Contro la pena di morte viva. Per il diritto a un fine pena che non uccida la vita
Giornata di dialogo con ergastolani, detenuti con lunghe pene, e con i loro figli, mogli, genitori, fratelli, sorelle
20 gennaio
2017 - Casa di reclusione di Padova - dalle ore 9.00 alle ore 17.00
LE ISCRIZIONI SONO CHIUSE
La Giornata di dialogo “Contro la pena di morte viva, per il diritto a un fine pena che non uccida la vita” fa parte della formazione per i giornalisti e dà diritto a 8 crediti.
L'Ordine degli Avvocati di Padova ha accreditato la Giornata riconoscendo 4 crediti formativi
Da tempo la redazione di Ristretti Orizzonti pensava a una giornata di dialogo sull’ergastolo, ma anche sulle pene lunghe che uccidono perfino i sogni di una vita libera, una giornata che avesse per protagonisti anche figli, mogli, genitori, fratelli e sorelle di persone detenute, perché solo loro sono in grado di far capire davvero che una condanna a tanti anni di galera o all’ergastolo non si abbatte unicamente sulla persona punita, ma annienta tutta la famiglia.
Per anni siamo rimasti intrappolati in questa logica che "i tempi non sono maturi" per parlare di abolizione dell’ergastolo, e quindi non ci abbiamo creduto abbastanza, non abbiamo avuto abbastanza coraggio.
Ma poi un pensiero fisso ce l’abbiamo, ed è quello che ci spinge a fare comunque qualcosa: non vogliamo abbandonare quelle famiglie, non vogliamo far perdere loro la speranza.
Allora il 20 gennaio 2017 invitiamo a dialogare, con le persone condannate a lunghe pene e all’ergastolo e i loro figli, mogli, genitori, fratelli e sorelle:
- parlamentari che si facciano promotori di un disegno di legge per l’abolizione dell’ergastolo e che si attivino per farlo calendarizzare, o che comunque abbiano voglia di confrontarsi su questi temi;
- uomini e donne di chiese e di fedi religiose diverse, perché ascoltino le parole del Papa, che ha definito l’ergastolo per quello che è veramente: una pena di morte nascosta;
- uomini e donne delle istituzioni, della magistratura, dell’università, dell’avvocatura, intellettuali, esponenti del mondo dello spettacolo, della scuola, cittadini e cittadine interessati.
Non vogliamo aver paura di parlare apertamente di abolizione dell’ergastolo, di quello ostativo ma anche di quello "normale", perché il fine pena mai non può in nessun caso essere considerato "normale".
Ma non vogliamo neppure avere solo obiettivi alti, e poi dimenticarci di come vivono le persone condannate all’ergastolo o a pene lunghe che pesano quanto un ergastolo. È per questo che proponiamo di dar vita a un Osservatorio, su modello di quello sui suicidi:
- per vigilare sui trasferimenti da un carcere all’altro nei circuiti di Alta Sicurezza;
- per mettere sotto controllo le continue limitazioni ai percorsi rieducativi che avvengono nelle sezioni AS (poche attività, carceri in cui non viene concesso l’uso del computer, sintesi che non vengono fatte per anni);
- per monitorare la concessione delle declassificazioni, che dovrebbe essere, appunto, non vincolata a relazioni sulla pericolosità sociale che risultano spesso stereotipate, con formule sempre uguali e nessuna possibilità, per la persona detenuta, di difendersi da accuse generiche e spesso prive di qualsiasi riscontro. Nessuno sottovaluta il problema della criminalità organizzata nel nostro Paese, e il ruolo delle Direzioni Antimafia, ma qui parliamo di persone in carcere da decenni, già declassificate dal 41 bis perché "non hanno più collegamenti con le associazioni criminali di appartenenza", e parliamo di trasferirle da un circuito di Alta Sicurezza a uno di Media Sicurezza, non di rimetterle in libertà;
- per accogliere le testimonianze e le segnalazioni dei famigliari delle persone detenute, che non trovano da nessuna parte ascolto:
- per raccogliere sentenze e altri materiali, fondamentali per non farsi stritolare da anni di isolamento nei circuiti di Alta Sicurezza e per spingere la Politica a occuparsi di questi temi con interrogazioni e inchieste;
- per cominciare a mettere in discussione, finalmente, il regime del 41 bis con tutta la sua carica di disumanità;
- per rendere tutto il sistema dei circuiti di Alta Sicurezza e del regime del 41 bis davvero TRASPARENTE.
Di tutto questo vorremmo parlare il 20 gennaio a Padova, ma non vi chiediamo semplicemente di aderire a una nostra iniziativa.
Vi chiediamo di promuovere con noi questa Giornata, di lavorare per la sua riuscita, di prepararla con iniziative anche in altri luoghi e altre date, e soprattutto di fare in modo che non finisca tutto alle ore 17 del 20 gennaio, ma che si apra una stagione nuova in cui lavoriamo insieme perché finalmente "i tempi siano maturi" per abolire l’ergastolo e pensare a pene più umane.
La redazione di Ristretti Orizzonti
Hanno aderito e parteciperanno
- Ergastolani, detenuti con lunghe pene, e i loro figli, mogli, genitori, fratelli, sorelle
- Esponenti dell’associazione Liberarsi, che da anni si batte per l’abolizione dell’ergastolo
- Pasquale Zagari, ex detenuto, condannato all’ergastolo, la pena gli è stata rideterminata a 30 anni in seguito a una sentenza della Corte europea
- Mauro Palma, Garante nazionale dei diritti dei detenuti
- Alessandra Naldi, Garante dei diritti dei detenuti del Comune di Milano
- Sabina Rossa, figlia di Guido Rossa, sindacalista ucciso dai terroristi nel 1979
- Gherardo Colombo, ex magistrato, è appena uscito "La tua giustizia non è la mia", dialogo sulla Giustizia scritto a quattro mani con Piercamillo Davigo
- Rita Bernardini, Partito Radicale
- Il senatore Pietro Ichino, che ha avuto un interessante scambio sui temi del 41 bis e dei circuiti con i detenuti dell’Alta Sicurezza
- Il deputato Alessandro Zan, che sta portando avanti con noi la battaglia a tutela degli affetti delle persone detenute
- Il senatore Luigi Manconi, presidente della Commissione per la tutela dei diritti umani del Senato
- Il senatore Giorgio Santini, Partito democratico
- La deputata Gessica Rostellato, Partito democratico
- Gennaro Migliore, sottosegretario alla Giustizia
- Francesco Cascini, Capo del Dipartimento della Giustizia minorile e di Comunità
- Roberto Piscitello, Direttore della Direzione generale Detenuti e Trattamento del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria
- Enrico Sbriglia, Provveditore dell’Amministrazione penitenziaria per il Triveneto
- Giovanni Maria Flick, giurista, presidente emerito della Corte costituzionale, ex ministro della Giustizia
- Marcello Bortolato e Linda Arata, magistrati di Sorveglianza a Padova
- Fabio Gianfilippi, magistrato di Sorveglianza a Spoleto
- Sergio Staino, fumettista e disegnatore "storico" della sinistra, oggi direttore dell’Unità
- Francesca De Carolis, giornalista, per anni in Rai, e curatrice del libro "URLA A BASSA VOCE. Dal buio del 41 bis e del fine pena mai"
- Piero Sansonetti, giornalista, direttore del quotidiano Il Dubbio
- Giampiero Calapà, giornalista, Il FattoQuotidiano
- Maria Brucale, avvocato della Camera penale di Roma e componente del direttivo di Nessuno tocchi Caino
- Davide Galliani, Professore associato di Istituzioni di diritto pubblico, è autore, tra l’altro, del saggio "La concretezza della detenzione senza scampo"
- Giuseppe Mosconi, Sociologo, Padova
- Francesca Vianello, Università di Padova
- Fabio Federico, avvocato del Foro di Roma
- Annamaria Alborghetti, avvocato
- Lia Sacerdote, Associazione Bambini senza sbarre
- Laura Marignetti, presidente del SEAC
- Avv. Renato Borzone, responsabile dell’Osservatorio informazione giudiziaria delle Camere Penali
- Diego Olivieri, imprenditore accusato di associazione mafiosa, un anno di carcere ma era innocente. È autore del libro "Oggi a me, domani a chi?
Hanno aderito le seguenti associazioni
- Associazione "Liberarsi"
- Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia
- Associazione "Yairaiha Onlus"
- Associazione "Forza dei Consumatori"
- Associazione Memoria condivisa
- Osservatorio carcere delle Camere penali
- Associazione Bambini senza sbarre
- Camera penale di Padova e di Milano
- Nessuno Tocchi Caino
- Associazione Antigone e Antigone Veneto
- SEAC
Ergastolani! Prendiamo la parola...
Raccontiamo la sofferenza, lottiamo per sperare
di Carmelo Musumeci
Un Convegno sull’ergastolo organizzato da ergastolani. Cari compagni, abbiamo un sogno: l’abolizione dell’ergastolo in Italia. E dato che è meglio accendere una candela che maledire l’oscurità, la redazione di "Ristretti Orizzonti" ha pensato di organizzare, per il 20 gennaio 2017, un convegno sull’ergastolo e sulle pene lunghe nel carcere di Padova. Il convegno, organizzato dai diretti interessati, gli ergastolani, ha come obiettivo di coinvolgere personalità del mondo della Giustizia, dell’Università, della Politica, dell’Informazione, della Chiesa nella promozione di un Osservatorio sulle pene lunghe e sull’ergastolo, che si dia anche obiettivi "intermedi" rispetto all’abolizione dell’ergastolo: intervenire sulle declassificazioni, monitorare le informative stereotipate delle DDA, affrontare temi come l’inesigibilità della collaborazione, parlare della vita nelle sezioni di Alta Sicurezza e al 41 bis, proporsi come finalità il graduale superamento dei circuiti, come proposto dal Tavolo 2 degli Stati Generali dell’esecuzione penale. Cari compagni, alcuni ergastolani accettano il loro destino senza tentare di migliorare la propria condizione. Subiscono la loro condanna, una pena che non avrà mai fine, perché hanno rinunciato a vivere accettando di sopravvivere. Molti compagni si sono rassegnati perché la pena dell’ergastolo, specialmente quello ostativo, ti fa sentire impotente, ti fa sentire solo contro il resto del mondo. Invece noi crediamo che bisogna reagire alla tirannia della pena perpetua, perché riteniamo più onesta una istituzione che ci mette a morte, invece di tenerci dentro tutta la vita parlando di pena umana. In una società civile, gli uomini nascono liberi e muoiono liberi. Così anche noi, dopo avere scontato la nostra condanna, vogliamo morire liberi. Mentre farci morire in carcere lentamente con le condanne all’ergastolo è una violenza quasi altrettanto crudele dei reati da noi commessi. Purtroppo, molti ergastolani sono convinti che sia inutile lottare perché in Italia l’ergastolo non potrà mai essere abolito. Non siamo d’accordo. Come in molti altri Paesi europei, anche nel nostro Paese la barbarie dell’ergastolo è destinata a lasciare posto alla civiltà dell’avere un fine pena nelle nostre sentenze di condanna. Ma noi crediamo che, perché ciò accada, occorre prendere la parola e parlare noi stessi della nostra condizione. Non possiamo stare ancora in silenzio. Dobbiamo scrivere e raccontare come la condanna dell’ergastolo ha devastato le nostre vite e quelle dei nostri cari. Noi siamo convinti che le battaglie si fanno soprattutto attraverso la conoscenza. Pertanto abbiamo bisogno di scambiare esperienze, di conoscere e di far conoscere. Per questo invitiamo tutti gli ergastolani (ormai circa millesettecento) a partecipare alla nostra battaglia di civiltà usando carta e penna, usando il racconto delle vostre storie, vissuti, riflessioni, sensazioni, emozioni perché le nostre armi sono le nostre sofferenze. E siamo convinti che raccontando possiamo vincere. La nostra rivista ha sempre raccontato le umanità schiacciate dal carcere; il nostro convegno approfondirà il racconto delle umanità schiacciate dal fine pena mai o dalle pene lunghissime. Ma per farlo abbiamo bisogno di essere uniti. Prendete coraggio e scriveteci.
Per facilitare i vostri racconti, proponiamo una traccia di domande alle quali potete rispondere in forma aperta. Sono comunque benvenuti anche contributi che raccontano il vostro ergastolo attraverso altre forme. Il materiale raccolto verrà distribuito nel corso del Convegno, inoltre sarà tutto pubblicato sul sito e sulla rivista "Ristretti Orizzonti".
Racconta qualcosa di te: Dove e quando sei nato? Cosa ricordi della tua infanzia e della libertà? A quale età sei entrato in carcere la prima volta? In che regime o circuito ti trovi attualmente?
Possiamo rendere pubblica la tua testimonianza, citando anche il tuo nome e cognome?
Racconta qualcosa sulla tua esperienza di carcere: Quanti anni di carcere hai fatto fino adesso? In quali regimi e circuiti, e in quali istituti penitenziari? Come percepisci il tempo che trascorri in carcere: è per te un tempo vuoto, un tempo perso o comunque un tempo di vita?
Tra la pena di morte e l’ergastolo, quale pena è a tuo parere un po’ meno "disumana"?
Hai visto nel tuo corpo e nei tuoi sensi dei peggioramenti particolari (non dovuti solo all’invecchiamento) in questi anni di detenzione?
Fai qualche riflessione personale sull’ergastolo. Scegli un nome o una frase per definire la pena dell’ergastolo.
Racconta qualcosa su come vivono i tuoi familiari il tuo ergastolo. Che cosa pensi di come attualmente l’Ordinamento penitenziario fa fronte al bisogno di affettività espresso dalle famiglie degli ergastolani?
Qualche riflessione sulla nostra idea di prendere la parola e parlare di ergastolo: secondo te gli ergastolani possono avere più iniziativa e lottare al fine di migliorare la propria condizione di vita, oppure conviene non rischiare di perdere qualche privilegio garantito dall’istituzione?
A conclusione di questo breve questionario puoi mandarci anche le tue osservazioni e i tuoi suggerimenti su come proseguire questa battaglia contro l’ergastolo.
P.S. Le risposte alle domande vanno inviate a questi indirizzi: Carmelo Musumeci, Via Due Palazzi 35/A, 35136 Padova, oppure a Redazione di Ristretti Orizzonti, Via Citolo da Perugia, 35, 35138 Padova
L’Asinara: l’isola degli ergastolani senza scampo
di Carmelo Musumeci
"Lo scorrere del tempo viaggia senza di me, destinato a essere per sempre fuori dalla
vita". (Frase scritta sulla parete di una cella dell’Asinara).
In questi venticinque anni di carcere, tra un mese entrerò nel ventiseiesimo, ho scritto molto. Probabilmente perché ho sempre pensato che di me non rimarrà nulla, a parte quello che scrivo. Dopo la condanna alla "Pena di Morte Viva" decisi di affrontare l’Assassino dei Sogni (come chiamo il carcere) con gli occhi aperti e la penna in mano. Anche per questo, per un quarto di secolo, la scrittura è sempre stata il solo modo per sentirmi vivo. Dei miei lunghi cinque anni nell’isola dell’Asinara (di cui un anno e sei mesi in totale isolamento) vissuti nel regime di tortura del carcere duro del 41 bis, ho raccontato molto. Forse, però, non abbastanza. E ho pensato di scrivere ancora qualcosa. In quegli anni avevo più paura del futuro che del presente perché un prigioniero, per vivere, ha bisogno di sapere quando finisce la sua pena. Ed io non lo sapevo. O, meglio, lo sapevo bene perché nel mio certificato di detenzione c’era scritto, in rosso, "fine pena mai". Adesso, invece, l’amministrazione penitenziaria scrive: "fine pena anno 9.999".
L’Asinara è sempre stata un’isola carcere. Ed è sempre stata considerata la Guantánamo del mar Mediterraneo. Nel 1992, a seguito delle gravissime stragi mafiose avvenute nel nostro paese, fu riaperta la diramazione Fornelli. Vi furono deportati molti ergastolani. E così l’Asinara divenne l’isola degli ergastolani senza scampo. Io fui uno dei primi ad arrivarci pur non appartenendo alla categoria dei "mafiosi" e per reati completamente estranei alle stragi di quegli anni. I muri piangono di dolore/ Impregnati di anime senza pace e speranze/ Di chi è passato ed ha lasciato tanto/ E chi ha dato tutto/ Ascolto i loro lamenti/ Che mi penetrano/ Mi lacerano/ Mi
distruggono. Dopo tre anni e mezzo in quell’inferno, mi venne applicato l’isolamento totale previsto per gli ergastolani.
Rumori di chiavi/ Urla metalliche/ Arrivano i lupi/ Camminano sul mio cuore/ Cado dalla speranza/ Eppure Carmelo è vivo. Un giorno le guardie mi vennero a prendere e mi portarono nel reparto isolamento. E il mio mondo divenne la mia cella.
Nell’amarezza sconfinata del mio cuore affronto e lotto con me stesso/ Fra le pieghe del dolore/ Corro dietro ai sogni/ Nonostante tutto vivo/ Non per scelta ma per amore. Incominciai a sentirmi l’uomo più triste e malinconico del mondo. Forse dell’universo. Nell’angolo del mio mondo guardo la mia anima/ Nella disperazione osservo la vita/ I ricordi affiorano nella memoria/ Muoio ogni giorno.
Di giorno trascorrevo le ore sdraiato sulla branda a fissare il soffitto. Di notte scrutavo il mio cuore rivivendo i momenti più belli della mia vita che avevo passato insieme alla mia compagna.
Tutto intorno è Buio/ Silenzio/ Desolazione/ Tristezza/ Rimpianti/ Ma nella mia anima ci sono tanti ricordi di te/ Mi vedo dentro i tuoi occhi/ Dove vedo la mia vita accanto alla tua/ Mi trovo lontano, ma ti sento così vicina che sento il tuo cuore battere accanto al mio/ Non sono con te, ma sono dentro di te/ Dove mi sento libero e felice d’amarti. Il ricordo dei miei due figli mi teneva in vita. La mia famiglia fuori continuava ad aspettarmi pur sapendo che di me avrebbe avuto solo il cadavere. Questa loro attesa era un po’ la mia salvezza ma, nello stesso tempo, la mia maledizione. Bella dolorosa malinconia/ In te trovo la vita e la morte/ Non c’è nessuno intorno a me/ Mi sembra ormai di poter afferrare le persone che amo/ Invece l’alba del mattino li fa allontanare/ Non sono però stato abbandonato/ Sono io che sto abbandonando
loro.
I giorni passavano senza che accadesse nulla. Col passare dei mesi mi abituai a guardare la cella in cui vivevo come un pianeta lontano che non aveva più nulla a che fare con me. Vedevo le guardie solo quando mi portavano nella gabbia a cielo aperto per trascorrere l’ora d’aria o quando mi aprivano lo spioncino per passarmi da mangiare. Non mi parlavano. E io non parlavo loro. La mia era diventata una vita di silenzio. Mi sentivo disperato, infelice e tagliato fuori dall’umanità.
Urla che toccano i deboli/ Ma non smuovono i forti/ Un’ombra viva/ Nessuna speranza/ Tutto è ormai perduto/ Soltanto il tempo è qui con me.
Quello che mi mancava di più era scambiare due chiacchiere con un essere umano. Caddi in depressione. Iniziai a conversare con i miei stessi pensieri. E il mio cuore iniziò a ragionare con me. Nel mio cuore c’è troppa libertà che non può più avere /E ormai non c’è nessuna via/ L’unica via è dentro di me. Camminavo di giorno e di notte. Su e giù per la cella. Come sanno fare solo i morti che camminano.
Le tenebre del dolore entrano dentro di me/ Svaniscono i sogni/ Scompaiono le speranze. In quel periodo non vedevo nessuna possibilità di sopravvivere. Tutti i miei pensieri erano rivolti ai miei figli e alla mia compagna. Soprattutto per loro non volevo rinunciare alla speranza, ma sapevo anche che questa poteva essere un veleno che avrebbe potuto far ammalare il mio cuore e la mia mente. Sapevo che la speranza era la droga dei deboli per convincerli a non fare nulla. La misi da parte. E iniziai a nutrirmi solo dell’amore che avevo ancora nel cuore. In certi giorni e in certe notti me la prendevo anche con Dio che aveva creato gli umani così cattivi.
Ti parlo sconosciuto Dio/ Ma non credo/ Quindi non puoi sentirmi/ Anche se forse mi ascolti/ Solo così posso pensarti/ Capirti/ E
perdonarti. Via via che il tempo passava, i ricordi si affievolirono. Si dileguarono finché non scomparvero del tutto dalla mia mente. Per un certo periodo smisi persino di pensare e di sentire. E iniziai a desiderare che venisse presto la morte a liberarmi. Pensavo che da morto non mi potesse capitare nulla di peggio. E avrei messo fine a tutti i miei guai in una volta sola. Sostenni molte lotte con me stesso per decidere se vivere da morto o morire da vivo. Alla fine decisi di usare la fantasia e la pazzia per continuare ad esistere.
Spero nella morte/ Continuo però a cercare la vita/ E continuo a morire per vivere/ Avverto il gelo della solitudine/ Maledico il giorno che deve venire/ Lego il lenzuolo alla sbarre/ Parto per l’aldilà/ Ritorno deluso/ Penso che un uomo, finché non è libero di morire, non può morire/ E slego il lenzuolo. Dopo quella terribile esperienza, non riesco più a vedere le cose come prima. In quei cinque anni passati nell’isola degli ergastolani senza scampo, con la condanna alla "Pena di Morte Viva" sulla testa e sul cuore, torturato fisicamente e psicologicamente e trattato peggio di una bestia, capii che chi lotta contro il male usando un altro male non potrà, purtroppo, che farlo aumentare.
Sento di avere fatto poco per la vera battaglia, che è quella di far abolire l’ergastolo
di Angelo Morabito, carcere di San Gimignano
Sono Angelo Morabito, detenuto ergastolano (non ostativo), è dal 1996 che mi trovo in carcere, in regime di Alta Sorveglianza. Ho letto la richiesta di contributi scritti rivolta ai condannati all’ergastolo e ai loro familiari. Condivido ogni ragionamento scritto e pensato da voi tutti. Se non saremo noi ergastolani in primis a credere nell’abolizione dell’ergastolo, sarà mi duole dirlo, una battaglia persa. Oltre ad avere tantissimi amici e paesani condannati all’ergastolo, ho anche un fratello, si trova in regime AS1, presso la Casa di Reclusione di Voghera. Siamo stati arrestati insieme, ma condannati all’ergastolo da due diverse procure, (io a Milano, mio fratello Francesco a Reggio Calabria). Anche mio fratello non è ostativo, ma il sistema non funziona assolutamente quando si tratta di applicare quanto previsto dalle leggi e dai vari codici a nostro favore, è da più di un decennio che ci dovremmo trovare in Media Sicurezza. Comunque, non intendo polemizzare o strumentalizzare attraverso questa mia lettera, bensì cercare di dare il mio piccolo contributo che unito a tanti altri, magari riuscirà a scuotere le coscienze dei nostri governanti.
Prima di cominciare, vorrei mettervi a conoscenza che finalmente, dopo vent’anni di detenzione, sono uscito in permesso. I miei primi diciotto anni di carcere li avevo trascorsi interamente presso le carceri milanesi, e proprio lì a Milano, dove sono stato condannato all’ergastolo, proprio nell’ottobre 2014 ero riuscito ad ottenere il primo permesso premio. Purtroppo non ho potuto usufruirne poiché nel mese di settembre, dello stesso anno, sono stato trasferito per sfollamento presso San Gimignano, e ho dovuto aspettare quasi due anni per acquisire nuovamente il beneficio.
Sono di Reggio Calabria, ho appena compiuto cinquant’anni. Per fortuna o sfortuna non sono sposato, né tantomeno legato sentimentalmente con qualcuna. Oggi però posso dire che mi manca tanto una donna con cui condividere la mia vita e i miei sentimenti. Sono fortunato però, perché siamo una famiglia numerosa, dodici figli, otto femmine e quattro maschi. In questi vent’anni trascorsi dietro le sbarre, devo dire grazie a loro se oggi sono ancora una persona che crede alla libertà, a quella luce che è rimasta sempre accesa dentro di me, credendoci sempre a un futuro libero. Non hanno mai smesso di sostenere me e mio fratello, a volte penso a tutti quei compagni che per vari motivi non hanno avuto questo sostegno, non è facile convivere con l’ergastolo.
Sicuramente, il sistema penitenziario è molto carente dal punto di vista di quello di cui ogni famiglia di noi altri detenuti ergastolani ha bisogno. Andrebbe migliorato questo sistema, purtroppo si tende sempre a penalizzare e a reprimere, piuttosto che a dare veramente quel sostegno e contributo che può alleviare di gran lunga persino le sofferenze patite dai nostri familiari, che sicuramente anche loro si trovano a scontare un ergastolo quotidiano, per via delle tantissime cose sbagliate nel sistema penitenziario.
Quando sono stato condannato all’ergastolo, mi è proprio cascato un grattacielo addosso, immaginate poi i familiari cosa hanno provato e sentito. Di certo non mi è stato fatto un giusto processo, ovviamente detto da me è come dire oltre che di parte, scontato. A mio favore c’è un’assoluzione in primo grado che ancora grida vendetta. All’ergastolo sono stato condannato in Appello, senza riapertura di dibattimento, ma soprattutto senza nuove prove. Ancora oggi non me ne sono fatto una ragione, non riesco a capire il perché di questa condanna che ritengo ingiusta. Pensando poi a quanto ti segna la galera, ci sarebbe tanto da dire. A mio avviso è un tempo di vita, pur se si tratta di una vita caratterizzata da tanti fattori negativi, credo che un’arma che ti aiuta molto sia la lettura. Leggere, informarsi, studiare, lavorare se esiste la possibilità, sono attività che ti aiutano tantissimo specialmente ad affrontare le lunghe nottate, si deve avere e sentire dentro sempre speranza e fiducia. Sono dello stesso parere vostro, siamo nati liberi, e ritorneremo a esserlo. Non c’è dubbio che la carcerazione ti segna moltissimo, trovandosi ristretti per molti anni, il corpo, i sensi, ne risentono tantissimo. Soffro di diversi disturbi, esempio banale, non vedere più bene, è fuor di dubbio che sia stata la carcerazione a causare questi problemi, sappiamo bene gli impianti d’illuminazione come sono in tutte le carceri italiane, ho perso una buona percentuale di udito, ho problemi seri alla schiena, problemi di pressione, e come la maggior parte di noi detenuti, sono ansioso, stressato, con problemi gastrointestinali. Anche su questo capitolo potremmo davvero dedicare tantissime pagine.
C’è una domanda scritta da voi, che fa riflettere almeno a me tantissimo: preferisci la pena di morte o l’ergastolo? Si dovrebbe analizzare attentamente, la mia coscienza mi porta obbligatoriamente a dire "meglio l’ergastolo". Forse ciò scaturisce dal fatto che oltre ad essere contrario alla pena di morte, credo fermamente che l’uomo non abbia nessun diritto di decidere sulla vita o morte di un’altra persona. È ovvio che ritorniamo alla questione principale che interessa tutti noi altri in questa condizione da reclusi a vita, e cioè quanta pena, condanna, si dovrebbe scontare avendo commesso un omicidio, o essendo stati condannati all’ergastolo pur non avendo commesso alcun omicidio. Per mia esperienza, se le autorità preposte, e cioè l’area rieducativa-pedagogica, le direzioni di ogni Istituto Penitenziario, la Sorveglianza interna, e la Sorveglianza esterna, funzionassero ma veramente, monitorando una persona sin dal principio della carcerazione, attraverso un vero percorso di recupero, sono certo che dopo un massimo di dieci anni, il reo potrebbe avere un inizio di percorso extra-murario. Capisco bene che quanto ho detto potrà sembrare esagerato, anche perché bisognerebbe vedere i tempi che ci mettono per processare una persona, sento di affermare però questo mio pensiero perché una persona può cambiare, e non necessariamente bisogna aspettare trenta o quarant’anni, o addirittura farlo morire in carcere.
Credo fortemente che noi tutti che viviamo questa condizione da reclusi a vita, dovremmo avere più stimoli e prendere varie iniziative, non si può vivere in questa situazione aspettando che sia sempre l’altro a lottare per te. In prima persona mi ci metto io, si ho sempre avuto contatti con varie associazioni di volontariato, ho cercato nel mio piccolo di mandare sempre qualche contributo, ma sento di avere fatto poco o nulla per la vera battaglia, fare abolire l’ergastolo. Spero tanto che il convegno che si terrà a Padova sia veramente la via maestra affinché si riesca a sensibilizzare l’opinione pubblica e soprattutto i nostri parlamentari, sì è giusto che chi ha sbagliato deve pagare, ma non bisogna vendicarsi. Buon convegno, tanti saluti.
Vengo da Caserta, mi trovo in carcere da 21 anni ininterrottamente...
di Piacente Francesco
Vengo da
Caserta, mi trovo in carcere da 21 anni ininterrottamente per un omicidio mai commesso, si mai commesso, non sono un santo, ma nemmeno un diavolo. Sono stato accusato di aver ammazzato don Peppe Diano (prete) del mio paese, una persona amabile, ma io non sono nessuno per elencare la grandezza di quell’uomo, ma ci tengo a dire qualcosa di bello anch’io di lui. Era un sant’uomo e non meritava di morire in quel modo. Veramente nessuno merita di morire, ma purtroppo l’ambiente in cui si vive tante volte porta a fare cose che mai uno avrebbe pensato di commettere. Però a stare in carcere per un reato mai commesso, la galera diventa insopportabile.
Il mio iter processuale è stato a dir poco scandaloso, quando è stato ammazzato don Diano mi trovavo in Spagna, in mano alla polizia spagnola, poiché mi accusavano di essere l’esecutore materiale, dovettero cambiare l’accusa, quando si accorsero che non mi trovavo in Italia, da killer a mandante. Ma io non sono mai stato un capo, certo non potevo comandare nessun omicidio. Da quando mi trovo in carcere ho conosciuto la vera sofferenza ho conosciuto l’indifferenza, e la miseria. Ho subito tante ingiustizie durante la mia detenzione, una delle quali l’allontanamento dalla mia famiglia; infatti come ho scritto all’inizio, ero in Spagna quando fui arrestato, la mia famiglia si trova li, quando l’Italia chiese la mia estradizione alle autorità spagnole, fu accolta con l’eccezione che non dovevo essere condannato all’ergastolo e dopo aver fatto il processo rientrare in Spagna, ma invece non solo mi hanno condannato all’ergastolo disattendendo le richieste delle autorità spagnole, ma non mi hanno nemmeno rimandato in Spagna.
Ecco questa è l’Italia piena di contraddizioni, sempre pronta a vendicarsi. Vorrei tanto tornare indietro e avvertire quel ragazzo, dirgli: non fare niente di tutto quello cui stai pensando, continua a lavorare la terra e sii orgoglioso. Ma indietro non si può tornare, le lancette dell’orologio continuano a camminare inesorabilmente, i capelli si sono fatti bianchi e la pelle mi sembra che stia cascando. Ecco cosa sono diventato un vecchio trombone. Spero che tra qualche anno mi diano la gioia di stare con mia moglie e mia figlia, perché in questi ultimi 22 anni le avrò viste 22 volte mi sembra strano quello che scrivo ma è così.
L’ergastolo è un atto di proprietà dove viene scritto che sei proprietà di qualcuno e lasciato in eredità al carnefice di turno. Il mio disappunto è dovuto alla mancanza di una disciplina esatta, in tanti hanno potuto evitare di prendere l’ergastolo, ma chi si sente innocente, come fa ad evitare una beffa simile? Ecco queste sono le domande che si dovrebbero porre soprattutto i magistrati di sorveglianza, perché questa persona non ha voluto evitare di prendere l’ergastolo? Ma non lo fanno, e non credo cambi qualcosa nell’immediato, forse un giorno, ma non ora. Per quello che mi riguarda io nelle galere dopo tanti anni vedo relitti umani, impazziti, gente che prende ogni tipo di psicofarmaci per stare bene. In Italia esiste la morte cerebrale. Concludo inviandole i miei saluti con affetto Piacente Francesco.
Contro la "Pena di Morte Viva". Per il diritto a un fine pena che non ammazzi la vita
di Carmelo Musumeci
Per il convegno per l’abolizione dell’ergastolo, che sta organizzando "Ristretti Orizzonti", che si svolgerà nel carcere di Padova il 20 gennaio 2017, ho pensato di dare questa mia personale testimonianza.
L’ergastolano è l’amico ideale dei detenuti perché non rompe, è sempre disponibile, ascolta i sogni e i progetti degli altri prigionieri senza mai raccontare i suoi. Ieri un compagno che ha il fine pena e che mi viene spesso a trovare in cella per raccontarmi cosa farà quando uscirà, mi ha fatto amaramente sorridere quando mi ha chiesto perché non gli racconto mai nulla di me e dei miei progetti di quando uscirò. Per un attimo ho provato l’istinto di dargli un calcio negli stinchi, invece gli ho fatto il caffè. E gli ho spiegato che chi non aspetta nessun fine pena è inutile che fa progetti e che molti ergastolani vivono la vita degli altri senza più pensare alla loro. Poi gli ho confidato che io vivo solo per le persone che fuori mi vogliono bene. Vivo la vita della mia compagna, dei miei figli e ora anche la vita dei miei due nipotini, perché la vita è un sogno, ma agli ergastolani è vietato sognare perché per noi non ci sono stelle nel cielo. Gli ho confidato che gli ergastolani sono le uniche persone che nell’universo riescono a vivere senza speranza e senza futuro. L’amico mi ha ascoltato scrollando diverse volte la testa. Poi ha finito di bere il caffè e se ne è andato con gli occhi bassi e la coda fra le gambe. Spero che per un pò non mi parli più di cosa farà quando uscirà. Quando sono rimasto solo guardando le foto dei miei nipotini attaccate alla parete ho pensato che per scontare l’ergastolo bisogna avere tanto coraggio o forse tanta incoscienza. Ho riflettuto che forse la cosa peggiore per un ergastolano è quella di abituarsi a vivere in carcere come se ci avesse sempre vissuto, dimenticando che dall’altra parte del muro di cinta ci sono un sole, un vento, un cielo diversi. Ho pensato che forse c’è un’altra vera prigione che è nella nostra mente ed è una prigione dalla quale rischiamo di non uscire mai più. E che molti di noi sono ciechi di fronte a ciò che possono vedere e sordi di fronte a quello che possono sentire. Alla fine ho pensato che forse i nostri sogni sono liberi e vivi ma noi no. Poi ho smesso di pensare.
L’ergastolo è un male incurabile per cui non ci sono neppure cure
compassionevoli
di Fabrizio Panizzolo
Che cos’è l’ergastolo per me? L’ergastolo per me è la fine di tutto, dire ergastolo sembra una cosa normale per chi non lo conosce, ma é un male incurabile per chi lo prova e ci vive ogni giorno, non ci sono medicine o cure compassionevoli che ti possano guarire e alleviare la durezza della vita che ti resta da vivere, i giorni che affronti sono di grande impegno di sopravvivenza, perché non puoi azzardarti a mettere in piedi un progetto perché nulla è possibile e realizzabile.
Penso a questo perché mi trovo con una condanna all’ergastolo da un po’ di anni, dove in primo grado mi avevano dato trenta anni, ma purtroppo per chi non sa che cosa è il carcere trenta anni sono pochi per essere soddisfatti, come se trenta anni fossero un gioco da ragazzi da scontare, ma credetemi trenta anni sono una generazione che cambia, cosi mi hanno dato il massimo, l’ergastolo, da quel giorno mi sento un morto che cammina, con i famigliari la vita è diventata sempre più spenta, ho due figli meravigliosi che sono la mia forza altrimenti non avrebbe nessun senso continuare a vederci, non c’è dialogo che possa fare, c’è un dialogo spento come quando vai al cimitero e parli con i tuoi cari, dove a volte riesci a sorridere con i ricordi, dove la differenza è che al cimitero porti i fiori, a un ergastolano porti qualcosa da mangiare, questo è il mio parere, penso che tra la pena di morte e l’ergastolo non ci sia differenza, l’unica differenza è che aspetti la morte con la speranza che non c’è, perché è la speranza che ci tiene in vita, quello che chiederei ai politici è che gli anni cambiano tutti, spero che un giorno si decidano a cambiare questa pena di tortura e senza un senso, per dare un senso anche a noi deceduti vivi.
"Domani è un altro giorno e si vedrà". No! Per gli ergastolani domani non sarà un altro giorno...
di Carmelo Musumeci
In un film di successo, "Via col vento", la protagonista diceva spesso: "Domani è un altro giorno e si vedrà". No! Per gli ergastolani domani non sarà un altro giorno. Sarà un giorno come quello appena trascorso. E così sarà per il giorno dopo e quello dopo ancora fino l’ultimo dei loro giorni. Per gli ergastolani la speranza non è un rimedio alla sofferenza, ma un prolungamento indefinito della sofferenza.
Imprigionare una persona per sempre è come toglierle tutto e non lasciarle niente, neppure la sofferenza, la disperazione, il dolore. Con l’ergastolo la vita diventa una malattia, e gli ergastolani non vengono uccisi, peggio, sono lasciati morire. Questa terribile condanna supera i limiti della ragione e fa diventare le persone che la subiscono esclusivamente corpi parlanti. Ristretti Orizzonti ha deciso di organizzare nel carcere di Padova, il 20 gennaio prossimo, un convegno per l’abolizione dell’ergastolo.
Abbiamo pensato di coinvolgere, come organizzatori o aderenti, parlamentari (che si facciano promotori di un disegno di legge e che si attivino per farlo calendarizzare), uomini e donne di chiese e di fedi religiose diverse, delle istituzioni, della magistratura, dell’università, dell’avvocatura, intellettuali, esponenti del mondo dello spettacolo, della scuola, cittadini e cittadine interessati, e naturalmente ergastolani, uomini e donne condannati a lunghe pene e loro famigliari.
Cosa chiediamo a tutti quelli che leggono questo messaggio? se possibile, un’adesione alla proposta di abrogazione dell’ergastolo, l’impegno a farla girare tra i propri contatti per coinvolgere la società civile. Se fate parte di un’associazione, di una comunità, di un circolo, aderite anche con questo soggetto collettivo tramite la Segreteria del convegno Contro la Pena di Morte Viva all’indirizzo mail ornif@iol.it. Ricordiamo a tutti di visitare il nostro sito internet www.ristretti.org per avere maggiori notizie sulla campagna e le adesioni che arriveranno, anche perché verranno pubblicati altri comunicati con i lavori preparatori del convegno.
È come il gioco dell’oca, ma la sofferenza è eterna
di Angelo Meneghetti
Sono trascorse diverse primavere e ogni mattina all’alba, quando apro gli occhi, mi accorgo che sono sempre un prigioniero, circondato dal solito cemento armato e dal ferro delle sbarre. Ogni giorno penso sempre che prima o poi ci sarà un periodo migliore, in modo da tenere viva quella poca speranza che mi è rimasta. Scrivo "quella poca speranza che mi è rimasta", perché anni addietro sono stato condannato al massimo della pena, e per essere più chiaro, alla pena perpetua, l’ergastolo. Ho scritto che sono sempre un prigioniero, come confermato sul mio certificato di detenzione: "fine pena 31.12.9999", dunque in un certo senso non sono un detenuto, perché se lo fossi avrei un fine pena certo. Negli ultimi anni di questa mia prigionia, per ammazzare questo infinito tempo di sofferenza, ho cominciato a leggere e a scrivere, partecipando al corso di "lettura, ascolto e scrittura", che si svolge all’interno del carcere, grazie all’enorme umanità di un professore in pensione che fa volontariato in carcere. So che il resto della mia vita è senza futuro, sono destinato a morire da prigioniero, a meno che non cambino la legge e venga abolita la pena dell’ergastolo. Anche se continuo a vivere sperando che ci sarà un periodo migliore, è solamente per dare la speranza ai miei famigliari che, prima o poi, mi vedranno varcare la porta di casa solamente per qualche giorno, in modo che la loro sofferenza non sia eterna come la mia. Quando i miei famigliari vengono in carcere a farmi visita, per vedermi e portarmi quel poco di necessario per vestirmi, mi chiedono sempre se ho qualche novità da riferirgli e ovviamente come il mio solito gli dico sempre che è la solita minestra. Ugualmente li rassicuro che se non mi vedranno a casa, sicuramente vedranno mio fratello Fabiano varcare la porta di casa, per qualche giorno. Anche mio fratello è stato condannato alla pena perpetua, anche lui è un prigioniero e si trova nel carcere di Fossombrone. Sia io che mio fratello non abbiamo il coraggio di dire a nostra madre che siamo destinati a morire dentro a un carcere di questo Paese.
Ovviamente la mia anziana madre è anche lei imbevuta un po’ della mala-informazione come il resto delle persone della nostra società esterna, e in tanti pensano che nel nostro Paese nessun detenuto sconti la pena fino all’ultimo giorno, perché sono subito fuori. Non sanno che esiste una categoria di persone condannate (colpevoli o innocenti che siano), gli ergastolani, che sono destinate a morire all’interno di un carcere. Fino a oggi ho oltrepassato la soglia dei venti anni di carcere, è da diverso tempo che potrei usufruire dei cosiddetti benefici per continuare a scontare la mia prigionia in modo diverso (come è scritto nell’Ordinamento penitenziario). Sinceramente, anche se scrivono che il mio percorso all’interno del carcere è positivo e potrei usufruire di un percorso extra-murario, tutto ciò non mi è concesso. Chi dovrebbe decidere se potrei usufruire di qualche ora al di là del muro di cinta, o darmi l’opportunità di varcare la porta di casa di mia madre per qualche ora, scrive che ho bisogno di un nuovo aggiornamento sulla mia situazione ‘inframurarià, come se gli oltre venti anni che ho vissuto in galera non contassero. A volte penso proprio che chi ha la competenza per decidere della mia vita, mi stia facendo partecipare "al gioco dell’oca": dopo un lungo periodo in cui tutto è positivo per intraprendere e continuare il percorso, arrivo nella casella di tale gioco dove c’è scritto: "ricomincia da capo".
Capisco solo che faccio parte di quella categoria che è condannata alla pena perpetua, e destinata a morire all’interno di un carcere. Per questo la mia sofferenza è eterna.