Emergenza carceri, il decreto in Cdm: pene scontate nelle coop e iter più veloce per uscire di Francesco Bechis Il Messaggero, 24 giugno 2024 In Consiglio dei ministri il provvedimento per ridurre il sovraffollamento. Lo sconto di 45 giorni ogni sei mesi sarà deciso dai pm e non più dai tribunali. Una corsia veloce per uscire dalla detenzione, una volta dimostrata la buona condotta. Guai a chiamarlo “svuota-carceri”: per la destra al governo è una parola tabù. Anche se in fondo l’obiettivo del decreto limato al ministero della Giustizia e pronto ad atterrare al Consiglio dei ministri oggi è proprio questo: ridurre il sovraffollamento delle carceri italiane, che oggi raggiunge la vetta del 140 per cento, stando agli ultimi dati del Garante dei detenuti. Un’emergenza umanitaria, macchiata da quaranta suicidi dietro le sbarre dall’inizio dell’anno. Il governo prova a mettere una toppa. Due le novità di peso nel testo. Si parte dall’accelerazione delle procedure per la scarcerazione dei detenuti. Nessun aumento degli sconti di pena previsti per legge - 45 giorni ogni sei mesi per chi dà prova di buona condotta - ma un’inversione delle procedure che, nelle intenzioni del governo, dovrà accelerare la liberazione anticipata e liberare spazi nelle celle. Come? A decidere sullo sconto previsto dalle leggi in vigore non sarà più il tribunale di sorveglianza ma direttamente il pm competente per l’esecuzione della pena. Il meccanismo, oggi farraginoso perché richiede un’istruttoria e un esplicito via libera agli sconti semestrali dai tribunali, ingolfandoli e spesso ritardando di anni le pratiche dei detenuti, diventerà quindi automatico. A meno che il pm non segnali al tribunale di sorveglianza la cattiva condotta del detenuto, lo sconto di 45 giorni scatterà ogni sei mesi. Eccolo, il compromesso trovato a via Arenula - sul dossier, insieme al Guardasigilli Carlo Nordio, è al lavoro da mesi il sottosegretario leghista con delega alle carceri Andrea Ostellari - per sbloccare l’impasse. Liberare i tribunali dalla valanga di richieste di scarcerazione anticipata - circa duecentomila - che finiscono per affastellarsi negli armadi e rinviare a data da destinarsi l’effettiva liberazione del detenuto che ha diritto allo sconto di pena. L’altro fronte su cui interviene il decreto riguarda le cooperative che lavorano con i detenuti. Sarà istituito un registro nazionale delle “coop”. Una stretta sui controlli della galassia di associazioni che si offrono di “riabilitare” chi sta per uscire dal carcere e reintrodurlo in società e chiedono fondi pubblici per farlo. C’è già chi, con un po’ di malizia, l’ha ribattezzata la “norma Soumahoro”, in riferimento alle ormai note vicende giudiziarie che hanno riguardato la cooperativa vicina alla famiglia del deputato di Avs. Anche i controlli più severi sulle cooperative serviranno, almeno nei piani di chi ha scritto il decreto, per ridurre il sovraffollamento carcerario. Sono circa settemila i detenuti a un passo dalla liberazione e nelle condizioni di accedere a pene alternative. Gli ultimi sei mesi di pena, a sentire gli addetti ai lavori, sono anche i più delicati, perché è in questo frangente che si spiana la strada per un graduale ritorno in società, o per l’isolamento del detenuto una volta libero. A questo serve l’accordo fra governo e coop, che alle spalle ha però anche una logica economica. Con un’intesa siglata con la Cassa Ammende e la Conferenza Stato-Regioni, le associazioni registrate nell’albo nazionale si faranno carico di una parte dei costi per mantenere i detenuti. Che per lo Stato sono un salasso: si stimano in media centocinquanta euro a persona, ogni giorno, per garantire cibo, vestiti e servizi essenziali a uomini e donne negli istituti penitenziari. Insomma, spedendo nelle coop i detenuti a fine pena, lo Stato conta di centrare due obiettivi in uno: liberare spazio nelle carceri e fare cassa. Nel decreto entreranno disposizioni per accelerare la costruzione di nuovi istituti detentivi, anche all’interno di caserme cedute dalla Difesa, e l’aumento delle telefonate mensili dei detenuti ai famigliari. Nelle stesse ore alla Camera sarà incardinata la proposta di legge a prima firma del parlamentare renziano Roberto Giachetti che prevede la concessione di 75 giorni di sconto di pena ogni sei mesi in carcere per chi dimostra buona condotta. Meloni e il governo, dopo qualche tentennamento, hanno bocciato l’iniziativa. Bloccando sul nascere una legge “svuota-carceri” a cui la destra è sempre stata allergica. La narrazione di Nordio sulle carceri è confusa di Massimo Lensi Il Domani, 24 giugno 2024 Il ministro Carlo Nordio ha rilasciato una lunga intervista al quotidiano di Confindustria. Sulle politiche penitenziarie, Nordio sostiene diverse narrazioni: il sovraffollamento è una “patologia sedimentatasi nel tempo”. Vero. Il populismo penale piace a tutti. Poi che il governo ha deciso di incrementare risorse aggiuntive per il carcere. Perbacco, e come saranno utilizzate? E il ministro Giorgetti che ne pensa? La risposta. Nuove risorse per la dotazione organica del personale penitenziario e nuovi padiglioni, e per semplificare la procedura per la liberazione anticipata (ovvero “ordinaria”, già in vigore, mentre quella “speciale” è nel mondo dei sogni). Niente di particolare, solo promesse che, per come vanno le cose, hanno bisogno di tempo per realizzarsi e potrebbero rimanere al palo. I nuovi padiglioni (otto per la precisione), per esempio, fanno parte dei progetti delle nuove politiche penitenziarie dai tempi del governo Draghi e del Pnrr. Inoltre che sarebbe opportuno affidare a un organo collegiale l’attribuzione della competenza dell’ordinanza per la custodia cautelare. Non cambierebbe niente sul fronte dei numeri. I ristretti, per esempio, con un residuo di pena inferiore di tre anni sono aumentati dal 36 percento al 48 percento (fonte, Rapporto Antigone) a causa del fenomeno dell’innalzamento delle pene. Togli di qua, aggiungi di là. È il populismo penale, bellezza! Nordio ha parlato anche dei detenuti stranieri: ar scontare loro (circa ventimila) la pena nei loro paesi di origine è un’antica bufala che, per mille motivi tra cui le convenzioni internazionali e i trattati bilaterali, fa sempre il suo bell’effetto. Brand di successo. Ha proposto poi nuove comunità (“educanti”, come ha spiegato di recente in un’altra intervista il sottosegretario Ostellari) per i detenuti tossicodipendenti, imputati per reati minori (16.800 il numero complessivo degli imputati per reati minori e gravi). Qui Nordio confida nella letteratura di fantascienza mista a un pessimo saggio sulla sussidiarietà orizzontale di natura cooperativa. Chi consiglia a un liberale (sic!) questa letteratura consociativa? Non ha lasciato fuori nemmeno le azioni di prevenzione dei suicidi in carcere. Un gruppo di lavoro sta studiando i provvedimenti insieme all’Agenzia per l’Italia digitale con il supporto della tecnologia. Ministro Nordio, è mai entrato in un istituto penitenziario? Non si riescono a garantire le telefonate dei detenuti e lei pensa veramente al “carcere digitale”? In un ex convento del Settecento oppure in quei casermoni di cemento armato che cascano a pezzi come Sollicciano. Via, ministro, non si prenda in giro da solo. È in arrivo un’interessante estate in carcere, tranne che per chi ci sta dentro: in esecuzione di pena, o per lavoro. Ecco la leggina svuota-celle, ma il Parlamento è ingolfato di Lorenzo Giarelli e Giacomo Salvini Il Fatto Quotidiano, 24 giugno 2024 Alla pausa estiva mancano poche settimane. Soluzione? Voti di fiducia in serie e compressione del dibattito. A ognuno la propria bandierina. La Lega ha avuto l’autonomia, Fratelli d’Italia ha potuto esibire il primo ok al premierato, adesso è Forza Italia che vuole passare all’incasso, puntando su un grande classico: la giustizia. Il ddl Nordio (quello che elimina l’abuso d’ufficio e svuota il traffico di influenze) arriva oggi alla Camera, dove inizia la discussione generale in attesa dell’approvazione finale. Ma il Guardasigilli potrà rivendersi anche un decreto atteso oggi in Consiglio dei ministri, ovvero il famoso “svuota-carceri” più volte annunciato da Nordio medesimo ma finora sempre rinviato per le resistenze soprattutto della Lega. È anche a causa di queste resistenze che quella di Nordio sarà una “leggina”, piuttosto lontana dalle intenzioni originali del ministro. Il Guardasigilli avrebbe voluto ricalcare il ddl presentato dal renziano Roberto Giachetti, secondo cui lo sconto di pena per la buona condotta si dovrebbe alzare da 45 a 60 giorni ogni semestre. Fonti di governo lasciano intendere che nel testo di Nordio invece non ci saranno sconti, ma si punterà a una sorta di “automatismo” per rendere più facile la scarcerazione: invece di attendere l’ok del Tribunale di Sorveglianza, per alcuni reati (il perimetro non è ancora definito) sarà sufficiente il parere del pm competente. A questa norma si aggiungono un articolo che aumenta il numero di telefonate concesse ai carcerati e poi alcune disposizioni per nuove carceri: in questo modo Nordio confida di poter alleggerire il numero di detenuti. C’è però un problema, perché la fretta di dare uno scalpo a Forza Italia si scontra con un principio di realtà, oltreché con questioni di opportunità istituzionale. In questo momento infatti in Parlamento ci sono ben 8 decreti che aspettano di essere convertiti in legge dopo l’approvazione in Cdm, e altri quattro dovrebbero essere portati nella riunione di oggi. Nulla di così anomalo, viste le cattive abitudini della politica (più volte rimarcate dal Quirinale), se non fosse che la pausa estiva incombe e promette un ingorgo parlamentare risolvibile solo a colpi di fiducia e di compressione del dibattito. Nel nostro ordinamento il Parlamento ha 60 giorni di tempi per convertire i decreti che escono dal Consiglio dei ministri. L’ipotesi più probabile, calendario alla mano, è che prima delle ferie degli onorevoli restino “soltanto” le 7 settimane prima di Ferragosto, dentro le quali l’agenda è piuttosto fitta. I decreti in attesa dell’ok definitivo delle Camere sono 8: il dl Coesione (una serie di misure sull’occupazione); il dl G7 (relativo all’organizzazione del summit di Borgo Egnazia, già concluso), il dl Forze Armate (che interviene sul personale militare), il Salva-Casa (il condono edilizio voluto da Matteo Salvini) e ancora il dl Valditara-Abodi su sport nelle scuole e nuove regole per le federazioni, il Dl Agricoltura di Francesco Lollobrigida, il decreto (per la verità spuntato) sul taglio delle liste d’attesa in sanità e infine quello sulle materie prime critiche approvato la scorsa settimana. In più, nel Cdm di oggi sono attesi altri quattro decreti. Di uno, il decreto svuota-carceri, si è detto. Un altro, atteso da tempo, dovrebbe trasferire risorse ai sindaci dei Campi Flegrei per attività di prevenzione e messa in sicurezza; un altro ancora - genericamente indicato come “Dl Infrastrutture” - conterrà varie norme tra cui una regolamentazione per le concessioni autostradali in scadenza e una mappatura dei commissari straordinari, con l’obiettivo creare un coordinamento. Ma in Cdm dovrebbe esserci anche un testo sulle cripto-valute, con particolare riferimento a sanzioni e nuove pene per le truffe del settore. Già così saremmo quindi a 12 decreti da approvare nelle prossime settimane, a cui si aggiungono i disegni di legge incardinati. Non hanno una scadenza tassativa, ma ci sono ragioni politiche che spingono i vari testi: il dl Sicurezza fermo alla Camera “serve” alla Lega; il ddl Nordio - quello, appunto, che tra le altre cose abolisce l’abuso d’ufficio - è stato approvato in fretta e furia in commissione Giustizia la scorsa settimana per permettere l’arrivo in Aula oggi, così da placare gli appetiti di Forza Italia. In altri casi, come per il ddl Valditara sul ritorno del voto in condotta e dei giudizi sintetici alle elementari, finora si è andati a rilento ma è ragionevole immaginare l’ok finale entro l’inizio dell’anno scolastico. Sul sovraffollamento delle carceri scontro Nordio-Salvini di Vincenzo Ciervo ultimavoce.it, 24 giugno 2024 Il sovraffollamento delle carceri costringe a pensare a nuove forme di espiazione della pena, che non prevedano necessariamente il carcere. È questa la posizione che il Ministro della Giustizia Carlo Nordio ha espresso durante la manifestazione Taobuk di Taormina. Due le proposte fondamentali emerse dal suo intervento: i detenuti stranieri scontino la pena nel paese di origine e i tossicodipendenti in comunità, perché ammalati e non criminali. Una posizione in aperto contrasto con quella di Salvini, che sulla criminalizzazione delle droghe leggere e sulla contrarietà a manovre svuota-carceri ha costruito negli anni due dei pilastri della Lega. Non solo il “campo largo” del centrosinistra, anche la coalizione di governo del centrodestra sembra dare segnali di rottura. La politica è l’arte del compromesso, si sa, ma quando ad essere toccate sono questioni che i partiti sentono come tratti identitari l’arte si fa da parte e lascia spazio a personalismi, veti e scontri cui elettori ed osservatori, dopo decenni, hanno fatto il callo. Che la Lega di Salvini sia oramai diventata il fanalino di coda della coalizione di centrodestra lo hanno detto le elezioni europee e lo ha confermato l’intervento di Carlo Nordio alla manifestazione Taobuk di Taormina di ieri. Il Ministro della Giustizia ha toccato temi che dalle parti del Carroccio sono considerati sacri e ora lo scontro è aperto. Dovrà pensare anche a questo Giorgia Meloni, in questo periodo concentrata su un’altra partita, quella che si gioca sul tavolo delle trattative per le nomine dell’UE. Se per la Meloni le scaramucce tra due dei suoi ministri non sono al primo posto dell’agenda politica, per i detenuti il problema del sovraffollamento delle carceri è questione di vita o di morte. Da inizio anno sono già 44 i suicidi avvenuti nelle celle, 10 in più rispetto al giugno 2023. È a questa grave situazione che ieri Carlo Nordio ha cercato di proporre delle soluzioni. Le proposte del Guardasigilli non compatibili con Salvini - “Penso a pene alternative, forme di espiazione della pena in comunità poiché i tossicodipendenti sono degli ammalati più che dei criminali. Inoltre visto che gli stranieri rappresentano la metà dei detenuti sarebbe opportuno far scontare la pena nei loro Paesi di origine, già avremmo risolto gran parte di questo problema”. Queste le parole che Nordio ha pronunciato alla manifestazione di ieri a Taormina. Una posizione non esattamente in accordo con quella del leader della Lega, che nel corso degli anni si è più volte espresso contro ogni tipo di droga, anche leggera, criminalizzandone l’uso e prevedendone pene severissime, che appesantirebbero le carceri di ulteriori detenuti. La soluzione che sembra prospettare Salvini sul tema del sovraffollamento è strutturalmente diversa da quella di Nordio: il Ministro della Giustizia punta a ridurre il numero di detenuti, il leghista ad aumentare quello degli agenti di polizia penitenziaria e di carceri. Due esempi in proposito. Il primo: non più tardi di un mese fa, in visita al carcere Beccaria, Salvini ha dichiarato: “Si deve fare qualcosa in più al carcere Beccaria, è indubbio, infatti arriveranno tanti agenti della penitenziaria in più. Come ministro ho avuto l’onore di stanziare 35milioni di euro per sistemare alcune carceri in Italia che sono in condizioni indecenti e per portare il diritto al lavoro in quelle carceri, che è fondamentale”. Il secondo risale al 2018 quando Salvini, da pochi mesi Ministro dell’Interno, in un tweet scrisse: “Carceri piene? Non si fa uscire nessuno, no svuota-carceri, no indulti!” e aggiunse una proposta - in perfetto stile “ruspa”, com’era solito fare al tempo - sul problema del sovraffollamento degli istituti penitenziari italiani: “Ne costruiremo di nuovi con i soldi risparmiati dalla riduzione degli sbarchi”. Sono passati 6 anni e gli sbarchi non solo non sono diminuiti, ma hanno portato in Italia ragazzi che, senza avere scelta -per miseria e mancanza di lavoro- si sono visti costretti, per sopravvivere, ad entrare nel circuito della criminalità, affollando le celle delle carceri già al collasso. Forse, anziché sbandierare slogan populisti e reazionari, il leader del Carroccio avrebbe fatto cosa utile qualche anno fa, quando era Ministro dell’Interno, se avesse cercato di trovare una soluzione concreta all’immigrazione incontrollata, anziché urlare provvedimenti tanto sensazionalistici quanto inutili, tipo quello di bloccare per settimane le navi cariche di immigrati sulle coste di Lampedusa, con tutti i disagi e le morti che ne conseguirono. Suicidi in cella, l’appello dei giuristi: “Il legislatore agisca, o lo farà la Consulta” di Davide Vari Il Dubbio, 24 giugno 2024 Nella lettera delle Associazioni di diritto penale l’allarme per la drammatica situazione nelle carceri e il richiamo al rispetto della Costituzione. “Ecco le nostre proposte per ridurre il sovraffollamento”. “Profonda preoccupazione per il progressivo, esorbitante aumento di suicidi all’incerto della comunità carceraria”. Ad esprimerla sono l’Associazione Italiana dei Professori di Diritto penale, L’Associazione tra gli Studiosi del Processo Penale “G.D. Pisapia” e l’Associazione Italiana dei Costituzionalisti, che con un documento congiunto lanciano un appello al Parlamento per fermare la strage in corso nei penitenziari. I numeri sono spietati: a metà 2024 siamo già a 45 suicidi, a cui va aggiunto il numero di agenti penitenziari che si sono tolti la vita nell’ultimo anno. “Di fronte alla drammaticità di questi atti estremi, è doveroso - politicamente e costituzionalmente - operare sulle concause rispetto alle quali c’é margine di intervento, per assicurare una pena detentiva quantomeno rispettosa del canone di umanità e che, aprendosi ancora di più di quanto non faccia alla società, riesca finalmente a superare il carattere segregante che la caratterizza da sempre”, si legge nella nota del 20 giugno. L’allarme riguarda soprattutto il sovraffollamento che, come ricordano i giuristi, comincia ad avvicinarsi ai livelli della sentenza Torreggiani della Cedu. In Italia, secondo il Dap, al 31 maggio ci sono 61.547 reclusi, 1.381 in più rispetto a inizio anno (+2,3%). Domani a Montecitorio è calendarizzata la proposta di legge sulla liberazione anticipata speciale di Roberto Giachetti (Italia Viva) e Nessuno Tocchi Caino. Una soluzione che può ridurre il sovraffollamento, allentare la tensione, dare respiro agli stessi agenti, ormai allo stremo. “Nella della maggior parte degli istituti di pena non sono assicurate le condizioni minime di spazio imposte del rispetto inderogabile della dignità umana, pur entro un contesto problematico e complesso che altera comunque le dimensioni spazio-temporali e le relazioni interpersonali, bagaglio essenziale del vissuto dì ogni persona. È dì tutta evidenza, poi, conte ne risultino inevitabilmente pregiudicate le condizioni necessarie a garantire il rispetto del principio costituzionale della funzione rieducativa delle pene”, scrivono le Associazioni ricordando il richiamo all’Italia da parte del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa. Bisogna dunque agire, e subito, sottolineano i giuristi. “Compete, anzitutto, al legislatore intervenire con urgenza per fronteggiare e risolvere il descritto problema. In assenza, non può certo escludersi che sia la Corte costituzionale - ove opportunamente sollecitata dalla magistratura di sorveglianza - a dover intervenire per arrestare l’eccessivo protrarsi dell’inerzia legislativa, già definito “non tollerabile” nella sentenza n. 279 del 2013, probabilmente attraverso l’estensione delle ipotesi di rinvio facoltativo della pena o di applicazione della detenzione domiciliare”. Dopo aver passato in rassegna il “fallimento dei processi di riforma del sistema sanzionatorio” e meccanismi deflattivi che non hanno prodotto gli effetti sperati, i giuristi elencano una serie di misure che ritengono necessario introdurre. Tra queste sicuramente un più ampio ricorso ai percorsi alternativi al carcere, che mirano anche a ridurre la recidiva. Ma anche “norme e misure che pongano limite all’impiego inflazionato della misura cautelare in carcere” e investimenti in attività trattamentali che riducano “al minimo necessario il ricorso al regime delle “celle chiuse”, in modo da non comprimere oltre il necessario la libertà di movimento dei detenuti”. Intercettazioni, arresti e abuso d’ufficio: riforma entro luglio di Emilio Pucci Il Messaggero, 24 giugno 2024 Il ddl Nordio oggi in aula alla Camera. L’opposizione annuncia battaglia, ma il Terzo polo: “Pronti a votare sì”. “Siamo in dirittura d’arrivo. È stato un percorso non travagliato ma lungo, a causa di sovrapposizioni con altre iniziative in Commissione, ora arriva all’approvazione definitiva”. Il ministro della Giustizia Carlo Nordio ieri ha ricordato che il disegno di legge che porta la sua firma è ormai alle battute finali. Domani approda nell’Aula di Montecitorio per la discussione generale ma il via libera in realtà ci sarà a luglio, per permettere il contingentamento dei tempi ed evitare - la linea del governo - l’ingolfamento dei lavori della Camera che dovrà da qui alla pausa estiva convertire i decreti in scadenza. Il testo non cambierà, non sono previste ulteriori modifiche da parte della maggioranza. Il provvedimento (approvato dal Consiglio dei ministri nel giugno dell’anno scorso) ha avuto il semaforo verde del Senato il 13 febbraio con 104 voti a favore e 56 contrari. Cinque giorni fa si è chiusa con una notturna la maratona della commissione giustizia della Camera: dopo dieci ore d’esame sono stati respinti tutti gli emendamenti che erano stati presentati dall’opposizione. La novità più importante è l’abolizione dell’abuso d’ufficio (reato commesso da chi abusa del proprio potere mentre ricopre un incarico pubblico e proprio per questo finito da anni nel mirino di sindaci e amministratori locali) avallata anche dalla direttiva Ue anticorruzione che ha lasciato gli Stati liberi di decidere quali strumenti legislativi adottare. L’Italia dispone di “un arsenale normativo penale di ben 17 articoli contro la corruzione, un’autorità (l’Anac, ndr) che si occupa in termini preventivi, una giurisdizione che annulla gli atti quando sono viziati e un’autorità civile che consente il risarcimento del danno”, ha sottolineato nei giorni scorsi il Guardasigilli. Dunque, nessun allarme, è la tesi. “Abbiamo più volte annunciato l’intenzione di rispettare la data del 24 giugno per l’approdo in Aula del ddl”, spiega il presidente della Commissione Ciro Maschio di Fdi. Tuttavia, così come è avvenuto in Commissione anche nell’emiciclo le forze che non sostengono l’esecutivo sono pronte alla battaglia. Un altro scontro alle porte, quindi. Si smarcherà solo il Terzo Polo. “Non presenteremo richieste di modifiche proprio perché il provvedimento va approvato rapidamente”, dice Enrico Costa di Azione. L’abuso di ufficio - sottolinea l’azzurro Pietro Pittalis - “è un reato spesso utilizzato come grimaldello da certi Pm per entrare a gamba tesa su competenze che spettano ad altri poteri dello Stato, che ha determinato solo la cosiddetta paura della firma, bloccando le pubbliche amministrazioni e le opere necessarie per ammodernare il nostro sistema infrastrutturale”. “Le condanne - rimarca il leghista Davide Bellomo - rappresentano appena lo 0,3% delle migliaia di fascicoli aperti ogni anno, delle indagini avviate e dei processi celebrati. Questo scenario non solo appesantisce il sistema giudiziario, ma infligge anche un pesante fardello sui cittadini e sui pubblici funzionari, spesso esposti alla gogna mediatica e, in alcuni casi, costretti alle dimissioni”. Oltre all’abrogazione del delitto di abuso d’ufficio, previsto dall’articolo 323 del codice penale, c’è la riformulazione del reato di traffico di influenze illecite (le relazioni del mediatore con il pubblico ufficiale devono essere effettivamente sfruttate e non solo vantate, e devono essere esistenti e non solo asserite), il rafforzamento della tutela della libertà e della segretezza delle comunicazioni del difensore, con l’estensione del divieto di acquisizione da parte dell’autorità giudiziaria anche ad ogni altra forma di comunicazione, diversa dalla corrispondenza, intercorsa tra l’imputato ed il proprio difensore. Si introduce inoltre una stretta sulla pubblicazione delle intercettazioni, ammessa “solo nel caso in cui il contenuto delle stesse sia stato riprodotto dal giudice nella motivazione di un provvedimento e venga utilizzato nel corso del dibattimento”. Per la polizia giudiziaria sarà vietato “riportare nei verbali d’intercettazione i dati relativi a soggetti diversi dalle parti, salvo che risultino rilevanti ai fini delle indagini”, così come “per il giudice è vietato acquisire nello stralcio le registrazioni e i verbali di intercettazione che coinvolgano soggetti diversi dalle parti, salva la dimostrazione della loro rilevanza” e pure per il pubblico ministero “è vietato indicare nella richiesta di misura cautelare i dati personali di soggetti diversi dalle parti coinvolti in conversazioni intercettate”. Altre rilevanti novità di ordine processuale, riguardano la previsione della collegialità del giudice della misura cautelare della custodia in carcere, e l’interrogatorio preventivo nei casi di applicazione della misura cautelare. Si reintroduce, infine, l’inappellabilità da parte del pm delle sentenze di assoluzione per alcuni reati. Nordio: via l’abuso d’ufficio, anche l’Europa ha dato l’ok di Lodovica Bulian Il Giornale, 24 giugno 2024 Dopo il sì del Senato, oggi alla Camera il ddl che abroga il reato. “I sindaci non saranno più paralizzati dalla paura della firma”. È una bandiera del governo e del ministro della Giustizia Carlo Nordio dai tempi in cui faceva il pubblico ministero. Il suo ddl che contiene l’abrogazione dell’abuso d’ufficio arriva oggi in aula alla Camera - ha già incassato il sì del Senato - e il Guardasigilli lo rivendica come l’eliminazione di uno degli ostacoli alla velocità del cosiddetto sistema Paese, con la paura della firma che assilla migliaia di sindaci e amministratori. “Senza l’abuso di ufficio l’economia e la giustizia italiana correranno più veloce”, dice in un’intervista rilasciata proprio ieri. Per Nordio, il Paese “cambierà radicalmente. Sindaci e amministratori non saranno più paralizzati dalla paura della firma, la certezza del diritto sarà meglio assicurata, e alcune migliaia di processi inutili, statisticamente già destinati all’assoluzione, saranno eliminati - sottolinea - La giustizia penale, gli investimenti e l’economia correranno più veloci”. Una modifica chiesta sottovoce anche da un esercito di sindaci del Pd, come aveva confidato lo stesso ministro: “Sottobanco tutti venivano in processione a dirci Fate bene, fate bene”. All’opposizione che gli contesta i richiami dell’Europa contenuti nella nuova direttiva anticorruzione - la cui bozza iniziale chiedeva l’introduzione del reato in tutti i Paesi - Nordio fa chiarezza dopo l’ultimo consiglio Ue dei 27 che si è svolto pochi giorni fa: “La Presidenza ha accolto la nostra proposta di rendere facoltativo, e non più obbligatorio, il mantenimento di questo reato”. Una vittoria, “ora abbiamo un via libera chiaro e definitivo, e devo ringraziare per questo straordinario lavoro tutto lo staff ministeriale, i nostri magistrati di collegamento. E ora spero che questo argomento non venga più sollevato”. Ai colleghi europei aveva spiegato come l’abrogazione del reato verrebbe comunque bilanciata dagli altri strumenti anticorruzione attivi nel nostro Paese: “In Italia abbiamo un arsenale normativo penale di ben 17 articoli contro la corruzione. Abbiamo un’autorità, l’Anac, che si occupa in termini preventivi. Abbiamo una giurisdizione amministrativa che annulla gli atti amministrativi quando sono viziati, e abbiamo un’autorità civile che consente il risarcimento del danno delle persone che lo hanno subito”. Con questa apertura di Bruxelles alla discrezionalità di ciascun Paese sul tenere o meno il reato, “la riforma sull’abuso di atto di ufficio è perfettamente compatibile con la lotta alla corruzione: gli Stati non sono obbligati, come si era detto un tempo, a mantenere questo reato, possono mantenerlo secondo la loro discrezione. Noi manterremo l’intenzione di abolirlo”, aveva detto Nordio. I numeri. Al di là di un dossier di Azione - opposizione che sostiene in Parlamento il ddl Nordio - che ha analizzato i procedimenti per abuso d’ufficio consegnando a via Arenula oltre 150 casi di sindaci indagati e poi assolti per questo reato, le cifre sono ormai note e fotografano migliaia di procedimenti che finiscono archiviati. Nel 2021 dei 4.745 procedimenti aperti ben 4.121, ovvero l’85%, sono finiti così. Nel 2022 ne sono stati instaurati 3.938 e 3.536 archiviati, il 79%. Si tratta in gran parte di richieste di archiviazione presentate dalle stesse Procure al termine delle indagini preliminari. Le condanne: nel 2021, su 513 procedimenti definiti e andati a dibattimento, sono state soltanto 18 (erano state 37 nel 2020 e 54 nel 2019). La riforma che arriva in aula oggi per l’ultimo miglio, contiene anche un ridimensionamento del reato di traffico di influenze illecite limitato a condotte particolarmente gravi. E anche quella che Nordio considera un’altra svolta: sulla richiesta di custodia cautelare in carcere si dovrà esprimere un collegio di tre giudici, non più solo il gip. Colpo di spugna finale all’abuso d’ufficio. Lo scontro arriva in Aula di Gabriella Cerami La Repubblica, 24 giugno 2024 Parte oggi l’iter per l’approvazione del ddl Nordio che cancella il reato, limita il traffico d’influenze e dà una stretta alle intercettazioni. M5S: “Un regalo a FI”. Pd: “Staremo in trincea tutte le notti”. La battaglia sulla giustizia si è già combattuta di notte senza esclusione di colpi, quando in commissione Giustizia sono state respinte le oltre cento proposte di modifica presentate dall’opposizione. E oggi il disegno di legge Nordio sull’abolizione del reato di abuso d’ufficio, che con un colpo di spugna concede uno scudo di impunità ai pubblici amministratori, arriva nell’Aula della Camera per il secondo round. Bandierina della destra - Tra i punti principali di questo provvedimento, sventolato dalla destra come una bandierina e considerato una provocazione dalle opposizioni irritatissime perché l’esecutivo ha preteso di accelerare i tempi, anche una nuova stretta sulla pubblicazione delle intercettazioni e un ridimensionamento del perimetro del traffico di influenze illecite. Reato, quest’ultimo, che punisce chi millanta o sfrutta rapporti, dietro remunerazione, con un’istituzione pubblica e fa valere questa posizione per fare da mediatore tra un soggetto privato e l’ente pubblico. Il contingentamento dei tempi - Blitz notturno, quindi, e accelerazione per approvare il testo in commissione, ma non è ancora arrivato il momento del via libera finale. La destra ha infatti spedito il testo in Aula questa settimana solo per poter sfruttare la norma del regolamento che poi consentirà di contingentare i tempi a luglio. Una nuova “tagliola”, denunciano le opposizioni. Ma non è ancora chiaro quando il ddl di Nordio sarà votato, perché qualche giorno fa la premier Giorgia Meloni ai ministri ha messo in chiaro che inevitabilmente “vengono prima i decreti” che affollano i lavori parlamentari e che scadono in sessanta giorni: non si può correre il rischio di lasciarli decadere. Il ruolo di Italia viva e Azione - Il Partito democratico, il Movimento 5 Stelle e Alleanza verdi e sinistra, che hanno votato contro in commissione, torneranno alla carica in Aula già oggi. Mentre Italia Viva e Azione, che non erano presenti al momento del voto, sono pronte a votare con la maggioranza. Enrico Costa, del partito di Carlo Calenda, lo dice chiaramente: “Abrogazione dell’abuso d’ufficio, interrogatorio prima della custodia cautelare, giudice collegiale per gli arresti, tutela dei terzi nelle intercettazioni, inappellabilità delle sentenze di assoluzione, sono punti che proponiamo da sempre”. E anche Isabella De Monte, di Italia viva, esulta: “Meglio tardi che mai”. Un’intesa larga, quindi, da destra verso il centro. “Dopo Premierato e Autonomia” - La Cinque Stelle Valentina D’Orso, capogruppo in commissione Giustizia, vede “in questa corsa contro il tempo un regalo a Forza Italia dopo il premierato a Fratelli d’Italia e l’Autonomia alla Lega. Tappe forzate per lasciare i cittadini indifesi di fronte agli abusi di potere e ai soprusi dei pubblici ufficiali. Noi in Aula saremo la voce di quei cittadini”. E lo sarà anche il Pd. “Staremo in trincea tutte le notti”, annuncia la responsabile giustizia dei dem Debora Serracchiani, “pur di opporci a questo ddl Nordio che Forza Italia ha tirato fuori dopo mesi, con il solo scopo di non rimanere con il cerino in mano”. Le critiche dell’Anm - La questione è cruciale e coinvolge l’Associazione nazionale magistrati, con il presidente Giuseppe Santalucia contrario all’eliminazione del reato perché “non è seriamente comprensibile come l’abuso dei pubblici poteri possa restare indifferente al sistema penale”. Ed è così che la giustizia diventa il fronte caldo di una estate già politicamente torrida di suo. Abuso d’ufficio, bavaglio e carriera dei giudici: tutte le bugie di Nordio di Gianni Barbacetto Il Fatto Quotidiano, 24 giugno 2024 Senza il reato d’abuso d’ufficio, l’economia e la giustizia “correranno più veloce”: lo dice il ministro della Giustizia Carlo Nordio al Messaggero, felice di annunciare che la sua riforma sta per avere il via libera del Parlamento. Primo atto di una commedia (o tragedia) che si concluderà con la separazione delle carriere di giudici e pm. Cancellando l’abuso d’ufficio, “sindaci e amministratori non saranno più paralizzati dalla paura della firma, la certezza del diritto sarà meglio assicurata”, assicura Nordio. Così “la giustizia penale, gli investimenti e l’economia correranno più veloci”. Sulla velocità dei processi, in verità non cambierà nulla: per tutto il resto le procedure restano le stesse, anzi diventano più lunghe, a causa per esempio delle nuove norme, complesse e farraginose, sul sequestro di smartphone e apparecchi elettronici. Forse “correrà più veloce l’economia italiana”, nel senso che con l’abolizione dell’abuso d’ufficio cadrà un altro controllo sulla correttezza dei comportamenti amministrativi: a farne le spese saranno la trasparenza e la possibilità di contrastare la corruzione. Nordio si vanta che l’Europa, su pressioni dell’Italia, ha superato la posizione della Commissione europea secondo cui l’abuso d’ufficio deve essere un reato obbligatorio in ogni Paese europeo. In realtà sulla possibilità di renderlo facoltativo si è espressa solo la presidenza del Consiglio Ue e ora bisognerà aspettare l’insediamento del nuovo Europarlamento, della nuova Commissione e l’elaborazione del nuovo testo della direttiva sulla corruzione. L’abuso d’ufficio c’è in tutti gli altri Paesi europei ed è previsto come obbligatorio dalla Convenzione di Merida dell’Onu, recepita dall’Italia fin dal 2009. Altro vanto del ministro è il bavaglio, cioè il divieto di pubblicare intercettazioni di soggetti terzi. “La segretezza e la libertà delle comunicazioni sono beni primari e inviolabili. Ma c’è ancora molto da fare, e lo faremo”, minaccia Nordio. Per esempio proibendo l’uso del trojan? “Sarebbe improprio dirlo ora”: Nordio vuol lasciare un po’ di suspence. Ma poi, trascinato dall’entusiasmo, aggiunge: “Chi entra nel cellulare di una persona entra nella sua vita, perché lo strumento non contiene solo conversazioni, ma anche le cartelle cliniche, le dichiarazioni dei redditi, le immagini personali; è accaduto che una ragazza minorenne, studentessa all’estero, abbia inviato a sua madre la foto di un’eruzione cutanea da mostrare al dermatologo di fiducia”. Che cosa c’entri l’eruzione cutanea con la possibile diffusione di notizie su comportamenti scorretti tenuti da politici, amministratori e personaggi pubblici lo sa solo Nordio. In Italia non c’è proprio un diluvio di pubblicazioni d’intercettazioni abusive, se anche il Garante della privacy, Pasquale Stanzione, ha spiegato che “dal 2020 non abbiamo registrato alcuna violazione della privacy”. Ma il ministro pregusta già le prossime mosse. Altri interventi sui reati contro la pubblica amministrazione? “Al momento non ne sono previsti, ma ci stiamo lavorando con i colleghi delle commissioni”. Una delle idee è rendere inappellabili le sentenze d’assoluzione in primo grado: già bocciata in passato dalla Corte costituzionale, resta nel libro dei sogni del ministro e del suo governo. Così sarà via via costruita l’amnistia permanente per i reati dei colletti bianchi. Resterà ai magistrati il lavoro sui reati di strada e dei poveri cristi e sulle nuove fattispecie introdotte, dal reato di rave party in giù. Infine arriverà la ciliegiona sulla torta: la separazione giudici-pm. “Le carriere vanno separate e il Csm va riformato” con “il sorteggio e l’istituzione di un’Alta corte disciplinare”. La magistratura viene progressivamente privata di strumenti d’indagine e il pm ricondotto sotto il controllo del governo. Ma questo per Nordio è solo “un’altra petulante e fantasiosa litania”: “continuare nel ritornello che la riforma tenderebbe a sottoporre il pm all’esecutivo significa fare un processo alle intenzioni, di pessimo gusto”. Dunque valgono le dichiarazioni, non gli effetti concreti. Il controllo della politica si eserciterà anche con l’indicazione delle priorità che le Procure dovranno seguire nelle indagini: un passo verso la discrezionalità dell’azione penale. Nordio per ora ribadisce che “resterà obbligatoria”, ma “con criteri di priorità che sono stati in parte già definiti dalla Cartabia. È bene che siano omogenei, per evitare una confusione nei vari indirizzi investigativi delle singole Procure”. Contro l’affollamento delle carceri, il ministro cita “la semplificazione della “procedura di liberazione anticipata” e l’attribuzione “dell’ordinanza di custodia cautelare a un organo collegiale”: ma più giudici vorranno dire tempi più lunghi, non necessariamente meno carcerazioni. Per quanto riguarda i detenuti stranieri in Italia, “lavoriamo intensamente per far scontare la pena nei loro Paesi di origine”, dice il ministro: vecchia promessa, vasto programma. Giuseppe Busia: “La cancellazione del reato di abuso d’ufficio avrà delle conseguenze” Il Dubbio, 24 giugno 2024 Il presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione ha sottolineato come questa decisione possa influire negativamente sulla trasparenza e sull’attrattività degli investimenti in Italia. Giuseppe Busia, presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), ha recentemente espresso preoccupazione riguardo alla prevista cancellazione del reato di abuso d’ufficio. In un’intervista con il quotidiano “La Stampa”, Busia ha sottolineato come questa decisione possa influire negativamente sulla trasparenza e sull’attrattività degli investimenti in Italia. Questo articolo esplora i punti salienti delle sue dichiarazioni e analizza le possibili conseguenze di tale cambiamento normativo. Lotta alla corruzione - Secondo Busia, la cancellazione del reato di abuso d’ufficio creerebbe un vuoto normativo che indebolirebbe i presidi contro la corruzione. “L’ordinamento non classificherebbe più come reato certi comportamenti che sono chiaramente non accettabili”, ha affermato Busia. Le grandi imprese, nel decidere dove investire, valutano attentamente la presenza di misure adeguate contro la corruzione. Eliminare questo reato potrebbe quindi ridurre la fiducia degli investitori stranieri nel sistema legale italiano. Vuoti normativi - Busia ha fornito esempi concreti per illustrare le sue preoccupazioni. Attualmente, se un funzionario favorisce un’impresa in un appalto aggiustando la gara a suo favore, viene punito per turbata libertà degli incanti, anche senza tangenti. Tuttavia, se il funzionario salta la gara e affida direttamente il contratto oltre i limiti di legge, la sanzione penale verrebbe meno con l’eliminazione del reato di abuso d’ufficio. Questo scenario si applica anche ai concorsi pubblici, dove la mancanza di sanzioni potrebbe portare a favoritismi e corruzione non rilevata. Soluzioni alternative alla cancellazione - Busia ha proposto soluzioni alternative alla cancellazione del reato di abuso d’ufficio. “La paura della firma deriva non tanto dalla paura dell’azione penale, quanto da leggi poco cristalline”, ha spiegato. Scrivere norme chiare e fornire mezzi adeguati alle amministrazioni, soprattutto ai piccoli comuni che spesso mancano di risorse, potrebbe migliorare la situazione. Busia ha anche sottolineato l’importanza di non abrogare le sanzioni per chi viola le norme, ma piuttosto di fornire supporto per seguire l’iter corretto. Inchieste giudiziarie - Abrogare il reato di abuso d’ufficio influirebbe negativamente sulle indagini anticorruzione. Busia ha chiarito che non sarebbe corretto aprire un’inchiesta per abuso d’ufficio solo per cercare eventuali altri reati. Tuttavia, una volta accertato l’abuso, indagare ulteriormente potrebbe rivelare tangenti e altre forme di corruzione. Eliminando questo reato, certe ipotesi corruttive potrebbero sfuggire alle indagini, complicando la lotta alla corruzione in Italia. Conseguenze a lungo termine - Le implicazioni economiche della cancellazione del reato di abuso d’ufficio potrebbero essere significative. “I player internazionali, per decidere dove investire, valutano attentamente che ci siano presidi adeguati contro la corruzione. Vogliono certezza e trasparenza” ha concluso Busia. Un sistema legale che non punisce adeguatamente la corruzione potrebbe disincentivare gli investimenti esteri, influendo negativamente sulla crescita economica del Paese. In tal senso, mantenere presidi legali forti contro la corruzione risulta essenziale per attrarre investimenti e promuovere uno sviluppo sostenibile. La separazione delle carriere è solo uno slogan (e una vendetta) di Francesco Saluzzo Corriere di Torino, 24 giugno 2024 Il dibattito sui progetti di riforma della giustizia, in queste ultime settimane, ha destato un minore interesse, attirato dalle discussioni su un’altra riforma, quella che ipotizza premierato e autonomia differenziata. L’impressione e la percezione è che alla maggior parte dell’opinione pubblica sfugga la reale portata demolitoria e ideologica di queste prospettive di riforma e l’assoluta inutilità dei progetti in materia giudiziaria, presentati e proposti, invece, come la soluzione ai tanti mali, le tante inefficienze, innegabili, del nostro meccanismo giudiziario e processuale (sia civile che penale). Una linea che era già iniziata con la riforma varata dalla ministra Cartabia e che ha reso ancor più difficile (e simile a un gioco dell’oca) il cammino, soprattutto del processo penale. Ma, se quello è stato un intervento funzionale a dare qualche segnale di efficientamento ai fini della possibilità di usufruire di fondi europei, quello pensato dal governo e dalla maggioranza che è succeduta ha tutte le caratteristiche (negative) di una sorta di regolamento di conti con la magistratura e dello scopo del “ridimensionamento” di quelle che sono le garanzie - vorrei dire anche prerogative, che non sono privilegi dei magistrati, ma meccanismi di garanzia per i cittadini - dell’ordine giudiziario, dei suoi singoli componenti e della possibilità di esercitare e amministrare in maniera indipendente la giurisdizione. La migliore riprova è la direzione che il legislatore ha scelto di percorrere: la modifica di molte previsioni della Costituzione che regolano la materia. Non, invece, quello che sarebbe servito, in materia di ordinamento e processo. Ma, in un momento, in cui si tenta, con una sorta di tridente, di modificare gli assetti fondamentali dello Stato unitario e i meccanismi e le funzioni dei massimi organi di garanzia (con evidente spostamento dell’asse verso l’esecutivo) e di “affievolire” i meccanismi di controllo e indebolire gli stessi protagonisti dei controlli, non poteva mancare, nel terzo dente del formidabile strumento di Nettuno, la magistratura. Si sta maneggiando la Costituzione e la modifica di molti aspetti nevralgici, senza quella cura e quella cautela e “delicatezza” che dovrebbe essere nella cultura istituzionale e costituzionale di chiunque vinca le elezioni e abbia la legittimazione per proporre e realizzare riforme. Tornando al tema della “giustizia”, la collettività deve sapere e avere piena certezza che, quelle riforme proposte, non risolveranno uno solo dei problemi che i magistrati e gli avvocati, per primi, e i cittadini che hanno necessità di una risposta giudiziaria, incontrano ogni giorno. I fattori di crisi sono oramai “strutturali” e affondano nel tempo e nella incapacità (o mancanza di volontà?) di tanti e diversi parlamenti, esecutivi di intervenire sulle cause; non con provvedimenti tampone o spot, da poter sbandierare immediatamente; ma con interventi strutturali seri e duraturi nel tempo. Da noi, ogni governo, ogni maggioranza ritiene di dover lasciare il suo segno sulla “giustizia”, modificando quello che si era appena modificato. Ma quale organizzazione può reggere a una simile instabilità e precarietà degli strumenti a disposizione? La separazione delle carriere, l’abolizione dei reati dei “forti”, un pasticcio indicibile (come un taglia e cuci) nel tentativo non di far meglio e prima i processi, ma di evitare che si facciano, non sono le misure necessarie e non si deve ingannare la collettività, facendo credere il contrario. Le persone, le organizzazioni devono sapere che, in un ordinamento nel quale il provvedimento del gip - parliamo della custodia cautelare e di questo vilipeso giudice, presentato come esempio del peggior e inquinato rapporto tra pm e giudici - viene rivalutata da una media tra otto e quindici giudici, compresi quelli della Cassazione, il feticcio della separazione tra pm e giudici è solo uno “scalpo”; ma perfettamente funzionale a ridurre l’area di indipendenza dei magistrati e la, possibilità per i cittadini di fidarsi di loro. La separazione delle carriere rappresenta solo “propaganda”, temo un trofeo, da offrire anche a una frangia dell’avvocatura associata, sulle barricate da tempo, ma, tuttavia - benché continui a negarlo - consapevole che tutto questo furore riformatore potrà sicuramente “scassare” definitivamente il sistema; ma certamente non migliorerà la situazione e non risponderà alle domande e alle esigenze dei cittadini. E anche per l’avvocatura non sarà un bell’approdo. Ustica, le rivelazioni dell’ex militare francese: “I miei superiori mi dissero di mentire su quella sera” di Fabrizio Caccia Corriere della Sera, 24 giugno 2024 Le rivelazioni a Giletti. “Agli italiani non andavano consegnati i tracciati radar”. “Finalmente dopo 44 anni, anche se tardi, chi ha voglia comunque di raccontare il ruolo che ha avuto, da uomo delle istituzioni, fa solo il proprio dovere”, dice Daria Bonfietti, presidente dell’Associazione parenti delle vittime della strage di Ustica. L’ex senatrice Ds, che nel disastro del DC-9 Itavia del 27 giugno 1980 (81 vittime, tra passeggeri ed equipaggio, nessun superstite) perse suo fratello maggiore, Alberto, commenta così le anticipazioni dello speciale di Massimo Giletti Ustica: una breccia nel muro che andrà in onda domani sera alle ore 21.20 su Rai Tre. Il giornalista, tornato in Rai dopo 7 anni a La7, ha intervistato in esclusiva l’ex addetto militare in servizio all’ambasciata francese a Roma alla fine degli anni 80, che fa rivelazioni importanti: furono i suoi superiori militari francesi - dice l’uomo nel colloquio videoregistrato - a ordinargli nel 1990 di non consegnare ai colleghi italiani dello Stato maggiore dell’Aeronautica i tracciati radar della base aerea di Solenzara, in Corsica, relativi alla sera del 27 giugno di 10 anni prima. “Mi fu detto di riferire che la base era chiusa e il radar di Solenzara era in manutenzione”, confessa oggi a Giletti l’ex addetto francese. Una bugia. Un particolare che, se confermato, si aggiungerebbe all’ipotesi formulata un anno fa dall’ex premier, Giuliano Amato, che sostenne che il DC-9 fu distrutto per errore da un missile francese destinato a uccidere il dittatore libico Muammar Gheddafi, in volo nel Mediterraneo quella sera a bordo di un Mig. “Adesso l’Eliseo può lavare l’onta che pesa su Parigi”, disse Amato. Subito, durissimo, intervenne il ministero degli Esteri francese, rigettando le ombre: “Su questa tragedia la Francia ha fornito ogni elemento in suo possesso ogni volta che le è stato chiesto”. Di sicuro, però, la base francese di Solenzara la sera del 27 giugno 1980 era aperta e operativa, come dimostrò già 10 anni fa la Procura di Roma, che riuscì a rintracciare 14 ex militari dell’Armée de l’Air che erano al lavoro. Ma c’è di più: nello speciale in onda domani sera è previsto anche il contributo esclusivo di un militare italiano dell’Aeronautica (l’identità non sarà svelata per tutelarlo) che era in servizio quella sera di 44 anni fa “in una base radar segreta” interessata dalla rotta del DC-9 (Bologna-Palermo) e che avrebbe deciso di dire quello che vide alle 20.59 quando l’aereo Itavia precipitò nel tratto di mare compreso tra Ponza e Ustica. “Continuiamo a dire che manca un pezzo di verità”, chiosa speranzosa Daria Bonfietti. Lo speciale di Giletti verrà trasmesso, non a caso, da Bologna, da dove partì il DC-9 e dove c’è il museo per la memoria di Ustica che custodisce i resti dell’aereo. Con 81 lampadine sospese (e flebilmente pulsanti) installate dall’artista francese Christian Boltanski, a simboleggiare il battito dei cuori delle vittime. In Albania rischia la vita per la legge “Kanun”, il giudice revoca il decreto di espulsione di Sandro De Riccardis La Repubblica, 24 giugno 2024 L’uomo resta in attesa che venga valutata la sua domanda di protezione internazionale, proprio sulla base dei rischi che corre nel rientrare nelle zone rurali del suo paese. In Albania rischia la vita per una faida che coinvolge la sua famiglia, per un debito non saldato dal padre. Una lite tra famiglie locali che lo espone alla vendetta sulla base delle regole arcaiche del Kanun, il codice orale che dirime la riparazione dei torti subiti col sangue e la violenza. Così Kristian M., 30 anni, albanese, ha ottenuto la revoca del decreto di espulsione dal tribunale civile di Brescia. E da recluso al Centro di permanenza e rimpatrio di Bari, a un passo dal trasferimento in Albania, è tornato libero. Ora resta in attesa che venga valutata la sua domanda di protezione internazionale, proprio sulla base dei rischi che corre nel rientrare nelle zone rurali del suo paese dove il Kanun è considerato legge. Una situazione di pericolo che da anni è riconosciuto dalla giurisprudenza italiana come meritevole di tutela. Il trentenne albanese, difeso dall’avvocato Stefano Afrune, era già stato espulso una prima volta dopo un periodo trascorso nel Cpr di Bari. Dopo essere ritornato nei suoi luoghi di origine, nel nord dell’Albania, aveva subito un attentato ed era nuovamente scappato in Italia. Poi lo scorso marzo, durante un controllo, era stato nuovamente arrestato per violazione del divieto di reingresso in Italia e per aver fornito false generalità agli agenti. Una vicenda che ha portato a una condanna a un anno, con pena sospesa. Finché nei giorni scorsi, in nuovo controllo a Chiavenna da parte della polizia stradale, è stato raggiunto da un nuovo decreto di espulsione, da parte del prefetto di Sondrio, per la sua condizione di irregolare sul territorio. Ma i giudici di Brescia (Stefana-Colombo-Gaboardi) hanno revocato il provvedimento, valutando i rischi di un ritorno in patria. Le regole non scritte del Kanun, infatti, estendono la vendetta anche ai familiari di chi è ritenuto responsabile di un torto subito da altre famiglie della comunità. Come ha dimostrato anche l’attentato subito dal trentenne albanese dopo la prima espulsione. Torino. Le battaglie dei penalisti: “Riforma della giustizia e basta suicidi in carcere” di Massimiliano Nerozzi Corriere di Torino, 24 giugno 2024 Parla l’avvocato Roberto Capra: “Con la separazione delle carriere, un giudice davvero terzo. E noi lottiamo contro i suicidi”. Due sono le principali battaglie della Camera penale “Vittorio Chiusano”, spiega il presidente, l’avvocato Roberto Capra: “Fermare i suicidi in carcere e spingere la riforma della giustizia”. A partire dalla separazione delle carriere, tra pm e giudici, motivo di dibattito, acceso, con la magistratura: “Ma la separazione darebbe maggiori garanzie e diritti ai cittadini”. E proprio sul tema delle condizioni delle carceri, Capra conferma parole e contenuto del comunicato che fece infuriare tanti magistrati: “Lo scriverei con gli stessi termini”. Avvocato Roberto Capra, presidente della Camera penale “Vittorio Chiusano”, perché volete la separazione delle carriere? “È una riforma che va verso la tutela dei diritti dei cittadini e, quindi, verso una giustizia migliore”. La separazione risolve guai della giustizia? “Non è ovviamente sufficiente, ma se può incidere poco sulla quantità, dei problemi, migliora senza dubbio la qualità, della giustizia”. L’anm dice che un pm indipendente è una garanzia per i cittadini: che ne pensa? “Anche con la separazione ci sarebbe l’obbligatorietà dell’azione penale, e quella è una garanzia per i cittadini”. Separati i pm, chi controllerebbe il potere di 2.500 persone? “Due Csm, per esempio. Dopodiché, la cosa importante è che ci sia il controllo di un giudice: forte, indipendente e terzo, come vuole l’articolo 111 della Costituzione”. Altro timore dei magistrati: separate le carriere, il pm finirebbe sotto l’esecutivo... “È una falsa informazione, perché nessun progetto di riforma lo prevede, neppure quello delle Camere penali. Si opera sui Csm, come dicevo. Premesso ciò, ci sono Paesi civilissimi nei quali la pubblica accusa è sotto l’esecutivo”. Morale? “È uno slogan che viene sbandierato per contrastare la riforma della giustizia, e catturare consensi. E se il pm ha il dominio dell’azione penale, c’è comunque sempre un giudice a controllare, anche sulle archiviazioni”. Con quei “noi accusiamo”, il comunicato sui suicidi in carcere ha fatto arrabbiare tanti magistrati: userebbe le stesse parole? “Lo scriverei negli stessi termini, perché vorrei che i magistrati capissero che ormai non basta applicare la legge, ma serve un ragionamento in più: che sto mandando una persona in un determinato carcere, un posto di sofferenza, con il sovraffollamento e tante altre criticità. Noi lottiamo e lotteremo per migliorare la condizione dei detenuti”. Ma il giudice non è “bouche de la lois”? “Con i penitenziari che abbiamo, e le misure alternative, un magistrato ci dovrebbe pensare due volte, se mandare una persona in carcere. E poi mi piacerebbe che i magistrati non facessero una sollevazione popolare solo quando si tocca l’ordinamento giudiziario, ma che si arrabbiassero anche per la situazione degli istituti di pena. Parlo in generale, ovviamente, perché alcuni ne discutono e hanno a cuore il problema”. Non le sembra che alla base di tutto ci sia la mancanza di personale? “C’è una carenza di risorse, senza dubbio, e bisognerebbe investire sotto ogni profilo, però la carenza di risorse non può essere l’unica spiegazione: possiamo fare tutti di più, e meglio. Ormai è anche un rifugio rassicurante, e invece non può esserlo”. Avvertendo sui rischi della separazione, funzionale anche, il giudice Roberto Arata raccontava il pensiero di un giovane pm, pur in buona fede: “Lo assolverei, ma da pm devo chiedere la misura”. Che effetto le fa? “Inorridisco. Il pm fa parte di un sistema giustizia, che è l’espressione di un potere dello Stato, e allora dovrebbe applicare la legge”. Pm e “cultura della giurisdizione”: il suo giudizio? “La cultura della giurisdizione appartiene al giudice, che è ius-dicere; ed è il giudice che deve essere terzo. Pensiamo alle misure cautelari: molte indagini si basano sulle intercettazioni telefoniche e allora chiedo, quanti gip le ascoltano? Molte volte - non in tutte, ci tengo a specificarlo - vengono riportate con la lettura che ne hanno dato polizia giudiziaria e pm”. Quindi? “Sulle misure cautelari, in generale, si avverte con frequenza l’assenza di terzietà, di un pieno spirito critico. Basterebbe un giudice separato”. Alcuni suoi colleghi dicono che servirebbero pure edifici diversi: esagerato? “Sarebbe una possibile conseguenza della separazione delle carriere”. Cremona. Carceri, sciopero dei penalisti: “Scia di morti nelle celle” di Francesca Morandi laprovinciacr.it, 24 giugno 2024 Astensione indetta dalla Camera Penale dall’10 al 12 luglio contro “l’indifferenza della politica sui problemi delle Case circondariali”. La Camera penale di Cremona e Crema ‘Sandro Bocchi’, presieduta dall’avvocato Micol Parati, aderisce all’astensione dalle udienze e da ogni attività giudiziaria nel settore penale proclamata dalle Camere penali italiane per l’10, l’11 e il 12 luglio prossimi. La decisione è stata presa a conclusione della maratona oratoria iniziata il 29 maggio scorso e che a Cremona ha fatto tappa l’11 giugno, “con cui si è inteso denunciare pubblicamente tanto la mancanza di una serie di riforme strutturali e di ripensamento dell’intera esecuzione penale, quanto l’irresponsabile indifferenza della politica di fronte al dramma del sovraffollamento e alla tragedia dei fenomeni suicidari”, è scritto nel manifesto delle Camere Penali Italiane. “Dall’inizio dell’anno, nelle carceri 39 suicidi, 91 decessi e 4 suicidi tra gli agenti della polizia penitenziaria. Questi numeri non ci possono lasciare indifferenti. In carcere ci si toglie la vita in percentuale 18 volte di più rispetto alla società civile esterna”, aveva sottolineato la presidente Parati alla maratona oratoria nel cortile Federico II. Parati aveva ricordato anche i 287 atti di autolesionismo a Ca’ del Ferro nel 2023. “Questo ci fa capire quanto la situazione sia abnorme, inaccettabile”. Ed ancora: “Le carceri sono sovraffollate: abbiamo celle in cui dovrebbero stare due detenuti, ma che, invece, ne accolgono quattro, sei, a volte anche otto con letti uno sopra l’altro, in una situazione così ristretta che è impossibile aprire le finestre per far cambiare aria alla cella”. La presidente Parati aveva parlato dei problemi di natura psichiatrica (molti detenuti ne soffrono) e sanitaria: “Lo Stato non riesce a fornire un’adeguata assistenza sanitaria alle persone detenute. Eppure, i detenuti sono affidati allo Stato. Per il periodo in cui devono scontare la pena, lo Stato li deve custodire e dovrebbe in quel periodo rieducarli. Però questo non succede. Eppure, questo è scritto nella nostra Costituzione”. Aveva citato l’articolo 27: ‘Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato’. “La pena deve essere giusta e rispettosa della dignità dell’uomo. Se così non fosse, lo Stato si abbasserebbe al livello di chi ha sbagliato e di chi ha commesso dei reati. Lo Stato che non rispetta la Costituzione è uno Stato che non dobbiamo accettare. Ci troveremmo, se così fosse, tutti consapevoli e in qualche modo correi, nel porre in essere comportamenti contro la legge”. Poi, il richiamo all’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo: ‘Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti’. “Eppure - aveva evidenziato Parati - in Italia di pena si muore, anche se la pena di morte è stata abrogata”. Giustizia riparativa, l’unico “antidoto” contro l’odio e la vendetta di Walter Lamberti La Fedeltà, 24 giugno 2024 Il progetto di Caritas italiana ha coinvolto anche la Caritas diocesana; tre i rappresentanti al convegno conclusivo svoltosi a Roma. Si è svolto il 7 e l’8 giugno a Roma, il Convegno nazionale di Caritas italiana sulla Giustizia riparativa. Obiettivo: tirare le somme sul progetto sperimentale che ha coinvolto le Caritas diocesane di Milano, Ancona, Prato, Napoli, Cerignola, Agrigento, Verona e Cuneo-Fossano. A rappresentare Fossano al convegno c’erano Nino Mana, Maria Paola Longo e Gabriella Tortone. Il progetto, coordinato dalla Caritas nazionale, si è svolto in collaborazione con il Team delle pratiche di giustizia riparativa dell’Università degli Studi di Sassari, ed ha visto 23 operatori delle 8 Caritas diocesane impegnati in un percorso di 87 ore di formazione suddivise in 5 appuntamenti residenziali, ai quali si sono aggiunti appuntamenti online. Grazie a questi incontri si è formata una rete informale di scambio e sostegno reciproco che ha permesso di moltiplicare gli esiti - formativi e informativi - sui vari territori, grazie proprio alle reciproche disponibilità di coinvolgimento. Il resoconto finale delle attività svolte racconta di 203 incontri di sensibilizzazione, 356 di formazione e 94 veri e propri incontri riparativi in cui sono state coinvolte più di 6700 persone. Nel suo intervento formativo, Patrizia Patrizi, ordinaria di psicologia giuridica e pratiche di giustizia riparativa all’Università di Sassari e presidente del Forum Europeo della Giustizia riparativa, ha ribadito che “la Giustizia riparativa è un paradigma, non un programma o un metodo. Non è un modello e non è limitato al sistema penale, se lavoriamo con le comunità riusciamo a sollecitare il cambiamento. Invece di allontanare ed escludere chi ci minaccia, occorre mettersi insieme, per alleviare la sofferenza attraverso il dialogo”. Andrea Molteni, sociologo della Caritas ambrosiana, ha ricordato che “la Giustizia riparativa non è la mediazione che si usa in campo civile, è invece la costruzione di nuove forme di relazione. Non bisogna cadere nella trappola della delega riparativa da parte di un sapere esperto. La riparazione non è un effetto degli esperti, bensì di un processo fra persone e comunità; non è l’ennesima espropriazione del conflitto rispetto alla persona che l’ha vissuto o alla comunità”. Ora si guarda al futuro - Anche sul territorio fossanese le attività previste dal progetto hanno riscontrato interesse e curiosità per un paradigma che diventa un modo di stare nella propria vita quotidiana, offrendo appigli concreti e modalità di relazione accoglienti e disponibili, in un panorama culturale in cui prevalgono sempre più atteggiamenti aggressivi e di sopraffazione dell’altro. Come ha scritto Papa Francesco nella “Fratelli tutti” “la cultura della Giustizia riparativa è l’unico e vero antidoto alla vendetta e all’oblio, perché guarda alla ricomposizione dei legami spezzati e permette la bonifica della terra sporcata dal sangue del fratello” (n. 252). Ora si guarda al futuro, a trovare e condividere competenze ed esperienze perché il cammino intrapreso non si fermi con la conclusione del progetto, ma prosegua e permei di riparazione la vita delle nostre comunità. Democrazia diretta e illusioni di Andrea Manzella Corriere della Sera, 24 giugno 2024 Prima di parlare di forma di governo bisogna tener conto di di una comunità di base divenuta fragile e vulnerabile perché facile preda di manipolazioni, di persuasioni infondate, di “dipendenze”. Avremo bisogno di una “società che pensa di più”. Lo ha scritto Mauro Magatti sul Corriere per indicare l’unica maniera per controllare i rischi di dominio dell’intelligenza artificiale nello spazio pubblico mondiale. Rischi che vedono tutti. Ad introduzione del G7 “italiano”, la nostra premier Giorgia Meloni aveva parlato di possibile “assalto alla democrazia: per la difficoltà di distinguere il vero dal falso”. Il Papa, per la prima volta partecipando ad un G7: e proprio per la sessione sulla intelligenza artificiale, ha ammonito contro il pericolo di “eclissi del senso dell’umano”. Ecco: ma come organizzare una “società che pensa di più” per preservare l’autonomia del giudizio collettivo? Sembra sensato farlo rafforzando le istituzioni create per la riflessione in comune, per la mediazione fra i punti di vista, per il dibattito che fa rilevare la complessità delle cose, per il dubbio prima di deliberare. Insomma, si può fare se non affossiamo la “politica” come scelta ragionata, solidamente legata alle istituzioni che uniscono e legittimano, specie quando tutto il resto cambia. Da questa essenziale angolatura, la questione istituzionale non appare più solo come cosa di giuristi, ma come cosa degli uomini in quanto tali. Questo nesso inevitabile lega quanto avviene nel nostro parlamento e la preoccupazione comune del G7. A Roma una serrata disputa coinvolge la “forma repubblicana”: in nome del valore, peraltro condiviso, della “stabilità” di governo. Da un lato, il disegno governativo è che ad essa si arrivi con un solo atto istantaneo: l’elezione diretta del capo del governo assieme a quella di un “suo” parlamento. Il presidente della Repubblica diventerebbe notaio: e non più rappresentante della Nazione anche nelle emergenze critiche. Dal lato opposto, si chiede ugualmente di “stabilizzare” il governo, mantenendo però le autonomie costituzionali del parlamento e del Capo dello Stato. Per garantire cioè il “presidente del governo” contro le “degenerazioni del parlamentarismo”: senza chiudere però gli spazi del libero mandato parlamentare e della decisione deliberativa. La scelta fra le due posizioni deve comunque tener assoluto conto del “vincolo esterno impolitico” che entrambe le sovrasta. La realtà cioè di una comunità di base divenuta fragile e vulnerabile perché facile preda di manipolazioni, di persuasioni infondate, di “dipendenze”: incontrollabili per la forza stessa del macchinario che le genera. Si torna allora alla necessità di filtri umani contro questa perversione. Alla necessità cioè della “politica”: fondata su istituzioni che costituiscano “pietre di inciampo” alla diffusione di verità-non-vere. E si scopre anche che l’illusione della democrazia diretta è appunto una illusione: nelle condizioni attuali e ancor più future del mondo. Perché la sovranità popolare è espropriata dalla sovranità di tecniche che la possono circuire, mosse da chi riesce meglio a guidare la macchina della convinzione (magari con varie controfigure di generali, miliardari o influencer digitali). Tra i “modi” con cui la sovranità popolare si esercita, secondo Costituzione, quello dell’atto solitario di una elezione diretta e “onnicomprensiva” è perciò il più esposto alla corrosione. Perché è ora molto più facile che “la democrazia possa uccidere la democrazia”, come profetizzò, prima del nazismo venuto “dall’interno”, un grande giurista tedesco. Non a caso, la Costituzione della nuova Germania eviterà accuratamente ogni forma di democrazia diretta: e fonderà sulla democrazia parlamentare del cancellierato il più “stabile” dei governi europei. Abbiamo ospitato un G7 di riflessione sui possibili guasti mondiali: ignorarne subito dopo i risvolti in casa nostra sarebbe una fatale contraddizione. Quella lotta tra poveri per il diritto a una casa di Chiara Saraceno La Stampa, 24 giugno 2024 L’accesso ad una abitazione in Italia non è mai entrato a far parte dei diritti sociali. Avere un’abitazione adeguata è il requisito necessario, se stranieri, per richiedere il permesso di lungo soggiorno. il ricongiungimento famigliare, eventualmente la cittadinanza. Avere un indirizzo di residenza è necessario - per italiani e stranieri - per accedere alle cure sanitarie e, finché c’è stato, al reddito di cittadinanza, ma chi ne è privo al massimo può ricevere un indirizzo fittizio presso la casa comunale o presso un’associazione, non l’accesso effettivo ad un’abitazione. Le politiche per la casa in Italia sono state sempre scarse, sotto-dimensionate, quando hanno riguardato i ceti più modesti e poveri, ovvero chi non può permettersi l’acquisto e deve rivolgersi al mercato dell’affitto, viceversa relativamente generose nei confronti dei proprietari. Non solo il bonus 110 per cento, ma le deduzioni fiscali del costo mutuo e dei vari interventi di ristrutturazione o manutenzione (sia pure, a differenza del bonus 110 per cento, spalmate su più anni) e l’eliminazione dell’Imu sulla prima casa sono tutte misure che incentivano la proprietà, scarsamente o per nulla compensate da misure che sostengano coloro che vivono in affitto. Nell’Italia in cui tutti sembrano essere proprietari di casa, una famiglia su cinque vive in affitto e nella maggior parte dei casi si tratta di famiglie in condizioni economiche modeste, quando non povere. Il loro diritto all’abitare è lasciato pressoché totalmente solo alle leggi di mercato, solo parzialmente corrette dalla possibilità di avere un contratto concordato, in base al quale il locatario, a sua discrezione, chiede un prezzo inferiore in cambio di uno sconto fiscale. Il Fondo nazionale per il sostegno al costo degli affitti, istituito per la prima volta nel 1998 a favore degli affittuari a basso reddito che non hanno accesso ad un’abitazione di edilizia popolare, ha avuto un andamento molto altalenante nell’importo e in alcuni anni non è stato proprio finanziato. Ciò è avvenuto anche nel 2023 e nel 2024. Quanto all’edilizia popolare in Italia, a differenza che in altri paesi europei, è scarsamente sviluppata, vecchia e con gradi di manutenzione spesso insufficienti, che provocano un degrado tale da rendere inagibile una quota significativa del già insufficiente numero di abitazioni disponibili. Si aggiunga che il ricambio negli affittuari è molto basso, non solo a motivo dell’invecchiamento della popolazione, ma perché spesso, anche se le norme non lo consentirebbero, vi è un avvicendamento generazionale entro la stessa abitazione. Il risultato è che le graduatorie si allungano e vanno periodicamente aggiornate, senza che chi sta in attesa abbia molte speranze di ottenere un’abitazione, certo non in tempi ragionevoli. Si aggiunga che l’assenza di controlli favorisce le occupazioni abusive, di disperazione ma anche di tipo criminale, che impediscono ai legittimi destinatari di prendere possesso degli alloggi assegnati. Da questa scarsità nascono anche guerre tra poveri, come quelle scatenate anche dalla Lega e FdI ogni volta che un alloggio va ad una famiglia rom o ad una famiglia straniera, che pure hanno tutti i requisiti e il necessario punteggio in graduatoria. Nascono anche le difficoltà e talvolta le crudeltà degli sgomberi degli accampamenti abusivi o delle occupazioni di case sfitte e fatiscenti (come è avvenuto a Firenze dopo la sparizione della piccola Alina), dopo magari anni in cui si è fatto finta di non vedere e senza proporre una alternativa praticabile e dignitosa. Negli ultimi anni alcune Fondazioni e Associazioni hanno sviluppato politiche abitative di tipo solidaristico, sia sul piano dei costi dell’affitto sia su quello della condivisione di servizi e spazi. Si tratta tuttavia di iniziative che non solo sono una goccia nel mare, ma che si rivolgono prevalentemente al ceto medio (istruito), non alle fasce più povere. I movimenti per la lotta per la casa cui Ilaria Sales rivendica l’appartenenza nascono in risposta a questa situazione, che negli ultimi anni si è fatta sempre più drammatica, soprattutto nelle grandi città. È meritorio che cerchino di organizzare una domanda sociale, facendo uscire dall’isolamento e dalla solitudine chi manca anche di quel bene essenziale che è un’abitazione decente. Farlo occupando abitazioni di edilizia popolare, in sprezzo alle graduatorie e di fatto negando il diritto di chi stava in coda, e senza pagare l’affitto tuttavia, mi sembra, nel migliore dei casi, una variante della guerra tra poveri più o meno prepotenti, o organizzati, dove a perdere è sempre il più debole. Caporalato, scioperano i braccianti indiani di Andrea Apruzzese Il Messaggero, 24 giugno 2024 Domani la mobilitazione indetta dalla comunità indiana del Lazio a cui hanno aderito anche sigle sindacali e partiti. Una giornata di sciopero del settore agricolo della provincia di Latina, quella di domani, indetta da Fai-Cisl e Uila-Uil, in occasione della nuova manifestazione per Satnam Singh e per dire no al caporalato proclamata dalla Comunità indiana del Lazio, che chiama tutti i suoi esponenti a raccolta, sempre davanti alla Prefettura, sempre in piazza della Libertà a Latina. Una manifestazione che seguirà di tre giorni quella di sabato, organizzata dalla Cgil, a cui hanno partecipato anche molti lavoratori agricoli di origine indiana, ma anche politici, in particolare di area Dem. Eccezion fatta per la sindaca di Latina, Matilde Celentano, che sul palco sabato c’è salita, ha parlato, ha portato la solidarietà dell’amministrazione, e si è presa anche i fischi. E di nuovo parteciperà domani a una manifestazione che - a giudicare dalle note di adesione - potrebbe essere ancora più imponente. Al di là del facile pensiero che di fronte ai tanti appelli all’unità contro il caporalato si sarebbe potuta organizzare una manifestazione unitaria, per martedì l’invito parte proprio dal presidente della Comunità indiana del Lazio, Gurmukh Singh: “Come Comunità Indiana del Lazio, non possiamo accettare una morte come questa di Satnam, che forse si sarebbe potuta e si sarebbe dovuta evitare”. “Al Prefetto di Latina lasceremo una lettera aperta per denunciare tutto quello che succede ogni giorno” Nella loro nota per lo sciopero di martedì dei 20mila lavoratori agricoli della provincia (di cui 6mila sono italiani), Islam Kotb (Fai-Cisl) e Giorgio Carra (Uila-Uil), scrivono come “è importante sottolineare ancora una volta che l’illegalità produce solo sfruttamento, violazione dei diritti umani e, come in questo caso, anche la morte”. E affermano che “è arrivato il momento di fare appello a tutte le associazioni datoriali che rappresentano il settore agricolo provinciale per un netto cambio di passo contro lo sfruttamento, il caporalato, la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro”. C’è già anche l’adesione dei Comuni di Latina e di Cisterna. Dal capoluogo, la sindaca Celentano conferma la volontà di indire il lutto cittadino nel giorno dei funerali di Satnam, ordinanza per la quale “è necessario attendere la restituzione della salma” e ribadendo la solidarietà e la vicinanza dell’amministrazione comunale, conferma la partecipazione per martedì. Anche a Cisterna, il primo cittadino Valentino Mantini, conferma la volontà di indire il lutto cittadino e quella di “costituirci parte civile nel futuro processo. L’amministrazione comunale tutta aderisce e partecipa alla manifestazione di martedì”. Ci sarà anche Azione, il cui segretario provinciale Davide Zingaretti osserva che “la lotta al caporalato deve avvenire in sinergia tra associazioni, istituzioni scolastiche e politiche e le forze di sicurezza”. Annuncia la partecipazione la Lega, con la deputata pontina Giovanna Miele e il coordinatore provinciale Massimo Moni, secondo i quali “non è degno di un Paese civile sfruttare un lavoratore, infischiandosene dei suoi diritti, metterne la vita a rischio e poi abbandonarlo”. Così l’Ue spinge i migranti verso il mare, aumentando i rischi di morte sulla rotta turca di Youssef Hassan Holgado Il Domani, 24 giugno 2024 L’Unione europea ha rafforzato con oltre 500 agenti il confine bulgaro-turco. Per evitare le intercettazioni via terra, i migranti sono costretti a imbarcarsi verso il Mediterraneo. Nell’ultimo anno la Turchia ha intercettato oltre 102mila persone. Ankara ricatta l’accordo Ue sulle riammissioni dalla Grecia. Sono solo 14 su 66 i corpi recuperati in mare dopo il naufragio di una barca carica di migranti avvenuto a 110 miglia dalle coste calabresi. Il naufragio più fatale dai fatti di Cutro dello scorso anno, dove morirono 94 persone. Anche allora come qualche giorno fa l’imbarcazione naufragata, la Summer Love, era partita dal sud della Turchia per arrivare in Italia. Quest’anno la rotta marittima che dalle coste turche trasporta i migranti in Europa rischia di diventare più trafficata, con il conseguente rischio di ulteriori morti in mare. La causa è l’aumento dei controlli alle vie terrestri della cosiddetta rotta Balcanica. Da marzo, infatti, l’Agenzia per il controllo delle frontiere dell’Ue (Frontex) ha inviato lungo il confine tra Bulgaria e Turchia tra i 500 e i 600 agenti di polizia. Si tratta di un tassello che fa parte di un progetto più grande, portato avanti da Frontex negli anni, ovvero l’azzeramento del flusso migratorio via terra della rotta Balcanica. Dopo che la Commissione europea ha siglato accordi con Egitto, Tunisia, Mauritania per contenere le partenze dal sud del Mediterraneo, attraverso Frontex si è garantita un massiccio impiego di agenti di frontiera per coprire il suo fianco est. Negli ultimi due anni sono aumentate le operazioni congiunte con i paesi dei Balcani. Dopo aver concluso accordi con Albania, Moldavia, Montenegro, Macedonia settentrionale e Serbia, l’Agenzia vuole investire risorse per avviare missioni congiunte anche in Bosnia-Erzegovina, dove presto aprirà un ufficio. La rotta battuta nel Mediterraneo orientale è attiva da anni, lo dimostrano le indagini e i dati dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim). Tra gennaio e settembre del 2023, 22.421 migranti sono arrivati in Europa dalla Turchia, un numero stabile rispetto all’anno precedente, quando erano stati 22.821. Il punto di approdo finale però è stato soprattutto la Grecia: qui gli arrivi sono aumentati del 123 per cento, mentre in Italia sono diminuiti del 55 per cento. Partenze che comunque sono basse per via del pervasivo controllo della polizia turca, accusata più volte dalle ong di essere violenta e di violare i diritti umani. Nel 2022 sono stati intercettati dagli agenti turchi oltre 280mila migranti, nel 2023 ne sono stati fermati invece oltre 102mila (di cui oltre 24mila sono quelli catturati dalla guardia costiera). Quest’anno i numeri risentiranno anche degli effetti del terremoto, che nel febbraio dello scorso anno ha colpito la Turchia orientale. Nelle 11 province dove si è verificato il sisma erano ospitati 1.7 milioni di siriani, 9mila sono morti. Il terremoto ha di fatto aumentato il numero degli sfollati interni e ha portato una migrazione all’interno del paese che culminerà - una volta racimolati un po’ di soldi - anche con il viaggio verso l’Europa. Le tensioni sui rimpatri - Da otto anni la Turchia contiene il flusso di cittadini provenienti dall’Afghanistan, Pakistan, Siria e Libano. Lo fa forte dell’accordo siglato con l’Ue di quasi 10 miliardi di euro: di questa somma, a settembre 2023 erano stati stanziati 7 miliardi. L’accordo prevedeva, oltre al controllo delle frontiere, anche l’invio in Turchia dalla Grecia dei migranti che non sono ritenuti idonei a ricevere protezione internazionale. Ma a partire dalla pandemia questo meccanismo si è inceppato. “Non sono stati compiuti progressi per quanto riguarda la piena attuazione dell’accordo di riammissione Ue-Turchia. La Turchia ha mantenuto la sua posizione di non voler attuare le disposizioni relative ai cittadini di paesi terzi fino all’abolizione dell’obbligo di visto per i suoi cittadini che si recano nell’area Schengen”: è quanto si legge nel report della Commissione europea sulla Turchia pubblicato a fine 2023. In poche parole, la Turchia ha di fatto fermato i rimpatri dalla Grecia fino a quando non ottiene l’abolizione del visto per i suoi cittadini che hanno intenzione di viaggiare verso i paesi dell’area Schengen. I rimpatri sono stati sospesi in maniera unilaterale da parte delle autorità di Ankara durante la pandemia, con la scusa dei problemi di salute. Da quel momento non sono mai ricominciati. Tra il 2016 e il 2020, 2.140 persone (tra cui 412 cittadini siriani) sono state riammesse in Turchia dalla Grecia. Diverso è il discorso per i rimpatri commessi dalle autorità turche verso i paesi di provenienza dei migranti. Nel 2022 sono stati rimpatriati 124.441 migranti, il 160 per cento in più rispetto ai 46.653 del 2021. La metà di loro sono afghani. I trafficanti - Con quasi oltre 3.6 milioni di rifugiati presenti, la Turchia è uno dei paesi crocevia delle rotte migratorie. Lungo i suoi confini arrivano milioni di persone che scappano da conflitti civili, guerre, povertà e carestie. Negli anni la polizia turca con l’aiuto di droni ed equipaggiamenti all’avanguardia ha compiuto blitz e operazioni per contrastare il traffico di esseri umani. Solo nel 2022 sono stati arrestati 9.149 trafficanti, lo stesso anno 1.720 persone sono state condannate con accuse di traffico di migranti. Gli arresti lo scorso anno sono stati oltre 3.259. L’Onu: “Crimini di guerra in Sudan”. A rischio morte 2,5 milioni di civili di Paolo Lambruschi Avvenire, 24 giugno 2024 Si estendono a vista d’occhio i cimiteri ai margini dei campi profughi: i bambini sono le prime vittime nel silenzio internazionale. Russia sempre più coinvolta. Stragi nei villaggi. Il Sudan sprofonda sempre più nella sua guerra dove la pietà è sparita, una tragedia immane immersa nel silenzio. Dopo 16 mesi di guerra civile dimenticata dall’opinione pubblica, il paese è da tempo il teatro di una delle peggiori crisi umanitarie del mondo degli ultimi decenni. La guerra, iniziata il 15 aprile 2023, ha ucciso almeno 30.000 persone secondo l’Unione medica sudanese e ha causato il flusso interno ed esterno di oltre 10 milioni, rendendola la peggiore ondata di sfollati al mondo. La risposta umanitaria è stata finora profondamente inadeguata. Lo ha dichiarato il responsabile internazionale di Medici Senza Frontiere Christos Christou aggiungendo che ci sono “livelli estremi di sofferenza in tutto il Paese e i bisogni crescono di giorno in giorno”. L’organizzazione tra marzo e aprile ha visitato 46. 000 bambini sotto 5 anni, un terzo dei quali è risultato sofferente di malnutrizione acuta. Msf supporta ospedali come quello di Al Nao, colpito quattro giorni fa dai pesanti bombardamenti avvenuti a Omdurman, città gemella della capitale Khartum. È il più grande ospedale pubblico funzionante e ogni giorno riceve un numero elevato di casi urgenti e feriti di guerra, nelle ultime settimane fronteggiando arrivi di massa. Gli attacchi alle strutture sanitarie in tutto il Sudan sono diventati frequenti. Solo a Port Sudan, sul mar Rosso, terminale del petrolio da anni in mano ai cinesi e capitale amministrativa di fatto, la situazione è relativamente tranquilla. Il resto del Paese è dilaniato dalla lotta per il potere dei due contendenti, l’esercito regolare guidato dal generale al-Burhan e i paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rsf) dell’ex cammelliere autoproclamatosi generale Dagalo detto “Hemetti”, che ha fatto carriera pianificando e mettendo in atto il genocidio in Darfur 20 anni fa e che ora lo sta ripetendo. Dagalo è sostenuto dai russi, che gli procurano mercenari dal Centrafrica e dalla Libia di Haftar, e dagli Emirati che li riforniscono di armi. Al-Burhan è sostenuto da sauditi, egiziani e americani. Il conflitto non pare perciò prossimo a una soluzione nonostante i proclami. Intanto nel Darfur, ricco di miniere d’oro che Dagalo sfrutta insieme ai paramilitari russi dell’Africa corps, ex Wagner corporation (oro che finanzia i conflitti sudanese e ucraino) i tagliagole delle Rsf stanno compiendo un altro genocidio, secondo diverse testimonianze. La popolazione ha dichiarato a Reuters di essere stata rinchiusa in campi per sfollati soprattutto nel sud. I bambini, dicono i profughi, muoiono ogni giorno. La malnutrizione sta dilagando e i cimiteri si stanno allargando a vista d’occhio secondo le rilevazioni satellitari. Nel Sudan centrale almeno 25 persone sono state uccise tre giorni fa in un assalto a cinque villaggi da parte delle Rsf, hanno dichiarato i comitati di resistenza, gruppi di civili che tengono la contabilità umanitaria per non far cadere l’oblio sul paese africano. E l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Völker Turk, ha dichiarato che i generali che guidano le due parti in conflitto in Sudan “hanno la responsabilità di aver commesso possibili crimini di guerra e altre atrocità”, tra cui attacchi a sfondo etnico e violenze sessuali. Nei giorni scorsi nel sud Darfur il Programma alimentare mondiale è almeno riuscita a portare aiuto a 50mila persone, ma è troppo poco. L’Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati Filippo Grandi al termine di una visita nel Paese mercoledì ha previsto l’arrivo imminente di una carestia e un report dell’autorevole think tank olandese Clingendael Institute stima che 2.5 milioni di sudanesi possano morire di fame per la fine di settembre. Ma la situazione è drammatica anche per i profughi, ufficialmente oltre mezzo milione, che sono riusciti fuggiti nei Paesi confinanti come Ciad, Etiopia ed Egitto. Dal quale, ha denunciato Amnesty International vengono respinti illegalmente. Secondo l’organizzazione per i diritti civili donne, bambini e uomini in cerca di aiuto e sicurezza sono stati arrestati in massa, detenuti in condizioni inumane e almeno tremila sono stati deportati in Sudan solo nel settembre 2023. E in Libia, l’International Medical Corps ha lanciato l’allarme contro una imminente catastrofe umanitaria nell’oasi di Kufra, a causa del crescente afflusso di rifugiati sudanesi, circa 45.000 dove ogni giorno arrivano tra le 250 e le 300 persone. I sanitari sollecitano aiuti urgenti. Il Corpo medico internazionale ha rivelato che ci sono quattro rotte principali utilizzate dai rifugiati sudanesi. La più battuta va direttamente dal Sudan a Kufra, poi quella via Ciad a Murzuq o via Ciad a Qatroun e quella meno utilizzata attraverso l’Egitto fino a Tobruk. Prevedibile l’aumento dei flussi e delle partenze nel Mediterraneo, ma nemmeno questo pare bucare l’indifferenza.