Caldo, assenza di attività, sovraffollamento: l’estate in carcere è un inferno di Federica Delogu e Marika Ikonomu Il Domani, 22 luglio 2024 Da metà luglio i penitenziari si svuotano, tra le ferie di personale e avvocati, la fine della scuola e delle attività. Il caldo insopportabile senza mezzi per alleviarlo porta all’aumento di eventi critici. Un’emergenza umanitaria. D’estate, la pena non va in vacanza, ma aumenta, si amplifica. Il tempo si dilata e lo spazio si restringe. La mancanza di attività e impegni durante la giornata obbliga a trascorrere più tempo in cella, e dunque quegli spazi già stretti si fanno più affollati di persone, che non sanno come occupare la giornata. Claudio Bottan ha attraversato nove penitenziari ma nella sua mente, racconta a Domani, “sono diventati un unico carcere” e il denominatore comune è l’estate, “deserto di presenze e di attività”. Dal 22 giugno Bottan è completamente libero e dedica il suo tempo a raccontare e denunciare il sistema carcere, dopo aver scontato sei anni e mezzo di reclusione e la misura alternativa dell’affidamento in prova. Era stato condannato complessivamente a 13 anni e 8 mesi. Se all’inizio della detenzione non accettava la condizione in cui si trovava, ha poi cercato di dare un senso alla pena, aiutando gli altri reclusi, soprattutto stranieri, a scrivere istanze e dialogare con l’esterno. Un’attività disturbante per l’amministrazione penitenziaria, spiega Bottan, che lo ha portato a diversi periodi di isolamento e a numerosi trasferimenti. Il vuoto - “Il tour delle prigioni alla fine mi ha riportato alla prima casella del giro dell’oca”, spiega, “al carcere di Busto Arsizio”, dove ha partecipato all’attività del giornale dell’istituto, che gli ha permesso di ottenere la misura alternativa. Per il resto, non riesce più a collocare geograficamente i penitenziari in cui è stato, perché le giornate si ripetono come fotocopie e nel periodo estivo si perdono anche le poche relazioni e i punti di riferimento che si hanno: non c’è più la scuola, non entrano più i volontari, gli avvocati vanno in ferie, così il personale. In questi mesi si riduce fortemente la presenza di agenti di polizia penitenziaria, già sotto organico nei periodi ordinari: il rapporto detenuti agenti è infatti pari a 1,8 secondo il rapporto dell’associazione Antigone del 2024, a fronte di una previsione di 1,5. Lo stesso avviene con gli educatori che, secondo i dati di Antigone, hanno in carico in media 65 detenuti a testa, ma in alcuni casi un singolo educatore prende in carico quasi 200 persone. O addirittura, nella casa circondariale di Trani, il rapporto è uno a 379. Tutto si ferma e si svuota, quindi. “Dalla metà di luglio in poi diventa un inferno”, dice Bottan, “senza interlocutori e con il caldo che non fa altro che aumentare la tensione, il disagio e gli atti di autolesionismo. Si amplifica il dolore”. Se durante l’anno la scansione del tempo è data da diverse attività, nel periodo estivo “l’ozio diventa un macigno” e si rinuncia persino alla finestra di tempo concessa all’aria aperta. Continua Bottan: “I cortili sono vasche di cemento e diventano insopportabili. Non si respira più, non c’è un filo di ombra”. E spesso le persone più anziane non escono più fino a settembre. Sovraffollamento - Secondo i dati del ministero della Giustizia, aggiornati al 30 giugno 2024, i detenuti presenti nelle carceri italiane sono 61.480 a fronte di una capienza regolamentare di 51.234. Oltre diecimila persone in più. Ma il numero di posti effettivamente disponibili, al netto di quelli inutilizzabili per necessità di interventi di ristrutturazione, è sensibilmente inferiore e porta il tasso di affollamento al 135 per cento circa, scrive Antigone nel commento al decreto Carceri. In alcuni istituti poi raggiunge livelli drammatici, come Brescia, dove si supera il 210 per cento o Regina Coeli a Roma, che ha raggiunto il 180 per cento. E il decreto voluto dal ministro della Giustizia Carlo Nordio per affrontare l’emergenza dei penitenziari, ora in conversione al Senato - segnala Antigone - prevede “interventi minimali”, che non sono “minimamente risolutivi”. “Celle sovraffollate, con 40 gradi senza un filo d’aria, dove si deve convivere forzatamente con altri corpi, che hanno bisogni, esigenze, abitudini proprie”, dice Bottan, che ricorda un’estate nel carcere di Rebibbia trascorsa in sei in una cella pensata per quattro. Ma la parola sovraffollamento, sottolinea, non è sufficiente. “Il sovraffollamento è quello che vediamo sulle spiagge, al supermercato o in discoteca. Bisognerebbe trovare altre parole per descriverlo, anche per non anestetizzare il dialogo”. È piuttosto “un accatastamento di corpi”. 40 gradi in cella - E poi c’è il caldo. Nelle celle del carcere di Cagliari qualche giorno fa il termometro segnava 43 gradi, ha denunciato la garante regionale delle persone private della libertà, Irene Testa. “Siamo davanti a un’emergenza umanitaria che è a un punto di non ritorno”, ha dichiarato. A Lecce ne facevano 38. Il caldo in carcere diventa ancor più insopportabile perché i mezzi per affrontarlo sono più difficili da trovare. “A casa possiamo aprire la finestra, accendere il ventilatore o addirittura il condizionatore”, racconta Bottan, “in carcere tutto questo è un miraggio. Si passano le giornate andando a rinfrescarsi sotto la doccia, bagnando i vestiti per poi rimetterseli addosso. In alcuni istituti in cui sono stato, si allagava il pavimento della cella per avere refrigerio o si faceva scorrere ininterrottamente l’acqua del lavandino per raffreddare le bottiglie. Si fa un gran uso di acqua, ma sono soluzioni di emergenza”. E alcune strutture hanno problemi di approvvigionamento di acqua. Nelle celle poi non ci sono frigoriferi, in alcuni istituti si trovano quelli condivisi per sezione, ma spesso non sono sufficienti. “L’aria condizionata non esiste nelle celle, né negli uffici”, spiega Alessio Scandurra, Coordinatore dell’osservatorio nazionale sulle condizioni di detenzione di Antigone. Anche acquistare un ventilatore, per chi può permetterselo, non è semplice. “Non è un bene autorizzato - aggiunge - quindi deve essere inserito nel catalogo della ditta che gestisce il sopravvitto, l’insieme di prodotti che le persone detenute possono comprare”. In carcere, però, non può entrare un ventilatore qualunque, prosegue Scandurra, “deve avere alcune caratteristiche decise dal ministero. E tutto ciò, la scorsa estate, ha comportato problemi perché non tutti gli istituti trovavano i modelli consentiti”. Spesso l’unica soluzione resta quella di ingegnarsi con quello che si ha. “Aprire e chiudere la finestra in uno spazio piccolo non è sempre agevole, perché spesso significa dover spostare il letto. In alcuni istituti, d’accordo con la direzione, le finestre vengono smontate”. Ma le finestre in carcere non sono tutte uguali. “In alcuni casi hanno solo le sbarre, in altri ci sono delle reti metalliche pensate per impedire il passaggio di oggetti, che di fatto ostacolano anche il passaggio dell’aria, e dunque in quel caso aprire la finestra non basta”, precisa il coordinatore. In alcune situazioni invece i detenuti fanno richiesta di apertura della porta blindata durante la notte, per permettere all’aria di circolare attraverso la seconda porta, una sorta di cancello con le sbarre. Ma molti istituti, in particolare quelli più vecchi, hanno una porta unica che non può essere lasciata aperta: “Questo accade anche in alcuni istituti minorili perché i minori non avrebbero dovuto trascorrere il tempo in cella. Poi, di fatto, si ritrovano con una porta d’acciaio chiusa e solo una piccola finestra”, aggiunge. Il caldo toglie il sonno. Si aggiungono il tempo vuoto, gli spazi ristretti, la convivenza forzata. È un periodo in cui aumentano i disturbi legati all’ansia, accentuati dalla temperatura e dal cambiamento della routine. “La solitudine si fa sentire”, dice il coordinatore. Nel 2024 nelle carceri italiane ci sono stati 58 suicidi, un numero enorme che in momenti di maggiore fragilità come quello estivo rischia di diventare ancora più drammatico. Non solo è un periodo con un rischio più alto di atti di autolesionismo, evidenzia Scandurra, ma è anche più difficile che il personale o gli altri detenuti si accorgano in tempo di alcuni segnali allarmanti. “Se una sezione è viva è più facile accorgersi dei campanelli d’allarme”, conclude, “mentre nella desolazione è più difficile accorgersi, ad esempio, che una persona non si alza dal letto, perché è quello che fanno tutti”. Suicidi in carcere: una catastrofe umana, sociale e politica di Fabio Viglione L’Identità, 22 luglio 2024 L’attuale situazione delle carceri italiane non può non essere posta al centro di una riflessione urgente ed accompagnata dall’assunzione di provvedimenti immediati. È quello che chiedono a gran voce i penalisti italiani sottolineando il dato sconcertante relativo ai suicidi nelle carceri, in costante aumento. L’Unione Camere Penali ha dato vita ad un’iniziativa di sensibilizzazione sull’intero territorio nazionale oltre ad aver proclamato tre giorni di astensione dalle attività giudiziarie, nei giorni 10, 11 e 12 luglio. Una maratona oratoria, organizzata nei luoghi pubblici in tante città italiane, ha dato sostanza all’iniziativa che ha puntato sul coinvolgimento della comunità per evitare di confinarsi in angusti ambiti settoriali dove l’ascolto rischia di essere riservato agli “addetti ai lavori”. È importante sensibilizzare la comunità e raggiungere anche persone distanti per “dar voce a chi non ha voce”. La Comunità non può rimanere estranea al dibattito e, per consentire profondità allo stesso, alla conoscenza. Solo la conoscenza effettiva stimola un piano di reale presa di coscienza e di sensibilizzazione. Un giro di chiave ed una porta in ferro che si chiude “al mondo dei liberi” non possono farci pensare che il problema non ci riguardi. C’è un mondo, quando si chiude l’accertamento processuale, che merita attenzione. C’è un’umanità. I dati sul sovraffollamento cronico sono un pugno nello stomaco. Una vera piaga che ciclicamente torna a manifestarsi rallentando il percorso di riabilitazione che non può che essere il vero obiettivo cui deve tendere la pena, anche in ottica costituzionale. La carenza di spazi adeguati, poi, incide sulle condizioni di vita del detenuto e finisce per frustrare la funzione più dinamica della sanzione. Così, risocializzazione, reinserimento, rieducazione, finiscono per diventare parole vuote. Concetti troppe volte abusati, sempre evocati nei dibattiti ma privi di rapporto con la quotidianità della vita carceraria. Soprattutto nello scarto tra le buone intenzioni e la fredda realtà. E tanto, anche a fronte di esempi virtuosi che molti operatori del settore ci offrono nella difficile quotidianità di lavoro. Anche il loro lavoro si svolge in condizioni di addizionale disagio proprio con riferimento alla capienza delle strutture. Attualmente nelle strutture ci sono 10.000 persone in più di quelle che potrebbero essere ospitate seguendo i parametri di vivibilità consona agli standard di spazio e vivibilità imposti anche dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Questa grave criticità si ripercuote anche sugli operatori interni, sul personale addetto, sulla polizia penitenziaria su tutti coloro che sono chiamati a svolgere le loro delicate attività nell’ambito degli istituti. Si crea così un ostacolo alle più virtuose prospettive cura e di fruizione dei programmi individuali e collettivi di positiva socializzazione all’interno degli spazi chiamati ad ospitare i detenuti. Dalle cure sanitarie alla sorveglianza, all’assistenza in generale nei molteplici aspetti. Il sovraffollamento è tossico, crea invivibilità, frustrazione, disperazione e mina il percorso che faticosamente proprio le strutture ed il personale sono chiamati ad offrire nella quotidiana dimensione di una pena che si rifletta nella funzione risocializzante. Ed è in questa situazione di oggettiva criticità, che investe gran parte degli istituti, balzano agli occhi prepotentemente i dati relativi ai suicidi che si registrano nelle carceri. Sono proprio questi dati ad aver rappresentato il punto di crisi sul quale l’iniziativa dei penalisti si è meritoriamente inserita nella sensibilizzazione della drammatica tematica sulla quale ha richiamato, con appassionato impegno, l’attenzione della comunità. Sono dati che, probabilmente, al di fuori dell’ambito di riferimento, in tanti non conoscono. I suicidi nelle carceri sono dieci volte maggiori rispetto al tasso medio dei suicidi delle persone in libertà. Ad oggi, sono 58 i detenuti che si sono tolti la vita nel 2024. E siamo a luglio. In media, ogni quattro giorni, un detenuto si toglie la vita. Un numero davvero impressionante che deve farci riflettere. E dovrebbe farci soffrire, oltre che riflettere, non può lasciarci indifferenti. In tanti, in troppi, si tolgono la vita all’interno delle strutture. Sono i gesti estremi che pongono fine ad una esistenza, spesso molto giovane, nella disperazione che diventa, evidentemente, insopportabile. Diventa una soluzione estrema quando il buio si impadronisce della vita e si perde ogni orizzonte di speranza. Senza contare poi, i tentativi di suicidio e gli atti di autolesionismo che si registrano con grande frequenza. Non è più possibile non guardare a la drammatica realtà. Un sistema che non riesce a dare risposte immediate a questa terribile emergenza non è accettabile. Servono interventi immediati, tangibili, efficaci e non “pannicelli caldi”. Le strutture devono consentire al detenuto di riabilitarsi e non possono rappresentare luoghi di sofferenza e di disperazione all’interno dei quali non sia valorizzata nel percorso riabilitativo la centralità dell’uomo. La centralità della persona. Una persona che ha perso sì la libertà - ed è affidata alle cure dello Stato per scontare la pena o in attesa di giudizio - ma mai può perdere la dignità o può diventare, per i motivi più disparati, soggetto passivo di trattamenti degradanti. La legalità vince contro l’illegalità proprio se il rispetto delle regole e la punizione sono in grado di mostrare un volto umano, credibile e rispettoso dei diritti. Con declinazioni diverse, diritto alla salute fisica, psichica ed alla socialità. Una socialità virtuosa che gioca un ruolo fondamentale nel percorso. Le condizioni minime per intraprendere o continuare un itinerario riabilitativo passano inevitabilmente dal diritto effettivo di poter avere spazi adeguati nei quali trascorrere la giornata. Ed è lunga la giornata quando si è privati della libertà e finisce per complicarsi anche l’espletamento di quotidiane attività ordinarie. Non è possibile pensare ad una sorta di extraterritorialità degli istituti carcerari nei quali per inefficienze croniche dello Stato si assista ad una sospensione delle garanzie fondamentali della persona che partono proprio dal rispetto della sua dignità di uomo. In queste condizioni, i più fragili, i più bisognosi di cure ed attenzioni costanti finiscono per abbandonarsi alla disperazione. È il momento di dire basta. Lo impone la coscienza individuale e collettiva, lo impone il rispetto della Costituzione, lo chiedono, in silenzio, le migliaia di persone che vivono oltre un cancello che non può rappresentare il vuoto delle Colonne d’Ercole che dividono i due mondi. Pensare a quelle celle affollate, a quegli spazi angusti, a quel disagio quotidiano ed a quella afflizione credo sia un dovere per chi si batte per la legalità, per il rispetto delle regole, per lo stato di diritto. Non può essere un dolore circoscritto alle famiglie dei detenuti. Ora è tempo di dar forma a provvedimenti immediati ed efficaci. Non è più tempo delle contrapposizioni di bandiera su questi temi o delle dissertazioni accademiche. Ora serve un cambio di rotta ed una chiara volontà di intervenire con urgenza. Ci auguriamo che la politica sappia farsi carico di questa emergenza ponendola tra le priorità d’agenda e le istituzioni sappiano adottare provvedimenti immediati. Emergenza carceri: cresce il coro dell’indignazione di Fernanda Fraioli Gazzetta del Mezzogiorno, 22 luglio 2024 Il problema delle carceri non è nuovo, ma ora si registrano interventi da svariati punti di osservazione. Per tutti, l’analisi delle persone detenute condannate presenti per pena inflitta e pena residua, suddivisa per Regioni (in numero di 45.518, più 15.728 unità tra in attesa di primo giudizio, gli appellanti, i ricorrenti, con mista senza definitivo e internati); l’analisi dei dati ed il loro impatto sul sistema penitenziario anche ai fini delle misure adottabili (atteso l’indice di affollamento del 130,44% dovuto anche al numero degli ingressi nel corso dell’anno ben superiore alle uscite); l’analisi dei suicidi (in aumento, essendosene registrati n. 54 a fronte dei 37 dell’anno precedente); del costo medio giornaliero per ogni detenuto, conteggiato in € 157,00; l’analisi degli eventi critici (tra i quali 184 casi di autolesionismo e 457 invii urgenti in ospedale). Non va meglio nei servizi minorili dove l’indice di sovraffollamento raggiunge il 95,83 %. I dati - tutti aggiornati al 14 luglio scorso, dall’Autorità Garante Nazionale presieduta dal prof. D’Ettore - sono oltremodo significativi, in numeri, di quanto discorsivamente esposto da giudici, avvocati, giornalisti. Qualche testata titola “Penalisti e magistrati uniti contro l’emergenza carceraria” significando che le Camere penali hanno manifestato a Roma per sensibilizzare governo ed opinione pubblica sui suicidi in carcere e sul sovraffollamento con parole di poco apprezzamento per il decreto Nordio, colpevole, per dirla col Presidente dei penalisti, di non prevedere alcuna soluzione immediata o di non dichiarare nulla, per dirla col Presidente dell’Anm. Qualche altra riporta il richiamo del Vescovo di Trieste allo Stato ad adempiere al medesimo obbligo che pretende dai detenuti: il rispetto delle leggi. Il presule, secondo cui “è un controsenso se lo Stato non rispetta le norme che regolamentano il carcere e i carcerati”, ha affrontato l’argomento ad ampio raggio - dal sovraffollamento, alla vulnerabilità psicologica del detenuto, alla necessità di impegnarsi in processi di riabilitazione-rieducazione - per chiedere una definitiva adeguatezza strutturale delle carceri ed assegnazione di personale a tutti i livelli. Sotto questo aspetto gli ha fatto eco il Procuratore Generale della Corte dei conti che in occasione del recentissimo Giudizio di Parifica del Rendiconto Generale dello Stato per l’anno 2023, nella propria relazione ha osservato che “quanto all’Amministrazione penitenziaria, si segnala la volontà di integrazione del personale, sempre in netto sottorganico, dovendosi evidenziare un ulteriore aumento del numero dei detenuti. Permane preoccupante, infatti, la situazione di sovraffollamento delle carceri con un trend in costante aumento. Si registra, inoltre, la presenza di detenuti in spazi disponibili, oltre la mobilia fissa, inferiori a 3 mq, dato questo non rinvenibile nei precedenti esercizi”. Aspetti che il Procuratore trae dalla giurisprudenza delle Corti superiori, nazionali ed europee, da cui emergono situazioni di violazione dei diritti delle persone soggette a pena e/o a misure di sicurezza accompagnate da rilevanti ritardi nelle prestazioni sanitarie, con particolare riguardo alle c.d. Rems, ovvero alle Residenze per l’esecuzione delle Misure di sicurezza, sottolineando “la problematicità del sistema delle liste d’attesa e della soluzione di attesa in carcere”. Quindi, auspica un adeguamento sulla base di tali indicazioni con l’ausilio di Ministero e Presidi sanitari per soddisfare i necessari interventi assistenziali. “In questo quadro”, ha continuato il Procuratore, “va posta attenzione al perseguimento delle condizioni di detenzione conformi ai diritti dell’uomo e ai principi di rieducazione della pena, rispetto alle quali i dati forniti in termini di sovraffollamento, offerta di istruzione e di lavoro, nonché di inadeguata tutela della salute fanno emergere l’esigenza di miglioramenti sostanziali”. Ddl Giachetti: il voto segreto alla Camera che può creare nuove crepe nella maggioranza di Emilio Pucci Il Messaggero, 22 luglio 2024 “Fibrillazione tra alleati”, FdI chiede un chiarimento. Nuovo fronte sulle carceri (che può dividere la maggioranza). Mercoledì approda nell’Aula della Camera la proposta di legge firmata dall’esponente renziano Roberto Giachetti che prevede di aumentare i giorni di liberazione anticipata, previsti dall’ordinamento penitenziario, da 45 a 75 per quei detenuti che in passato l’abbiano già ricevuta per il loro buon comportamento e di riformare l’articolo 54 della legge 354/75 sulla liberazione anticipata con l’aumento da 45 a 60 giorni con una semplificazione della procedura di concessione. Forza Italia punta a distinguersi dagli altri compagni di strada della maggioranza: domani ci sarà una riunione del partito azzurro per decidere il da farsi ma l’obiettivo è mandare un segnale per fronteggiare l’emergenza suicidi negli istituti penitenziari. I fari sono puntati soprattutto a Montecitorio. Oggi partirà la lettera del capogruppo di Italia viva, Davide Faraone, indirizzata alla presidenza della Camera, nella quale si chiederà il voto segreto sulla proposta di legge. Sarà il presidente Lorenzo Fontana a decidere ma la prassi parlamentare presuppone che la richiesta venga concessa, considerato che riguarda le libertà personali. Lo scrutinio segreto sugli emendamenti e sul voto finale della legge Giachetti potrebbe diventare una trappola per la maggioranza. Molti deputati della Lega e di Fratelli d’Italia sono pronti a smarcarsi dalla linea dei vertici dei partiti e anche una parte del Movimento 5 stelle potrebbe fare da sponda. Pd e Terzo Polo non aspettano altro ma ad essere attenzionata è Forza Italia che rappresenta l’ago della bilancia nella partita dei numeri in Aula. L’azzurro Pietro Pittalis ha presentato una modifica alla proposta di legge per cercare una mediazione. “Al condannato a pena detentiva è riconosciuta una detrazione di sessanta giorni per ogni singolo semestre di pena scontata. A tal fine è valutato anche il periodo trascorso in stato di custodia cautelare o di detenzione domiciliare”, si legge nell’emendamento che esclude la liberazione anticipata per alcuni reati, come quelli per mafia, terrorismo e violenza contro le donne. Si prevedono anche procedure più celeri. “Il dl carceri - sottolinea il deputato azzurro - va benissimo, è un intervento organico ma ci vorrà del tempo per la realizzazione delle misure, qui si tenta di agire nell’immediato”. Il fatto è che Fratelli d’Italia ritiene che il decreto di Nordio sia sufficiente a risolvere il problema delle carceri, anche se in un primo momento aveva lanciato segnali di apertura. Anche la Lega chiude, proporrà un criterio di progressività, per la serie più il detenuto si comporta bene più viene premiato, ma il voto segreto potrebbe cambiare lo scenario tanto che è già pronta la contromossa, ovvero il rinvio della proposta in Commissione. “In quel caso - sottolineano i partiti che spingono sulla legge - faremmo casino in Aula, anche se siamo convinti che il M5S e Forza Italia si opporrebbero a questa strategia”. Insomma, nel rush finale dei lavori parlamentari prima della pausa estiva, sul dossier sulla giustizia ci potrebbero essere delle crepe tra le forze che sostengono l’esecutivo. “Il centrodestra - spiega un’altra fonte di Forza Italia - non può essere una caserma, Lega e Fdi non possono dettare sempre l’agenda”. Meno complicata la situazione a palazzo Madama, anche se sul dl carceri sempre il partito azzurro, con la firma del senatore Pierantonio Zanettin, ha presentato degli emendamenti per fronteggiare il problema del sovraffollamento delle carceri. Il decreto legge licenziato dal governo modifica infatti la procedura di applicazione della liberazione anticipata senza toccare l’entità dello sconto di pena, che resta fissato in 45 giorni ogni sei mesi di detenzione espiata. “Possono essere espiate in regime di semilibertà le pene detentive, anche residue, non superiori a quattro anni”, una delle richieste. I forzisti puntano inoltre alla detenzione domiciliare “per il condannato di età pari o superiore ai settanta anni” e per “gravi motivi di salute”. C’è inoltre la questione delle detenute madri: Forza Italia, tramite il capogruppo Maurizio Gasparri, si dice pronta a discutere la norma che vieta la permanenza in carcere dei bambini al di sotto dei 3 anni. L’AIGA: dopo il decreto legge “carcere sicuro” resta l’emergenza di Rosa Colucci servicematica.com, 22 luglio 2024 Rimane alto, con un trend in preoccupante crescita, il numero di suicidi in carcere, complice anche l’arrivo del gran caldo che aggrava ancor di più una situazione già difficile tanto da determinare rivolte nelle carceri, con grave pericolo per l’incolumità anche degli agenti della polizia penitenziaria. Il recente DL n. 92/2024 “carcere sicuro”, pur positivo per alcuni aspetti, non porta con sé alcuna misura idonea ad incidere nell’immediato sul grave problema del sovraffollamento carcerario e dei suicidi dei detenuti. L’Associazione Italiana Giovani Avvocati accoglie con favore le misure del recente DL che determinano un incremento del numero di agenti di Polizia Penitenziaria, l’assunzione di nuovi Dirigenti Penitenziari e la previsione di una formazione specialistica per gli agenti penitenziari che operano nelle strutture minorili. Bene anche l’aumento del numero delle telefonate per i detenuti in un’ottica di maggior tutela dei diritti e dei rapporti familiari e lo “snellimento” previsto per la procedura di concessione della libertà anticipata pur ritenendo che - per affrontare l’emergenza del sovraffollamento - sarebbe necessario un intervento che preveda un aumento dei giorni di riduzione della pena per ogni semestre di detenzione. Si condivide anche l’istituzione dell’Albo delle Comunità e delle strutture disponibili all’accoglienza in regime di misure alternative di persone tossicodipendenti, quasi il 30% della popolazione carceraria, e di quelle prive di fissa dimora o risorse domiciliari esterne, con l’auspicio tuttavia che a ciò consegua un considerevole investimento di risorse per l’ampliamento di dette strutture ed il rafforzamento di quelle esistenti. Si manifestano, invece, forti perplessità per ciò che concerne il divieto di accesso ai programmi di giustizia riparativa ai detenuti al “41 bis”, in considerazione della direzione a cui la pena deve tendere con riferimento a tutte le tipologie di soggetti condannati. “Prendiamo atto con favore della volontà di intervenire ed affrontare l’emergenza carceraria, sottesa anche all’approvazione del D.L. n. 92/2024”, afferma il Presidente Nazionale Carlo Foglieni. “È tuttavia necessaria - precisa Foglieni - l’adozione di ulteriori misure che tengano conto dell’ampio numero di detenuti con fine pena inferiore ai due e ai tre anni, con la correlata necessità di modificare anche l’articolo 4 bis dell’Ordinamento Penitenziario, nonché di disposizioni che incidano significativamente sul procedimento per la concessione delle misure alternative alla detenzione”. “ “L’auspicio - conclude il responsabile dell’Osservatorio Nazionale Aiga sulle Carceri Mario Aiezza - è quello che si intervenga con una riforma organica dell’ordinamento penitenziario che preveda, tra l’altro, la semplificazione delle procedure davanti al magistrato di sorveglianza, la facilitazione del ricorso alle misure alternative, l’eliminazione di automatismi e preclusioni all’accesso ai benefici penitenziari, l’incentivazione della giustizia riparativa, l’incremento del lavoro intramurario ed esterno, la valorizzazione del volontariato, il riconoscimento del diritto all’affettività e degli altri diritti di rilevanza costituzionale, assicurando così effettività alla funzione rieducativa della pena”. Misure cautelari, scatta l’obbligo dell’interrogatorio preventivo di Guido Camera Il Sole 24 Ore, 22 luglio 2024 Ma l’applicazione è limitata al rischio di reiterazione di reati non gravi. Sarà effettiva tra due anni la decisione collegiale sulla custodia in carcere. Non c’è solo l’abrogazione del reato di abuso di ufficio nella riforma della giustizia penale approvata in via definitiva dalla Camera dei deputati lo scorso 9 luglio. La nuova legge contiene anche interventi strutturali in materia di misure cautelari personali. Si tratta dell’interrogatorio preventivo dell’indagato destinatario della richiesta del Pm di privazione della libertà personale e dell’attribuzione a un Gip collegiale, composto da tre giudici, delle decisioni riguardanti l’applicazione della custodia cautelare in carcere o di una misura di sicurezza detentiva. La prima novità, che diventa efficace contestualmente all’entrata in vigore della legge, estende a tutte le misure cautelari la regola già vigente per quella interdittivi della sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio. La seconda - con tutte le disposizioni di coordinamento a essa collegate - si applicherà tra due anni, per consentire l’implementazione dell’organico della magistratura contemporaneamente deliberato. L’obbligo per il giudice di interrogare l’indagato destinatario della richiesta di misura del Pm prima di deciderne l’esecuzione è circoscritto all’esigenza cautelare del pericolo di reiterazione dei reati, che deve essere “attuale e concreto”. Il modello procedimentale tradizionale - fondato sull’interrogatorio di garanzia successivo all’esecuzione della misura - non cambia in presenza di pericolo di fuga o inquinamento probatorio, oppure se il rischio di reiterazione riguarda “gravi delitti commessi con uso di armi o con altri mezzi di violenza personale”, nonché i reati indicati dagli articoli 407 comma 2 lettera a) o 362 comma 1-ter del Codice di procedura penale. Si tratta di un ampio catalogo di fattispecie, trai quali omicidio, violenza sessuale, stalking, maltrattamenti contro familiari o conviventi, criminalità organizzata, terrorismo, rapina, estorsione e reati in materia di stupefacenti. L’invito a presentarsi per rendere l’interrogatorio è comunicato al Pm, all’indagato e al suo difensore almeno cinque giorni prima del giorno fissato per la comparizione salvo che, per ragioni d’urgenza, il Gip ritenga di abbreviare il termine, purché sia lasciato il tempo necessario per comparire. Se l’indagato non compare senza legittimo impedimento, oppure non è stato rintracciato e le ricerche sono ritenute esaurienti, il Gip può comunque provvedere sulla richiesta del Pm. L’invito a comparire deve contenere una serie di avvertimenti, tra i quali quelli in materia di diritto di difesa, nonché l’avviso di deposito nella cancelleria della richiesta di applicazione della misura e degli atti presentati a corredo della stessa. L’indagato è inoltre informato della facoltà di visionare ed estrarre copia di tutti questi atti, tra i quali espressamente rientrano i verbali delle comunicazioni e conversazioni intercettate, e del diritto alla trasposizione delle relative registrazioni su un supporto idoneo alla riproduzione dei dati. La violazione di queste disposizioni comporta la nullità dell’ordinanza del Gip. L’interrogatorio deve essere documentato integralmente a pena di inutilizzabilità. Viene poi previsto che l’ordinanza del Gip che decide sulla richiesta del Pm debba contenere - sempre a pena di nullità - una specifica valutazione degli elementi esposti dall’indagato nell’interrogatorio, il cui verbale deve essere trasmesso al Tribunale del riesame se viene presentata impugnazione. L’altra novità rilevante contenuta nella riforma è l’introduzione dell’obbligo di decisione collegiale del Gip per i casi di custodia cautelare in carcere e misure di sicurezza detentiva. L’obiettivo è garantire maggiormente la presunzione di innocenza attraverso un confronto dialettico tra i tre componenti del collegio. La misura riguarderà tutti i reati, ma, come detto, non sarà vigente prima di due anni. L’obbligo di decisione collegiale scatterà anche in caso di un aggravamento della misura che comporti l’applicazione della custodia cautelare in carcere. Nel caso in cui la misura cautelare carceraria riguardi un reato per cui è previsto il nuovo obbligo di interrogatorio preventivo, questo sarà svolto dal presidente del collegio o da uno dei componenti da lui delegato. Bologna. Detenuto albanese di 48 anni ritrovato impiccato in cella di Enrico Barbetti Il Resto del Carlino, 22 luglio 2024 Il suicidio nella tarda mattinata di ieri: l’albanese di 48 anni era stato arrestato il 27 maggio. Ha atteso che il compagno andasse nella sala ricreativa, lasciandolo solo nella sua cella della sezione ordinaria della Dozza, e si è tolto la vita impiccandosi. È morto così, nella tarda mattinata di un’afosa domenica di luglio, Lul Zim Musta detto Luli, albanese di 48 anni. Quando gli agenti della polizia penitenziaria e il personale sanitario sono intervenuti non c’era già più nulla da fare. Il 48enne era in attesa di giudizio per tentato omicidio ed era finito in carcere il 27 maggio dopo avere accoltellato la titolare 66enne dell’Hotel “Il Gallo” di Castel San Pietro, dove l’albanese aveva in precedenza lavorato per un anno come tuttofare. L’ex dipendente all’improvviso l’aveva colpita con otto coltellate. Poi era rimasto sul posto, come inebetito, aspettando che i carabinieri giungessero ad ammanettarlo, aprendo bocca solo per sussurrare: “Mi hanno detto di farlo”. I fantasmi di una vita ai margini l’hanno accompagnato e tormentato fin dentro la sua cella, dove ieri si è consumato il tragico epilogo. “Si tratta del 58° suicidio di un detenuto dall’inizio dall’anno, cui bisogna aggiungere 2 omicidi e 63 decessi per altre cause, nonché 6 appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria che si sono tolti la vita. Insomma, ormai più che di carceri si rischia di dover parlare di camere mortuarie”, così Gennarino De Fazio, Segretario Generale della Uilpa Polizia Penitenziaria, commenta l’accaduto. Lo scorso 21 marzo alla Dozza si era tolta la vita una detenuta slovacca di 55 anni, inalando il gas della bomboletta per cucinare. Tre giorni dopo un’altra donna che aveva tentato di impiccarsi era stata salvata da un agente della polizia penitenziaria e altri operatori avevano sventato il suicidio di un uomo a inizio maggio. Uno stillicidio senza fine. Bologna. Morire nel silenzio delle istituzioni: neanche gli inutili “commenti del giorno dopo” di Vito Totire* labottegadelbarbieri.org, 22 luglio 2024 Vivere nel carcere della Dozza è di per sé un rischio suicidogeno. Secondo le cronache “trovato morto” pare per impiccagione; le cronache aggiungono “nella afa rovente della cella”; sembrerebbe di origini albanesi, anni 47, in attesa di giudizio, o entrato in carcere da poco; parlano del “caso” i sindacati della Polizia penitenziaria; al momento non risultano dichiarazioni da parte delle istituzioni. Da 24 anni circa, ogni sei mesi, a commento dei Rapporti semestrali sulle carceri di Bologna avanziamo proposte di bonifica e azioni di miglioramento che allevierebbero le sofferenze della popolazione privata della libertà: nel nostro ultimo commento (stiamo aspettando il rapporto relativo al primo semestre 2024) abbiamo preso atto della proposte della Ausl, su diverse questioni, tra cui quelle sulla drammatica situazione microclimatica e quelle sulla esclusione dell’uso delle bombolette di gas (il secondo mezzo suicidario utilizzato nelle carceri italiane). Stiamo dunque cercando di verificare cosa è accaduto dopo le indicazioni della Ausl; indicazioni che purtroppo non hanno il carattere vincolante di disposizioni/prescrizioni: ed è questo uno dei nodi che occorre affrontare con urgenza salvo l’intervento emergenziale e più rapido dei sindaci nella loro veste di autorità sanitaria locale (nelle more appunto di una “puntualizzazione” delle procedure in sede legislativa). Abbiamo più volte indicato la misura idonea per la Dozza: demolizione. Le nostre proposte (pubblicate dalla rivista Voci Di Dentro) e le nostre reiterate richieste di avviare una istruttoria pubblica comunale sulla questione del carcere sono state ignorate dalle istituzioni. Ovviamente non esiste solo un problema di microclima fisico ma esistono numerosi altri fattori di rischio suicidogeno e per la salute in generale sui quali ci siamo più volte soffermati ; su questo ultimo tragico evento vogliamo avviare una indagine popolare e facciamo appello alle persone private della libertà ma anche agli “onesti” di qualunque collocazione sociale e soprattutto ad amici e familiari, di raccogliere e darci informazioni su quanto accaduto : cosa si è fatto per la prevenzione, se ci sono stati segni premonitori della condotta (è sempre prudente parlare di condotta “asserita” , come è stato condotto il monitoraggio del rischio suicidario, infine se pur valutando il tipo di accusa non fossero possibili misure alternative; certo una persona privata della libertà di origini albanesi accumula diversi fattori di rischio in termini di solitudine e mancanza di supporto socio-familiare e infatti, come per tanti altri, le cronache dicono come fosse un pacco: “trovato” morto. *Medico psichiatra, componente del “Gruppo auto-aiuto carceri” Roma. Regina Coeli, dopo la protesta per via del caldo trasferiti trenta detenuti di Ilaria Sacchettoni Corriere della Sera, 22 luglio 2024 Tra venerdì e sabato i detenuti della sesta sezione hanno rifiutato di rientrare nelle celle bollenti. A un passo dalla rivolta l’amministrazione penitenziaria di Regina Coeli sceglie la soluzione d’emergenza e trasferisce una trentina di detenuti dalla quarta sezione in altri istituti. In assenza di veri investimenti che garantiscano condizioni di vita umanamente dignitose (e temperature accettabili) vince la soluzione “fai da te”. Un trasferimento volto ad allentare la pressione su reparti in sofferenza, abbandono e, soprattutto, invivibili per via dei 40 gradi che soffocano la città. In questo modo si è ritenuto di disinnescare la polveriera - carcere, con proteste diffuse, minacce di dar fuoco agli arredi, disobbedienza generalizzata. Tra venerdì e sabato i detenuti della sesta sezione hanno rifiutato di rientrare nelle celle bollenti. Quindi hanno bruciato materassi e spaccato tavolini (per ricavarne spranghe con le quali minacciare gli agenti). Per poco la contestazione non ha contagiato altre sezioni. Va precisato, però, che qualcuno ha scelto la via pacifica del rifiuto. Come ad esempio nell’ottava sezione dove le persone, nell’ora più calda della giornata (le 14), hanno manifestato la volontà di restare fuori dalle celle e annunciato che faranno lo stesso nei prossimi giorni, finché la direzione non fornirà loro almeno un ventilatore. La soluzione dei trasferimenti, ovviamente, porta con sé nuovi problemi per i detenuti. I parenti in visita dovranno adeguarsi tanto per fare un esempio. Non è chiaro quante siano le strutture coinvolte, si parla di altri penitenziari sparsi in tutta Italia. L’emergenza caldo è stagionale, “dunque prevedibile, dunque tamponabile” osservano anche dalla Camera Penale di Roma convinti che la questione carcere sia da risolvere urgentemente. I sindacati denunciano (inutilmente) il picco di sovraffollamento raggiunto da Regina Coeli nelle ultime settimane: 184% contro una media nazionale del 130%: 1.133 persone contro 628 posti regolamentari. Si chiede di rafforzare l’organico e di garantire la sicurezza degli operatori. Ma al momento prevale una sorta di navigazione a vista e si teme che le promesse venute dall’amministrazione penitenziaria non saranno mantenute. Roma. I senatori del Pd a Rebibbia per il piccolo Giacomo di Alessandra Ziniti La Repubblica, 22 luglio 2024 “Una vergogna che reclama una soluzione”. Oggi una delegazione di parlamentari del Pd, domani i Garanti dei detenuti di Roma e del Lazio. Dopo la denuncia di Repubblica sulla storia del piccolo Giacomo, due anni e mezzo, che da dieci mesi vive a Rebibbia con la madre detenuta per reati minori, qualcosa si muove. Da ottobre scorso, quando sua madre è stata arrestata, Giacomo è il solo bimbo che sta a Rebibbia. Nessuno con cui parlare, giocare, interagire, nessuno degli stimoli di cui un bambino a quell’età avrebbe bisogno. Tanto che Giacomo ha maturato un ritardo nello sviluppo psico-motorio dovuto proprio alle condizioni in cui è costretto a vivere. Oggi pomeriggio a trovare in carcere il bambino e sua madre sono stati i parlamentari del Pd Gianni Cuperlo, Cecilia D’Elia e Walter Verini. “Abbiamo incontrato il bimbo e sua madre e constatato le condizioni in cui è costretto a vivere nonostante gli sforzi e l’umanità del personale della sezione nido di Rebibbia - dice Verini - una storia che ci ha profondamente emozionato e spronato a dare battaglia sin da martedì, in commissione giustizia del Senato nelle votazioni degli emendamenti al disegno di legge sulle carceri. I bambini come Giacomo non devono stare in carcere, occorre trovare soluzioni alternative che tengano insieme ragioni di umanità e giustizia. Occorre aumentare posti e risorse nelle case famiglia e negli Icam, gli istituti a custodia attenuata dove le madri detenute possono scontare le loro pene in condizioni ben diverse”. Nel frattempo i parlamentari del Pd hanno già mobilitato i garanti dei detenuti che domani andranno a Rebibbia per cercare di capire se c’è la possibilità immediata di far scontare alla madre del piccolo Giacomo la sua condanna in una struttura alternativa come la casa di Leda a Roma. Roma. Rissa nel carcere minorile di Casal del Marmo, evadono tre detenuti tunisini di Rinaldo Frignani Corriere della Sera, 22 luglio 2024 Posti di blocco in tutta Roma per cercare i reclusi che si sono allontanati dopo aver scavalcato un muro. Sotto accusa il sistema di vigilanza del complesso dove nelle ultime settimane sono scoppiate diverse rivolte. Ancora una volta il carcere minorile di Casal del Marmo al centro di un episodio di cronaca. Tre giovani detenuti tunisini, tutti minorenni, sono riusciti a evadere nel pomeriggio di domenica dopo aver scavalcato un muro. Sono fuggiti e adesso vengono ricercati dalla polizia penitenziaria ma anche dalle altre forze dell’ordine. Posti di blocco sono stati effettuati dalle pattuglie nella periferia ovest della Capitale ma anche in altri quartieri. Controllati i luoghi frequentati dai tre e i loro collegamenti, anche familiari a Roma e in altre città. Da fine giugno maxi risse e incendi - A rendere noto quanto accaduto è stato il sindacato Fns Cisl. “Attualmente a Casal del Marmo - spiega il segretario generale Massimo Costantino - ci sono circa 55 detenuti su una capienza di 45. Questa è la seconda evasione avvenuta, la prima ci fu nel 2013 dopo un’aggressione ad un operatore civile. Ricordiamo che il 27 giugno scorso ci fu una maxi rissa tra detenuti magrebini, mentre, nella notte del 7 luglio due detenuti incendiarono un materasso in una sezione, dove fu necessario sgomberare l’intera sezione ed interventi di vigili del fuoco e del Gruppo di intervento operativo della Penitenziaria , un agente fu ferito. Prima ancora si erano registrate già tre aggressioni, con un altro agente ferito dichiarato guaribile in quindici giorni e un 1sovrintendente con tre giorni”. “Ormai è emergenza” - Per la Fns Cisl Lazio “servono ulteriori interventi da parte del Governo, perché quelli già messi in campo dallo scorso anno con punte di nuove assunzioni - finalmente - mai viste prima in questi numeri, sono insufficienti a gestire quella che ormai è una grave emergenza”. “No alla vigilanza dinamica” - Il segretario regionale del Sappe, Maurizio Somma, sottolinea come “la grave vicenda porta alla luce le priorità della sicurezza (spesso trascurate) con cui quotidianamente hanno a che fare le donne e gli uomini della Penitenziaria”, mentre per il segretario generale Donato Capece “questa evasione è la conseguenza dello smantellamento negli anni delle politiche di sicurezza dei penitenziari: smembrare la sicurezza interna delle carceri con vigilanza dinamica, regime aperto e assenza di Penitenziaria favorisce inevitabilmente gli eventi critici, che sono costanti e continui”. Porto Azzurro (Li). Cronache di un’umanità reclusa e dolente di Raimonda Lobina* elbareport.it, 22 luglio 2024 Sono le nove del mattino, cammino per i lunghi corridoi dei vari reparti della Casa di Reclusione “Pasquale de Santis” di Porto Azzurro: ho chiesto di visitarli per verificare di persona le condizioni dei detenuti, soprattutto in queste giornate di caldo afoso e in cui negli altri istituti si sono verificate situazioni drammatiche e al limite. Molti sono al lavoro, altri camminano e parlano fra loro, le celle sono aperte e colgo un’atmosfera di normalità. Tanti però, giovani uomini forti, sono stesi sul letto, guardano la TV, ascoltano la musica, oziano. Non è la prima volta che visito i reparti, li ho sempre trovati decorosi, puliti, seppur sempre terribili nella loro fatiscenza, accentuata dalla bellezza dei luoghi che ospitano la struttura, bellezza però, che sia chiaro, che non si può ammirare dalle finestre delle “stanze”. Scendo negli uffici della sorveglianza dove incontro gli ispettori, parliamo della situazione che a parere loro è nel complesso tranquilla, ma spesso esplode, anche se non come in certi episodi terribili a livello nazionale. Soprattutto nel pomeriggio e alla sera si verificano casi di soggetti agitati, che all’improvviso si mettono ad urlare, si fanno del male, distruggono le suppellettili, danno in escandescenze e non è assolutamente facile riportarli alla calma. I volti delle persone con cui sto parlando sono tesi e stanchi: mi parlano di turni ben oltre l’orario da contratto, soprattutto in questi mesi di ferie. Non c’è più tempo: proprio perché nessuno vuole che la situazione degeneri ulteriormente, anche a Porto Azzurro, mi unisco alle voci di tutti i Garanti Territoriali che, alla luce dei fatti degli ultimi mesi, hanno chiesto un incontro urgente con il Ministro Nordio perché quella delle carceri è una vera e propria emergenza umanitaria. La civiltà di un popolo si misura anche dalle condizioni delle sue carceri e allora il nostro livello è veramente sprofondato: è necessaria quindi un’azione rapida e immediata del Legislatore e del Governo perché il Decreto Legge del 4 luglio 2024 è una scatola vuota, non in grado di arginare nell’immediato le drammatiche condizioni degli istituti di pena italiani. In primis l’indice preoccupante di sovraffollamento del 130%, con 7027 detenuti che devono scontare ancora meno di un anno di carcere. Quella attuale è infatti una politica detentiva puramente repressiva e securitaria e l’auspicio è che vengano introdotti emendamenti migliorativi durante la discussione futura alla Camera e al Senato. Mattarella 4 mesi fa aveva detto :”Sui suicidi in carcere servono interventi urgenti” (quando scrivo il numero è di 56 da Gennaio) e pertanto chiediamo a gran voce di colmare le gravi carenze del personale tutto, in primis della polizia penitenziaria, ma anche dei dirigenti, chiediamo di rendere più efficiente l’assistenza sanitaria, di concerto con Regioni e Comuni, di incrementare il numero di figure dell’Area educativa come F.G.P.(educatori), psicologi, assistenti sociali, mediatori culturali e linguistici, di rendere veramente operativa la proposta di aumentare le telefonate da 4 a 6 alla settimana. Non affronto in queste righe il tema del lavoro, ma sia chiaro che fino a quando la burocrazia rallenterà perversamente l’iter che permette ad un carcerato di lavorare all’esterno (nonostante la legge Smuraglia incentivi e faciliti tali progetti), non si potrà parlare mai di volontà di rieducare, ma si farà di tutto per peggiorare le condizioni dei detenuti, con epiloghi drammatici come quelle degli ultimi 6 mesi. Un carcere che rieduca veramente è un carcere la cui percentuale di recidiva è molto bassa. Nell’interesse di tutti, quindi, noi Garanti chiediamo con forza al Governo e al Legislatore di muoversi nelle direzioni indicate. Ma anche la società civile può fare qualcosa, prendendo innanzitutto coscienza della situazione e sostenendo tutti coloro che a vario titolo si attivano per il carcere, non da ultimi i volontari che anche nel nostro territorio offrono un grande contributo al miglioramento delle condizioni di vita del carcere e che necessitano di forze nuove, fresche, giovani e creative. *Garante dei diritti dei detenuti Casa di reclusione “Pasquale de Santis” Porto Azzurro Lecce. Anche in tre in una cella, senza neppure un ventilatore: l’inferno in carcere lecceprima.it, 22 luglio 2024 La situazione nel carcere di “Borgo San Nicola” è drammatica. Le temperature toccano picchi di 42 gradi e percentuali di umidità elevate che non fanno altro che esacerbare problematiche già note e ancora tristemente irrisolte: è questa l’ennesima denuncia di “Antigone Puglia” che, attraverso “gli occhi” dell’avvocato Davide Piccirillo e la mediatrice Elisa Cascione, descrive il degrado inaccettabile nella struttura con la conseguente compromissione dei basilari diritti e della dignità degli uomini reclusi, tra i quali, molti in attesa di giudizio e altri ancora per espiare pene di lieve entità. Per gli osservatori, alimentano un clima di per sé “infernale”: la carenza di docce; la schermatura alle finestre che di fatto limita il circolo d’aria; la scarsità delle aree verdi; l’oramai costante inutilizzo della sorveglianza dinamica. “Risulta necessario dare una svolta per cambiare la situazione nella casa circondariale di Lecce, già in condizioni di sovraffollamento e d’inadeguatezza strutturale”: è l’appello dell’Associazione che da più di trent’anni si occupa di tutela dei diritti umani nel sistema penale e penitenziario. Insomma, è una storia dell’orrore quella raccontata dai due referenti locali: “Ci sono detenuti che vivono in celle troppo piccole, senza posto per contenere i tre occupanti che sono costretti così a trascorrere il tempo sui letti a castello, il più alto posizionato anche a 30 centimetri dal soffitto e in alcuni casi anche a 20 centimetri”. A voler allargare lo sguardo, la situazione non è certo migliore nel resto del paese. Stando ai dati dipartimentali diffusi dal segretario regionale dell’Osapp (organizzazione sindacale autonoma della polizia penitenziaria) Damato Ruggiero, in dodici mesi, dal 30 giugno del 2023 al 20 giugno del 2024, la popolazione detenuta è cresciuta di circa 4mila unità, portando a un tasso di affollamento del 120 percento sulla capienza regolamentare e del 129,3 percento sulla capienza regolamentare effettivamente disponibile (al netto delle sezioni e delle stanze in manutenzione ordinaria e/o straordinaria rese inagibili anche da vari disordini e rivolte). “Tali condizioni possono alimentare gesti estremi di disperazione come i suicidi, piaga oramai endemica del nostro sistema penitenziario” hanno tuonato Piccirillo e Cascione. Secondo le cifre rese note da Antigone, dopo il 2022, l’anno da record, con 85 suicidi accertati nelle carceri d’Italia, il 2023 e il 2024 continuano a registrare numeri impressionanti: nello scorso anno sono state almeno 70 le persone che si sono tolte la vita e, in neppure sette mesi di quello in corso, sono già più di 50 (per la precisione 56 a oggi, 21 luglio). Alcune soluzioni possibili - Secondo Piccirillo e Cascione, alcune situazioni potrebbero essere compensate da interventi minimi di risanamento e fornitura di dotazioni essenziali: “Nell’immediato, l’amministrazione penitenziaria potrebbe dotare tutte le celle almeno di un ventilatore, e attrezzare con condizionatori d’aria, quantomeno le salette di socialità per mitigare gli effetti infernali delle temperature alte che rendono rarefatta e malsana l’aria che si respira”. Pavia. Dal carcere al lavoro, in un anno occasioni per 51 detenuti. “Così si fa prevenzione” di Anna Ghezzi La Provincia Pavese, 22 luglio 2024 L’esperienza di Vassile e Hashim assunti in una logistica in provincia. “Impariamo molto e ci prepariamo un nuovo futuro fuori di qui”. Il lavoro per un detenuto è libertà, possibilità. Per la società è prevenzione”. Lo spiega Stefania Mussio, direttrice del carcere di Torre del Gallo. Su 660 detenuti, 32 usufruiscono dell’articolo 21 che permette loro di lavorare. C’è chi è impiegato nei servizi carcerari, dal magazzino alle pulizie, alla cura del verde. Sei, invece, sono assunti tra la logistica Fiege con il progetto Seconda Chance e Horti e Collegio Borromeo: altri erano impiegati in ristoranti ma hanno finito in questi giorni di scontare la pena. In poco più di un anno, dunque, sono 51 i detenuti ad avere avuto questa possibilità, che hanno dimostrato di poterlo fare. Vassile, 41 anni, è uno di questi: con il collega Hashim, 37 anni, cinque giorni alla settimana lavora alla logistica Fiege. Per poterlo fare, era necessario avere un’auto per arrivare allo stabilimento a Stradella: Hashim ha rinnovato la patente e la sua famiglia l’ha aiutato con l’auto. Vassile e Hashim, quindi, si svegliano alle 4 per essere a Stradella alle 6 e tornano in carcere a fine turno verso le 15.30. Gli orari vanno rispettati alla perfezione: è uno dei criteri - molti - per mantenere il diritto di lavorare. E quindi lo stipendio a fine mese. “Grazie a questo lavoro - spiega Hashim - ho potuto far avvicinare mia moglie e mio figlio, e averli qui è di grande aiuto per me. Posso sostenerli, con lo stipendio. E imparando un lavoro, ho qualche soldo da parte e la possibilità di ricominciare quando uscirò di qui”. Anche uscire per un giorno, dopo anni “fuori al mondo”, non è facile. La prima volta in turno con centinaia di persone è stato un mix di felicità, ansia, paura di non sapersi più comportare, comunicare con persone fuori dal carcere. “Avevamo paura di come ci avrebbero trattati”, raccontano. Ma sono stati capaci di farsi accettare al meglio, e lo confermano i dirigenti di Fiege, molto soddisfatti. “In carcere - racconta orgoglioso Vassile. camicia stirata e occhi pieni di emozione - ho fatto la scuola alberghiera e ho imparato il mestiere di cuoco. Ho lavorato tre anni dentro come cuoco e ho avuto la possibilità di mettermi alla prova cucinando per la Comunità di Sant’Egidio a Natale, per i senzatetto. Ora ogni mese dono i buoni pasto del lavoro a Sant’Egidio, per chi ha bisogno. Non avevo mai lavorato in una logistica, ma sono felice di aver imparato il mestiere”. “Il lavoro è così importante - spiega Daniela Bagarotti, educatrice del carcere - perché permette di dimostrare di essere capaci di fare. Permette di rea lizzarsi, è uno spazio in cui tirare fuori cose positive di sé. E lo stipendio è il riconoscimento di quel valore”. Un passo importante in un percorso di riabilitazione. “Noi non chiediamo canali privilegiati per le persone detenute - chiude Mussio - il mondo del lavoro è difficile per i giovani e le persone licenziate. Però tante persone che si trovano qui a Torre del Gallo arrivano da storie pesanti e sofferenze, sbagliano, entrano in carcere: se la società non trova una modalità di ricollocamento, può capitare che la persona non abbia le risorse per ricominciare da sola. Ci sono leggi che prevedono agevolazioni per il lavoro delle persone svantaggiate, le aziende hanno bisogno di manodopera: a mio parere non devono avere paura di assumere persone detenute che hanno un percorso avviato, sono seguite e meritano di essere messe alla prova”. Modena. La vicesindaca Maletti porta ai detenuti del Sant’Anna il “Codice ristretto” modenatoday.it, 22 luglio 2024 Nella mattinata di giovedì 18 luglio la vicesindaca Francesca Maletti si è recata presso la Casa circondariale S. Anna di Modena per consegnare ai detenuti il “Codice ristretto”, una guida sintetica e di facile comprensione per orientarsi negli articoli dell’Ordinamento penitenziario finalizzati ad ottenere misure alternative al carcere. La diffusione del vademecum intende sostenere la cultura dei benefici penitenziari e delle misure alternative alla detenzione. Insieme alla vicesindaca, anche il Garante per il Comune di Modena dei diritti delle persone private della libertà personale Giovanna Laura De Fazio e il consigliere regionale Luca Sabattini. L’iniziativa, che si è svolta contemporaneamente nelle carceri della regione, è stata promossa, infatti, dal Garante regionale dei detenuti e dalla Camera penale di Bologna con il sostegno della Commissione per la Parità e i diritti delle persone dell’Assemblea legislativa regionale. A Modena l’incontro con il direttore del carcere, Orazio Sorrentini, presente anche il vicecomandante della Polizia penitenziaria e la referente degli educatori, ha visto inoltre partecipare il cappellano del carcere don Angelo Lovati e un rappresentante dell’Ucoi (Unione delle Comunità islamiche) di Modena. “Il carcere ha una funzione riparatrice e educatrice”, sottolinea Francesca Maletti, che era già stata ricevuta al S. Anna in qualità di vicepresidente della Commissione regionale sociale e sanità. “In tali condizioni di sovraffollamento, che accomunano il penitenziario di Modena agli altri della regione (540 i detenuti ospitati nella struttura modenese che ha una capienza di 370) e che influiscono pesantemente sulla carenza di opportunità - continua la vicesindaca - occorre chiedersi se risulti più efficace la detenzione o misure alternative che interessano il magistrato di sorveglianza, ma che presuppongono una rete di opportunità che coinvolge chi può offrire occasioni lavorative e soluzioni abitative; basti pensare che due terzi dei detenuti sono stranieri, molti dei quali privi di una rete di sostegno. Per i tanti che sono privi anche di permesso di soggiorno, la questione si complica ulteriormente ed è anche normativa, perché chi può lavorare all’interno del regime penitenziario, una volta scontata la pena si trova invece nelle condizioni di irregolare, senza documenti. E infatti il rischio di evasione aumenta quando si avvicina il fine pena. Tutti temi - conclude Maletti - di cui occorre farsi carico ad ogni livello, dal cambiamento normativo nazionale fino al livello locale, se vogliamo veramente tentare la strada del reinserimento sociale delle persone che hanno commesso reati affinché non continuino a costituire un pericolo per le altre persone e la comunità”. Palermo. Report sulla visita al carcere Ucciardone del Garante regionale dei detenuti telesudweb.it, 22 luglio 2024 Il giorno 16 luglio 2024, alle ore 16,00, il Garante Regionale Santi Consolo, accompagnato da un funzionario del suo Ufficio il dott. Alfredo Grasso, ha effettuato una visita presso la casa circondariale Ucciardone di Palermo, principalmente motivata dallo sciopero della fame che era stato intrapreso da quattro persone ristrette alla nona sezione dell’Istituto. Tale notizia si è avuta grazie alla fattiva collaborazione del Garante Comunale Onorevole Pino Apprendi. Della vicenda è anche compiutamente informato il Tribunale di Sorveglianza di Palermo, avendo avuto lo scrivente Garante una diffusa conversazione telefonica con uno dei Magistrati dell’Ufficio. Al suo arrivo, il Garante è stato accolto con massima disponibilità dal Comandante e altri componenti del corpo di Polizia Penitenziaria. Il Comandante ha riferito di un’azione di protesta in quel momento in corso all’interno della nona sezione, ove sono allocati soggetti sottoposti al regime di sorveglianza particolare ex art. 14 bis ord. penit. e destinatari di provvedimenti disciplinari. Il Garante chiedeva, quindi, di essere accompagnato all’interno della nona sezione per verificare lo stato della protesta e incontrare i detenuti in sciopero della fame. Lungo il percorso per giungere alla nona sezione, si percepiva cattivo odore, in corrispondenza delle aree limitrofe alle cucine, determinato dall’evidente stato di degrado del sistema di scarico della struttura, che provocava il riversamento di parte dei liquami reflui al livello del piano di calpestio delle aree circostanti la cucina. Tale situazione, in considerazione che l’esecuzione delle opere non è particolarmente risalente nel tempo, crea certamente notevoli disagi non soltanto alle persone ristrette, ma anche a tutto il personale che transita nei pressi. Giunto all’interno della nona sezione, il Garante constatava una protesta in atto, con urla abbastanza diffuse e dai toni accesi. Lo stesso invitava tutti alla calma, rappresentando che si sarebbe intrattenuto per colloquiare in maniera pacata e distesa; così cessava la protesta. Nel corso della visita, un detenuto accusava un malore e, previo intervento dei sanitari, veniva soccorso e trasportato su un’autoambulanza. Successivamente, informalmente si apprendeva che il malore era stato transitorio e che non vi erano rischi derivanti da problemi cardiaci. Si è rilevato che in nessuna delle stanze destinate al pernottamento erano stati apposti alla parete esterna prossima all’ingresso i nominativi delle persone allocate all’interno. Tale rilievo è stato poi rappresentato al Comandante dell’Istituto, di nuova nomina e giunto da pochi giorni, che ha rassicurato circa iniziative già intraprese per ovviare a tale inadempienza. In quasi tutte le stanze per il pernottamento, sono allocati due detenuti con due brande a castello, ma tutte le stanze appaiono di superficie inferiore ai 9 mq. Gli ambienti sono fatiscenti e i bagni privi di docce. Molti dei ristretti con i quali si è colloquiato manifestavano particolari disagi mentali, che in alcuni casi apparivano particolarmente gravi. Le principali richieste erano relative alla cessazione del regime di sorveglianza speciale nel quale si trovavano e/o al trasferimento in Istituto più vicino al proprio nucleo familiare (molti provenivano dalla provincia di Catania). In proposito, non si può sottacere che in alcuni casi in situazione di grave disagio psichico, in assenza di adeguate cure, si può incorrere con notevole frequenza in infrazioni disciplinari o, peggio ancora, in commissione di reati che aggravano la durata della pena detentiva e che portano a determinare gravi rischi e disagi per gli appartenenti al corpo di Polizia Penitenziaria preposti alla loro custodia. Rispetto ai quattro detenuti che avevano intrapreso lo sciopero della fame, uno in particolare lo aveva sospeso, ma ha riferito che lo avrebbe ripreso a breve se non avesse avuto notizia dell’esito dell’istanza dell’affidamento in prova al servizio sociale già decisa, a suo dire, il 2 luglio. Riferiva anche che in precedenza aveva beneficiato di liberazione anticipata e che, se gli fossero stati concessi gli ulteriori due semestri, il suo fine pena sarebbe maturato nel mese di ottobre c.a. Tale detenuto merita particolare attenzione proprio per l’insistito proposito di voler fare qualche gesto grave e inconsulto. Di particolare gravità anche la condizione di un detenuto straniero che si era cucito le labbra con dei pezzi di fil di ferro e aveva intrapreso lo sciopero della fame e della sete. Un quinto detenuto, oltre i quattro attenzionati, riferiva poi che avendo intrapreso lo sciopero della fame, lo avrebbe continuato fino a quando non sarebbe stato ritrasferito alla settima sezione. Si coglievano ancora diffuse lamentele per lo stato in cui si trovava la sezione e, in particolare, la mancanza di distribuzione di prodotti igienici, la chiusura dei blindi a sera, che impediva il ricambio d’aria nelle notti afose, l’impossibilità per alcuni di acquistare ventilatori stante l’assoluta mancanza di disponibilità economiche, nonché la riduzione delle ore d’aria, che dovrebbero essere complessivamente 4 nell’arco della giornata, ma che, per carenze di organico del personale di polizia, si riducono con ritardi nel trasferimento ai passeggi e anticipazioni nei rientri. Lo scrivente Garante ricordava che la terza sezione aveva delle stanze più ampie della nona e chiedeva di visitarla. La terza sezione si sviluppa in tre piani per complessive 36 stanze circa. Alla visita, tale sezione è vuota, ma presenta stanze di superficie superiore ai 9 mq, con contiguo bagno più ampio e dotato di doccia. Chiesti chiarimenti, si è appreso che sarebbero in corso piccoli lavori di adeguamento, quali il cablaggio e la videosorveglianza, da realizzare tramite ditta esterna e con l’utilizzo di manodopera detenuti. Sarebbe auspicabile un rapido intervento con il rispetto di un cronoprogramma, onde potere ovviare in tempi ragionevoli ai disagi innanzi rappresentati, per migliori condizioni di vivibilità sia per i ristretti che per il personale dell’Amministrazione Penitenziaria, che certamente soffre di condizioni di lavoro in ambienti tanto degradati sotto ogni profilo. Infine, si è appreso anche che in molte aree destinate ai passeggi non sono state apportate modifiche a bassissimo costo, che sarebbero di grande sollievo per i detenuti durante la calura estiva. Già direttive risalenti nel tempo prevedevano infatti la modifica dei rubinetti allocati in basso nei passeggi in bracci docce posti in alto o diffusori di acqua, che potessero alleviare i disagi della calura estiva. Tanto si rappresenta e si trasmette anche a tutte le Autorità competenti, nello spirito di fattiva collaborazione e con l’auspicio che si adottino tutti gl’interventi urgenti, utili e necessari per ovviare ai disagi rappresentati. Roma. L’Accademia dei Sartori e il progetto di Rebibbia di Stefania Aoi La Repubblica, 22 luglio 2024 Una grande sfilata in carcere. È così che si sono festeggiati i sei anni del progetto “Made in Rebibbia”, sostenuto da Bmw Roma e che vede coinvolta l’Accademia nazionale dei Sartori, scuola triennale di cucito maschile e femminile, e il penitenziario romano. La scuola a Rebibbia è nata nel 2017 con l’obiettivo di consentire ai detenuti di acquisire un mestiere e avere la possibilità di trovare lavoro in un laboratorio sartoriale dopo aver scontato la pena. L’idea era venuta all’ex presidente dell’Accademia Nazionale dei Sartori, Ilario Piscioneri, scomparso nel 2018. “L’apprendimento dell’arte del cucito richiede pazienza, precisione, autocontrollo, tutte doti importanti anche per realizzare un percorso di recupero e reinserimento”, spiegano dall’Accademia. Nell’area verde dell’istituto penitenziario del Nuovo Complesso hanno sfilato le collezioni di abiti sartoriali maschili, realizzate da otto detenuti che hanno frequentato i primi anni del corso di taglio e cucito e che si sono prestati a fare gli indossatori. In passerella sono stati portati circa 30 capi tra giacche, gilet, pantaloni e cappotti. E dopo la sfilata, a uno dei detenuti è stato consentito di uscire dal penitenziario per un completo reinserimento lavorando a tempo pieno presso la sartoria Ilario. Un’altra iniziativa dell’Accademia Nazionale dei Sartori si è tenuta a Milano, dove gli allievi della Scuola Triennale di cucito maschile e femminile hanno mostrato in anteprima i loro capi realizzati con i tessuti del Lanificio Vitale Barberis Canonico. Il tutto grazie alla cura del maestro Gaetano Aloisio, presidente della World Federation Of Master Tailors e dí Accademia Nazionale dei Sartori. Migranti. Garante detenuti Sardegna sul Cpr di Macomer: “49 innocenti nel cemento bollente” di Tiziana Stella tg.la7.it, 22 luglio 2024 Irene Testa: “Neanche le bestie si fanno vivere così”. “Una situazione vergognosa, indegna di un paese civile”. Parole di Irene Testa, garante dei detenuti della regione Sardegna, sulle condizioni di vita nel Centro di Permanenza per i Rimpatri di Macomer. “Quarantanove persone innocenti sono imprigionate per 18 mesi dentro blocchi di cemento bollenti, senza frigo né ventilatori. Con un caldo insopportabile, costrette a bere acqua calda” è la sua denuncia. Irene Testa: “Neanche le bestie si fanno vivere così” - “Queste persone non hanno niente, neppure spugne per lavarsi... niente sedie... le lenzuola sono di un materiale simile alla plastica, il Tnt. I migranti devono coprire le finestre con le coperte per non far entrare il sole. Neanche le bestie si fanno vivere così. Qualcuno ha chiesto di essere rimpatriato ma invano” conclude la responsabile delle persone private della libertà. Le dure condizioni di vita nei CPR sono venute alla luce una volta di più nel febbraio scorso con il suicidio - nel centro di Ponte Galeria vicino Roma - del 22enne Ousmane Sylla. Voleva ritornare nel suo paese ma non è stato possibile anche per la mancanza di accordi tra Guinea e Italia. Le parole di Piantedosi - Sul tema dei rimpatri interviene il ministro dell’interno Matteo Piantedosi. “Già avvengono e continueranno. In Africa: in Libia o in Tunisia, proponiamo alternative ai progetti migratori, riportando i migranti nei loro paesi e aiutandoli a reinserirsi. Nei primi sei mesi dell’anno sono stati quasi 8 mila a rientrare: circa 5mila in Libia e 3.800 in Tunisia” dice il ministro. Non solo il contenimento delle partenze ma anche questo diverso approccio - secondo il titolare del Viminale - avrebbe permesso il calo degli sbarchi. Una collaborazione tra Italia e Libia che solo qualche giorno fa ha originato il duro botta e risposta tra la ong Sea Watch e la presidente Giorgia Meloni ospite al Forum Trans Mediterraneo delle Migrazioni di Tripoli. “La collaborazione tra il governo italiano e quello libico aumenterà le morti in mare. Auguriamo loro il peggio” era stato l’attacco di Sea Watch a cui la premier ha rimproverato “il silenzio sugli scafisti che si arricchiscono sulla vita di migliaia di persone”. Anche nelle ultime ore continuano i soccorsi in mare. Operazioni condotte dalle ONG e dalla Guardia Costiera Italiana. È attesa martedì a Livorno nel porto di Livorno la nave Geo Barents con oltre 220 migranti a bordo. L’inferno dei migranti respinti in mare e abbandonati nel deserto algerino di Don Mattia Ferrari La Stampa, 22 luglio 2024 Il movimento Refugees in Libya documenta le violenze sui migranti. Chi viene intercettato da Frontex finisce nelle mani delle guardie costiere e poi viene abbandonato nel deserto. Un grido giunge nuovamente dalle porte dell’Europa. È il grido dei nostri fratelli e sorelle, che da anni subiscono una violenza indicibile ai confini dei nostri Paesi. Fatti sconvolgenti si sono ripetuti anche nelle ultime settimane e a denunciarli con grande coraggio è come spesso succede Refugees in Libya, il movimento sociale costituito dalle persone migranti stesse per sostenersi e per costruire una vera fraternità con tutti. Refugees in Libya ha diffuso varie prove documentali di veri e propri crimini che si sono ripetuti per l’ennesima volta nei giorni scorsi. Il racconto è da film distopico, ma è la realtà di cui siamo responsabili. Il 9 luglio, 52 persone, tra cui 3 bambini e 4 donne, dopo un viaggio di sofferenza e di speranza attraverso il deserto partono da Sfax, in Tunisia, su un’imbarcazione. Scappano dalla situazione di gravi violazioni dei diritti umani che i migranti subiscono sempre più spesso anche in Tunisia e cercano di raggiungere l’Europa in cerca di una vita degna e di fraternità. L’Europa e l’Italia però hanno scelto da tempo di chiudersi a questa richiesta di fraternità e di seguire invece la strada del respingimento. Mentre quelle 52 persone sono in mare, vengono notate da Frontex, l’agenzia europea per il controllo delle frontiere. Anziché favorire la loro salvezza, essa trasmette le informazioni alle cosiddette guardie costiere libica e tunisina. A un certo punto del loro tragitto quelle 52 persone vengono raggiunte in mare dalla Garde Nationale tunisina, che le cattura e le riporta al porto di Sfax. Lì esse vengono picchiate, ammanettate e derubate dei telefoni e degli effetti personali. Trascorrono l’intera giornata al porto di Sfax, ciascuna in manette. Alla sera vengono portate in un campo di concentramento circondato da filo spinato. Successivamente vengono caricate su grandi autobus e gettate nel deserto al confine con l’Algeria, senza cibo, acqua o riparo. Il 12 luglio, 25 di loro grazie a un telefono che erano riusciti a nascondere durante il sequestro contattano Refugees in Libya, inviando foto e video e chiedendo di essere soccorse. Poco dopo però la batteria del telefono si scarica e per giorni non riescono più a comunicare con il resto del mondo. La traversata del deserto è difficile e 7 persone finiscono disperse. Il 20 luglio, le 18 persone superstiti riescono ad arrivare ad Algeri. Si accampano davanti alla sede locale dell’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni e da lì riescono a rimettersi in contatto con Refugees in Libya, chiedendo di diffondere il loro grido, perché qualcuno le salvi. La stessa sorte succede da mesi a migliaia di persone, che vengono deportate nel deserto della Tunisia o rinchiuse nei lager libici. La violenza del regime tunisino, a cui chiediamo di respingere le persone per conto nostro, si abbatte su tutti i migranti presenti sul territorio. Il 17 luglio i militari sgomberano violentemente le persone migranti presenti nelle campagne attorno a Sfax e bruciano i loro rifugi di fortuna: donne incinte vengono ferite dalle bastonate, famiglie con bambini vengono colpite violentemente e costrette a fuggire. Refugees in Libya ci chiede di avere l’onestà di riconoscere chi sono i mandanti di questa violenza: siamo noi. Siamo noi a finanziare tutto questo. Siamo noi, cittadini e cittadine, a non opporci a sufficienza, o peggio a esprimere la nostra soddisfazione. Refugees in Libya ha diffuso anche il video in cui un ragazzo, con la testa che gronda sangue, supplica di inviare un riscatto di 2 milioni di CFA, mentre i suoi aguzzini tendono due spade davanti alla sua gola. Nei suoi occhi si vede la paura di un giovane finito nelle mani di miliziani mafiosi solo perché ha creduto nella fraternità universale, ha creduto che ci sarebbero state persone in questo mondo che lo avrebbero accolto per quello che è, un essere umano e un fratello, e invece si è trovato respinto e consegnato a dei criminali. Il ragazzo chiede aiuto, supplica, ma chi ascolterà il suo grido? Mediterranea Saving Humans ha trasmesso tutti questi video alla Commissione Onu per i diritti fondamentali, alla Corte Europea per i Diritti Umani e alla Presidenza della Repubblica Italiana. Non possiamo essere insensibili davanti a questo dolore, non possiamo fingere di non esserne responsabili, tanto per le ingiustizie che stanno alla base delle migrazioni forzate quanto per i respingimenti che causano quelle violenze indicibili. A ogni persona spetta una scelta fondamentale: restare indifferenti, e quindi complici di tutto questo, o ascoltare il grido di fraternità che giunge dal Mediterraneo. La storia ci insegna che, se due sono le strade, solamente una però salva, quella che salva tutti, perché chi si illude di salvarsi nella chiusura in realtà si perde. La vita ce lo insegna. Ecco perché ci sarà sempre chi condurrà la resistenza dell’umanità e della fraternità, ponendosi accanto a quelle persone. Ma dobbiamo agire tutti, dobbiamo assumere veramente la fraternità. Solo così ci salveremo.