Perché la giustizia riparativa è l’unico “antidoto” contro l’odio e la vendetta di Paolo Valente* Corriere della Sera, 11 giugno 2024 Il Progetto sperimentale di Giustizia riparativa è stato presentato al Convegno promosso da Caritas Italiana in collaborazione con PiscoIus. Le parole di Papa Francesco. “Se la giustizia riparativa è un paradigma lo dobbiamo diffondere in tutte le azioni che la Caritas porta avanti”. È la sintesi di don Marco Pagniello, direttore di Caritas Italiana, che fa il punto della situazione rispetto all’impegno Caritas in questo specifico ambito. L’occasione è data dal convegno appena concluso a Roma all’insegna delle parole di papa Francesco: “La cultura della giustizia riparativa è l’unico e vero antidoto alla vendetta e all’oblio, perché guarda alla ricomposizione dei legami spezzati”. Un paradigma che può contaminare e farsi contaminare al di là dell’ambito strettamente giudiziario. L’invito è quello di insistere sulla “pedagogia dei fatti”, alla quale l’approccio “restorativo” può dare un impulso di innovazione, in un contesto sociale che ha bisogno di ascolto e di strumenti di risoluzione pacifica e intelligente dei conflitti. Il Progetto sperimentale di Giustizia riparativa presentato al Convegno è promosso da Caritas Italiana in collaborazione con PiscoIus - Scuola romana di psicologia giuridica. Ha coinvolto per diciotto mesi otto Caritas diocesane espressione di tutto il Paese - Agrigento, Ancona, Cerignola, Cuneo-Fossano, Milano, Napoli, Prato, Verona - e ha mirato a far conoscere la Giustizia riparativa, a divulgare e sperimentale il suo paradigma e ha al tempo stesso mostrato la fattibilità di un percorso nel quale la Caritas può essere protagonista nell’attivare cambiamenti, attraverso la responsabilizzazione delle comunità. Migliaia le persone che hanno partecipato al percorso tra scuole, comunità ecclesiali, carceri e territori. “La giustizia riparativa è un paradigma”, ribadisce Patrizia Patrizi, ordinaria di Psicologia giuridica e pratiche di giustizia riparativa presso l’Università di Sassari, presidente dell’European forum for restorative justice. La docente ha accompagnato il percorso delle Caritas diocesane ed è convinta dell’effetto generativo insito in questo approccio trasversale, che può e deve essere applicato in diversi contesti e per diversi scopi: scuole, prigioni, quartieri, città, luoghi di lavoro. Interventi anche di Maria Costanza Cipullo, referente per l’educazione alla salute alla legalità e all’educazione finanziaria del Ministero dell’Istruzione e del Merito e di Gherardo Colombo, presente con un videomessaggio. Il futuro della Giustizia riparativa, dice l’ex magistrato, “dipende dall’impegno che le persone ci mettono e prima ancora dalla pratica perché non è semplice e coinvolge le emozioni”. Importanti nella giornata di sabato le sessioni parallele di lavoro e i contributi di Gianluigi Lepri (coordinatore del Team delle pratiche di giustizia riparativa dell’Università di Sassari), Lucrezia Perella (“Cerchiamo di portare avanti una trasformazione interiore…”), Micaela Furiosi (“Una giustizia gentile perché non parte dall’altro…”). Conclusioni, ringraziamenti e prospettive per il lavoro che ci attende (con il “sogno delle città riparative”) affidate a Cinzia Neglia, referente per Caritas Italiana dell’ambito Giustizia. Il “paradigma” è innovativo ed efficace perché non può essere calato dall’alto né imposto. Parte dal coraggio che le persone sanno trovare in sé stesse e nelle comunità capaci di ascolto e di accoglienza. Tutte le informazioni e i materiali si trovano a questo link: https://www.caritas.it/convegno-sulla-giustizia-riparativa/ *Vicedirettore Caritas Italiana Cassese: “Il sorteggio al Csm può essere la soluzione. L’Anm è l’anomalia del sistema” di Giovanni Maria Jacobazzi Il Dubbio, 11 giugno 2024 “Il fatto che quasi tutti i magistrati siano iscritti all’Anm è una circostanza veramente strana e inspiegabile”, afferma Sabino Cassese, giurista tra i più ascoltati nel dibattito pubblico, già ministro della Funzione pubblica e giudice della Corte costituzionale. “Le correnti hanno svolto per decenni un ruolo limitato all’ambito culturale. Poi si sono trasformate in un tramite per le aspirazioni di carriera, e hanno compromesso quel compito, che spetta al CSM, di scudo dai condizionamenti esterni. al punto che determinati condizionamenti possono riverberarsi sulla funzione stessa dei magistrati” Professore, un tema spesso oggetto di discussione in materia di giustizia riguarda certamente il ruolo delle correnti all’interno della magistratura. Hanno davvero il potere che ormai viene loro attribuito dalla gran parte degli analisti? Ed è vero che, pur essendo associazioni private, esercitano un fortissimo condizionamento presso il Consiglio superiore della magistratura? O si tratta solo di una esagerazione? Le correnti sono nate come forme organizzative interne tra i magistrati e hanno avuto per numerosi decenni un compito limitato al dibattito culturale. Hanno poi, invece, sviluppato un’altra funzione, anch’essa interna, quella di tramite per le aspirazioni di carriera dei magistrati, per i trasferimenti, le valutazioni, le promozioni, le assegnazioni di sede, e così via. Sono diventate, quindi, organismi con funzione corporativa, e hanno portato alla perdita di quel compito imparziale che il Consiglio superiore della magistratura deve svolgere, quale scudo nei confronti di condizionamenti esterni. Parliamo di condizionamenti che, influendo sulla carriera dei magistrati, sono suscettibili poi di riverberarsi anche sulla loro funzione. In sostanza, quindi, la rappresentanza dei magistrati all’interno del Csm aveva inizialmente uno scopo di protezione e tutela nei confronti di interferenze esterne, e successivamente si è trasformata, svolgendo una funzione di catena di trasmissione di esigenze personali, spesso molto apprezzabili, da parte della magistratura. Questo spiega, come detto, anche la circostanza veramente strana, e inspiegabile in altri modi, che quasi tutti i magistrati siano iscritti all’Anm. Il sorteggio per l’elezione dei componenti togati del Csm è oggi l’unica soluzione per risolvere, come sostiene il guardasigilli Carlo Nordio, il problema della “degenerazione” delle correnti? Cioè della loro capacità di condizionare, impropriamente, i procedimenti di nomina dei magistrati negli incarichi? Gli studi sull’uso del sorteggio nell’ambito del diritto pubblico mostrano che questo è lo strumento per rompere le maggioranze precostituite. Il sorteggio conferisce a qualunque magistrato eguali chances di far parte del Consiglio superiore della magistratura. In questo modo, l’organo diventa di nuovo un organo di ponderazione, esame e valutazione della carriera dei magistrati. Dall’alto della sua esperienza, un magistrato che non è iscritto ad alcuna corrente e che quindi non è legato a un determinato gruppo associativo potrebbe essere in qualche modo “isolato” da parte dei colleghi e penalizzato dal Csm? Oppure la circostanza è indifferente e non c’è alcun condizionamento? Non parlerei di isolamento, ma certamente la circostanza che all’Associazione nazionale magistrati aderisca il 96 per cento circa dei magistrati mostra quanto sia importante il ruolo che lo strumento associativo, articolato in correnti, svolge nella funzione interna che prima ho illustrato. Con l’affermarsi dell’idea sbagliata che vi sia un autogoverno della magistratura, si è aggiunta una seconda funzione, quella della rappresentanza del corpo della magistratura nei confronti degli altri poteri dello Stato: un fenomeno piuttosto singolare, perché si verifica solo per la magistratura e non per gli altri corpi dello Stato, come, ad esempio quello amministrativo. Un altro tema ricorrente riguarda invece la presenza dei laici al Csm e il loro ruolo. I componenti laici rivendicano l’importanza della propria funzione, evidenziando come, senza di loro, Palazzo Bachelet diventerebbe una sorta di “succursale’ dell’Anm. Alcuni laici però affermano anche in modo molto diretto di sentirsi “ininfluenti”, dal momento che il loro numero è pari alla metà di quello dei togati, e in assenza dei voti determinanti di questi ultimi, risulta assai difficile, per la componente non magistratuale, riuscire a imporre una qualsiasi decisione. I progetti di riforma che puntano ad aumentarne il numero sono duramente contestati dai togati, che vi scorgono la volontà della politica di controllare la magistratura. Dove è la verità? La Costituzione, quando ha voluto assicurare indipendenza e imparzialità, ha previsto che i titolari degli organi avessero una molteplicità di provenienze. L’esempio maggiore è quello della Corte costituzionale, con un terzo dei componenti eletto dal Parlamento in seduta comune, un terzo nominato dal presidente della Repubblica, e un terzo eletto dalle supreme magistrature. La diversa provenienza consente un dialogo tra una varietà di esperienze e un controllo reciproco, che nel caso della magistratura e dell’organo che la amministra è accentuato dalla presenza del presidente della Repubblica come presidente del Csm. Noti che la norma secondo la quale il presidente della Repubblica presiede il Consiglio superiore della magistratura è l’unica norma della Costituzione ripetuta ben due volte nel testo costituzionale, agli articoli 87 e 104. Questo riflette la configurazione del presidente della Repubblica come organismo di vertice che partecipa di tutti e tre i poteri, quello giudiziario, quello legislativo e quello esecutivo. Prima di concludere mi permetta una domanda un po’ insolita. Anche in questa intervista abbiamo parlato di “degenerazione’ delle correnti della magistratura riferendoci - ovviamente - a quella ordinaria. Come mai le altre giurisdizioni non hanno i problemi di quella ordinaria in questo ambito? Sono “immuni’ oppure ciò che accade alla Corte dei Corti o al Consiglio di Stato non fa notizia e non appassiona i giornali? La Corte dei conti e il Consiglio di Stato hanno non solo funzioni giurisdizionali ma anche funzioni di controllo e consultive, e quindi è difficile fare un paragone. Tuttavia, alcuni dei problemi che ho indicato si presentano anche per la magistratura contabile, con un acme quando, qualche tempo, fa gli organi di vertice hanno chiesto al governo di “aprire un tavolo di confronto”, cioè si sono autorappresentati come sindacati nei confronti di quello Stato di cui essi invece sono parte. L’Anm: “Le riforme della giustizia hanno carattere intimidatorio e punitivo” di Sandro De Riccardis La Repubblica, 11 giugno 2024 Affollatissima assemblea dell’Anm: critiche alla separazione delle carriere, alla creazione di un doppio Csm per giudici e pm, e ai procedimenti disciplinari del caso Uss. “È ora di scioperare a oltranza”. A un certo punto viene anche evocato il monito di Francesco Saverio Borrelli, ex capo della procura di Milano e del pool di Mani Pulite, e il suo “resistere, resistere, resistere” pronunciato da procuratore generale all’apertura di un anno giudiziario di oltre vent’anni fa. Oggi, nella partecipatissima assemblea straordinaria convocata dall’Associazione nazionale magistrati milanese, nessuno ripete quelle parole, ma il clima che si respira è quello dell’assedio da parte della politica, dell’ultima trincea di una battaglia contro riforme che “non risolvono nessuno dei problemi della giustizia”, ma che hanno solo un carattere “intimidatorio”, “punitivo”. E che meritano, appunto, “la forma della resistenza come capacità di intervenire nel dibattito”. Tanto che molti evocano, come extrema ratio, anche un possibile “sciopero a oltranza”. Ne parla, in un’assemblea colma di magistrati (molti altri sono collegati on line), il pm Luca Poniz. “Stiamo assistendo a un regolamento di conti finale - è la durissima analisi del magistrato. La presentazione del disegno di riforma costituzionale è avvenuta con dichiarazioni che nulla hanno a che vedere con l’efficientamento della giustizia”. Tra le norme più criticate, il progetto di separazione delle carriere. “È un bivio da cui non si torna indietro - dice Poniz -. Spero ci sia un referendum costituzionale, su una riforma sgrammaticata. Un’occasione per dire con forza, con una campagna di comunicazione, strada per strada, le ragioni di una riforma sbagliata. Dobbiamo essere pronti alla mobilitazione della giustizia. Evocherei la forma della resistenza, una resistenza costituzionale, far conoscere che avviene uno scempio dell’architettura costituzionale. Pronti anche a forma di sciopero ad oltranza”. A proposito dell’azione disciplinare del ministro della Giustizia Carlo Nordio, nei confronti di tre colleghi della Corte d’Appello di Milano nel caso di Artem Uss, il russo posto ai domiciliari e poi evaso, Poniz parla di “uso intimidatorio dell’azione disciplinare, volta a punire i magistrati per il merito delle loro decisioni, sgradite al governo di turno”. Critica l’azione disciplinare contro i magistrati della Corte d’appello anche il presidente del Tribunale Fabio Roia. “Un precedente molto pericoloso, perché quando un giudice è chiamato a prendere una decisione in materia di applicazione di una misura restrittiva, se poi viene violata, potrebbe in astratto risponderne sempre, essere quotidianamente esposto all’esercizio dell’azione disciplinare”. Roia parla di un “evidente sconfinamento, il ministro continua a dire che si sente cucita la toga addosso, ma evidentemente si è scucita nel corso dell’esercizio dell’attività politica”. Intanto nessuno affronta i veri problemi della giustizia. “Veniamo attaccati per la lunghezza dei processi - interviene il giudice Chiara Valori -. Bisogna far conoscere le nostre condizioni di lavoro. Ci troviamo a operare con sistemi informatici che non funzionano, che s’impallano, con carenze di personale. La situazione degli uffici è esplosiva. Anche questa è una forma di delegittimazione della magistratura”. “La riforma sulla separazione delle carriere è una riforma inutile - dice la procuratrice aggiunta Tiziana Siciliano -. Non è detto che separare le carriere porti a mettere i pm sotto l’esecutivo, ma sicuramente per fare questo è necessario separare le carriere”. “La creazione di due diversi Csm per la magistratura requirente e per quella giudicante determinerebbe il definitivo distacco del pm dalla giurisdizione” è la posizione della Anm. E anche il sorteggio previsto dai progetti di legge, “è del tutto inidoneo - dice il presidente della giunta milanese della Anm, Leonardo Lesti - a liberarci dalle pratiche correntizie. Ne esce una magistratura indebolita”. Una riforma che ha l’effetto, dice il procuratore capo di Monza Claudio Gittardi, di far “diventare il pm l’avvocato dell’accusa. Oggi siamo una parte pubblica, che deve anche valutare la fondatezza dell’accusa, significherebbe stravolgere la giurisdizione. È una battaglia che dobbiamo essere capaci di comunicare all’esterno, facendo capire quali interessi della collettività sono in gioco”. Anche per la procuratrice generale Francesca Nanni, “la separazione delle carriere non serve ad accorciare i processi, ma è fatta per altri scopi. I passaggi da una carriera all’altra sono irrisori. La separazione delle funzioni c’è già”. Separazione delle carriere: l’iter è solo al via, ma i politici si caleranno nel gioco delle parti di Giovanni Iacomini* Il Fatto Quotidiano, 11 giugno 2024 Ordinariamente tutto è subordinato ai grandi interessi finanziari-economici. In questa fase, tuttavia, le elezioni presidenziali degli Usa condizionano ogni presa di posizione e ogni equilibrio al livello geopolitico mondiale e, in scala purtroppo molto minore, il rinnovo del Parlamento europeo determina ormai da diversi mesi scelte e dinamiche interne in ogni singolo Stato-membro. Nella nostra povera Italietta, sempre più periferica e irrilevante nella politica internazionale, il governo si gioca la carta delle grandi riforme: giustizia e premierato. Sono i temi su cui vogliono portare il dibattito negli ultimi giorni di campagna elettorale. In effetti le questioni che polarizzano gli schieramenti tornano utili a tutti in questi momenti. Come con i Vannacci o faccenduole tipo Forte-Salis: la destra mostra i muscoli, la sinistra può riemergere per un attimo dall’obnubilamento in cui sembra ormai piombata. I media, dimostrando una volta di più tutto il proprio immediato asservimento a qualunque potere, non disgiunto da un’abissale ignoranza, regalano titoloni che lasciano intendere ad esempio che la separazione delle carriere dei magistrati sia cosa fatta. Per quanto ci attiene, cerchiamo di andare al nocciolo delle questioni: quello appena varato dal Consiglio dei ministri non è che un disegno di legge. Siamo nella fase dell’iniziativa legislativa, quella che può dar l’avvio a un procedimento di formazione di quella che sarà una legge, se e quando saranno superate le fasi della discussione nelle competenti commissioni permanenti, approvazione in aula, promulgazione del Presidente della Repubblica, pubblicazione, vacatio legis, fino all’entrata in vigore per poi passare, aggiungo sempre io, alle fasi di attuazione e applicazione per cui le norme possono produrre concretamente i propri effetti giuridici solo quando c’è volontà politica e efficienza amministrativa. Ma questo appena sinteticamente abbozzato è l’iter della legge ordinaria, mentre nel nostro caso si tratta di equilibrio tra poteri dello Stato e altre questioni chiaramente fondamentali. Quindi siamo di fronte a un ddl costituzionale che può dare l’avvio alla procedura aggravata necessaria per modificare o integrare la Costituzione. Sarà necessario un doppio passaggio per ogni camera, a distanza non inferiore a tre mesi e se non si approva con la maggioranza qualificata dei due terzi con ogni probabilità saremo chiamati al referendum confermativo. Nella migliore delle ipotesi, se tutto filerà liscio come mai prima e se pure quest’ultimo scoglio stavolta sarà superato, a differenza di quanto è accaduto con le riforme abortite di D’Alema prima, Berlusconi e Renzi poi, stiamo parlando di qualcosa di ancora incerto che potrebbe cominciare a vedere la prima luce non prima del 2026. Questa è la pura e semplice realtà dei fatti. Eppure dobbiamo assistere a discussioni su come formare i due diversi Csm, se eleggere o sorteggiare i togati, come preservare l’autonomia della Magistratura e le prerogative del Presidente della Repubblica, come e con quale legge votare il premier. Con i partiti ridotti a semplici comitati elettorali, senza alcuna prospettiva che superi il brevissimo periodo, i politici possono calarsi a pieno titolo nel gioco delle parti. Finalmente si realizza l’antico sogno della fantasia al potere. *Professore di Diritto ed Economia nel carcere di Rebibbia La rivincita dei “reietti”: Lucano si riprende Riace, Salis piega Orbàn di Simona Musco Il Dubbio, 11 giugno 2024 Dai guai giudiziari al Parlamento europeo: è un destino comune quello di Domenico Lucano e Ilaria Salis, i due candidati di punta di Avs che hanno sbancato alle urne, garantendo ai verdi di Angelo Bonelli e alla Sinistra di Nicola Fratoianni di abbattere il muro della soglia di sbarramento. Ma non solo: Lucano, alias “Mimmo il curdo”, ha anche riconquistato la guida di Riace, per il quarto mandato, dopo i quasi tre che lo hanno visto in sella fino al 2018, quando venne arrestato nell’ambito dell’operazione “Xenia”. Due risultati straordinari che rappresentano anche qualcosa in più di un semplice successo elettorale: è il trionfo del garantismo, che ha premiato due persone finite a processo, uno per l’accoglienza -, risultando assolto solo dopo una pesante condanna a 13 anni e due mesi da tutti i reati legati al “modello Riace” - l’altra in quanto sospettata di aver partecipato ad un’aggressione ai danni di un militante di estrema destra in Ungheria, vicenda per la quale è rimasta in un carcere-lager di Budapest per oltre un anno. Le loro vicende giudiziarie sono ancora in corso: per Lucano toccherà attendere la Cassazione, mentre Ilaria Salis è ancora a processo e rischia una pesante condanna. Ma sono state quelle vicende giudiziarie, forse, a scatenare l’ondata di voti da parte di un elettorato che comincia forse a intravedere i limiti della giustizia spettacolo, quella che, ad esempio, aveva trasformato un sindaco modello, studiato in tutto il mondo, in un bandito. “Mimmo Lucano per me è zero”, aveva detto il leader della Lega Matteo Salvini all’indomani dell’indagine che poi lo fece finire ai domiciliari e gli fece perdere la guida di Riace. Guida che ora ha riconquistato, dopo un mandato in mano ad Antonio Trifoli, suo vecchio antagonista in Consiglio e sponsorizzato dallo stesso leader del Carroccio, che per le scorse amministrative era arrivato nel paese dei bronzi per chiudere la sua campagna elettorale. Questa volta, però, le cose sono andate diversamente: Lucano - che alle Europee ha incassato al primo tentativo oltre 180mila preferenze - ha ripreso le redini di Riace, il risultato che più gli stava a cuore, battendo il sindaco uscente e l’altro candidato, Francesco Salerno, al quale aveva già soffiato la fascia nel 2004. “Sono contento - ha dichiarato al termine dello spoglio per le Europee -, ma solo tornare a fare il sindaco di Riace mi renderebbe davvero felice”. Detto, fatto: il neo deputato europeo, poco prima delle 17, è stato rieletto sindaco del piccolo Comune, esplodendo in un urlo di gioia liberatorio. E potrà svolgere entrambi i mandati, essendo Riace un Comune sotto i 5mila abitanti. Salis, invece, arriverà a Bruxelles con un carico di 173mila voti, che le garantiranno - appena sarà ufficialmente proclamata europarlamentare - di tornare in libertà, lasciando gli arresti domiciliari in Ungheria. Un posto, aveva denunciato, dove non si sentiva al sicuro, specie dopo che l’indirizzo della famiglia che la ospita era stato reso noto in udienza: decine le minacce ricevute, tanto da chiedere alla premier Giorgia Meloni di poter scontare i domiciliari in ambasciata, richiesta rimasta senza risposta. Simile alla posizione di Lucano e Salis quella di Antonio Decaro, sindaco di Bari che ha raccolto quasi 500mila preferenze in seno al Pd. Pur non essendo indagato, infatti, il presidente dell’Anci era finito nella bufera per l’indagine che aveva colpito la sua amministrazione e che ha aperto le porte del Municipio ad una Commissione d’accesso. Mentre i partiti di centrodestra invocavano le sue dimissioni, Decaro si è messo in gioco, raccogliendo la fiducia dell’elettorato. Il trionfo dei “perseguitati” sui persecutori, dunque, che si compie ironicamente con la sconfitta di Michel Claise, il giudice istruttore del Qatargate, in Belgio: candidato con il partito centrista DéFi per le politiche belghe, dopo esser stato costretto, un anno fa, ad abbandonare l’indagine per un possibile conflitto di interesse, l’ex toga ha raccolto - secondo i dati diffusi da Rtbf - 6739 preferenze, piazzandosi al secondo posto tra le fila del partito. Fermo, però, solo all’1,2% a livello federale, una cifra piccolissima, che sbarra al magistrato la strada verso il Parlamento. Ferrara. Detenuto di 56 anni si impicca in cella Ristretti Orizzonti, 11 giugno 2024 Domenico Amato, 56 anni, questa mattina è stato ritrovato senza vita nel carcere di Ferrara. Ne dà notizia Riccardo Arena, direttore di Radio Carcere. Una conferma dell’accaduto è arrivata da Roberto Cavalieri, Garante regionale dei detenuti per l’Emilia Romagna. Con la morte di Domenico Amato salgono a 40 i detenuti che si sono tolti la vita da inizio anno. Brescia. I penalisti “in piazza” per fermare i suicidi in carcere di Mara Rodella Corriere della Sera, 11 giugno 2024 Questa mattina maratona oratoria: alle 9.30 la Camera penale sarà in piazzetta Benedetto Arturo Michelangeli. “In un Paese in cui la condizione delle carceri è compromessa da situazioni di sovraffollamento, assenza o insufficienza di attività trattamentali e di personale qualificato, dobbiamo far sentire la nostra voce”. E la voce è quella dei penalisti bresciani. Dall’inizio dell’anno 135 persone hanno perso la vita nelle carceri italiane, tra detenuti e personale della Polizia penitenziaria. Tocca a noi, a chi sta all’esterno, dare voce a chi non ce l’ha e chiedere un intervento tempestivo allo Stato italiano. Questo ha un grande significato anche a Brescia, ove la casa circondariale Nerio Fischione (Canton Mombello) presenta un tasso di sovraffollamento tra i peggiori, al 209,3% con strutture fatiscenti e inadeguate”. Per questo motivo, nella mattina di martedì 11 giugno - dalle 9,30 - gli avvocati della Camera Penale della Lombardia Orientale, fa sapere il direttivo, si troveranno “davanti e insieme ai cittadini che vorranno intervenire, in Piazzetta Benedetto Arturo Michelangeli. Così stanno facendo a staffetta gli avvocati penalisti iscritti a tutte le Camere Penali italiane. “Perché in uno Stato che ha abolito la pena di morte non sia legalizzata la morte per pena”. Roma. Carenza di manodopera nei cantieri per la fibra, piano per coinvolgere i detenuti di Antonello Salerno corrierecomunicazioni.it, 11 giugno 2024 Il Dipartimento per la trasformazione digitale e il Ministero della Giustizia ampliano il raggio d’azione dell’iniziativa avviata nel 2022 con un nuovo piano che coinvolge molte più carceri su tutto il territorio nazionale. Oltre 700 le candidature emerse da una ricognizione del Dap. In campo anche Infratel, Anie Sit e le telco. Il dossier sul tavolo di Telco per l’Italia il 26 giugno a Roma. Coinvolgere i detenuti interessati in tutta Italia nell’attuazione dei piani dell’investimento 3 del Pnrr, quello su “reti ultravoeloci e 5G”, con programmi di formazione ad hoc finalizzati a dare la possibilità di trovare uno sbocco lavorativo nei cantieri in fibra. È questo l’obiettivo del protocollo d’intesa siglato da dipartimento per la Trasformazione digitale, dipartimento per l’Amministrazione penitenziaria del ministero della giustizia, Infratel Italia, il Consorzio Asi Caserta, Anie Sit e gli operatori Tlc Fastweb, Fibercop, Intred, Inwit, Open Fiber, Telecom Italia, Vodafone Italia. Duplice il vantaggio che deriverà dall’applicazione dell’accordo: da una parte sarà possibile sopperire alla carenza di manodopera per le attività di posa e giunzione delle reti in fibra ottica e dall’altra si offriranno alle persone detenute nuove occasioni di reinserimento nella società attraverso la formazione e il lavoro. Il contenuto dell’accordo - L’accordo appena siglato, che rimarrà valido fino al 30 giugno 2026, è un secondo passo che amplia la portata dell’intesa siglata a giugno 2022 dal ministero della Giustizia e dal dipartimento per la trasformazione digitale. Il nuovo accordo infatti include tutte le imprese impegnate su progetti Pnrr e coinvolge una serie di istituti penitenziari su tutto il territorio nazionale e quindi un numero maggiore di detenuti: a oggi infatti sono più di 700 coloro che hanno avanzato la propria candidatura secondo la ricognizione effettuata dal Dap: ora ognuna sarà valutata attentamene prima di concedere l’autorizzazione ad accedere al progetto. Ruoli e responsabilità - Al dipartimento per la Trasformazione digitale spetterà il compito di facilitare la collaborazione tra le istituzioni e gli operatori tlc, mentre il Dap selezionerà i soggetti idonei per le opportunità di impiego, metterà a disposizione i locali necessari per la formazione professionale nelle carceri e si occuperà della sorveglianza durante le attività formative. Quanto alle telco, supportate da Infratel Italia, assumeranno i detenuti e offriranno loro la formazione professionale, anche a distanza, per garantire un pieno inserimento lavorativo. Al Consorzio Asi Caserta è stata assegnata la responsabilità della formazione. Il valore del partenariato pubblico-privato - “La firma di questo protocollo rappresenta un rilevante momento di cooperazione tra istituzioni e imprese e mira a rispondere ai bisogni del settore delle telecomunicazioni, come la carenza di manodopera specializzata - afferma Alessio Butti, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’Innovazione tecnologica - Il Governo Meloni passa ancora una volta dalle parole ai fatti ed è fermamente impegnato nello sviluppo di un partenariato pubblico-privato solido ed efficace, riconoscendo che tali collaborazioni sono essenziali per affrontare le sfide moderne e stimolare l’innovazione. Con l’inclusione lavorativa dei detenuti, il Governo mira inoltre a promuovere una cultura di coesione sociale, dove il reinserimento diventa una vera leva di crescita per l’intera comunità”. Il Dap guarda al futuro e all’innovazione - “Il nostro mandato è quello di realizzare un’esecuzione della pena secondo i principi fissati dalla Costituzione - aggiunge Giovanni Russo, capo del dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria - Accordi come questi sono il simbolo di una nuova capacità del Dap di onorare questo suo compito guardando al futuro e all’innovazione. Un rinnovato impulso a realizzare e partecipare a progetti di inclusione sociale che, attraverso il coinvolgimento di importanti aziende e gruppi industriali, favoriscano il recupero dei detenuti e l’abbattimento della recidiva, con l’obiettivo, più volte indicato dal ministro Nordio, di moltiplicare le possibilità di lavoro e formazione professionale utili al reinserimento nella società”. La funzione rieducativa della pena - “Stiamo dando concretezza alle soluzioni che abbiamo individuato per accelerare i lavori nei cantieri aperti per completare l’opera di digitalizzazione del Paese, questo accordo ha una doppia valenza: rispondere alla carenza di manodopera che affligge i cantieri e contribuire al reinserimento delle persone detenute, offrendo loro formazione e lavoro - conclude Pietro Piccinetti, Ad di Infratel Italia - Ringrazio sentitamente il Ministero della Giustizia e il Dipartimento per la trasformazione digitale della Presidenza del Consiglio dei Ministri per aver coinvolto Infratel su questo protocollo, che è un tassello importante per contribuire alla piena attuazione del dettato costituzionale che assegna alla pena una funzione rieducativa e per orientare chi ha scontato la sua pena al reinserimento nel tessuto sociale del Paese”. Telco per l’Italia il 26 giugno a Roma - La questione della manodopera e delle competenze legata ai piani Pnrr per la banda ultralarga sarà sul tavolo della prossima edizione di Telco per l’Italia. Fra i protagonisti Pietro Piccinetti, Amministratore delegato di Infratel e Luigi Piergiovanni, Presidente di Anie Sit. Aosta. Confindustria promuove l’occupazione di persone detenute e in esecuzione penale esterna di Sara Colombini aostasera.it, 11 giugno 2024 Siglato oggi il protocollo d’intesa tra la Casa Circondariale di Brissogne e Confindustria Valle d’Aosta con l’obiettivo di dare valore al lavoro dei detenuti, accompagnarli in un percorso di responsabilizzazione verso il mondo esterno e pensare il carcere come una risorsa del territorio. Qualificare il lavoro penitenziario all’esterno del carcere e accompagnare la persona detenuta in un percorso di responsabilizzazione verso il mondo. Sono le basi e gli obiettivi del protocollo d’intesa firmato oggi nella sala conferenze dell’istituto penitenziario di Brissogne dal provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Rita Monica Russo, dal presidente di Confindustria Valle d’Aosta Francesco Turcato, dal direttore Reggente dell’UEPE Piemonte e Valle d’Aosta, Antonella Giordano e dalla direttrice della Casa Circondariale di Brissogne Velia Nobile Mattei. A partire dall’articolo 21 dell’ordinamento penitenziario che consente al detenuto di recarsi all’esterno unicamente per la prestazione lavorativa, la firma del protocollo prevede, per tutti gli associati di Confindustria Valle d’Aosta, la possibilità di accompagnare alcuni detenuti di Brissogne in percorsi formativi e di coinvolgerli in turni lavorativi diurni. L’avvio del progetto è in programma per settembre: dopo una una partenza graduale con piccoli numeri, dalle 3 alle 5 persone, si proverà ad arrivare alla decina durante le prime mensilità dell’anno prossimo. La Valle d’Aosta è la prima regione italiana a firmare il protocollo con una Confindustria regionale. La proposta, ora, è quella di estendere l’iniziativa anche a Piemonte e Liguria per arrivare al resto d’Italia. “L’idea nasce grazie a una sinergia di persone che hanno voluto portare il bene al centro della vita dei detenuti. Siamo una regione campione: questo è l’inizio di un’avventura da portare in giro per l’Italia.” - ha commentato il presidente di Confindustria Valle d’Aosta Turcato. “L’approccio a questa firma è quello di ritenere il carcere una risorsa del territorio” - ha aggiunto Russo. Roma. “Portare il carcere nella Costituzione”, iniziativa dedicata all’emergenza dietro le sbarre Il Dubbio, 11 giugno 2024 Appuntamento il 13 giugno presso il tempio di Adriano a Roma per l’evento dedicato all’emergenza penitenziaria. “Portare il carcere nella Costituzione”: appuntamento giovedì 13 giugno al Tempio di Adriano a Roma per la nuova iniziativa del quotidiano Il Dubbio dedicata all’emergenza dietro le sbarre. Un ciclo di dibattiti, in programma dalle ore 9 alle 14, che sarà valido ai fini della formazione continua degli avvocati con il riconoscimento di due crediti per chi parteciperà in presenza: è possibile prenotarsi inviando una mail all’indirizzo segreteria@ildubbio.news. Al convegno prenderanno parte tecnici ed esponenti dell’avvocatura e della magistratura che dialogheranno sui nodi principali della questione penitenziaria. Ci saranno anche architetti e neuroscienziati che ci porteranno ai confini dell’interazione tra diritto e scienza. Saranno interpellati anche i politici: il viceministro della giustizia Francesco Paolo Sisto, il sottosegretario Andrea Ostellari, la vicepresidente del Senato Anna Rossomando, poi Debora Serracchiani e Valeria Valente. Naturalmente parteciperanno anche i vertici del Consiglio nazionale forense, il presidente Francesco Greco e la vicepresidente Patrizia Corona, e il vicepresidente della Fai Vittorio Minervini. L’evento sarà un’occasione per riflettere sugli interventi necessari per riportare il carcere nei binari tracciati dalla Carta, a partire dall’affettività in carcere e dall’architettura penitenziaria, che deve muovere verso una visione umana e integrata, fino al tema della detenzione femminile e minorile. Una sfida non più prorogabile, considerata la scia di sangue che continua ad allungarsi ogni giorno con i suicidi in cella: 40 dall’inizio dell’anno, di cui uno in un Cpr. Ad animare l’iniziativa anche un’installazione speciale che troverete all’esterno del Tempio di Adriano: una cella di isolamento ricostruita in piazza per invitare tutti i cittadini a vivere l’esperienza della detenzione sulla propria pelle. Una cella nel cuore di Roma “Cinque minuti in cella” è l’esperienza promossa dal Dubbio in occasione dell’evento del 13 giugno presso il Tempio di Adriano: un invito rivolto a tutti i cittadini per sperimentare la detenzione nell’installazione costruita in piazza di Pietra. Una piccola cella nel cuore di Roma, un invito rivolto a tutti i cittadini per provare che cosa significa passare cinque minuti in carcere. È la sfida lanciata dal quotidiano Il Dubbio per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’emergenza dietro le sbarre e stimolare il dibattito sulla necessità di riformare il sistema penitenziario, migliorando le condizioni di vita all’interno degli istituti di pena. Soprattutto alla luce della vera e propria strage che si consuma in carcere, con i 40 suicidi registrati dall’inizio dell’anno. Numeri record, che non potranno che peggiorare con l’estate. Per questo non c’è tempo da perdere: bisogna agire ora e subito. Come ribadiremo nel corso dell’iniziativa dal titolo “Portare il carcere nella Costituzione” in programma giovedì 13 giugno, dalle 9 alle 14, presso il Tempio di Adriano a Roma. All’esterno, in piazza di Pietra, sarà possibile provare l’esperienza della detenzione in una cella di isolamento: uno spazio angusto ricostruito con tutte le limitazioni e le condizioni di vita tipiche di un ambiente penitenziario, in cui trascorrere un breve lasso di tempo. Cinque minuti che possono durare un’eternità, in quelle mura escluse dallo sguardo della società. All’interno del Tempio di Adriano, invece, si svolgerà un ciclo di dibattiti a cui prenderanno parte tecnici ed esponenti dell’avvocatura e della magistratura che dialogheranno sui nodi principali della questione penitenziaria. Ci saranno anche architetti e neuroscienziati che ci porteranno ai confini dell’interazione tra diritto e scienza. Saranno interpellati anche i politici: il viceministro della giustizia Francesco Paolo Sisto, il sottosegretario Andrea Ostellari, la vicepresidente del Senato Anna Rossomando, poi Debora Serracchiani e Valeria Valente. Naturalmente parteciperanno anche i vertici del Consiglio nazionale forense, il presidente Francesco Greco e la vicepresidente Patrizia Corona e il vicepresidente della Fai Vittorio Minervini. Verona. Giustizia riparativa, quando la colpa diventa occasione di reinserimento di Francesco Sergio Corriere di Verona, 11 giugno 2024 Ripagare la comunità dei danni arrecati tramite lavori di pubblica utilità e confronto con gli adulti che aiutino a comprendere gli sbagli commessi e a intraprendere un percorso di rinascita. È quanto hanno potuto sperimentare sei ragazzi di Borgo Roma della baby gang Qbr che tra il 2021 e il 2022 - ancora minorenni - avevano sconvolto il quartiere commettendo una sfilza di reati. Alcuni di loro erano finiti in carcere, altri in comunità. Poi, nel 2022, il giudice del Tribunale dei Minori ha dato loro la possibilità di prendere parte al progetto di recupero nell’ambito della giustizia riparativa di cui il Comune è partner, “Tra Zenit e Nadir”, portato avanti in città dalla Fondazione Don Calabria per il sociale, tramite il responsabile tecnico Silvio Masin, e la mediatrice familiare Anna Tantin. Gli ex componenti della Qbr hanno svolto per vari mesi servizio nella Parrocchia di Gesù Divino Lavoratore. “Hanno lavorato al parco giochi parrocchiale e preso parte alle attività con gli anziani del Circolo Noi - spiega il parroco Don Andrea Ronconi - Nella parrocchia e nei sacerdoti hanno trovato sempre un confronto. Hanno dimostrato fin da subito di desiderare il dialogo, che è sempre stato costruttivo. La chiesa di Borgo Roma ha rappresentato un simbolo durante il loro percorso di presa di coscienza degli errori commessi e di rinascita dopo aver pagato il conto essendo proprio il quartiere dove vivono e dove hanno commesso i reati”. Al termine dell’attività, alcuni si sono rimessi a studiare mentre altri lavorano. Due settimane fa, hanno incontrato a Palazzo Barbieri il sindaco Damiano Tommasi. “Hanno consegnato una lettera con la quale hanno dichiarato di aver preso coscienza degli errori commessi e hanno chiesto scusa alla comunità. Sono stati interpellati sul tema prevenzione, suggerendo la creazione di maggiori luoghi di aggregazione dove far crescere il dialogo e l’incontro, per evitare che altri giovani possano fare i loro stessi errori”. “Il percorso effettuato in questi mesi è la conferma della bontà di un’impostazione che mette al centro la comunità che viene offesa dall’atto criminale ma che è anche una comunità che dà un’opportunità, che diventa accogliente e contribuisce a fare acquisire consapevolezza della gravità del fatto compiuto, avvicinando di conseguenza l’autore del reato e la vittima”, afferma l’assessora alla Sicurezza, Stefania Zivelonghi. Pisa. Domani alla Casa della donna il convegno “Carcere: punizione o rieducazione?” casadelladonnapisa.it, 11 giugno 2024 In che modo il carcere può rieducare e reintegrare nella società? Quale ruolo può svolgere il volontariato penitenziario? Queste alcune delle domande al centro della giornata che la Casa della donna organizza mercoledì 12 giugno al Teatro Nuovo di Pisa. L’idea nasce dall’attività del gruppo “Donne e carcere” che, costituitosi all’interno della Casa della donna, opera dal 2008 nel carcere Don Bosco. In particolare il gruppo porta avanti con le detenute, e dallo scorso anno anche con i detenuti, laboratori settimanali di scrittura creativa e percorsi di accompagnamento all’uscita dal carcere. Come spiega Renata Quartuccio, una delle volontarie del gruppo “Donne e carcere” della Casa della donna, “con questa giornata vogliamo accendere i riflettori sul sistema carcerario, sulla concezione della pena e sul ruolo del volontariato. La nostra esperienza di volontarie all’interno del carcere ci ha portate spesso oltre le mura del Don Bosco e ci ha spinte a pensare a modalità di sostegno e accompagnamento delle detenute anche nei primi difficilissimi passi di libertà. L’uscita dal carcere rappresenta, infatti, un passaggio molto complesso e delicato, segnato dalle difficoltà del reinserimento, soprattutto se non c’è, come spesso accade, una famiglia, un contesto anche lavorativo a cui tornare. Pisa ha il suo carcere nel centro storico, non nella lontana periferia come in molte altre città ma - sottolinea Quartuccio - questo non significa che la città conosca la realtà del Don Bosco. Vorremo quindi aprire un percorso di conoscenza e provare a creare un ponte tra chi è dentro e chi è fuori, consapevoli dei tanti problemi che devono affrontare detenute e detenuti ma anche chi opera in carcere come professionista o come volontaria/o. Parleremo quindi di formazione, integrazione lavorativa, reinserimento sociale, con l’aiuto di studiosi e rappresentanti delle istituzioni e della realtà penitenziaria non solo pisana”. La giornata del 12 giugno si articolerà in una mattinata di formazione pensata solo per volontarie e volontari delle varie realtà che operano nel carcere Don Bosco e poi in un pomeriggio (ore 15.30-19.30), invece, aperto alla cittadinanza i cui interverrano Ornella Favero della rivista “Ristretti Orizzonti”, realizzata da detenute e detenuti del carcere di Padova; Valentina Abu Awwad, Garante dei detenuti del carcere Don Bosco; Tullio Padovani, già docente di Diritto Penale presso la Scuola Superiore Sant’Anna; Andrea Borghini, docente di Sociologia all’Università di Pisa e Carlo Mazzerbo, già direttore della casa di reclusione dell’Isola di Gorgona. Massa Marittima (Gr). “Legami in arte”: un laboratorio artistico per detenuti e i loro familiari di Jule Busch ilgiunco.net, 11 giugno 2024 Dal 28 al 30 agosto, il cortile della Casa circondariale di Massa Marittima sarà teatro di un evento straordinario: un laboratorio artistico che vedrà insieme detenuti e familiari minorenni in un’esperienza di inclusione e prossimità. Dopo il workshop con un gruppo di studenti romani nel gennaio scorso, l’associazione Operazione Cuore torna infatti nel carcere di Massa Marittima con l’iniziativa “Legami in arte - un progetto di speranza e creatività”. Sostenuto dalla direttrice dottoressa Maria Cristina Morrone, dalla responsabile dell’area trattamentale dottoressa Marilena Rinaldi e dalla società cooperativa sociale onlus “Together let’s Help the Community”, il laboratorio sarà diretto dagli artisti toscani Alice Mazzilli e Marco Milaneschi, membri di ElektroDomestik Force (Edf Crew) con una pluriennale esperienza nel settore sociale. “In ogni progetto ci mettiamo il cuore: questo, in particolare, è per noi l’esempio di quanto il cuore aiuti ad oltrepassare le barriere e di come l’arte possa essere uno strumento di riconciliazione e crescita personale”, afferma Laura Romeo, fondatrice e presidente di Operazione Cuore, ente del terzo settore che dal 2016 promuove interventi a favore di minori in difficoltà. “Legami in Arte” è reso possibile grazie al supporto di Banca Tema Gruppo Bcc Iccrea di Grosseto e, in particolare, del suo direttore generale Fabio Becherini, che ha sempre avuto fiducia nell’associazione. I materiali necessari sono donati da Bcc Edilizia Srl - Caldana (Gavorrano), mentre il rinfresco per l’inaugurazione del murale sarà offerto da Unicoop Tirreno Colline metallifere. Pisa. Spettacolo teatrale nel carcere “Don Bosco” La Nazione, 11 giugno 2024 La compagnia teatrale “I Sacchi di Sabbia”, in collaborazione con Regione Toscana e Fondazione Pisa, concluderà domani con uno spettacolo gli otto mesi di corsi e laboratori teatrale per i detenuti e le detenute della Casa circondariale Don Bosco. All’interno della sala polivalente della Casa circondariale, si terrà una lettura drammatizzata di due testi brevi di Stefano Benni: “La topastra” nella sezione femminile, e “Il sogno del muratore” nella sezione maschile. Nel periodo settembre 2023 - marzo 2024, gli allievi e le allieve del laboratorio hanno lavorato al recital di poesie in occasione della Giornata Mondiale contro la Violenza alle Donne (25 novembre), e all’allestimento dello spettacolo “L’opera dello Straccione” di Vaclav Havel proponendo una versione drammaturgica del testo creata da loro stessi secondo le modalità di improvvisazione teatrale sui temi trattati dal testo nonché su brani di testo riscritti da alcuni di loro. Lo spettacolo è stato rappresentato il 27 marzo, in occasione della Giornata Nazionale del Teatro in Carcere. Si stanno effettuando i primi esperimenti video, su le più famose favole di Esopo, realizzandole in forma di spot, di piccole moralità. Questi video saranno presentati ad ottobre all’Internet Festival 2024, nell’evento dal titolo “Era Esopo”. Gli operatori della compagnia Francesca Censi, Gabriele Carli, Letizia Giuliani e Davide Barbafiera dichiarano: “Grazie ai contributi di Regione Toscana e Fondazione Pisa, è possibile portare avanti questa esperienza ed i laboratori sia nella sezione maschile che in quella femminile”. Roma. I “bambini dannati” dell’Ipm di Casal del Marmo vince il Premio Caruso redattoresociale.it, 11 giugno 2024 Composto durante i laboratori di musica rap organizzati da CCO - Crisi Come Opportunità nell’Ipm romano di Casal Del Marmo, il pezzo nasce da voci provenienti da Nord Africa, Albania e Italia. S’intitola “L’Altro nello Specchio” il testo vincitore del Premio Carlo Caruso, un riconoscimento indirizzato ai detenuti degli Istituti Penitenziari Minorili italiani che da 4 anni valorizza le opere dei giovani autori in vinculis che si mettono in gioco raccontando sentimenti, aspirazioni e sogni attraverso la scrittura. Arabo, albanese, inglese, francese e italiano si susseguono nel pezzo corale “L’Altro nello Specchio”, il cui testo è stato composto durante i laboratori di musica rap organizzati da CCO - Crisi Come Opportunità nell’Ipm romano di Casal Del Marmo, come in molti altri Istituti italiani. Le voci protagoniste vengono dal Nord Africa, dall’Albania e dall’Italia e si uniscono in un progetto di vita vera, crudo e toccante, che non risparmia chi ascolta, ma piuttosto lo sensibilizza. “Un esempio concreto di integrazione per noi molto importante”, commenta in una nota per la stampa il direttore dell’Ipm Casal del Marmo, Giuseppe Chiodo. I giovani autori, tutti minorenni e sottoposti a provvedimenti penali o civili dall’Autorità giudiziaria minorile italiana, parlano di immigrazione clandestina, mancanza delle famiglie lontane e voglia di riscatto. I protagonisti della IV edizione del Premio Carlo Caruso - istituito in nome del giudice del Tribunale dei minori di Roma conosciuto come “il giudice papà” per la grande empatia con cui ha condotto il mandato da magistrato fino al 2018 - si sentono “bambini dannati”, come cita il testo, “troppo piccoli per riuscire a capire, ma abbastanza grandi per soffrire”. “La capacità di sublimazione e il valore terapeutico della musica - spiega Lucia Quattrini, tra i formatori dei laboratori rap di CCO a Casal Del Marmo - sono indiscussi. Nel momento in cui una cosa viene raccontata è come guardarla dall’esterno: si riesce a giudicarla e a capirla. Per i ragazzi che si trovano in difficoltà, le emozioni forti e le esperienze negative, se inespresse, diventano bombe a orologeria destinate a esplodere”. Nell’ipm di Casal del Marmo, oltre a Lucia Quattrini, collaborano Corrado Carnevale e Kento, senior rapper e referente del progetto musicale dell’associazione nell’Ipm Casal del Marmo, secondo il quale “la musica è un’arma estremamente positiva, che CCO e le istituzioni con cui collabora utilizzano per offrire opportunità nuove a ragazze e ragazzi che pensano di non averne più”. È questo lo scopo profondo dell’Associazione CCO - Crisi Come Opportunità: ridare speranza a chi è inciampato, ricostruendosi e ritrovandosi ogni giorno, passo dopo passo. Secondo i dati ufficiali di Antigone sono 516 i minori e i giovani adulti detenuti negli istituti penitenziari italiani all’inizio del 2024, il dato più alto registrato negli ultimi 10 anni. Per CCO - Crisi Come Opportunità - si legge ancora nella nota - è vitale fornire ai ragazzi e alle ragazze in custodia della giustizia degli stimoli concreti per affrontare quello che vivono in serenità, per vedere un futuro pieno di opportunità. Da oltre 10 anni CCO - Crisi Come Opportunità aiuta i giovani a immaginare un futuro diverso da quello a cui pensano di essere destinati, realizzando documentari, pubblicazioni, video testimonianze, spettacoli teatrali, campagne di sensibilizzazione e progetti formativi nelle periferie, nelle carceri minorili e nelle scuole. Il Presidio culturale permanente negli Istituti penali per minorenni è un progetto di CCO nato da un’idea di Luca Caiazzo - in arte Lucariello, rapper e socio dell’Associazione - che organizza, per i ragazzi detenuti in Istituti e comunità minorili italiani, incontri settimanali con artisti e formatori qualificati, guidando laboratori di scrittura e registrazione di musica rap. Nella Firenze di Gozzini, sull’onda del dialogo di Mario Lancisi Corriere Fiorentino, 11 giugno 2024 Il percorso dello scrittore e politico che riformò le carceri nel libro di Giambattista Scirè “L’uomo del dialogo. Mario Gozzini oltre gli steccati tra cristianesimo e comunismo”. A Palazzo Vecchio la presentazione con don Gherardo Gambelli, nuovo arcivescovo di Firenze: “Serve investire sulle misure alternative, anche per diminuire il sovraffollamento delle carceri. Se non vengono attuate queste misure, è forse anche perché esiste un pregiudizio verso queste persone, ma non può esistere solo la giustizia vendicativa, serve anche quella ripartiva”. Aveva solo 17 anni il giovane Gherardo quando il parlamento italiano, nell’ottobre del 1986, su proposta di Mario Gozzini, senatore cattolico eletto dieci anni prima come indipendente nel Pci, approvò la riforma carceraria che prevedeva una serie di misure alternative e rieducative del detenuto. La cosiddetta legge Gozzini, appunto. Con il tempo la legge è stata rivista al ribasso, modificata, spolpata delle misure più innovative. E Gozzini, insegnante, scrittore e giornalista, è morto nel 1999, a 79 anni, con il cruccio amaro di aver promosso una legge svuotata nel tempo della sua forte carica innovativa. Forse è un caso, ma con l’esplodere impetuoso dei problemi delle carceri, a cominciare da Sollicciano, torna di attualità la figura di questo fiorentino dimesso, garbato ma tenace, grazie anche al lavoro di puntigliosa ricerca dello storico Giambattista Scirè, che ha pubblicato per Marietti1820 L’uomo del dialogo. Mario Gozzini oltre gli steccati tra cristianesimo e comunismo, che verrà presentato domani (ore 19) alle Piazze dei Libri in piazza della Repubblica. E il dialogo è la parola-chiave che più di altre racconta la complessa vicenda intellettuale di Gozzini. Di lui si ricorda soprattutto il libro Dialogo alla prova (1964) tra cattolici e marxisti e la sua adesione nel 1976, seppure come indipendente, nelle file del Pci, lui che proveniva dalla Dc di Giorgio La Pira. Scelta che gli scagliò contro i fulmini della Chiesa. L’allora arcivescovo di Firenze Giovanni Benelli gli scrisse di ripensare alla sua scelta convinto, addirittura, “che anche il Signore è in attesa”. Gozzini, nella Firenze culturale del Novecento, è stato anche l’intellettuale cristiano del dialogo con il mondo laico di Geno Pampaloni (insieme hanno lavorato alla Vallecchi) e di Giovanni Spadolini e persino del tradizionalismo cattolico. Muoveva dalle sue ragioni per accostarsi a quella degli altri. Anche nella vicenda dell’approvazione nel 1978 della legge sull’aborto. Emblematico il libretto che pubblicò, nel fuoco delle polemiche: Contro l’aborto fra gli abortisti. “E sempre dalla parte delle donne”, amava aggiungere. Integrazione, dispersione e pari opportunità. Lo sguardo dell’Europa sul mondo della scuola di Pino Suriano Il Riformista, 11 giugno 2024 Un dialogo con Mario Mauro, insegnante ed ex vice presidente del Parlamento Ue: “Primo obiettivo? La qualità”. Ma l’Europa, rinnovata dal voto del week end, si interessa di scuola? Sembrerebbe di no, almeno a giudicare dallo spazio occupato nei programmi elettorali. Pochissimi i riferimenti, talvolta solo per qualche confluenza con altri temi. Non è proprio così secondo Mario Mauro, ex ministro della Difesa, uno che ha incrociato entrambi i mondi: scuola e Parlamento europeo. Di quest’ultimo è stato vicepresidente dal 2004 al 2013; di scuola si era occupato in precedenza, prima come insegnante in provincia di Foggia, poi come Responsabile di Scuola e Università per Forza Italia. Quello che risulta interessante, approfondendo con lui la questione, è comprendere la diversa prospettiva da cui l’Europa osserva e in un certo senso “utilizza” la scuola per i propri obiettivi. Il docente medio ne è solitamente ignaro. Il primo di questi obiettivi è l’integrazione. “L’Europa è un crogiuolo di razze e culture, perciò la scuola è percepita come il luogo privilegiato in cui si possono incontrare e integrare. C’è ancora tanto da fare, ma di certo possiamo affermare che oggi le giovani generazioni si sentono certamente più europee di quelle precedenti”. Anche in questa prospettiva si comprende la grande attenzione europea a discipline come l’arte, la musica e gli sport, che si traduce nelle famose Raccomandazioni ai Paesi membri. Dall’incontro tra le diversità, nello spazio europeo, emergono prospettive interessanti. Mauro, per esempio, si è impegnato in Parlamento con Garry Kasparov, il grande giocatore di scacchi, per sensibilizzare all’introduzione degli scacchi a scuola per le competenze logiche legate alle discipline Stem. L’Europa si occupa di scuola anche nel senso che la valuta. Non è letto quanto dovrebbe il Rapporto “Education at a Glance”, redatto dalla Commissione Europea sulla base dei dati Ocse. Non lusinghieri, come è noto, i risultati dell’Italia: “La nostra posizione è curiosa. Siamo uno dei paesi che ha fatto più riforme, ma di fatto non abbiamo migliorato la qualità dell’istruzione e la sua interazione con il mondo del lavoro, perché ci si è limitati a riforme di riorganizzazione per sopperire al calo degli studenti”. Da questa valutazione emerge un altro importante aspetto ben osservato, la dispersione scolastica. La lente europea si focalizza sul rapporto tra abbandono e contesti socio-economici. Anche qui c’è un paradosso. “Siamo portati a pensare che la dispersione coincida sempre con i contesti economicamente disagiati, ma spesso non è così. Ci sono realtà, come il bergamasco, in cui è proprio la grande offerta di lavoro a spingere di fatto verso la dispersione scolastica, perché i ragazzi sono più attirati dal lavoro che dallo studio. In questo senso, possono rappresentare una buona opportunità i cosiddetti ITS, Istituti Tecnici Superiori, che forniscono una formazione più elevata in effettiva relazione con il tessuto produttivo”. Ma c’è un paradosso ancora più grave e su questo Mauro si altera parecchio. “Stiamo a discutere tutti i giorni dei 150mila immigrati che sbarcano a Lampedusa, ma non ci preoccupiamo dei 200mila giovani che si formano in Italia e poi sono costretti ad emigrare all’estero per esercitare le competenze acquisite”. Non è dispersione anche questa? E ci costa ancora di più. Migranti. “Io, bengalese da 15 anni in Italia senza diritti” di Fabrizio Geremicca Il Manifesto, 11 giugno 2024 La storia di R. che da Dacca non riesce ad avere il ricongiungimento. “L’ambasciata deve rispondere in 90 giorni ma 70 mila domande sono ferme”. “Sono entrato in Italia nel 2010. Mi ha aiutato un amico e connazionale che era già nel vostro paese, viveva a L’Aquila ed aveva una piccola azienda agricola. Ha presentato richiesta per me nell’ambito del decreto Flussi, ma non mi ha assunto. Quattro giorni dopo il mio ingresso in Italia mi sono spostato a Napoli. Ho lavorato per qualche tempo come ambulante e poi in una piccola fabbrica di tessuti in provincia. Paga da fame, turni di lavoro infiniti. Sono stato regolarizzato alcuni anni più tardi grazie ad una sanatoria ed ora sono impiegato presso uno studio legale”. R. (“ho paura a dare il mio nome”) racconta da Chittagong, la città del Bangladesh dove viveva prima di emigrare e dove è rientrato da alcune settimane, la sua vicenda. “Ho 45 anni”, va avanti, “ed ho studiato Legge. Il 4 dicembre dell’anno scorso ho presentato domanda di ricongiungimento familiare, affinché mia moglie ed il mio primo figlio di 5 anni potessero raggiungermi a Caserta, dove avevo già preso in affitto un’abitazione abbastanza grande da accogliere tutta la famiglia”. In Bangladesh, però, i visti che dovrebbe rilasciare l’ambasciata italiana sono bloccati da agosto 2023. Sia quelli relativi all’ingresso per i ricongiungimenti familiari, sia quelli che fanno riferimento alle richieste di assunzione. “Almeno 70.000 domande sono ferme - dice R. - ed il vostro ambasciatore, intervistato da alcuni giornalisti del mio paese, ha risposto che non ha il personale per verificare i documenti. Non so se sia questo il vero motivo o se ci sia la volontà di bloccare gli ingressi in Italia in ogni modo. Certo è che la legge italiana stabilisce che l’ambasciatore debba rilasciare il visto o rifiutarlo entro 90 giorni, quando la domanda è presentata nell’ambito del decreto Flussi. Per il ricongiungimento familiare la risposta dovrebbe arrivare entro un mese”. Nell’attesa è diventato a maggio padre per la seconda volta. La bimba è nata prematura, il parto è stato accidentato e lui si è precipitato a Chittagong. “Dovrò presentare una nuova domanda di ricongiungimento - si rammarica - perché adesso c’è un’altra persona nella mia famiglia”. Non nega che ci sia chi, pur di entrare in Italia, abbia pagato intermediatori bengalesi o referenti italiani per simulare una richiesta di contratto. “Può costare - dice - tra 10.000 e 15.000 euro”. Sottolinea, però: “I lavoratori sono le vittime di un sistema, quello del decreto Flussi, che non sta in piedi e che fa guadagnare chi vuol lucrare sulla necessità di emigrare dei miei connazionali”. A Dacca, la capitale del Bangladesh, migliaia di persone hanno manifestato nelle scorse settimane davanti all’ambasciata italiana ed alla sede dell’agenzia indiana che fa da tramite per la consegna dei passaporti. C’è chi è in sciopero della fame nella capitale, come a Chittagong ed a Silet, altre due grandi città. In Italia l’associazione antirazzista interetnica 3 febbraio ha promosso un’assemblea il 16 giugno a Sant’Antimo, uno de Comuni campani dove è maggiore la concentrazione dei bengalesi, i quali nella cittadina lavorano tutti nel tessile. “Dalla Campania - dice Gianluca Petruzzo, referente di 3 febbraio - vogliamo costringere il governo a recedere da questi attacchi alla vita umana”. Migranti. L’Ue sarà sempre più una “fortezza” di Paolo Lambruschi Avvenire, 11 giugno 2024 Difficile che vengano accolte le richieste dei partiti di sinistra sulla possibilità di soccorsi in mare, su Libia e Tunisia il barometro dei diritti volge sempre più al brutto. In attesa di conoscere quale maggioranza guiderà il Parlamento di Strasburgo e i nomi della Commissione, possiamo intanto avanzare alcune ipotesi su quelle che saranno le nuove politiche della Ue sul tema chiave dei migranti in base ai risultati elettorali. La certezza è che il generale spostamento a destra dell’elettorato dei 27 Paesi condizionerà i prossimi cinque anni in senso securitario. Probabili aperture ci potranno essere nella programmazione dei flussi di lavoratori, necessari allo sviluppo continentale, ma su questo tema la sovranità è dei singoli Stati. Resterà il Regolamento Dublino che grava sui paesi di primo arrivo lasciando loro i profughi, a meno che una situazione di emergenza non attivi il meccanismo di redistribuzione che, per il patto su migrazione e asilo, si può aggirare pagando un’ammenda. Anche lo stesso patto, messo in discussione dal centrosinistra difficilmente verrà toccato nonostante l’indebolimento del blocco sovranista dei paesi del gruppo di Visegrad. Altra considerazione, le affermazioni dei popolari in Spagna, di Fratelli d’Italia, affiliata ai conservatori e del Rassemblement di Marine Le Pen in Francia, ossia i tre grandi Paesi mediterranei, segnano una trincea sul Mediterraneo. Difficile che ci saranno, quindi, le novità chieste soprattutto dai partiti affiliati a Verdi e Socialisti e democratici in termini di salvataggio europeo di vite umane sulle frontiere terrestri e marine bocciate dagli elettori. Improbabile vedere ad esempio girare da qui alla fine del decennio nelle acque mediterranee una missione di salvataggio navale battente bandiera blu stellata perché i programmi degli affiliati ai popolari, pur nella proclamata volontà di rispetto dei diritti umani dei profughi, prevedono una sostanziale continuità della Fortezza Europa con la chiusura delle frontiere. Improbabile che si allenti anche la pressione sulle navi di soccorso delle Ong considerate un “fattore di attrazione” nonostante le evidenze scientifiche contrarie. Secondo gli osservatori dovrebbe riproporsi nel Parlamento europeo la maggioranza Ursula - popolari socialisti e liberali di Renew- e in questo caso sarà interessante capire se i popolari di Manfred Weber e Ursula von der Leyen che dovranno dare le carte seguiranno o meno le sirene sovraniste sulla creazione di hotspot in paesi terzi sicuri per inviare chi si ritiene non abbia i prerequisiti per chiedere asilo, come nel caso dei centri voluti dal governo Meloni in Albania. Molto probabilmente saranno confermati gli accordi con le guardie costiere dei paesi terzi rivieraschi come Libia e Tunisia per riportare indietro i migranti salpati (con annesse deportazioni nel deserto e detenzioni inumane con riscatti) e l’accordo con la Turchia per fermare i flussi di terra sulla rotta balcanica. Insomma, a meno di un accordo con i Verdi per ampliare la maggioranza Ursula, il barometro dei diritti umani volge al brutto. Mentre aumento degli aiuti allo sviluppo e della cooperazione erano nei programmi dei tre gruppi che dovrebbero restare al governo dell’Ue. Invece in caso di apertura popolare ai conservatori, che comporterebbe l’uscita dei Socialisti e democratici dalla maggioranza, l’inasprimento del contrasto dei flussi irregolari in nome della lotta ai trafficanti sarà ancora più duro. Non sono da escludere ad esempio, finanziamenti ai regimi - non esattamente democratici e rispettosi dei diritti umani - per creare centri di identificazione e trattenimento sulla sponda sud del Mare Nostrum e bloccare i flussi. E un investimento più consistente per incentivare i rimpatri volontari e non. In generale, il concetto di solidarietà tra Stati sui migranti accuserà una preoccupante battuta di arresto in questa legislatura. Migranti. Il video choc girato nel deserto: “Decine di morti tra Egitto e Libia” di Paolo Lambruschi Avvenire, 11 giugno 2024 Uomini, donne e bambini sudanesi morti di sete e fame nel deserto dopo che il furgone su cui viaggiavano si è rotto. Pochi sopravvissuti. Attesa domani a Carrara la nave Ocean Viking con 64 persone. Un’altra tragedia dell’immigrazione. Quest’ultima, di cui si ha notizia solo attraverso i social e le testimonianze di chi ha vissuto l’orrore e si è salvato, non è però avvenuta in mare ma nel deserto. Diverse decine di uomini, donne e bambini sono morti di sete e fame nel deserto fra Egitto e Libia dopo che il furgone su cui viaggiavano si è bloccato per un guasto. Alcuni sopravvissuti hanno raccontato l’orrore ai soccorritori. “Una scena terribile di cittadini sudanesi il cui veicolo si è rotto durante il viaggio dall’Egitto alla Libia - scrive su X il profilo Refugees in Libya, accompagnando il video (di cui decidiamo di non pubblicare i frame) - Decine di loro sono morti di sete e di fame e altri sono sopravvissuti”. Secondo gli ultimi dati diffusi da Oim Libya, dal 26 maggio al 1° giugno 2024, 995 migranti sono stati intercettati e riportati in Libia nei centri detentivi per i migranti che tentato di attraversare il Mediterraneo per raggiungere l’Europa. Intanto sono in tutto 13 le salme che sono state imbarcate sul traghetto da Lampedusa a Porto Empedocle. Oltre alle 11 recuperate venerdì dalla nave ong Geo Barents di Medici senza frontiere e sistemate da sabato pomeriggio, nella sede dell’area marina protetta, verrà subito trasferito il cadavere che è stato issato a bordo dall’Ocean Viking e trasbordato su una motovedetta della guardia costiera che lo ha portato sulla maggiore delle isole Pelagie. Sul traghetto di linea è stata imbarcata anche la piccola bara bianca, della neonata di 5 mesi, figlia di guineani, che è stata trovata morta quando la nave Humanity1 della ong tedesca Sos Humanity ha soccorso il barchino. Il cadavere - assieme alla mamma: una diciannovenne e alla sorellina di 2 anni - sono stati sbarcati il 29 maggio a Lampedusa. La piccola, stando a quanto è stato accertato in sede di ispezione cadaverica, è morta per malnutrizione. E mentre la Tunisia sventa decine di partenze verso l’Italia, a Lampedusa l’hotspot dell’isola inizia ad essere in affanno. In 74 sono stati soccorsi durante la notte di domenica al largo dell’isola. Fra loro pure 20 egiziani, pachistani e siriani salvati dalla nave Ong Sea Punk1 e trasbordati su una motovedetta della guardia costiera che, dopo mezzanotte, li ha sbarcati sul molo Favaloro. Due di loro sono stati portati al poliambulatorio: uno, in particolare, aveva delle ustioni. Sull’altro barcone di 10 metri, partito secondo la versione dei migranti da Homs, in Libia, c’erano invece 54 bengalesi, egiziani e siriani. Il natante é stato avvistato e soccorso da una motovedetta della guardia di finanza. Sull’isola, ci sono stati 8 sbarchi per un totale di 420 persone. All’hotspot di contrada Imbriacola, dopo il trasferimento di 200 migranti con il traghetto di linea arrivato all’alba a Porto Empedocle, ci sono 458 ospiti. Per 300 é stato già disposto lo spostamento con il traghetto. Nell’ambito della lotta al fenomeno della migrazione irregolare la Guardia costiera tunisina ha bloccato 14 traversate illegali soccorrendo 493 migranti, 403 subsahariani e 90 tunisini, a bordo di diverse imbarcazioni al largo di Sfax. Lo ha reso noto la Guardia nazionale di Tunisi, precisando di aver proceduto all’arresto di 9 persone implicate a vario titolo nel traffico di esseri umani. Durante le operazioni è stato anche rinvenuto un cadavere, vittima di un naufragio non specificato. Sequestrate anche barche, motori, giubbotti di salvataggio, usati per le traversate illegali. Intanto Carrara si prepara ad accogliere la nave ong Ocean Viking con 64 migranti soccorsi nel Mediterraneo. Lo sbarco avverrà sulla banchina Fiorillo da dove i migranti saranno accompagnati a Imm-Carrarafiere per il primo soccorso e le operazioni di riconoscimento. Dopo essere stati visitati e assistiti tutti i migranti partiranno per le strutture di accoglienza. Per la Ocean Viking sarà la seconda volta nel porto di Marina di Carrara dopo che vi era già approdata il 30 gennaio 2023. In totale per lo scalo apuano il prossimo sarà il 13esimo sbarco. Medio Oriente. Tregua e ostaggi, cresce il pressing: l’Onu vota il testo Usa di Lucia Capuzzi Avvenire, 11 giugno 2024 Al Consiglio di Sicurezza (con l’astensione della Russia) passa la bozza di risoluzione che accoglie il piano Biden per il cessate il fuoco. Il segretario di Stato Blinken ha incontrato ieri Netanyahu. Buona l’ottava? È presto per dirlo. Di certo, il segretario di Stato Usa è determinato a far sì che il viaggio numero otto in Medio Oriente dal 7 ottobre sia quello clou. Il momento è delicato. L’uscita del centrista Benny Gatnz dal governo israeliano, pur non mettendo a rischio la maggioranza, altera gli equilibri, anche se ancora non si sa in quale direzione. La Casa Bianca vuole inclinare la bilancia a proprio favore. O, meglio, a favore della tregua. Che la proposta sul tavolo sia “made in Usa” - nonostante la formale attribuzione a Tel Aviv - è apparso chiaro fin dalla presentazione da parte del presidente Joe Biden lo scorso 31 maggio. Dieci giorni dopo, l’accordo per il cessate il fuoco e contestuale rilascio degli ostaggi è impantanato. Il nodo resta la fine della guerra, chiesta da Hamas e rifiutata in modo secco dal premier, Benjamin Netanyahu. Anche sabato notte, decine di migliaia di israeliani sono scesi in piazza per chiedere di raggiungere un’intesa. Poche ore prima l’esercito aveva liberato quattro ostaggi. Un successo indubbio che, però, non ha alterato lo status quo. Da qui l’entrata in scena di Antony Blinnken. Il capo della diplomazia statunitense è volato prima al Cairo da cui ha lanciato un appello ai Paesi arabi: “Se volete il cessate il fuoco, fate pressione su Hamas affinché dica sì”. Il gruppo armato - ha ribadito - “è l’unico ostacolo”. Affermazione smentita dall’alto funzionario Sami Abu Zuhri che ha accusato il segretario di Stato di “parzialità”. Al di là del balletto di dichiarazioni di circostanza, però, la maggior pressione Usa è rivolta a Israele dove Blinken è arrivato in serata per riunirsi, a Gerusalemme, con Netanyahu e, poi, a Tel Aviv, con il ministro della Difesa, Yoav Gallant, oggi, invece, vedrà Ganz. Due azioni lo dimostrano. Primo, con un cambio di rotta rispetto ai precedenti veti, Washington ha fatto approvare ieri dal Consiglio di sicurezza Onu, con la sola astensione della Russia, il piano della tregua, chiedendo ad Hamas di accoglierlo (il progetto in tre fasi annunciato dal presidente americano il 31 maggio e condiviso con Israele, ha l’ambizione di porre fine alle ostilità nella Striscia, attraverso il progressivo ritiro dell’Idf ed il rilascio di tutti gli ostaggi). Secondo, nei media Usa è circolata l’ipotesi di trattative separate per il rilascio dei cinque rapiti con nazionalità americana. Netanyahu, però - al di là del cordiale comunicato ufficiale - non sembra intenzionato a cedere. Per tutta la giornata sono proseguiti gli attacchi a Rafah e nella parte centrale della Striscia, in particolare la città di Deir al-Balah, vicino a Nuseirat, dove sono stati liberati gli ostaggi con un sanguinoso blitz. I palestinesi denunciano oltre 270 morti, gli israeliani parlano di meno di cento e ha precisato che tra le vittime non ci sarebbero altri sequestrati. Cifre impossibili da verificare in modo indipendente. Nel frattempo, il bilancio totale, secondo il ministero della Sanità, controllato da Hamas, ha oltrepassato quota 37mila. Tre dei quattro rapiti sono stati trovati a casa di Abdullah Jamal, portavoce del ministero del Lavoro di Gaza, esponente di Hamas e “giornalista di al-Jazeera”, sostiene l’esercito. In realtà, l’emittente ha precisato che Jamal è stato un collaboratore sporadico in passato. Tunisia. In carcere per i debiti: chi non riesce a pagare dovrebbe poter stabilire un piano di rimborso La Repubblica, 11 giugno 2024 Il dossier di Human Rights Watch. La galera per insolvenza è una sanzione che viola la giurisprudenza internazionale dei diritti umani oltre a distruggere famiglie e imprese. Almeno diverse centinaia di persone sono in carcere in Tunisia solo per aver firmato assegni che poi non sono state in grado di pagare: lo segnala oggi un dossier di Human Rights Watch. Questa pratica equivale alla reclusione per debiti, che viola la giurisprudenza internazionale dei diritti umani e che distrugge famiglie e imprese. Per i debiti c’è la prigione, l’esilio o la clandestinità. Nel rapporto di 41 pagine, “‘No Way Out’: Debt Imprisonment in Tunisia”, Human Rights Watch documenta le conseguenze dell’arcaica legislazione tunisina sugli assegni con fondi insufficienti. La legge, oltre a mandare in prigione le persone insolventi, o a vivere in clandestinità o in esilio, alimenta un ciclo di indebitamento e riduce intere famiglie a una vita di stenti. Nel contesto dell’attuale crisi economica tunisina, le autorità dovrebbero urgentemente sostituire le disposizioni giuridiche che consentono la reclusione per debiti con una legislazione che distingua tra rifiuto volontario e effettiva incapacità di pagare. Un anacronismo crudele. “La reclusione per debiti non pagati è un anacronismo ed è crudele e controproducente per garantire che i creditori recuperino ciò che è loro dovuto”, ha dichiarato Salsabil Chellali, direttore per la Tunisia di Human Rights Watch. “Quando i debitori rimangono liberi, hanno la possibilità di guadagnare un reddito per ripagare gradualmente i loro debiti, sostenendo al contempo le proprie famiglie”. Il disegno di legge approvato. Il 22 maggio scorso, l’Ufficio del Primo Ministro ha annunciato in una dichiarazione che il Consiglio dei Ministri aveva approvato un disegno di legge per modificare le disposizioni legali sugli assegni non pagati, che suggerisce una riduzione delle pene detentive e delle sanzioni pecuniarie e prevede alternative al carcere, tra le altre misure. Il disegno di legge è stato presentato all’Assemblea dei Rappresentanti del Popolo per il dibattito. I casi di 12 persone in clandestinità. Human Rights Watch ha documentato i casi di 12 persone perseguite per assegni non pagati, tra cui persone imprigionate e altre che vivevano in clandestinità o in esilio. Sebbene originariamente concepiti come mezzo di pagamento, gli assegni in Tunisia sono in pratica ampiamente utilizzati come mezzo per ottenere credito, soprattutto nel settore commerciale dove consentono agli imprenditori di assicurarsi beni o servizi commerciali in cambio di un assegno da loro fornito che deve essere incassato in un secondo momento, a una data concordata. Le conseguenze sulle imprese. Date le difficoltà incontrate dalle micro, piccole e medie imprese nell’accedere ai finanziamenti bancari a causa della mancanza di garanzie o delle condizioni di finanziamento della banca, molti nel settore commerciale si affidano a questa pratica, nota come “assegno di garanzia”. Quando le persone che hanno emesso assegni di “garanzia” non sono in grado di pagarli in seguito, rischiano la reclusione, poiché un assegno non pagato è considerato un reato punibile fino a cinque anni di carcere ai sensi del Codice commerciale tunisino. Mentre secondo il governo, 496 persone sono state imprigionate per assegni non pagati a maggio 2024, un’associazione imprenditoriale che si concentra su questo tema, l’Associazione nazionale delle piccole e medie imprese, ha stimato che questo numero è più vicino a 7.200 persone e che le autorità stanno cercando altre migliaia di assegni non pagati. Pene detentive cumulative. Le persone incarcerate spesso affrontano lo stigma e la mancanza di reddito, mentre sono in carcere o cercano di sfuggire al processo, può influire sul godimento dei loro diritti umani, compreso l’accesso ai servizi di base come l’assistenza sanitaria, l’alloggio o l’istruzione. I problemi economici indotti dal debito possono essere aggravati dalle carenze dei servizi pubblici e del sistema di sicurezza sociale tunisino. La condanna a 122 anni di carcere per 50 assegni a vuoto. In un caso documentato, Mejid Hedhli, un imprenditore edile, è stato condannato nel 2016 a 122 anni e nove mesi di carcere per circa 50 assegni. Hedhli stava ristrutturando un edificio pubblico nel 2010, ma la sua costruzione ha subito ritardi e danni materiali dopo gli eventi durante la rivoluzione del 2011. La sua famiglia dice anche che l’istituzione pubblica che lo ha ingaggiato non lo ha pagato completamente. “Se Mejid non fosse stato in prigione, avrebbe potuto lavorare e pagare tutti i suoi assegni”, ha detto sua moglie, Jalila Hedhi. “La sua vita è stata sprecata, eppure gli assegni non sono stati pagati”. Le interviste condotte da Human Rights Watch mostrano che quando un primo assegno viene rifiutato dalla banca, il debitore spesso si trova ad affrontare costi vertiginosi a causa di multe e commissioni e di altri creditori che cercano un pagamento tempestivo. Molti sono indotti a fuggire all’estero. L’indebitamento schiacciante e il rischio di incarcerazione spesso portano le persone a cessare ogni attività economica e a nascondersi o a fuggire all’estero. L’attuale legislazione non riesce ingiustamente a distinguere tra un debitore incapace di pagare per motivi economici impellenti e una persona che ha utilizzato l’assegno con intento fraudolento, ha detto Human Rights Watch. Il debito può anche gravare sui membri della famiglia allargata. Familiari che spesso intervengono per aiutare a rimborsare parte del debito vendendo i propri beni o prendendo prestiti bancari. Ha anche conseguenze negative sulla salute delle persone indebitate e dei loro familiari. Le persone indebitate raramente hanno accesso a un’efficace rappresentanza legale per gli assegni non pagati, a causa della mancanza di mezzi o per rassegnazione di fronte all’impossibilità di saldare il debito. Il governo ora sembra orientato verso misure più leggere. Il presidente Kais Saied sostiene un emendamento alla legge e, nel 2023, ha incaricato il ministro della Giustizia Leïla Jaffel di presentare un disegno di legge per depenalizzare questi controlli. Nel luglio 2023 attori economici come la più grande organizzazione di datori di lavoro tunisini, la Confederazione tunisina dell’industria, del commercio e dell’artigianato, hanno raccomandato alternative alla reclusione. A febbraio, i legislatori hanno presentato un disegno di legge per concedere l’amnistia alle persone perseguite per questi controlli, ma non è ancora stato discusso.