autonomia e l’indipendenza della magistratura tutta. Cioè, in altre parole, bisogna capire che la magistratura non è un presidio a tutela dei magistrati, ma dei cittadini. C’è anche un altro elemento che desta scalpore: la nomina dei componenti del Csm per sorteggio... Si rischia di far passare l’idea di una totale sfiducia nella capacità della magistratura di poter scegliere i propri rappresentanti, quasi che essa sia un organo completamente contaminato da spinte esogene e, dunque, irrimediabilmente perso. Peraltro il sorteggio previsto per i componenti di nomina parlamentare è calibrato in maniera del tutto diversa, essendo previsto che sia effettuato tra una rosa di soggetti scelti, “eletti” recita il testo, in via preventiva dal Parlamento, senza che sia nemmeno indicato il quorum necessario per la validità di tale elezione. È del tutto evidente che il sorteggio per i componenti di nomina parlamentare rischia di tradursi in un sorteggio che si svolgerà esclusivamente tra quelli graditi alla maggioranza di turno. Da quando si è insediato il ministro Nordio è sempre stato piuttosto ondivago. Si è sempre detto a favore della separazione delle carriere, ma meno di un mese fa, al congresso di Palermo dell’Anm, aveva detto a chiare lettere che la riforma non sarebbe arrivata a breve. E invece eccoci qui... La cosa più importante, soprattutto quando si ricoprono incarichi istituzionali tanto importanti, è la chiarezza. Ognuno può ovviamente avere le proprie posizioni, ma la linearità mi pare un requisito fondamentale. Non tanto per un fatto di coerenza, quanto di leggibilità dall’esterno: abbiamo visto dichiarazioni, interviste, lanci di stampa in cui si diceva una cosa e poi subito dopo ne veniva fatta un’altra. Diciamo che la chiarezza non sempre c’è stata. La riforma arriva alla vigilia delle elezioni europee. Non le sembra uno spot propagandistico? La tempistica, diciamo, presta il fianco a molteplici interpretazioni. Ricordo che siamo in presenza di un disegno di legge costituzionale che prevede ancora tempi molto lunghi. Quale sarà la risposta istituzionale del Csm? Quando il consiglio sarà chiamato a esprimersi, così come prevedono le sue prerogative, verrà dato un parere che rispecchierà le varie sensibilità che lo compongono. Parliamo a poche ore dall’approvazione di questo disegno di legge, la questione andrà di certo approfondita. E il suo giudizio personale qual è? Il mio giudizio personale, al momento, è negativo. Ripeto: non per tutela della magistratura, ma del cittadino, che non troverà più un magistrato terzo, che indaga sia a carico sia a discarico, ma una figura imbevuta di cultura accusatoria e non indipendente dal potere politico. Il contrario di quello che avevano pensato i costituenti. Peraltro dopo la riforma Castelli del 2006, che fissava un tetto massimo di quattro passaggi, e soprattutto dopo la riforma Cartabia, che ha ridotto i passaggi a uno solo, la percentuale di magistrati che cambiano carriera è ormai del tutto residuale… Purtroppo è così. Secondo me sarebbe utile al contrario far fare ai magistrati requirenti un periodo da giudicanti e viceversa. Dico di più: coinvolgerei anche gli avvocati. Perché il rendere giustizia è qualcosa a cui si partecipa collettivamente, e tutti gli attori coinvolti dovrebbero essere imbevuti nella cultura della giurisdizione. Milano. Rivolta all’Ipm Beccaria: 70 detenuti si asserragliano in un’ala del penitenziario di Cesare Giuzzi Corriere della Sera, 30 maggio 2024 Una protesta dei giovani detenuti è scoppiata mercoledì pomeriggio al carcere minorile Beccaria di Milano. Intorno alle 15.30 un gruppo numeroso di reclusi, circa 70, si sarebbe asserragliato in un’ala del carcere di via Calchi Taeggi minacciando azioni violente. Sul posto sono intervenuti diversi equipaggi della polizia di Stato a presidiare gli angoli all’esterno del carcere per evitare evasioni. È possibile che la rivolta sia legata ad un controllo antidroga con unità cinofile avvenuto mercoledì all’interno del carcere a seguito del sospetto che alcuni ragazzi potessero avere sostanze stupefacenti. Uno di loro sarebbe stato trovato con alcune dosi di droga: a quel punto gli altri detenuti avrebbero inscenato la protesta. L’ex cappellano del carcere don Gino Rigoldi, uscendo dalla struttura, ha confermato la rivolta. All’interno dell’istituto sono intervenute alcune decine di agenti della polizia in assetto antisommossa. Non risultano feriti. Attorno alle 18.30 i poliziotti hanno lasciato l’istituto e la situazione, dal punto di vista dell’ordine pubblico, è ritornata alla normalità. Gli agenti della penitenziaria hanno gestito il rientro dei detenuti nelle camere. In serata, nel carcere sono arrivati i consiglieri regionali del Pd Paola Bocci e Pierfrancesco Majorino. I due politici sono entrati all’interno del carcere dove la protesta era ormai rientrata. L’istituto nelle settimane scorse è stato scosso dagli arresti e dalle sospensioni di 21 agenti della penitenziaria accusati di torture e violenze nei confronti dei giovani reclusi. Il 7 maggio scorso, nei giorni successivi al blitz della Procura, nella notte c’era stata una rivolta con distruzione di arredi e tentativi di evasione. E nei giorni scorsi uno dei reclusi avrebbe cercato di strangolare un agente. Milano. Rivolta al Beccaria, prove generali del reparto “G.I.O.” di Eleonora Martini Il Manifesto, 30 maggio 2024 Per contenere i detenuti del minorile di Milano, arrivano rinforzi anche da altri corpi e carceri. Ancora una rivolta nel carcere minorile Beccaria: l’ultima c’era stata il 7 maggio scorso, dopo gli arresti e le sospensioni di 21 agenti della polizia penitenziaria, in totale, accusati di torture e violenze nei confronti dei giovani reclusi. E ieri pomeriggio, di nuovo, per qualche ora l’Istituto penale per minori di Milano è stato teatro di una rivolta messa in atto da “una settantina” di detenuti, secondo fonti di polizia penitenziaria che hanno riferito di “arredi distrutti” e blindo divelti. Gli agenti hanno chiesto il supporto esterno della polizia di Stato e dei colleghi della penitenziaria del carcere di Opera e di San Vittore. Che sono intervenuti e hanno circondato il penitenziario con le volanti o sono entrati nel carcere in assetto antisommossa. Una sorta di prova generale per il nuovo G.I.O., il neonato Gruppo di Intervento Operativo che questa mattina verrà formalmente presentato dal sottosegretario Delmastro a Via Arenula. Ieri c’era stata “una visita con i cani antidroga, e credo che a un gruppo di ragazzi sia stata sequestrata della droga e un detenuto è stato messo in isolamento, allora è scattata la protesta”, ha riferito Don Gino Rigoldi. Il cappellano storico del Beccaria ha raccontato di “tre o quattro ragazzi soliti che fomentano, si fanno forza dicendosi “siamo un popolo oppresso” e gli altri gli vanno dietro, anche se non sono nella condizione penale di poterlo fare. Tutto si è concluso in poco tempo. Ero lì alle 15 - racconta Don Rigoldi - per organizzare lavori esterni per dei ragazzi, ho visto oltre 200 poliziotti con i caschi e tutto il resto. Ora una parte di coloro che hanno fatto partire la protesta devono essere trasferiti, anche se non so dove, visto che le carceri sono tutte piene”. Il giorno prima un recluso con problemi psichiatrici sembra che avesse reagito ad una punizione aggredendo un agente. A seguire da vicino il caso è il sottosegretario alla Giustizia Ostellari (Lega). Alcuni reclusi si erano asserragliati in un’ala dell’istituto, altri nel cortile. Ma alla fine nessun ferito, né tentativi di evasione, contrariamente a quanto denunciato da alcuni sindacati penitenziari che lamentano di essere “alla mercé di questi” da quando è scattata l’inchiesta della procura per tortura. Nell’istituto ci sono sulla carta 70 posti disponibili e attualmente 82 detenuti di cui solo 11 con condanna definitiva. L’assessora alle Politiche giovanili di Milano Martina Riva ha chiesto al governo di “intervenire immediatamente” perché “al Beccaria c’è un’endemica carenza di personale penitenziario che il governo si ostina a sottovalutare”. Treviso. “El Magazen”: chitarre elettriche realizzare dai detenuti, biciclette e mobili rigenerati oggitreviso.it, 30 maggio 2024 Il nuovo spazio nella sede di Alternativa Ambiente a Vascon di Carbonera. Dare significato al tempo della detenzione, costruire le basi per un reinserimento sociale e professionale, offrire lavoro come mezzo di prevenzione del crimine. Fare in modo che i frutti di quel lavoro diventino strumento di dialogo tra il carcere e la comunità. Tra un presente dietro le sbarre e un futuro nella società. Sono tanti gli obiettivi e i progetti che si incrociano nel nuovo “El Magazen” che sarà inaugurato sabato 1 giugno nella sede di Alternativa Ambiente cooperativa sociale a Vascon di Carbonera: un magazzino agricolo trasformato in un’inedita “vetrina” per importanti progetti avviati da qualche mese nel polo occupazionale che la cooperativa coordina nel carcere di Treviso: Claustrofobico, che realizza strumenti musicali, e Officina del Tempo, dedicata alla riparazione di biciclette ma che in futuro si espanderà con il riuso creativo di mobili. “La nostra cooperativa realizza progetti nella Casa Circondariale di Treviso dal 1990 e dal 2004 ne coordina il polo occupazionale, creando opportunità di socialità ma anche di lavoro per detenuti che effettuano montaggi per conto di importanti aziende del territorio, specializzandosi anche in assemblaggi complessi e in attività di digitalizzazione - spiega il presidente di Alternativa Ambiente, Marco Toffoli - All’interno del carcere sono regolarmente assunti - con contratti di 35 ore settimanali, 7 ore al giorno per 5 giorni - dai 10 ai 20 detenuti lavoratori che trovano opportunità professionalizzanti e socializzanti, oltre ad una retribuzione”. Il responsabile del polo occupazionale Alberto Benedetti, filosofo per formazione e musicista per passione, afferma: “Il nostro obiettivo principale è creare dinamiche relazionali di normalità e confronto stimolando i nostri lavoratori ad uscire dall’immagine del detenuto. Siamo interessati alle persone e alle loro capacità, sospendiamo il giudizio e ci auguriamo di poter essere il seme delle loro scelte future”. Con queste premesse e questi intenti, El Magazen diverrà un nuovo punto di incontro per gli amanti della musica e per i tanti frequentatori di Colonia Agricola ed Alternativa Ambiente. Ma anche e soprattutto una bottega di economia carceraria di cui beneficeranno sia i detenuti, con nuovi posti di lavoro in carcere, ma anche la comunità, con la valorizzazione di abilità come antidoto contro la recidiva. L’inaugurazione de El Magazen, sabato 1° giugno alle ore 19.30, sarà una festa durante la quale poter testare e acquistare gli strumenti Claustrofobico e anche le biciclette ripristinate nell’Officina del Tempo. Inoltre, si alterneranno sul palco nel giardino antistante tre gruppi: The Black Boys, Kollettivo Stesi e Tommaso Mantelli & Dinosaur Band. Una serata di musica impreziosita anche dalle golosità di Colonia Agricola e dal food truck Le Papere (ingresso libero). Gli interessati agli strumenti musicali, a donare biciclette inutilizzate o a far rinascere mobili in chiave creativa, possono contattare il polo occupazionale: 0422 231904 (lunedì-venerdì 08:30-12:00; 13:0 -16:30) - carceretv@carceretv.it. Torino. Università in carcere, oggi e domani la conferenza nazionale lospiffero.com, 30 maggio 2024 Da giovedì 30 maggio a sabato 1 giugno, l’Università di Torino ospita l’assemblea della Conferenza nazionale dei delegati dei rettori per i poli universitari penitenziari (Cnupp), con la partecipazione di delegati da circa quaranta atenei. La Cnupp, istituita nel 2018 come organo della Crui, include quarantaquattro atenei e promuove il diritto all’istruzione superiore in oltre cento istituti penitenziari. Nell’anno accademico corrente ci sono 1.707 studenti detenuti iscritti ai poli universitari, di cui 155 con misure alternative o altre forme di esecuzione delle pene. Durante l’assemblea, si discuteranno i progressi e le prospettive future, con interventi di importanti figure istituzionali e accademiche. Il programma include una visita al Polo universitario penitenziario di Saluzzo e una visita al Museo della memoria carceraria. Il 1° giugno si terranno le elezioni del nuovo Consiglio direttivo e del presidente della Cnupp per il triennio 2024-2027, segnando la fine del mandato di Franco Prina. Napoli. Dibattito sulle carceri e proiezione del docu-film “11 giorni” articolo21.org, 30 maggio 2024 Articolo21 contro il sovraffollamento delle carceri e il maltrattamento dei detenuti. Si è svolta martedì 28 maggio all’Officina delle Culture “Gelsomina Verde” di Scampia, fondata da Ciro Corona, la proiezione del progetto “11 giorni” di Nicola Zambelli alla quale è seguito un interessante dibattito con il regista Claudio Cadei (entrambi di Smk Factory), arricchito dalla presenza dei detenuti in affido sia nella struttura ospitante, che nella cooperativa sociale “L’Uomo e il Legno”. Presenti all’iniziativa anche Anna Motta e Pino Paciolla genitori di Mario Paciolla, con loro i membri del Moss - Ecomuseo Diffuso Scampia, del sindacato Fials, e dell’associazione “Progetto per la vita”. L’incontro è stato organizzato da Martina Pignataro del Gridas, rappresentato dalla fondatrice Mirella La Magna. La storica associazione di Scampia è da sempre “in rete” con la casa di produzione indipendente Smk Factor e con la piattaforma indipendente OpenDDB.it che distribuisce a realizzare lavori prodotti e distribuiti dal basso. Il progetto “11 giorni - tra le mura del carcere” di Nicola Zambelli è un viaggio tra le mura del carcere più sovraffollato d’Italia. All’interno della casa circondariale “Nerio Fischione” di Brescia, un gruppo di detenuti si racconta in una web-serie documentaristica di 33 episodi, pubblicata nell’arco di 11 giorni, su una pagina Instagram (@11.giorni). Tutte le clip sono poi raccolte in un’unica opera, online da martedì 9 aprile, sulla pagina Instagram. Il progetto è una produzione InPrimis, SMK Factory e Associazione Carcere e Territorio (ACT), con la collaborazione del Comune di Brescia e con il contributo di Cooperativa Bessimo e Doriana Galderisi Psicologa. Il toccante film nasce da un’iniziativa non violenta di un gruppo di detenuti del “Nerio Fischione” allo scopo di mostrare le condizioni di vita nel penitenziario più affollato d’Italia, con una percentuale di presenze che ha superato, tra il 2023 e il 2024, il 200%. All’interno di un percorso educativo volto alla creazione di momenti di riflessione, l’obiettivo dei detenuti è stato quello di trovare una modalità innovativa per arrivare al mondo dei più giovani. Il laboratorio allestito tra le mura carcerarie ha permesso la raccolta di materiali testuali e audio interviste che hanno costituito la traccia orale del racconto “11 Giorni”. Il regista Nicola Zambelli era già noto alla rete di Scampia per il film come “Sarura, the future is an unknown place”, docufilm sulla comunità nonviolenta Youth Of Sumud in Palestina. Del resto tutta la filmografia di Smk Factory è passata per il cineforum gratuito che il Gridas propone al quartiere come momento di approfondimento e di crescita collettiva. L’iniziativa è stata dedicata a Gaetano Di Vaio, scomparso mentre si stava organizzando l’incontro, figura emblematica di come ci si possa riscattare senza rinnegare le proprie radici e restando dalla parte degli ultimi. Il Gridas ha anche voluto la presenza della giornalista Désirée Klain, portavoce di Articolo21 per la Campania e ideatrice del Festival Internazionale di Giornalismo Civile Imbavagliati e coregista del film “Felice!”, anche questo distribuito anche da OpenDDB. Ariano Irpino (Av). Proiezione di “Samad”, un film-dossier sulle carceri e gli scontri religiosi di Gianni Vigoroso ottopagine.it, 30 maggio 2024 La storia di chi ha pagato il suo conto con la giustizia e ora ha un lavoro, una nuova vita. Una storia di riscatto. Un film quello del regista Marco Santarelli, con Mehdi Meskar e Roberto Citran e Luciano Miele proiettato nel carcere Campanello di Ariano Irpino, ispirato ad una vicenda realmente accaduta, quella di Samad, un giovane musulmano, diviso tra il senso di colpa per una vita sbagliata e il desiderio di cambiare. Le proiezioni ad Avellino e Ariano Irpino, sono state organizzate in collaborazione con il Cinecircolo Santa Chiara, la Caritas di Avellino e Ariano Irpino. Un film sostenuto da Antigone, l’associazione che si batte per i diritti e le garanzie nel sistema penale. Samad (Mehdi Meskar). Ha pagato il suo conto con la giustizia e ora ha un lavoro, una nuova vita. Padre Agostino (Roberto Citran), suo amico e mentore, lo invita in carcere perché possa essere di ispirazione per i suoi compagni, come esempio di reinserimento, perché possa raccontare la nuova vita da uomo libero. Ma è la giornata sbagliata: una rissa fa esplodere la rabbia e il risentimento dei detenuti, che decidono di barricarsi nella biblioteca del carcere. Samad si troverà a dover scegliere chi essere: musulmano o cristiano, complice oppure ostaggio. Organizzazione come sempre impeccabile da parte del responsabile dell’area trattamentale del penitenziario arianese Arcangelo Zarrella. “Un film molto intenso che fa riflettere - ha detto la direttrice del carcere arianese Maria Rosaria Casaburo - viene trattato il tema eterno dell’essere umano, il libero arbitrio, ambientato in un carcere, la difficoltà di reinserirsi. Ed è un film che riguarda anche la precarietà di ogni scelta.” Fede si al di là della religione. Don Roberto Di Chiara, cappellano del carcere Campanelli: “Il fatto che noi tutti quanti crediamo in un unico Dio, che però ci lasciamo ingabbiare dalle nostre convinzioni, dalle nostre regole. Invece il Dio in cui crediamo, va oltre questi schemi. Ed è davvero interessante, ci può aiutare a trovare un punto di accordo tra quelli che possono essere i modi di pensare differenti.” Roma. Scende in campo la squadra di calcio dei minori detenuti di Ilaria Dioguardi vita.it, 30 maggio 2024 Intesa Sanpaolo, coadiuvata nella scelta da Cesvi, sostiene il progetto “Squadra Dentro: sport e carcere” di Antigone attraverso il Programma Formula, nell’Ipm di Casal del Marmo a Roma. È attiva una raccolta fondi. Susanna Marietti (Antigone): “Rendere disponibile un’attività sportiva strutturata significa mettere nelle mani degli straordinari operatori che lavorano nelle carceri minorili uno strumento che sapranno capitalizzare al meglio nel percorso di recupero del ragazzo”. Rafforzare la solidarietà e promuovere valori positivi tra i giovani dell’Istituto penale minorile - Ipm di Casal del Marmo a Roma grazie al calcio. Questo è l’obiettivo del progetto “Squadra Dentro: sport e carcere” dell’associazione Antigone attraverso il Programma Formula che vuole rafforzare le attività rieducative promosse nell’Ipm della Capitale e così creare una squadra di calcio formata dai giovani detenuti. Intesa Sanpaolo, coadiuvata nella scelta da Cesvi, sostiene il progetto attraverso il Programma Formula. Due allenamenti a settimana per 20-25 detenuti - Con il supporto di Asd Atletico Diritti, creata nel 2014 da Antigone e Progetto Diritti, tra i 20 e 25 detenuti selezionati dalla direzione del carcere, sulla base del programma personale di trattamento e reinserimento sociale di ciascun ragazzo, seguiti da un allenatore esterno dedicato potranno frequentare due allenamenti settimanali. Per garantire la buona riuscita del programma, il campo da calcio del carcere necessita di manutenzione. Per questo, è necessario un supporto con cui si andranno a sostituire le porte, sistemare le panchine e le reti esterne e dotare la struttura di tutti i materiali utili per l’allenamento. Formazione per diventare allenatori - Grazie al percorso, si auspica di far partecipare “Squadra Dentro” ad uno o più tornei cittadini nell’ambito di quelli promossi da associazioni quali Aics, Csen e Lega Calcio ad Otto. L’accordo - già sperimentato da Atletico Diritti - è di giocare in casa tutte le partite, così da offrire ai giovani adeguate opportunità per dimostrare il proprio talento in campo. In ottica di crescita e continuità progettuale, due detenuti, in base alle valutazioni dell’Istituto, saranno formati professionalmente per diventare a loro volta tecnici allenatori. Si auspica di agganciare l’interesse di più detenuti, grazie alla passione condivisa verso il calcio, in questo programma. A tal fine, grazie sia ai giocatori titolari che non, con il supporto degli operatori penitenziari, verrà promosso uno sportello socio-legale di informazione e accompagnamento al rilascio. “Lo sport non è solamente attività fisica ma è solidarietà, rispetto delle regole, perseguimento di obiettivi sani, apprendimento del lavoro di gruppo. Tutto questo è fondamentale per i ragazzi che vivono un’esperienza di detenzione, sempre più segnati da una grande fragilità e da trascorsi tragici”, dice Susanna Marietti, coordinatrice nazionale di Antigone. “Rendere disponibile un’attività sportiva strutturata significa mettere nelle mani degli straordinari operatori che lavorano nelle carceri minorili uno strumento che sapranno capitalizzare al meglio nel percorso di recupero del ragazzo, al fine di offrirgli una nuova opportunità di vita. Iscrivere la squadra di calcio a un campionato cittadino significherà garantire l’ingresso di tante squadre esterne e creare un’osmosi tra il carcere e il territorio, combattendo così quello che è il rischio più dannoso per i ragazzi reclusi: l’isolamento dal resto della società”. Sette Ipm su 17 sono sovraffollati - “Nell’ultimo rapporto sulla giustizia minorile in Italia, pubblicato a febbraio dall’associazione Antigone, viene sottolineata l’importanza di creare momenti di integrazione sociale e lo sport, con i suoi modelli relazionali e valoriali positivi, può essere uno strumento fondamentale per realizzarli”, afferma Roberto Gabrielli, responsabile direzione regionale Lazio e Abruzzo di Intesa Sanpaolo. “Attraverso il Programma Formula ci attiveremo con tutte le persone della nostra direzione regionale, e non solo, per contribuire a offrire ai ragazzi detenuti delle prospettive di futuro, di vita, di relazioni, confermando l’impegno del nostro Gruppo sui temi dell’inclusione sociale e della valorizzazione delle persone”. Nel rapporto Prospettive minori di Antigone, di cui parla Gabrielli, si legge che i numeri della carcerazione minorile stanno crescendo. Al 30 aprile 2024 erano 571 i ragazzi reclusi negli Ipm italiani. In sette istituti (Bologna, Firenze, Milano, Potenza, Pontremoli, Torino, Treviso) su 17, si registrano un numero di presenze superiore ai posti disponibili. Nei primi quattro mesi del 2024 c’è stata una crescita di 76 unità per un tasso di oltre il 15%. Fondi per la manutenzione, i materiali e la formazione - I fondi raccolti attraverso il Programma Formula, dedicato a sostenibilità ambientale, inclusione sociale e accesso al mercato del lavoro per le persone in difficoltà, serviranno per finanziare: la manutenzione del campo da calcio ammodernando porte, reti, panchine e attrezzature per l’allenamento; il coordinamento progettuale da parte di figure professionali dedicate, quali il coordinatore del progetto sportivo, il tutor, l’allenatore e il coordinatore dello sportello; le attività di formazione tecnica per i due detenuti quali allenatori; la fornitura di materiali sportivi necessari ai detenuti quali tute e divise sportive, palloni, coni, sagome per le punizioni e pettorine; i costi di tesseramento individuali e iscrizione della squadra al campionato. Aiuti diretti e sensibilizzazione contro i pregiudizi - “Squadra Dentro” è un progetto dedicato alla sezione maschile, più numerosa, del carcere minorile. Si potranno aiutare direttamente: 20-25 detenuti tra i 14 e i 25 anni che potranno partecipare al programma sportivo; due detenuti che saranno formati per diventare allenatori; almeno 50 detenuti utenti dello sportello informativo in preparazione al rilascio, attraverso il sostegno di avvocati, studenti ed esperti di Antigone. Il progetto potrà raggiungere indirettamente: tra le 20 e 25 famiglie dei giocatori, sensibilizzate al ruolo riabilitativo dell’attività sportiva sui loro cari; almeno 50 famiglie dei detenuti sostenuti dallo sportello in preparazione al rilascio; almeno 50 detenuti, della sezione maschile del carcere, che potranno beneficiare dell’arricchimento dell’offerta ricreativa interna grazie alla ristrutturazione del campo da calcio; 100 tra giocatori e staff di squadre avversarie sensibilizzati contro i pregiudizi sociali nei confronti dei detenuti grazie alle partite che giocheranno insieme in carcere. Obiettivo: 100mila euro - L’obiettivo è raccogliere 100mila euro entro fine agosto. Per sostenere con una donazione il progetto è attiva sul sito web di For Funding-Formula una pagina dedicata, con l’aggiornamento in tempo reale delle somme raccolte. La Banca partecipa attivamente al crowdfunding devolvendo due euro per molti dei prodotti acquistati dai clienti in modalità online. Varese. Con “Bambinisenzasbarre” un’attività eccezionale di ginnastica artistica nel carcere ilbustese.it, 30 maggio 2024 Anche quest’anno la Casa Circondariale di Varese ha aderito all’iniziativa della “Partita con mamma e papà” che si svolgerà il 12 giugno dalle 15 alle 16.30. Non avendo un luogo idoneo ad una partita di calcio, è stato deciso di organizzare una attività di ginnastica artistica, che coinvolgerà papà e figli, ad opera dell’Asd GiocoSport di Jerago con Orago. Bambinisenzasbarre avvia l’ottava edizione della “Partita con mamma e papà”, l’atteso incontro tra genitori detenuti e i loro figli che apre le porte degli istituti penitenziari alle famiglie dei detenuti e quest’anno segna il decennale della firma della “Carta dei diritti dei figli di genitori detenuti”. La “Partita con mamma e papà” è organizzata in collaborazione con il Ministero della Giustizia-Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. L’evento, come ogni anno, coincide con la Campagna europea di sensibilizzazione “Non un mio crimine, ma una mia condanna” attiva nel mese di giugno. La “Partita con mamma e papà” offre la possibilità di condividere un momento ludico, normale per tutti gli altri bambini, che risulta eccezionale per questi bambini e le loro famiglie e permane a lungo nella loro memoria. La “Partita con mamma e papà”, ideata da Bambinisenzasbarre, è nata nel 2015. L’iniziativa è partita con l’adesione di 12 istituti e la partecipazione di 500 bambini e 250 papà detenuti, e si è tenuta tutti gli anni fino al 2019. Interrotta per due anni a causa della pandemia, ha avuto un forte impatto nell’edizione di ripresa del giugno 2022 (76 istituti, 82 partite, 4100 bambini, 1900 genitori) che ha sancito la riapertura degli Istituti penitenziari alle famiglie. La settima edizione, giocata nel 2023, ha visto l’adesione di 79 istituti italiani dove si sono disputate 83 partite, coinvolgendo gli agenti della Polizia Penitenziaria, gli educatori, 4250 bambini, 2050 genitori detenuti e le loro famiglie. La Campagna ha l’obiettivo di sensibilizzare sul tema dell’inclusione sociale e delle pari opportunità per tutti i bambini e ha lo scopo di portare in primo piano il tema dei pregiudizi e dell’emarginazione di cui spesso sono vittime i 100mila bambini in Italia (2,2 milioni in Europa) che hanno il papà o la mamma in carcere. “Questi bambini - sottolinea Lia Sacerdote, Presidente di Bambinisenzasbarre - vivono in silenzio il loro segreto del genitore recluso per non essere stigmatizzati ed esclusi”. Anche quest’anno la Casa Circondariale di Varese ha aderito all’iniziativa, che si terrà il 12 giugno dalle 15 alle 16.30. Non avendo un luogo idoneo ad una partita di calcio, è stato quindi deciso di organizzare una attività di ginnastica artistica, che coinvolgerà la diade papà-bambino, ad opera dell’Asd GiocoSport di Jerago con Orago nella figura dell’istruttrice Cristina Mascarello. “A società contenitive si risponde con società fondate sulla certezza del diritto” di Valentina Rigoldi casadellacarita.org, 30 maggio 2024 Abbiamo chiesto a Benedetto Saraceno, psichiatra allievo di Basaglia, che ha messo al centro del suo lavoro la deistituzionalizzazione, una riflessione sulla tendenza alla repressione per rispondere alle complessità del presente. Benedetto Saraceno, psichiatra, professore di Global Health alla Università di Lisbona appartiene al movimento della psichiatria anti-istituzionale italiana. Da sempre si occupa di approfondire i fenomeni della sofferenza urbana e, richiamandosi all’esperienza con Franco Basaglia, alla cui scuola si è formato, mette al centro della sua riflessione la cultura della deistituzionalizzazione. Questa esperienza l’ha portata anche all’interno della Casa della Carità, con cui ha collaborato per molti anni, dando vita e guidando il Centro Studi SOUQ. A lui abbiamo chiesto un’analisi sulla tendenza, che vediamo rafforzarsi sempre di più, ad affrontare i problemi complessi delle nostre società in modo repressivo a scapito dei più fragili e delle fasce più deboli della popolazione. Perché, a suo giudizio, di fronte a certi fenomeni, come il disagio giovanile, l’immigrazione, la salute mentale, il consumo di sostanze ecc., si riemergendo una risposta contenitiva, una nuova “istituzionalizzazione”, che per esempio si esprime nella creazione di nuovi reati, nell’aumento delle pene detentive, nella spinta a costruire strutture dove rinchiudere i migranti, nel massiccio utilizzo di psicofarmaci nelle carceri? Il bisogno di risposte contentive, il bisogno di istituzionalizzare la differenza e la sofferenza psicosociale esprimono il grado di fragilità morale di una società. Società davvero fondate sulla certezza del diritto, costruite per il bene pubblico e la giustizia, non hanno bisogno di reprimere e contenere il dissenso, la diversità e la devianza perché sono sufficientemente forti e mature da potere dialogare, tollerare, includere. La brutalità culturale, morale e politica del presente si esprime anche rispondendo con brutalità alle domande complesse che ogni società complessa deve naturalmente produrre. È una tendenza solo italiana o è diffusa anche altrove? Purtroppo è in atto oggi una regressione politica e morale che porta con sé nuove forme di oppressione, repressione e contenzione in tutta Europa. Nell’anno del centenario dalla nascita di Franco Basaglia, lei che ne è stato allievo, che cosa rimane della sua rivoluzione? Rimane la chiara idea che il manicomio non è la risposta alla sofferenza e alla disabilità. E non si tratta solo del manicomio, che la Legge 180 ha definitivamente chiuso, ma della cultura manicomiale insita in ogni istituzione oppressiva e contentiva che impedisce la emancipazione dei soggetti. Se dovessi spiegare a un giovane di oggi perché Basaglia gli è necessario se vuole cambiare il mondo in meglio, gli direi che Franco Basaglia è uno dei pochissimi intellettuali che fonda il proprio impegno politico non su un pragmatismo contingente, ma su una visione morale e politica del mondo e della società e che, di converso, fonda la propria visione del mondo e della società sulla indispensabile necessità di uno sguardo/azione, che sono politica. Basaglia è uno dei pochi intellettuali che abbia esercitato allo stesso tempo la propria funzione di analisi e comprensione della realtà e la propria capacità di trasformazione della medesima attraverso il ruolo di tecnico critico. Il centro del pensiero basagliano risiede nella “deistituzionalizzazione”, è ancora una lezione attuale? La deistituzionalizzazione inventata da Basaglia rimane ancora oggi uno strumento di analisi critica della società presente e uno strumento politico di crescita, autodeterminazione e liberazione. E va ben oltre il manicomio. Oggi abbiamo servizi di diagnosi e cura ospedalieri miseri e violenti tanto quanto lo erano le accettazioni dei manicomi, oggi abbiamo forme diverse di residenzialità che riproducono istituzioni isolate dal mondo circostante, prive di progettualità, dense di norme istituzionali, povere e non dissimili da istituzioni totali, anche se pretendono di essere luoghi di riabilitazione, mentre non sono che spazi di intrattenimento. Due sono i nodi fondanti della istituzione manicomiale che vengono sistematicamente riprodotti all’infuori di essa, mostrando così come la decostruzione necessaria debba andare ben oltre i muri dell’ospedale: la violenza sul corpo (e le morti e le contenzioni sistematiche nei servizi di diagnosi e cura ne sono testimonianza); la pratica dell’intrattenimento spacciata come riabilitazione (e la vita quotidiana senza scopo, senza speranza e senza vita delle strutture residenziali ne è testimonianza) Come si esce da questo circolo vizioso? Con l’ottimismo militante di Basaglia, che ci insegna che dobbiamo riappropriarci dell’esercizio del conflitto e costituire un fronte di conflittività intransigente. Dobbiamo, dunque, mobilitare conflitti sui temi vicini alla vita quotidiana delle persone e delle comunità più deprivate, marginalizzate e private di diritti. Il coraggio di Basaglia permette di esigere e realizzare l’impossibile che diventa possibile. Esigere e realizzare non una società senza diversi, ma una società diversa. Una società dove le identità si fanno deboli per dare luogo a una cittadinanza diffusa. Una società permeata da un senso forte di cittadinanza. La cittadinanza è la certezza del diritto, è un corpo di garanzie, di istituzioni riformate e in permanente trasformazione che definiscono, o dovrebbero definire, una nuova etica, secondo cui tutti i soggetti in quanto tali hanno diritto ad accedere alle risposte appropriate ai loro bisogni. Cittadinanza è accesso alle opportunità lavorative, ai servizi sanitari, alla casa, ma anche all’ascolto, all’accoglienza, allo scambio. Quindi è certezza del diritto, ma anche tenerezza dell’umano. Cannabis light, il governo: “Stop al commercio, è una droga” di Alessandra Ziniti La Repubblica, 30 maggio 2024 E la Lega vuole vietare anche il disegno della pianta. Polemica sull’emendamento al ddl sicurezza. Magi porta in aula una bustina con il volto della premier. Protesta degli imprenditori della canapa: “Così distruggete 3.000 imprese e 15.000 lavoratori”. “È come pensare di fermare l’alcolismo bloccando la birra analcolica. Di questo passo vieterete anche il basilico e l’origano”. Una bustina di canapa in mano con su l’effige di Giorgia Meloni e la scritta “Canapa eccellenza italiana”, il deputato di +Europa Riccardo Magi nell’aula di Montecitorio prova ad avvicinarsi ai banchi del governo: “Vi fa così paura? È un’infiorescenza, non ha alcun effetto drogante”. Il governo: “Altera lo stato psicofisico” - E invece è proprio paventando “alterazioni dello stato psicofisico degli assuntori che mettano a rischio la sicurezza e l’incolumità pubblica e la sicurezza stradale”, che il governo intende mettere fuori legge la cannabis light, per intenderci quella con bassissimo contenuto di Thc, equiparandola di fatto ad una droga leggera. Un presupposto senza alcun fondamento scientifico quello dell’emendamento al disegno di legge sicurezza riformulato dal governo per farlo passare al vaglio di ammissibilità della Commissione affari costituzionali di Montecitorio che invece ha definitivamente cassato buona parte degli emendamenti leghisti con i quali il partito di Salvini ha tentato l’ennesima stretta securitaria contro gli stranieri, provando a limitare persino la libertà di culto. La Lega: “Vietare anche il disegno della pianta in pubblicità” - I leghisti non la vogliono vedere neanche disegnata la canapa tanto che ieri sera hanno depositato un subemendamento che vieta persino “l’utilizzo di immagini o disegni, anche in forma stilizzata, che riproducano l’intera pianta di canapa o sue parti su insegne, cartelli, manifesti e qualsiasi altro mezzo di pubblicità per la promozione di attività commerciali. In caso di inosservanza è prevista la pena della reclusione da sei mesi a due anni e della multa fino a 20mila euro”. L’impatto su un mercato che impiega 15.000 lavoratori - L’emendamento sulla cannabis, invece, è ammissibile e, minacciando una stretta che rischia di impattare fortemente su una fetta di mercato che interessa 3.000 imprese con 15.000 dipendenti, verrà sottoposto al voto della commissione alla ripresa dei lavori dopo le Europee. Quello che il governo Meloni intende fare, in sostanza, è vietare la coltivazione e la vendita di infiorescenze, resine e oli, dunque l’uso dei fiori di canapa così tanto usati in erboristeria e nella cosmetica o in prodotti artigianali, non di uso industriale, prodotti che - lo dice la scienza - non hanno alcun effetto drogante. E dunque non si capisce come il loro consumo possa portare ad alterazioni dello stato psicofisico tali da provocare rischi per la sicurezza pubblico. Ma il ministro Adolfo Urso, rispondendo al question time, insiste: “La legge del 2016 a causa della non perfetta formulazione ha consentito lo sviluppo di un mercato secondario di prodotti derivanti dalla canapa, nonché di infiorescenze e altri prodotti contenenti un tenore di Thc sino allo 0,6%, potenzialmente idoneo a determinare l’effetto psicoattivo, anche se blando, come evidenziato da consolidata giurisprudenza in tossicologia forense. È su questo tema che l’emendamento governativo è intervenuto”. La protesta degli imprenditori della canapa - Con buona pace delle proteste degli imprenditori canapa Italia che hanno chiesto l’apertura urgente di un tavolo di concertazione con il governo. “Le infiorescenze di canapa industriale non costituiscono droga né sostanza stupefacente, ma rappresentano un prodotto agricolo sicuro, che non mette a rischio la sicurezza pubblica - spiegano -. L’approvazione di questo emendamento penalizzerebbe ingiustamente un settore produttivo che genera un volume d’affari superiore ai 500 milioni di euro”. Gli altri emendamenti della destra - Se ne riparlerà dopo le Europee quando al voto della commissione approderanno molti altri emendamenti del migliore repertorio della destra, dall’istituzione del reato di integralismo islamico alla predicazione in italiano nelle moschee, all’aumento delle pene per le proteste per le esecuzioni di opere pubbliche, il cosiddetto emendamento “anti Ponte” fino alla castrazione. Cannabis light vietata, un regalo alle narcomafie di Leonardo Fiorentini L’Unità, 30 maggio 2024 Con l’emendamento al ddl sicurezza il governo vorrebbe vietare il mercato delle inflorescenze di canapa a prescindere dalla presenza di Thc. È come vietare la birra analcolica per prevenire l’abuso di alcol. Così si mettono fuorilegge oltre 13 mila persone. Negli stessi giorni in cui gli Stati Uniti stanno correndo verso la riclassificazione della cannabis il Governo Meloni decide di uccidere la filiera italiana della canapa. Canapa Sativa Italia invoca l’intervento della Commissione Europea. Il Presidente Biden ha annunciato nei giorni scorsi, come anticipato su queste pagine il 5 settembre scorso, che il processo di revisione della cannabis nelle tabelle del Controlled Substance Act (la legge che ha dato il via alla war on drugs di Nixon) sta volgendo al termine. La DEA, l’agenzia antidroga statunitense, ha condiviso il parere del Ministero della Salute e proposto di spostare la cannabis dalla Tabella I alla Tabella III. Ovvero da quella delle sostanze più pericolose, con relative pene detentive draconiane, a quella delle sostanze di cui è riconosciuto l’uso medico e la scarsa possibilità di dipendenza fisica e psicologica. Finalmente anche la burocrazia proibizionista USA, a piccoli e lenti passi, si avvicina alle conclusioni della Commissione Shafer del 1972. Il report della National Commission on Marihuana and Drug Abuse, nominata dal Presidente Nixon due anni prima, dopo averne valutati gli effetti sociali e sanitari e demistificati i pericoli, aveva infatti raccomandato la decriminalizzazione totale del possesso di cannabis negli USA. In Europa la Germania ha appena legalizzato la coltivazione e il consumo personale di cannabis, seguendo l’esempio di Malta e Lussemburgo. In Uruguay, Canada e 25 stati USA è stato introdotto anche un mercato legale in farmacie, negozi o dispensari. Su questo sfondo internazionale arriva, in piena campagna elettorale, l’attacco del governo italiano alla cannabis light e alle persone che la usano. Il Governo Meloni ha infatti proposto un emendamento al disegno di legge “Sicurezza” che vorrebbe vietare tout court il mercato delle infiorescenze di canapa in Italia. A prescindere che queste contengano o meno THC, il principio attivo psicoattivo della cannabis, presente in quantità irrilevanti nei fiori di light. Il CBD invece, presente nella canapa industriale, non ha effetti psicotropi e nessun effetto collaterale significativo, come riferito dall’OMS a seguito della revisione scientifica del 2020. Il testo infatti esclude esplicitamente dall’applicazione della legge 242/2016, ovvero proprio quella che voleva sostenere la filiera della canapa, i “prodotti costituiti da infiorescenze di canapa (Cannabis sativa L.), anche in forma semilavorata, essiccata o triturata, o contenenti tali infiorescenze, comprese estratti, resine e olii da esse derivati.” Specifica poi che anche il consumo di queste è escluso e che questo quindi rimane di fatto regolato dal Testo Unico sulle droghe. Si potrebbe introdurre l’assurdo giuridico di colpire con sanzioni amministrative per consumo di sostanze psicotrope (art. 75, DPR 309/90) anche chi usa infiorescenze senza effetti psicoattivi. Non solo: nel comma successivo l’emendamento vieta espressamente anche la lavorazione o il trasporto delle infiorescenze. Bontà loro non ne è vietata la coltivazione, per cui almeno non si dovranno uccidere le piante prima della fioritura. Per giustificare tutto questo il Governo ha tenuto a riformulare l’emendamento, motivandolo in premessa con possibili “alterazioni dello stato psicofisico” derivanti dal consumo di infiorescenze di canapa che possano mettere “a rischio la sicurezza o l’incolumità pubblica o la sicurezza stradale”. Un insulto al buon senso, prima ancora che alla scienza. Una “follia ideologica” per Riccardo Magi, che al termine del question time di ieri ha consegnato una bustina di “erba italica” al Ministro Urso. Il governo nella risposta ha motivato l’intervento legislativo come intervento chiarificatore della legge e come “recepimento” della famosa decisione a Sezioni Unite del 30 maggio 2019. Questa sì considerava le infiorescenze potenzialmente soggette al Testo Unico sulle droghe, ma concludeva - e qui l’omissione di puro stampo ideologico è evidente - molto chiaramente “salvo che tali derivati siano, in concreto, privi di ogni efficacia drogante o psicotropa, secondo il principio di offensività”. Il Ddl Sicurezza è già un’abnorme accozzaglia di inutili e pericolose norme penali, che mettono a rischio anche il diritto di manifestare il dissenso e introducono regimi carcerari inumani, in particolare per le detenute madri. Era difficile peggiorarlo. La destra ha però voluto confermare di voler usare il diritto penale come una clava e nell’immediato come strumento propaganda elettorale. Vietando la cannabis light il Governo Meloni non mette solo fuorilegge oltre 13 mila persone - per lo più giovani - impiegate nel settore, manda sul lastrico 3 mila aziende e invita alla chiusura le centinaia di negozi nelle città italiane. Regala anche alle narcomafie tutti coloro che oggi la consumano. Come dimostrato dagli studi si tratta infatti in larga parte di un uso che sostituisce quello della cannabis illegale. Le associazioni di settore si sono mobilitate: Canapa Sativa Italia ha notificato all’Unione Europea una “potenziale violazione dei regolamenti dell’Unione Europea relativi alla libera concorrenza e alla circolazione delle merci”, essendo i prodotti che contengono CBD, infiorescenze comprese, legalmente fabbricati in altri Stati membri dell’UE. Le esperienze di regolamentazione dimostrano tutto che è meglio regolare un mercato piuttosto che renderlo illegale. Perché l’illegalità non fa altro che produrre più danni: non garantisce la qualità delle sostanze, avvicina i consumatori all’ambiente criminale, stigmatizza e rende più difficile la prevenzione dell’uso problematico (anche se nel caso della cannabis light è difficile immaginarlo). Evidentemente il governo Meloni vuole produrre più danni. Se manca il nemico lo si crea. Oggi diventa il fiore di canapa industriale, quella che coltivavano i nostri nonni: è troppo simile a quello della cannabis, la pianta del demonio. Il fiore è lo stesso di quella col THC a cui il Governo non a caso ha dedicato la “giornata mondiale antidroga” lo scorso anno, e quindi può indurre in tentazione. Ma la verità è disarmante: è come vietare la birra analcolica per prevenire l’abuso di alcol. L’effetto reale sarà semplicemente regalare alle mafie anche tutti i clienti del mercato legale della cannabis light. L’8 e il 9 di giugno si andrà a votare le elezioni europee e amministrative. Ci sono tanti candidati e tante candidate che si sono impegnati per una riforma delle politiche sulle droghe a livello europeo, italiano e locale come chiesto in un appello della società civile europea. L’elenco dei firmatari è su Fuoriluogo.it. Sarebbe bello, quasi rivoluzionario, se quei 6 milioni di italiani che usano cannabis - i loro parenti e i loro amici - prendessero coscienza che la politica può influire sui propri comportamenti e stili di vita. Anche pesantemente come ben sa quel milione e mezzo di persone colpito dalle sole sanzioni amministrative. Come cittadini hanno un’arma formidabile con cui rispondere alla violenza della repressione e dello stigma. Il voto. Guerra suicidio dell’Europa, l’Unione ha già perso: sinistra inutile se non cerca la pace di Michele Prospero L’Unità, 30 maggio 2024 A un passo dal conflitto aperto contro Mosca, il Vecchio continente si consegna mani e piedi alla Nato nel silenzio delle forze progressiste. Il dado è tratto? È certo paradossale che mentre incombe la guerra allargata, spacciata ormai apertamente dalle élite occidentali come un destino cui è vano opporsi, le elezioni europee si giochino solo sui volti dei leader e sugli effetti di polarizzazione del gergo colorito di un capo di governo. Ancor più assurdo è che a spingere senza alcuna remora per imboccare la via del confronto armato generalizzato siano le famiglie verdi, liberaldemocratiche e socialiste. Alle correnti progressiste, alle prese con la benedizione delle nuove armi e il dilemma dell’invio di truppe, serve una evidente carica etica per giustificare una escalation che dopo un biennio di sangue prenota altre distruzioni. La genesi della lunga campagna d’Oriente, ai loro occhi, non può essere scrutata nelle tangibili pratiche di inimicizia connesse alla dissoluzione di un impero sconfitto. La reale scaturigine delle ostilità deve essere rimossa e affogata in una overdose di buoni sentimenti. Senza una mistificante ubriacatura teologica, che evoca continuamente i valori dell’occidente messi a repentaglio o la sorte dell’intera Europa appesa a un filo, la guerra di lunga durata chiamerebbe in causa anche i rischi incautamente prodotti da una illimitata volontà di potenza della Nato. Comprendere la complessità, oltre la divaricazione manichea tra Bene e Male, non è compatibile con il tempo delle bombe salutato come la prova più affidabile per l’apprensione della Verità. Eppure nessuna retorica sulla steppa ucraina quale ultimo terreno metafisico per la custodia degli stili di vita nostrani potrà cancellare l’impatto sprigionato dal calcolo smisurato degli americani. Trent’anni fa intendevano non solo brindare ai rapporti di forza sorti dopo l’implosione del nemico, ma stravincere oltre le stesse necessità di una governance mondiale. Portando ovunque le insegne dell’alleanza atlantica, hanno dilatato la funzione del patto spingendolo ben al di là dell’originaria missione difensiva. Tra le matrici effettive della contesa esplosa con l’”operazione speciale” russa dominano anche il mancato rispetto della parola data alla leadership sovietica, la esibizione muscolare di fronte al fatto compiuto del crollo dell’Urss, l’azzardo di una estensione inaudita dell’influenza su aree che sarebbe stato prudente mantenere in condizione di neutralità. Di ciò si deve tacere, e per ottenere la rimozione delle cause dell’urto bellico viene gettata l’esca della morale, perché altrimenti la richiesta di una mobilitazione militare ad oltranza cadrebbe nel vuoto. Non è però agevole spegnere d’incanto le ragioni corpose dei contrasti geopolitici e inoltrarsi nel regno delle favole edificanti. L’opinione pubblica stenta a credere che l’esercito russo nel 2022 abbia inaugurato le prove generali per la conquista dell’Europa. Pochi bevono la narrazione secondo cui Kiev rappresenta solo la prima tappa di una lunga marcia che porterà presto l’armata di Putin sino a Lisbona. Senza questa gracile copertura ideologica, che predica un crescendo guerresco come risposta inevitabile dinanzi alla libertà di tutti altrimenti minacciata, le forze progressiste non disporrebbero di argomenti utili per coprire i fallimenti della loro subalternità strategica alle direttive del comparto politico-militare d’oltreoceano. Comunque evolva lo scontro nelle trincee, l’Europa è il sicuro perdente della battaglia ibrida finita fuori controllo. Non ha inciso nel governo razionale degli equilibri geopolitici del dopo Guerra fredda e ha rinunciato in maniera preventiva a qualsiasi iniziativa politica destandosi a duello ormai scoppiato. La scelta di accelerare i tempi, per tramutare senza più infingimenti un conflitto per procura in un coinvolgimento ancora più diretto nel fuoco, è nient’altro che il certificato di un suicidio storico dell’Europa. La sterilità delle sue antiche culture politiche affiora nitidamente sugli elmetti allacciati con largo anticipo dai leader della sinistra, che aspirano ad essere le prime linee nella difesa della democrazia sotto tiro. I costi sociali ed umani dell’economia di guerra potrebbero però consegnare il potere proprio alle formazioni illiberali attratte per loro intima convinzione dal verbo putiniano di tradizione, sacro e “democrazia sovrana”. Che dopo Colle Oppio anche in Francia la destra radicale abbia per motivi di pura opportunità afferrato il vangelo atlantico, non cambia i timori di una Europa imbrunita. In un Vecchio continente sempre più tinto di nero, da Roma a Stoccolma, da Budapest a Parigi, il chiacchiericcio sulla libertà in pericolo per l’assedio di Kiev si dileguerà. Con il trionfo dei partiti che guardano alle democrature, i quali troveranno altro alimento dalle possibili brutte notizie provenienti dalle presidenziali di novembre, lo scacco sarà definitivo. Invece di perdersi dietro il “chissene-frega” di una statista per caso, la sinistra dovrebbe dichiarare che il problema principale, quello che fa la differenza nell’agenda elettorale, è ricercare una soluzione negoziale alla crisi in atto. Una sinistra che non sa recuperare il mito dell’Europa nata per l’appunto come un grande progetto di pace si barcamena tra frasi insensate che la conducono vicino all’oblio. Le regole valgono per tutti? Il senso dell’accusa della Corte penale internazionale di Franco Monaco Il Domani, 30 maggio 2024 Se gli Stati Uniti e la Ue non dessero peso alla iniziativa della Corte penale internazionale passerebbe il principio che le regole non valgono per tutti; che, nell’arena internazionale, vige incontrastata la legge del più forte. È innegabile che la decisione del procuratore capo della Corte penale internazionale dell’Aja di chiedere l’emissione di un mandato di cattura per i leader di Israele rappresenti una notizia. Mai lo si è fatto in passato per capi di stato o di governo di paesi democratici. Di più: semmai, in passato, si è criticata la Cpi per essersi occupata quasi esclusivamente di autocrati e dittatori, soprattutto africani. Nonché dei boia dei Balcani e, recentissimamente, di Putin. La Corte giudica le persone e non gli stati, come nel caso, distinto, ma sempre inerente a Israele per sospetto genocidio del popolo palestinese a Gaza, della Corte di giustizia internazionale. Sia chiaro: allo stato, in entrambi i casi, si tratta di ipotesi accusatorie sulle quali le due diverse Corti dovranno pronunciarsi. Trattandosi oggettivamente di una notizia di rilievo, non sorprende che ne sia sortita una vivace discussione. Richiamo qui tre obiezioni. La prima sul profilo del procuratore Khan. In verità unanimemente considerato serio e affidabile, di formazione anglosassone, a suo tempo apprezzato anche da Usa e Israele. Per Bonino, certo non sospetta di insensibilità per le ragioni di Israele, “un ottimo presidente”, che, come accennato, ha avanzato una richiesta di arresto per Putin. Subendo minacce. Seconda obiezione: l’impropria equiparazione tra Hamas e lo Stato democratico di Israele. Non è così: i fatti (accertati da un pool di esimi giuristi), le ipotesi di reato, ovvero crimini di guerra e contro l’umanità a essi imputati, sono fattispecie diverse. Nel caso di Netanyahu: avere affamato la gente di Gaza come azione di guerra, omicidi e strage di civili. Come si è detto, il giudizio si appunta sulle persone, non sulla natura giuridica dell’ente da esse rappresentate. Compito della Cpi è applicare le norme del diritto internazionale a fatti accertati. Terza obiezione: la preoccupazione che l’iniziativa della Cpi non giovi, ma, al contrario, nuoccia ai fini di una composizione politica del conflitto, come dimostrerebbero da un lato la reazione sdegnata, corale e unitaria, del governo israeliano (notoriamente diviso sulla conduzione del conflitto e a valle di esso), dall’altro la risposta altrettanto reattiva e polemica degli Usa, nonostante la nota divergenza con la politica di Netanyahu. Domando: è ragione sufficiente per accedere all’idea che il diritto e chi lo presidia debbano piegarsi alle ragioni della politica? Un interrogativo familiare a certe dispute minori di casa nostra su politica e giustizia. Al riguardo merita fare memoria dell’atto fondativo della Cpi, ovvero lo statuto di Roma del 1998, alla cui stesura cooperò la stessa Bonino. Nel solco dell’esperienza dei tribunali di Norimberga e di Tokyo, la sua ragione sociale stava e sta appunto nella scommessa del diritto internazionale umanitario, nell’aspirazione ad applicare alla comunità internazionale il principio-cardine dello Stato di diritto, cioè l’idea che la forza del diritto debba prevalere sul diritto della forza. Significativa la circostanza che l’atto costitutivo della Cpi sia stato ratificato da ben 123 paesi. Altrettanto significativo che non lo abbiano sottoscritto Usa, Russia, Cina, India, Turchia, Israele, Pakistan. Non è difficile arguire il perché: l’indisponibilità ad accettare che vi sia chi possa sindacare sulle proprie azioni oltreconfine. Ha ragione Vladimiro Zagrebelsky: se gli Stati e la Ue non dessero peso alla iniziativa della Cpi, “il sistema internazionale di giustizia verrebbe messo nel nulla”; passerebbe il principio che le regole non valgono per tutti; che, nell’arena internazionale, vige incontrastata la legge del più forte. Subirebbe un colpo mortale la speranza che il lento ma prezioso sviluppo di istituzioni sovranazionali terze ed equanimi possa almeno arginare la logica hobbesiana dell’”homo homini lupus”. Apprendiamo che addirittura gli Usa, che non la riconoscono, potrebbero comminare sanzioni alla Cpi. Sarebbe la sconfitta della base stessa del costituzionalismo liberale e dell’universalismo dei diritti, nonché un attestato dei doppi o tripli standard; dell’ipocrisia con la quale opponiamo la superiorità delle democrazie occidentali rispetto ai regimi autoritari. A ben riflettere, quando giustamente si contesta l’asserita, impropria equiparazione tra lo stato democratico di Israele e la formazione politico-terroristica di Hamas, coerentemente si dovrebbe concludere che proprio i principi basici delle democrazie costituzionali autorizzano a essere con esse più esigenti. Sugli standard adottati dentro e fuori dei loro confini. Ucraina. Detenuti torturati nelle colonie penali: incriminati quattro funzionari di Daniele Zaccaria Il Dubbio, 30 maggio 2024 L’Ufficio investigativo statale dell’Ucraina (Dbr) ha scoperto un sistema su larga scala di tortura dei detenuti nelle colonie penali del Paese. Secondo quanto si legge sul canale Telegram del Dbr, i dipendenti dell’Ufficio investigativo hanno denunciato numerosi episodi di tortura di prigionieri in diverse regioni dell’Ucraina. “Quattro funzionari dell’istituto statale Colonia correzionale di Bozhkov n. 16 sono stati incriminati e rischiano fino a dieci anni di carcere. Nel corso delle indagini sono emersi numerosi fatti di abusi e percosse nei confronti di persone che scontavano condanne nelle colonie”. Dall’indagine sarebbe emerso che le vittime dei criminali erano quasi tutti coloro che entravano nella colonia. I nuovi arrivati ??venivano minacciati di essere sistemati tra i detenuti più pervertiti e “venivano picchiati fino a spezzare la loro volontà, costringendoli ad obbedire a qualsiasi ordine senza fare domande. Attualmente si indaga anche su casi di morte per percosse”, si legge nella nota. Procedure rigorose - Gli inquirenti hanno stabilito, in particolare, “che dal momento dell’arrivo nella colonia, ciascuno dei detenuti veniva sottoposto ad una rigorosa procedura di accoglienza, durante la quale i nuovi arrivati ??venivano costretti a pulire il pavimento davanti ad una telecamera. Se si rifiutavano, venivano picchiati con pugni, calci, manganelli e bastoni in varie parti del corpo, gli venivano torte le mani, ecc. Almeno uno dei condannati ha ricevuto più di 200 colpi”. A disposizione delle indagini ci sono anche dei file video in cui sono stati registrati i fatti, come ad esempio un caso in cui sono state inflitte gravi lesioni personali ad uno dei prigionieri appena arrivati ????della colonia correzionale di Bozhkov. “L’esame del video ne ha confermato l’autenticità e il filmato è stato aggiunto agli atti come una prova delle azioni illegali degli agenti in servizio presso la colonia penale. I materiali contengono anche altri fatti di tortura in questo e in altri istituti correzionali, che sono attualmente oggetto di verifica”, si legge sul canale Quattro funzionari dell’istituto statale Colonia correzionale di Bozhkov (n. 16) sono stati accusati in base alla seconda parte dell’articolo 127 (tortura) del codice penale dell’Ucraina, un reato punibile con la detenzione fino a dieci anni. Al momento è in corso d’esame la decisione sull’eventuale carcerazione preventiva per i sospettati mentre gli inquirenti sono al lavoro per accertare altri fatti di tortura e raccogliere prove sul ??coinvolgimento di altri funzionari della colonia, compreso il personale dirigente. Indagini sono in corso anche presso l’ufficio dell’amministrazione interregionale del Nord-Est del Servizio esecutivo penale dello Stato - l’amministrazione penitenziaria ucraina - e del capo di questa istituzione. Oltre alle informazioni sulla possibile organizzazione di un sistema di estorsione e di abusi negli istituti di pena, le indagini riguardano anche il possesso di beni che superano significativamente il reddito dei funzionari in questione: appartamenti, uffici, auto di lusso ecc. La ??gestione del procedimento è affidata all’Ufficio del Procuratore generale dell’Ucraina. Hong Kong. Vietato parlare di democrazia: condannati 14 attivisti di Daniele Zaccaria Il Dubbio, 30 maggio 2024 La legge imposta da Pechino nel 2020 al culmine di intense e talvolta violente proteste ha permesso di incriminare per sovversione 47 persone. Alcune ora rischiano l’ergastolo. Un tribunale di Hong Kong ha giudicato colpevoli di sovversione 14 attivisti pro-democrazia nel più imponente processo montato contro l’opposizione da quando la Cina ha imposto una legge sulla sicurezza nazionale per reprimere il dissenso. I 14, insieme ad altri 31 che si erano dichiarati colpevoli in apertura del procedimento, rischiano l’ergastolo, anche se la sentenza non è prevista a breve. La legge imposta da Pechino nel 2020 al culmine di intense e talvolta violente proteste a favore della democrazia ha permesso di incriminare per sovversione 47 persone appartenenti a un ampio segmento della società, accusandole di attività politiche volte a far cadere il governo. Sedici imputati - tra cui attivisti, ex parlamentari e consiglieri distrettuali - si erano proclamati non colpevoli e oggi il giudice Andrew Chan ne ha dichiarati colpevoli 14. Due ex consiglieri distrettuali sono stati giudicati non colpevoli. Nella sentenza la corte afferma che i 14 avevano pianificato di minare “il potere e l’autorità sia del governo che del capo dell’esecutivo per creare una crisi costituzionale a Hong Kong”. Il processo si è svolto senza giuria e i giudici sono stati scelti da un pool di giuristi selezionati personalmente dal leader di Hong Kong. I 31 che si erano dichiarati colpevoli lo avevano fatto sperando in sentenze clementi. Lawrence Lau, uno degli imputati giudicati non colpevoli, ha assicurati che continuerà a sostenere il resto del gruppo. “Spero che tutti continuino a preoccuparsi per i nostri amici coinvolti in questo caso”, ha detto. Secondo l’accusa, i 47 imputati avevano cospirato per sovvertire il potere statale organizzando elezioni primarie non ufficiali, come parte del loro piano per formare una maggioranza nella legislatura al fine di porre il veto sui bilanci governativi e costringere la leadership ad accogliere le richieste avanzate dai manifestanti nel 2019 e, infine, a dimettersi.