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Giornata nazionale di studi
La tenerezza e la Giustizia
La tenerezza è un modo inaspettato di fare Giustizia (Papa Francesco)
Venerdì 19 maggio 2023, ore 9.00-17.00 - Casa di reclusione di Padova
LE ISCRIZIONI SONO CHIUSE. ABBIAMO RAGGIUNTO IL NUMERO MASSIMO PREVISTO.
In
tempi particolarmente densi di guerre, violenze, odiatori seriali, parlare di
“tenerezza e giustizia” può sembrare velleitario, “buonista”,
pericoloso, inutile. Ma la sfida è proprio osare mettere insieme due concetti
che sembrano inconciliabili: quello di un sentimento come la tenerezza,
applicato anche alla Giustizia, di cui siamo invece abituati a vedere un volto
severo, a volte duro, a volte anche crudele. Papa Francesco ha avuto il coraggio
di dire “La
tenerezza è un modo inaspettato di fare Giustizia”, e noi
vogliamo provare a far capire quanto è necessaria una Giustizia intrisa
di tenerezza per ridare speranza anche a chi, invece, attraverso la Giustizia ci
è passato come dentro un tritacarne inesorabile.
Il
professor Vittorio Manes, docente di diritto penale ed esperto di informazione
giudiziaria, definisce l’esperienza di chi finisce sulle prime pagine dei
giornali per un fatto di giustizia “un’esperienza ustionante, una discesa
agli inferi”.
Cominciamo
allora questa “discesa agli inferi” così ustionante, per poi andare alla
ricerca delle possibili alternative, osando credere insieme a papa Francesco che
la giustizia debba sempre lasciar aperta “una finestra di speranza”.
Viaggio
dalla mala giustizia alla giustizia della tenerezza: Prima tappa, i ragazzi
Chiedeteci
come stiamo
“Chiedimi
come sto” è il titolo di una inchiesta che interroga i ragazzi sul loro stato
di salute dopo la pandemia, su come si sentono, quanto hanno sofferto, come
reagiscono. La narrazione giornalistica non risparmia neanche loro: baby gang,
fughe dalle carceri minorili, bullismo, cyberbullismo. La soluzione? Puniamoli
prima, abbassiamo l’età in cui sono penalmente perseguibili. Ma se vogliamo
evitare queste semplificazioni è importante per tutti farsi spiegare come sono
davvero, i giovanissimi, cosa pensano, come vivono, che paure hanno, come usano
i social, quali sono i comportamenti che li mettono a rischio; ed è importante
in particolare per le persone detenute farsi aiutare a capire meglio i loro
figli e i loro nipoti. Perché chi sta in carcere da anni, poco sa del mondo
fuori e poche occasioni ha di trovare delle risposte alle domande che ingombrano
la sua testa.
-
Dialogo
fra studenti e persone detenute
“Voglio
dirlo al magistrato/Sono un ragazzo ma tu vedi un carcerato”
“Scrivo
versi dietro porte sbarrate / Voglio dirlo al magistrato/ Sono un ragazzo ma tu
vedi un carcerato” sono i versi scritti da un ragazzo che sta scontando la
sua pena in un Istituto Penale per Minorenni. Mettersi all’ascolto dei ragazzi, coglierne le fragilità, aiutarli a
scavare nelle loro vite: è quello che da anni fa Francesco “Kento”, rapper
che insegna a esprimersi con il rap ai ragazzi delle carceri minorili. «Parli
dei detenuti ma non sai chi sono loro, dici non gli interessa né studio né
lavoro, vogliono i soldi facili per arricchirsi subito ma questa realtà tu la
conosci? ne dubito»: è la
prima strofa di una canzone rap che Kento ha scritto insieme ai giovani detenuti
dell'IPM di Catanzaro, e non è un caso che questi testi siano spesso rivolti ai
magistrati, e a una Giustizia che i ragazzi sentono lontana, ostile.
-
Francesco
“Kento”, rapper, interverrà
in videoconferenza dal Salone del libro di Torino per portare la sua esperienza
come “insegnante speciale” all’interno degli istituti penitenziari
per minori, raccontata nel libro "Barre" e nel disco "Barre
Mixtape".
Ragazzi
pericolosi per sé stessi, madri coraggio
Poi
ci sono i ragazzi con una diagnosi di disturbo della personalità che, se si
associa all’uso di sostanze, diventa doppiamente pesante, e sono ragazzi che
spesso finiscono in carcere invece di avere un percorso vero di cura, magari
solo perché non c’è posto nelle REMS. Racconta Loretta Rossi Suart, nel
libro Io, combatto: “Io, Maria e tantissimi altri genitori e
famiglie siamo in piena emergenza. L'emergenza è come salvare la vita ai nostri
figli: entrano in stati psicotici totalmente fuori controllo, in cui sono
pericolosi principalmente per loro stessi, ma possono anche compiere dei reati,
ed ecco perché arriva il carcere, il girone infernale da cui non puoi uscire
che peggio di come sei entrato”.
- Maria, madre di un ragazzo detenuto 22enne, con Disturbo Borderline di Personalità.
- Loretta Rossi Stuart, attrice, coreografa, autrice del libro Io, combatto
Ragazzi
che dentro conservano un nucleo di grande fragilità
In
carcere si incontrano sempre più ragazzi giovani, che si sono “armati contro
il mondo” da cui non si sono sentiti accolti, perché, come scrive Mauro
Grimoldi, psicologo esperto di adolescenze estreme “Ci stiamo muovendo
verso una cultura educativa più affettiva, che regala delle infanzie
meravigliose ai nostri bambini, ma regala delle adolescenze complicate in cui i
primi ostacoli, i no da parte dei genitori, i risultati negativi a
scuola, una storia d’amore finita male, a volte colgono i nostri ragazzi molto
impreparati, le prime frustrazioni li trovano veramente sgomenti ed è di fronte
a questo che a volte si armano e vanno in lotta contro il mondo sociale che
hanno intorno”.
-
Mauro
Grimoldi,
psicologo, esperto di criminologia minorile e disturbi del comportamento in
adolescenza. Coordinatore dell'Istituto Milanese di Psicologia Giuridica, autore
di Adolescenze estreme. I perché dei ragazzi che uccidono.
Viaggio
dalla mala giustizia alla giustizia della tenerezza: Seconda tappa, i migranti
Migranti:
la pietà ceduta in cambio di niente, la tenerezza da recuperare
Scrive
Elena Stancanelli “Angosciata dall’irrazionalità e dalla ferocia che
spinge ministri e politici a considerare i morti un buon esempio, un deterrente
per gli altri migranti pronti a partire, mi sono imbarcata con chi invece vuole
salvarli. Venne alla spiaggia un assassino è il racconto del tempo
trascorso sulle barche delle famigerate ONG, trasformate in pochi mesi da
alleate della guardia costiera italiana in colpevoli di ogni nefandezza”.
“Abbiamo
ceduto la nostra misericordia, la pietà, in cambio di niente”,
afferma la scrittrice, ma forse sarebbe ora di capire che
“gli
uomini e le donne che salvano gli altri sono più belli, e anche più felici. Di
me, ma anche di quasi tutte le persone che conosco.”
-
Elena
Stancanelli,
scrittrice e sceneggiatrice, collabora con Repubblica, il Manifesto e la Stampa.
È autrice tra l’altro di Venne alla spiaggia un assassino. L’ultimo
libro pubblicato è Il tuffatore, una
storia di ricordi, di eventi economici, politici e sociali che hanno
caratterizzato la vita del nostro paese alla fine degli anni Novanta, attraverso
la parabola di Raul
Gardini. Ha
fondato e presiede “Piccoli Maestri”, un’associazione di scrittori e
scrittrici che si pone l'obiettivo di promuovere la lettura nelle scuole.
Viaggio
dalla mala giustizia alla giustizia della tenerezza: Terza tappa,
l’informazione
“Rieducare”
una collettività satura di notizie, ma povera di conoscenza
Ricordiamo
spesso un incontro tra studenti e persone detenute, che portavano la loro
testimonianza e le loro storie pesanti, e una ragazza che se ne era venuta fuori
con una affermazione drastica: “Attenti a quello che ci raccontate”, era il
senso, perché “ci basta un clic per sapere la verità”. Non è così, e
bene lo racconta Vittorio Manes nel suo libro Giustizia mediatica, che
“vorrebbe tentare di fare comprendere come la verità narrata dai media è
spesso una verità deformata. I media non sono uno specchio che riflette la
realtà, ma molto spesso la distorce”. Per questo è necessario “rimuovere
la passività narcotica con cui spesso vengono acquisite, recepite, passivamente
appunto, alcune notizie senza quell’approccio critico che dovrebbe muovere un
lettore/spettatore consapevole”.
-
Vittorio
Manes, ordinario di Diritto penale presso il Dipartimento di Scienze
Giuridiche dell’Università di Bologna, autore, tra l’altro, di Giustizia
mediatica – Gli effetti perversi su diritti fondamentali e sul giusto processo.
Il
problema non è ‘forcaioli o garantisti’, il problema è di essere UMANI
Scrive
Gad Lerner: “Non appena in Italia si vive una situazione drammatica, che
sia quella della pandemia, o che sia quella della guerra alle porte,
dell’arrivo dei profughi, o della carenza di gas e petrolio, i diritti, e in
particolare i diritti dei detenuti, passano in cavalleria… scendono nella
gerarchia delle notizie, per cui la disinformazione trova più spazio”. È
esattamente quello che sta succedendo ogni giorno di più nel mondo
dell’informazione, dove si diffonde sempre di più “questa rigidità
ideologica, priva di sentimento, di pathos, che partendo da una retorica, e cioè
‘io difendo le vittime’, come dire? ‘io sono il difensore delle vittime
dei reati’, toglie umanità, disumanizza, condanna per l’eternità chi per
quei reati è già stato condannato…”.
-
Gad
Lerner, giornalista,
autore e conduttore radio e tv, ha collaborato con tutte le maggiori testate ed
emittenti televisive del panorama nazionale. Oggi scrive per il Fatto
Quotidiano. Gli ultimi libri che ha pubblicato, entrambi editi da
Feltrinelli, sono: “Noi, partigiani. Memoriale della Resistenza
italiana”, con Laura Gnocchi e “L'infedele. Una storia di
ribelli e padroni”.
Viaggio
dalla mala giustizia alla giustizia della tenerezza: Quarta tappa, i cattivi per
un po’ e i cattivi per sempre
Avvocato
o traduttore dell’intraducibile?
Le
parole della Giustizia dovrebbero essere chiare, cristalline, disarmate e
disarmanti: e invece sanno spesso essere anche crudeli, menzognere,
incomprensibili, inaccessibili ai più. E la
funzione dell’avvocato finisce così per essere quella di difendere
i suoi clienti dalla macchina stessa della
Giustizia, che produce parole
che inchiodano i “cattivi per
sempre” al loro passato, con informative in cui troppo
spesso domina la “licenza di
mentire”, di dire mezze verità, di usare l’imprecisione come arma da cui
non ci si può proteggere. E chi
lo fa, lo fa da impunito, senza dover mai rispondere delle male
parole usate, delle verità manipolate.
E
se invece di dare credito a chi parla per non farsi capire si minacciasse di
introdurre il reato di “oltraggio alla lingua italiana e alla verità”?
Un
tribunale iniquo è peggio di un brigante
“Un
tribunale iniquo è peggio di un brigante” è una citazione da Aleksandr
Solzhenicyn, scrittore russo internato per anni nel Gulag. E di briganti ce ne
sono nel mondo della giustizia, e anche di imboscate, quando l’ideologia è più
forte della legge. Scrive Alessandro Barbano, giornalista “La giustizia in
questo Paese è una macchina del dolore non giustificabile. (…) Il vulnus
del nostro diritto nasce da un gigantesco equivoco che ha visto
slittare il diritto penale dal fatto al reo. Non si condanna più un delitto
accertato, spesso si condanna la pericolosità sociale di chi è accusato o
anche solo sospettato di aver commesso un reato. Si procede per sospetti
preventivi generalizzati e per condanne sociali e mediatizzate”. Ma ci
sono anche magistrati che credono di più a un cambiamento culturale che a una
“guerra” alla criminalità condotta solo con strumenti bellici, come scrive
Stefano Musolino, sostituto procuratore a Reggio: “Diciamo
che ho una discreta esperienza quantomeno della ‘ndrangheta e mi sono persuaso
sempre di più, con una modifica tutto sommato di quelli che erano i miei
convincimenti iniziali, che erano un po’ più tetragoni, un po’ più rigidi
e anche radicali, che senza un autentico recupero delle persone, che parte prima
di tutto dall’ambiente carcerario, questo problema non si risolve”. E
come sottolinea Giovanna Di Rosa, presidente del Tribunale di Sorveglianza di
Milano, quando ricorda la necessità di non limitarsi
“…a concepire la pena solo in termini repressivi,
retributivi. Altrimenti, anziché farne la cura di una ferita, la si riduce a
mero differimento della possibilità che la persona colpevole torni a circolare
per strada. Il carcere deve contenere solo gli individui socialmente pericolosi”.
-
Alessandro
Barbano, giornalista
e saggista, ha diretto per quasi sei anni, dal 10 dicembre 2012 al 2 giugno
2018, il quotidiano Il Mattino di Napoli. Attualmente è condirettore del
Corriere dello Sport, è autore del saggio L'inganno.
Antimafia usi e soprusi dei professionisti del bene.
-
Stefano
Musolino, sostituto
procuratore a Reggio Calabria, è segretario di Magistratura democratica
-
Giovanna
Di Rosa, magistrata,
presidente del Tribunale di Sorveglianza di Milano
Viaggio
dalla mala giustizia alla giustizia della tenerezza: Quinta tappa, quando i
racconti del male si intrecciano con quelli del bene
Dalla
narrazione del male all’incontro con la tenerezza della giustizia che ripara
Cosa
c’entra il podcast Io ero
il Milanese
con Ristretti Orizzonti? C’entra
eccome, perché questa è la storia di una persona detenuta cha
nella redazione di Ristretti Orizzonti ha cominciato a cambiare la sua vita
partecipando a esperienze importanti di Giustizia riparativa, poi è uscita
grazie a una “revisione” della sua pena, ha fatto un corso di formazione
alla mediazione con la Cooperativa Dike e con Adolfo Ceretti, che è uno dei
massimi esperti su questi temi, e ora è mediatore e responsabile del Centro per
la mediazione dei conflitti per il Comune di Padova.
Ma questa è anche la storia di
Mauro Pescio, uno che ha imparato (e ci ha insegnato) a narrare quello che
sembra “inenarrabile”, indicibile, inesprimibile. E a tirar fuori il buono
dal male che si nasconde anche dentro di noi.
-
Lorenzo
S., protagonista
del podcast “Io ero il milanese”
-
Mauro
Pescio, attore,
autore radiofonico, podcaster
Partecipano
ai lavori con le loro testimonianze i redattori detenuti di Ristretti Orizzonti,
che dialogheranno anche con i loro famigliari.
Coordinerà
i lavori Adolfo Ceretti, Professore
ordinario di Criminologia, Università di Milano-Bicocca, e Coordinatore
Scientifico dell’Ufficio per la Mediazione Penale di Milano. È autore, tra
l’altro, con Lorenzo Natali di “Io volevo ucciderla. Per una criminologia
dell’incontro”.
Aprirà
i lavori il direttore della Casa di reclusione, Claudio Mazzeo.
Sono invitati a intervenire i magistrati di Sorveglianza di Padova, la presidente del Tribunale di Sorveglianza di Venezia e la provveditrice dell’Amministrazione penitenziaria per il Triveneto.
Il programma è stato curato da Ornella Favero con la redazione di Ristretti Orizzonti.