Giustizia: che fine ha fatto l’emergenza carceri? Europa incalza, Parlamento non si muove di Annachiara Valle Famiglia Cristiana, 12 marzo 2014 Il messaggio del presidente della Repubblica chiede un maggior impegno del nostro Parlamento per risolvere il problema del sovraffollamento. Ma parlamentari e opinione pubblica sembrano un po’ distratti. E intanto l’Europa... Finora tante parole, ma nessun fatto concreto per rispondere alle richieste dell’Europa che ci accusa di violazione dei diritti umani per le condizioni degradanti dei nostri istituti di pena. La Corte dei diritti dell’Uomo di Strasburgo ci aveva dato un anno (che scade a fine maggio) per adeguare i nostri standard carcerari al minimo rispetto della dignità delle persone. Risolvendo, in primis, il problema del sovraffollamento. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha inviato, nuovamente, un messaggio alle Camere per sollecitarle a discutere sull’emergenza carceraria. Ma, non più tardi di una settimana fa, il 4 marzo, la discussione sulle parole di Napolitano è caduta in un’aula semideserta e distratta. Il risultato? Praticamente inconsistente. La Camera si è ripopolata soltanto al momento del voto che ha sancito l’approvazione della risoluzione di maggioranza messa a punto dalla Commissione giustizia, in seguito al messaggio del presidente, con 325 voti favorevoli, 107 no e 42 astensioni. Nessun accordo però sui provvedimenti straordinari chiesti dal Presidente e gli unici in grado di dare risposte all’Europa entro fine maggio. Il Pd, in particolare, è diviso tra chi pensa che i provvedimenti di clemenza siano inefficaci e chi ritiene che non debba essere un tabù parlare di amnistia e indulto. Napolitano, nel suo messaggio, chiedeva una serie di misure strutturali per rendere meno pesante la condizione carceraria, ma anche l’opportunità di rimedi straordinari quali amnistia e indulto. La Commissione giustizia della Camera, però, non è voluta entrare nel merito di questi provvedimenti. La presidente, Donatella Ferranti, si è limitata ad auspicare che, entro la fine del mese, si approvino "la riforma della custodia cautelare, il provvedimento su messa alla prova e sulla detenzione domiciliare". Intanto il coordinatore dei garanti delle carceri, Franco Corleone, chiede al ministro della Giustizia di "individuare una persona con responsabilità specifiche sulla riforma del carcere e del sistema penale, incaricando un sottosegretario a cui da subito dare la delega". Corleone chiede una assunzione di responsabilità perché i problemi vengano affrontati senz aindugio. E cita la sentenza della Corte costituzionale sulla legge Fini Giovanardi: "Da anni il coordinamento garanti e associazioni che si occupano di giustizia sollecitavano una riforma della legge sulla droga, perché causa del sovraffollamento carcerario, ma il silenzio della politica ufficiale ha acuito i problemi. Ora la sentenza li avvierà a soluzione, ma è sempre una supplenza rispetto alla politica e non può essere la condizione definitiva". Giustizia: emergenza carceri, delegazione Radicale incontra sottosegretario Enrico Costa www.radicali.it, 12 marzo 2014 Chiesti chiarimenti sui dati forniti dal Ministero e fornite informazioni sulle diffide presentate da Pannella e Rossodivita sulla "Pena illegale". Il Satyagraha prosegue Ieri mattina alle 9.30 una delegazione Radicale ha incontrato a Via Arenula il Sottosegretario alla Giustizia Enrico Costa sulla situazione della giustizia e delle carceri e sull’iniziativa in corso di Satyagraha che vede ormai coinvolti 957 cittadini, in massima parte parenti di detenuti. La delegazione era composta dalla Segretaria di Radicali italiani Rita Bernardini, dalla Presidente Laura Arconti, dalla Segretaria del "Detenuto Ignoto" Irene Testa, dall’avv. Giuseppe Rossodivita Segretario del Comitato Radicale per la Giustizia Piero Calamandrei e dalle sorelle Alessandra e Francesca Terragni animatrici delle azioni nonviolente fra i parenti dei carcerati. La delegazione ha innanzi tutto rappresentato all’on Costa l’iniziativa in corso del Satyagraha per la quale Bernardini, Testa e le sorelle Terragni sono in sciopero della fame da 12 giorni: "Noi sosteniamo pienamente le ragioni, le proposte e le speranze del Messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che ha concluso il suo intervento al Parlamento sottolineando come per il nostro Paese ci sia l’obbligo di affrontare gli imperativi pronunciamenti europei sulla questione carceraria della giustizia e delle carceri; obblighi che l’Italia non può lasciar compromettere "da ingiustificabili distorsioni e omissioni della politica". Il Presidente è stato chiarissimo sui provvedimenti di amnistia e di indulto, stante la scadenza del 28 maggio prossimo imposta dalla sentenza Torreggiani: tutti gli interventi varati o in discussione "inciderebbero - ha scritto Napolitano al Parlamento - verosimilmente pro futuro e non consentirebbero di raggiungere nei tempi dovuti il traguardo tassativamente prescritto dalla Corte europea". Noi seguiamo questa linea - hanno affermato i componenti della delegazione - e, con la nostra azione nonviolenta, che ha come interlocutori i legislatori, contiamo i giorni che ci separano dal 28 maggio, monitorando la situazione: oggi ne mancano 78, mentre sono 12 i giorni di Satyagraha e di sciopero della fame che stiamo portando avanti". Al sottosegretario sono stati chiesti chiarimenti sui dati forniti del Ministero della Giustizia che, ad avviso della delegazione, sono del tutto inattendibili sia sulla capienza regolamentare degli istituti penitenziari (che non tiene conto delle sezioni chiuse perché inagibili, in ristrutturazione o per carenza di personale), sia sui procedimenti penali che potrebbero cadere - liberando le intasatissime scrivanie dei magistrati - in caso di amnistia costituzionale (cioè decisa dal Parlamento che ne ha la responsabilità), la quale, invece, viene sistematicamente sostituita dall’amnistia illegale delle prescrizioni, decise dai Magistrati che, invece, dovrebbero attenersi al principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale. Su questo, il sottosegretario Costa si è impegnato a fare chiarezza anche informandosi sul sistema di rilevazione del Ced del Ministero della Giustizia e dell’Istat. Nel corso dell’incontro è stata anche illustrata al neo Sottosegretario l’iniziativa relativa alla diffida inoltrata da Marco Pannella, quale Presidente del Prntt e dall’avv. Giuseppe Rossodivita, quale Segretario del Comitato Radicale per la Giustizia Piero Calamandrei, a 675 destinatari individuati in tutti coloro che, nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali ed amministrative, hanno in Italia la responsabilità di emettere ed eseguire ordini di esecuzione pena e di custodia cautelare in carcere. Il sottosegretario ha chiesto una copia dell’atto al fine di poter approfondire il tema proposto dalla diffida finalizzata a determinare l’insorgenza di un circolo virtuoso di comunicazione tra magistratura e Dap, con le articolazioni dei Provveditorati Regionali, volto ad impedire che in Italia vengano eseguite pene detentive e misure custodiali tecnicamente illegali. Giustizia: il Sottosegretario Costa "affrontare tema sovraffollamento in modo strutturale" Adnkronos, 12 marzo 2014 Il viceministro della Giustizia, Enrico Costa, ha incontrato oggi una delegazione dei Radicali guidata da Rita Bernardini e Laura Arconti, rispettivamente Segretaria e Presidente dei Radicali, in sciopero della fame dal 27 febbraio scorso, contro il sovraffollamento nelle carceri e per la tutela dei diritti dei detenuti. "È per me importante - ha affermato il viceministro Costa - incontrare chi come voi porta avanti importanti battaglie con grande dignità". L’incontro di oggi rappresenta un primo e importante momento di dialogo che spero possa avere ulteriori e proficui sviluppi. Un tema che ci terrei ad affrontare nei nostri prossimi incontri, è quello del lavoro carcerario. Occorre prodursi in ogni possibile sforzo per favorire la possibilità che i detenuti siano messi in condizione di lavorare: oggi questo non accade, salvo in rare e lodevoli realtà". "Il mio impegno - ha aggiunto - è far sì che i problemi della giustizia, a partire da quello del sovraffollamento carcerario, siano affrontati in maniera strutturale e non emergenziale. Sono fermamente convinto che, pur nella diversità di vedute, riusciremo con gli esponenti Radicali a lavorare bene insieme e ottenere importanti risultati affinché il sistema giustizia del nostro Paese compia significativi passi avanti". Giustizia: Grasso (Senato); serve una soluzione per la disumana condizione dei detenuti Dire, 12 marzo 2014 Per 43 anni sono stato magistrato, quindi ho particolarmente a cuore i temi della Giustizia: nella mia nuova veste, con altri mezzi, continuo a perseguire gli stessi obiettivi di legalità e verità. Il giorno dell’approvazione in Senato della legge sul voto di scambio politico-mafioso, essenziale per combattere la criminalità organizzata e i suoi rapporti con la politica, è stato per me davvero emozionante. Dobbiamo però fare di più. Spero si chiuda presto, in commissione Giustizia, la discussione sul ddl che ho presentato nel mio primo giorno da senatore che contiene norme contro la corruzione, il riciclaggio, l’auto riciclaggio e il falso in bilancio. Penso infine alla disumana condizione dei detenuti: occorrono soluzioni di sistema per trasformare le "carceri della vergogna" in "carceri della speranza". Credo si debba insistere sulla depenalizzazione dei reati minori, sulla promozione di misure alternative al carcere, sulla lentezza dei processi". Lo scrive su Facebook il presidente del Senato, Pietro Grasso, che ha iniziato un dialogo con chi lo segue sui social network per tracciare un bilancio del suo primo anno alla presidenza di Palazzo Madama. Giustizia: "ha mentito ai pm", la Cancellieri indagata per le telefonate ai Ligresti di Maria Elena Vincenzi La Repubblica, 12 marzo 2014 False dichiarazioni a pubblico ministero. È questo il reato che la procura di Roma contesta all’ex ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri per la vicenda delle sue telefonate con Antonino Ligresti, fratello di Salvatore, arrestato dalla procura di Torino nell’ambito dell’inchiesta su Fonsai insieme alle figlie, Giulia e Jonella. Il fascicolo era arrivato dalla procura piemontese a quella capitolina per competenza. Non aveva indagati né ipotesi di reato. Agli atti c’era soltanto il verbale dell’audizione dell’allora Guardasigilli che si era svolto al ministero di via Arenula lo scorso 22 agosto. All’epoca il ministro non era indagato ma il procuratore aggiunto di Torino, Vittorio Nessi, gli aveva chiesto conto di alcune telefonate con Antonino, finite nell’inchiesta sulla compagnia assicurativa. Telefonate che si erano concentrate nei giorni in cui pendeva la richiesta di arresti domiciliari (poi ottenuti grazie a un’istanza di patteggiamento) per Giulia Ligresti, malata di anoressia. Conversazioni sulle quali il ministro ero stato molto vago, ammettendo di aver parlato con il suo "amico di famiglia" il 19 agosto e di aver discusso delle condizioni di salute della nipote, ma di aver risposto a una sua telefonata. Cosa non vera: i tabulati dimostrarono che la chiamata non l’aveva ricevuta, ma fatta lei e che i due avevano chiacchierato per sei minuti. Così anche su un contatto del giorno precedente all’interrogatorio: il Guardasigilli aveva detto di aver sentito Ligresti che le "aveva mandato un sms per sapere se c’erano novità". Lasciando intendere che la conversazione si era svolta via messaggio. Anche questa cosa non vera: Antonino Ligresti aveva sì scritto al ministro che, però, lo aveva richiamato dal suo numero di telefono e anche in quel caso, come pochi giorni prima, la conversazione era durata parecchi minuti. Silenzi, omissioni, imprecisioni poi smentite dagli atti anche sui rapporti con il marito del Guardasigilli, Sebastiano Peluso, che la procura di Torino aveva verbalizzato senza però contestargliele. Forse lo avrebbe fatto se il caso non fosse scoppiato imponendo, a quel punto, l’invio degli atti a Roma, chiamata a indagare per il criterio della competenza territoriale. E quando il procuratore capo della Capitale, Giuseppe Pignatone, ha ricevuto gli atti, ha disposto una serie di accertamenti, tra i quali anche l’acquisizione dei tabulati telefonici del ministro. Che testimoniano, questo è vero, una frequentazione di lungo corso con il fratello medico di Ligresti (anche lui sentito dai magistrati romani insieme ai due vice capi del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Cascini e Pagano contattati dalla Cancellieri per avere informazioni su Giulia), ma che, ancora una volta, verbale alla mano, mettevano a nudo le incongruenze di quella testimonianza di agosto. Per questo, prima di sentirla di nuovo e in modo super protetto negli uffici distaccati della procura in piazza Adriana, i pubblici ministeri Simona Marrazza, Erminio Amelio e Stefano Pesci hanno deciso di iscrivere l’allora ministro nel registro degli indagati per quelle false dichiarazioni rese ai colleghi torinesi. Tanto che quando, una ventina di giorni fa, Annamaria Cancellieri, è stata sentita, ad accompagnarla c’era il suo avvocato, Franco Coppi. Audizione che può aver rafforzato quello che era sin dall’inizio il sospetto degli inquirenti, ovvero che non ci sia rilevanza penale per quelle chiamate che, di fatto, non hanno cambiato le sorti dell’iter di scarcerazione di Giulia Ligresti. Per questo i pubblici ministeri sarebbero orientati a chiedere l’archiviazione del ministro. Ora toccherà al giudice per le indagini preliminari decidere se davvero non c’è reato alcuno. Lettere: un appello dal Comitato "Familiari dei detenuti della C.C. di Iglesias" Ristretti Orizzonti, 12 marzo 2014 La sottoscritta, Daniela Caria, residente a Carbonia in via Flumentepido 1, 09013 (CI), portavoce del Comitato "Familiari dei detenuti della C.C di Iglesias", richiama la Vostra attenzione su quanto sta accadendo in questi giorni nell’Isola, in materia di carceri e trasferimenti. La struttura di Iglesias ospita circa 107 detenuti per la maggior parte sex offenders. Già da tempo si susseguono voci, conferme e smentite riguardo l’imminente chiusura della struttura sopra citata. Voci che ora hanno l’aria di non essere più tali, ma vere e proprie decisioni già prese. Con la chiusura del carcere i nostri cari dovrebbero essere indirizzati nelle strutture di Bancali e Lanusei. Dall’altra parte della Sardegna. Chiediamo il Vostro aiuto in quanto, noi familiari, siamo impossibilitati a recarci a colloquio, sei volte al mese. La distanza è eccessiva, parliamo di circa 220 km. Tra noi ci sono disoccupati, mamme con bambini piccolissimi, anziani, persone non automunite e con problemi di salute. Coloro che fruiscono del colloquio settimanale sono residenti nel Cagliaritano, nell’Iglesiente e nel basso Sulcis. Noi tutti, con questo trasferimento, ci vediamo privati dell’unico diritto di cui possiamo ancora godere: stare con i nostri cari una volta alla settimana, per un’ora. La situazione è già di per se drammatica per i motivi suddetti. Il sacrificio è enorme se si parla di spese generali: benzina, biglietti dei pullman, avvocati e via dicendo. Il tutto verrebbe triplicato se ci proiettiamo verso ciò che non vorremmo accadesse. Il carcere dovrebbe mirare al recupero e al reinserimento del detenuto, non alla sua distruzione fisica e psicologica. Perché è questo che accadrebbe se non ricevessero più visite. Il comitato "Familiari dei detenuti della C.C. di Iglesias" dice no ai trasferimenti e alla chiusura della struttura. Lettere: la solitudine del carcere a volte continua anche fuori di Giulio Petrilli Ristretti Orizzonti, 12 marzo 2014 Enzo Tortora e la sua battaglia solitaria per il risarcimento da ingiusta detenzione che non gli fu mai concesso, sia dai giudici italiani sia da quelli di Strasburgo. Anche per la mia storia ho timore di questo. "Quello che si sa è che una volta gettati in galera non si è più cittadini ma pietre, pietre senza suono, senza voce, che a poco a poco si ricoprono di muschio.. ma certo qualcosa di irreparabile è accaduto dentro di me non so se più a livello psicologico o fisico, o a tutte e due". Frasi di una lettera di Enzo Tortora alla figlia Silvia, che dopo la morte del padre continuerà la sua battaglia nel chiedere il risarcimento per ingiusta detenzione alla Corte Europea di Strasburgo, cosa richiesta dallo stesso quantificando in cento miliardi di lire i danni subiti, ma Tortora non avrà mai risposta, né in Italia, né in Europa. La figlia come erede, può rinnovare la domanda e lo farà per portare avanti una battaglia giusta, vera, reale, ma la abbandonano tutti e denuncia questo in una bellissima lettera, non facendo sconti a nessuno, perfino ai radicali, di averla lasciata completamente, completamente sola in questa lotta. Rimane sola, tutti si dimenticano di Enzo Tortora in questa occasione e lo stesso non verrà mai risarcito e anche la domanda della figlia verrà insabbiata nel più completo silenzio e nella sua più completa solitudine. Il risarcimento era un atto dovuto ma nessuno, nessuno spende una parola.  Io, naturalmente in piccolo, sto vivendo le stesse sensazioni di Silvia Tortora, ho fatto ricorso alla Corte Europea per ottenere un risarcimento dovuto e negatomi in Italia, nonostante un’assoluzione completa per partecipazione alla banda armata (Prima Linea) dopo sei anni di carcere e anch’io mi sento completamente solo in questa battaglia. Eppure è una battaglia per un sacrosanto diritto: quello di non essere privato ingiustamente della libertà personale e se ciò accade avere un adeguato risarcimento, ma tutto tace, solo i pochissimi amici più stretti, di sempre, le persone più care, ti appoggiano, poi solo silenzio. Silenzio come le pietre coperte di muschio.  Dopo aver letto ciò che è accaduto ad Enzo Tortora su questa vicenda, anche in relazione al ricorso alla Corte Europea e al silenzio di tutti, in particolare dalle forze politiche e istituzionali, credo che le mie istanze faranno la stessa fine. Combatti, combatti da solo; ci metti tutte le tue energie, ma è impossibile vedersi riconoscere un sacrosanto diritto, perdi sempre. Enzo Tortora non è morto solo per il carcere, ma anche per queste grandi delusioni, quando a un certo punto si è reso conto che era una pietra coperta di muschio anche fuori. Toscana: domani Garante regionale dei diritti dei detenuti presenta i dati sulle carceri Ristretti Orizzonti, 12 marzo 2014 Giovedì 13 marzo alle 11.30 Franco Corleone incontra i giornalisti in Consiglio regionale a conclusione di una serie di visite nei penitenziari della nostra regione. Criticità e cambiamenti in atto nelle carceri toscane. Giovedì 13 marzo alle 11.30, il Garante regionale dei diritti delle persone detenute della Toscana, Franco Corleone tiene una conferenza stampa nella saletta Montanelli in Consiglio regionale (via Cavour 4) per raccontare il suo viaggio negli istituti penitenziari della nostra regione. L’incontro per fare un primo bilancio dei sopralluoghi nelle diverse case circondariali. Corleone ha visitato, tra le altre, le strutture di Siena, Empoli, Lucca, Arezzo, Pisa, l’Opg di Montelupo, l’istituto penale di Pontremoli, e poi Prato, Grosseto, Sollicciano, Massa Marittima, Massa, Pistoia. Napoli: carcere di Poggioreale, l’incubo "cella zero" e le denunce sui pestaggi dei detenuti di Arianna Giunti L’espresso, 12 marzo 2014 Dopo l’inchiesta dell’Espresso di qualche mese fa, con il racconto di un ex detenuto su botte e minacce ricevute da un gruppo di guardie carcerarie, ora sono diventate oltre cinquanta le confessioni raccolte dai magistrati napoletani sui maltrattamenti nella famigerata "cella zero". C’è "melella", che si è guadagnato questo soprannome perché "quando beve le guance gli diventano rosse come due mele mature". C’è "ciondolino", che quando arriva nelle celle, a notte fonda, lo riconosci da lontano per via di quel tintinnio "proveniente da un voluminoso mazzo di chiavi che gli ciondola attaccato ai pantaloni". Poi c’è "piccolo boss". Non è molto alto di statura, è silenzioso, però "picchia forte e zittisce tutti". Insieme sono "la squadretta della Uno bianca". Almeno, è così che li chiamano i carcerati di Poggioreale, il carcere di Napoli. In memoria di un terribile caso di cronaca nera degli anni Novanta. Solo che in questa vicenda i protagonisti non sono feroci killer che vestono la divisa della polizia di Stato ma un piccolo gruppo di agenti della penitenziaria che - secondo le testimonianze di alcuni detenuti - si sarebbe reso responsabile di ripetuti pestaggi notturni, minacce, vessazioni e umiliazioni nei confronti dei carcerati "disobbedienti". Rinchiusi nudi e al buio per ore intere, in una cella completamente spoglia ribattezzata la "cella zero". Sono salite a 56 le denunce dei detenuti del penitenziario napoletano che hanno messo nero su bianco, davanti ai magistrati della Procura di Napoli, le presunte violenze subite dietro le mura di una delle carceri più sovraffollate d’Europa. La punta di un iceberg fatto di sistematiche violazioni dei diritti umani che l’Espresso aveva documentato già lo scorso gennaio , riportando tra l’altro la testimonianza esclusiva di una delle vittime, un ex detenuto di 42 anni che ha riferito di aver subito durante la sua permanenza di cella "pestaggi e trattamenti disumani in una cella con le pareti sporche di sangue". Il corposo dossier presentato due mesi fa dal garante dei detenuti della regione Campania, Adriana Tocco, nel frattempo si è dunque arricchito di decine di altre testimonianze, sempre più drammatiche e sempre più ricche di dettagli. Per l’esattezza, si tratta di 50 nuove denunce e altri 6 esposti, contenute in due diversi fascicoli che ora sono al vaglio dei procuratori aggiunti Gianni Melillo e Alfonso D’Avino. Un’inchiesta, questa, che potrebbe far vacillare i vertici dell’istituto penitenziario partenopeo e gettare nell’imbarazzo l’intero dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, proprio alla luce dell’ennesima stroncatura ricevuta pochi giorni fa dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, con la quale Strasburgo ha mandato a dire al nostro Paese - senza tanti giri di parole - che i provvedimenti presi finora dall’Italia per sanare la piaga carceri (il recente decreto approvato da Camera e Senato) sono insufficienti a riabilitare il nostro sistema carcerario. E così a maggio il nostro Paese - condannato un anno fa con la storica sentenza Torreggiani - potrebbe vedersi costretto a pagare una maxi multa. Le deposizioni dei detenuti ed ex detenuti napoletani, intanto, sono già iniziate e continueranno anche nelle prossime settimane. Testimonianze ancora tutte da verificare, questo è certo, ma che per ora sembrano dipingere un abisso di soprusi e vessazioni. Nei loro racconti davanti alle toghe i carcerati ricostruiscono la punizione della "cella zero" - una cella completamente vuota che si trova al piano terra del carcere - con tanto di linguaggi in codice da parte del gruppo di agenti che avrebbe preso parte alle violenze. Un gruppo ristretto di "mele marce", visto che a onore del vero la maggior parte dei poliziotti in forza al carcere partenopeo viene descritta dagli stessi detenuti come "sana" e composta da agenti coscienziosi e votati al sacrificio che non si risparmiano con ore e ore di straordinari in condizioni usuranti. Questa piccola squadretta, invece, avrebbe compiuto negli ultimi anni abusi di potere continui. "La punizione della cella zero", raccontano i detenuti nelle loro denunce, "consiste nell’essere confinati in una cella isolata, completamente vuota, nudi e al buio, per intere ore, sottoposti a pestaggi e minacce". Poi c’è qualche terribile eccezione. Uno dei detenuti che ha da poco presentato un esposto davanti ai magistrati napoletani, infatti, un ragazzo italiano di 35 anni finito in carcere per reati di droga, racconta di essere stato rinchiuso nella cella zero "tre giorni consecutivi". La dinamica appare la stessa per tutti i detenuti. "Ci portano lì dentro di notte, quando molti di noi già dormono", raccontano, "e ci picchiano uno per volta". "Tempo fa", mette nero su bianco un ex detenuto, "ci hanno portati lì in otto, ma poi il trattamento è stato fatto uno per volta". Già, ma in cosa consiste - esattamente - questo "trattamento"? I detenuti lo raccontano con tragica naturalezza. Innanzitutto, parte l’ordine: Scinne a ‘stu detenuto, "fai scendere questo detenuto". In pochi minuti, il prescelto viene portato nella cella zero, e viene spogliato di tutto. La cella è umida, vuota, ha le pareti e il pavimento sporche "di sangue ed escrementi". A questo punto secondo i racconti partirebbero le percosse. "Ci picchiano a mani nude o con uno straccio bagnato, per non lasciare segni sul corpo", verbalizza nella sua denuncia uno dei detenuti, "alcuni di loro hanno in mano un manganello, ma lo usano solo per spaventarci". Mentre incassano le botte, i detenuti iniziano a sanguinare. La paura di entrare in contatto con liquidi infetti è enorme. Ecco perché "tutti gli agenti mentre picchiano indossano guanti di lattice". Ai pestaggi seguirebbero quindi le minacce. Racconta un detenuto: "Uno di loro mi ha detto: se provi a riferire quello che hai visto te la faccio pagare". Quindi, a botte concluse, da parte degli agenti della penitenziaria arriverebbe anche un’offerta: "Vuoi andare a farti medicare in infermeria?". "Inutile aggiungere che nessuno di noi ha il coraggio di farsi portare dagli infermieri ma sopporta il dolore in silenzio", racconta uno dei detenuti negli esposti, "o al limite si fa medicare alla meno peggio dai compagni di cella". La squadretta secondo i detenuti sarebbe composta da tre o quattro agenti, ai quali i carcerati hanno assegnato appunto diversi soprannomi. Come "ciondolino", "melella", "piccolo boss". Tutti riconoscibilissimi, visto che avrebbero agito a volto scoperto. Questo è il motivo per cui i magistrati napoletani vogliono proteggere con grande discrezione l’identità dei testimoni in attesa di verificare che le loro accuse siano attendibili, precise e concordanti. Anche confrontando la cronologia dei presunti pestaggi subiti dai detenuti con i fogli di turno e i registri di presenza degli agenti. Di sicuro, secondo i racconti dei detenuti, a far divampare la rabbia delle "guardie" basterebbe un pretesto. Una risposta sbagliata, un atto di disobbedienza, un banale battibecco. Ed eccoli scaraventati nell’inferno "cella zero". Uno scenario nero che nelle prossime settimane potrebbe arricchirsi di nuove testimonianze e accuse e che quasi certamente culminerà con un’ispezione carceraria a Poggioreale. Sassari: assistenza sanitaria ai detenuti, la risposta dell’Asl alla denuncia dell’Osapp www.notizie.alguer.it, 12 marzo 2014 Dopo le dichiarazioni del Segretario generale aggiunto dell’Osapp Domenico Nicotra sulle condizioni sanitarie nel carcere di Bancali, l’Unità Operativa Tutela per la salute in carcere dell’Asl di Sassari precisa che "presso il carcere di Bancali operano dodici medici, un coordinatore infermieristico e venti infermieri della Asl di Sassari che garantiscono la necessaria assistenza primaria ai detenuti". "Si fa presente, inoltre, che nel Centro Diagnostico Terapeutico, in fase di allestimento, vengono garantiti gli accertamenti clinici e l’assistenza sanitaria per gli interventi di post ricovero in quanto - sottolineano - gli interventi chirurgici vengono assicurati esclusivamente presso l’Ospedale Civile Santissima Annunziata di Sassari dove peraltro sono state individuate due stanze di degenza appositamente dedicate al ricovero di detenuti in regime di massima sicurezza". "Nel Centro Diagnostico Terapeutico operano anche gli specialisti ambulatoriali come il cardiologo, il neurologo, lo psichiatra, l’otorino, l’urologo, il dermatologo nonché gli operatori del Ser.T. e l’infettivologo. La Asl di Sassari - conclude la nota - si sta adoperano per dotare la struttura carceraria di ulteriori servizi. A giorni verrà inaugurato l’ambulatorio odontoiatrico ed è in fase di valutazione la realizzazione della radiologia tradizionale". Brescia: detenuti contro il degrado ambientale, con programmi di lavoro socialmente utile di Annachiara Valle Famiglia Cristiana, 12 marzo 2014 Il Comune, in accordo con le carceri della città, favorisce il reinserimento dei carcerati con programmi di lavoro socialmente utile. Una sperimentazione che può essere copiata nel resto d’Italia. Una possibilità di lavoro "per mettere in pratica quello che dice la nostra Costituzione e cioè che la pena serve alla rieducazione e al reinserimento sociale del detenuto". Il Sindaco di Brescia, Emilio del Bono, spiega la filosofia che ha portato il Comune a un accordo con i due istituti di pena della città, Canton Mobello e Verziano, e con il Ceps cittadino che segue i tossicodipendenti. Da aprile 12 detenuti complessivamente (sei di un istituto e sei di un altro) e 4 persone indicate dal Ceps (Centro di recupero per le tossicodipendenze) Sert si recheranno ogni mattina al lavoro. Obiettivo: pulire la città dai graffiti che la deturpano. "Insieme con un servizio di prevenzione che ha portato anche all’individuazione di questi vandali, purtroppo anche sette minorenni, abbiamo pensato che fosse il caso di avviare un’azione di ripulitura di queste che non sono opere d’arte, ma danneggiamenti della nostra città. Quale occasione migliore per dare una possibilità a chi sta per finire di scontare la pena o, comunque, è ritenuto non più socialmente pericoloso dalla magistratura di sorveglianza, per reinserirsi positivamente nel contesto sociale?", aggiunge il sindaco. Ai lavoratori verrà assegnato un voucher di poco più di un euro all’ora "perché ci sembrava educativo anche riconoscere, seppur simbolicamente, un compenso per il lavoro svolto. E poi ci sembra molto significativo che questo lavoro sia per l’utilità pubblica, in buona parte per ripulire la città, ma anche per occuparsi di cartellonistica. Non solo, anche per i ragazzi minorenni che sono stati segnalati noi chiederemo che vengano a ripulire i muri che hanno imbrattato". Prima che l’iniziativa vada a regime, ad aprile, i detenuti hanno già cominciato i corsi di formazione per il lavoro che dovranno svolgere, "un modo anche per dare loro delle competenze e delle professionalità in vista poi del completo reinserimento sociale una volta scontata la pena. Abbiamo visto che gli istituti non sono attrezzati con laboratori adeguati per dare un’opportunità di formazione e lavoro. E così, a parte qualche cooperativa sociale comunque presente nel nostro territorio, è difficile che un detenuto abbia una reale possibilità di lavoro, nonostante si vada sempre dicendo che è proprio il lavoro che serve per uscire da certi percorsi delinquenziali". Un segnale anche alla società, "perché non consideri queste persone come delle escluse. Il Comune sta cercando percorsi di reinserimento per loro, ma anche, per esempio, per 50 cassaintegrati che svolgeranno lavori di pubblica utilità. L’idea è quella di una città che si preoccupa dei suoi anelli più deboli o più in difficoltà per metterli nelle possibilità di reinserirsi pienamente e di contribuire allo sviluppo del territorio. E vedo che anche la reazione complessiva della popolazione è stata molto positiva. La saggezza popolare dice che è bene che lavorino, che si rendano utili alla società e che scontino la pena non in maniera degradante, ma dando un servizio a tutti". Milano: l’università Bicocca entra in carcere a Opera con un "open day" di orientamento di Rosanna Santonocito Il Sole 24 Ore, 12 marzo 2014 I career day non sono tutti uguali. Uno molto particolare, se non proprio unico, si é svolto oggi a Milano nella Casa circondariale di Opera. Qui l’Università di Milano Bicocca ha trasferito docenti e rettora Cristina Messa per presentare in un "open day" la propria offerta formativa ai detenuti di quello che dalla scorsa estate è diventato un polo universitario penitenziario, il primo a sorgere in Lombardia. La mattinata di orientamento in carcere é la terza tappa di un percorso che nasce da una convenzione quadro stipulata tra tra l’ateneo Bicocca e il Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria (Prap) per la Lombardia e che coinvolge anche la casa di reclusione di Milano Bollate. E dal mese di febbraio, ogni sabato 33 studenti della Bicocca e 25 detenuti guidati dal docente di Sociologia del diritto Alberto Giasanti seguono insieme, tra le mura della casa circondariale, le lezioni di un corso di 48 ore su "Le forme della mediazione dei conflitti", che fa parte del programma didattico del corso di laurea magistrale in Programmazione e gestione delle politiche e dei servizi sociali. Dal prossimo anno accademico, per i detenuti di Opera sarà invece possibile iscriversi a tutti i corsi di laurea triennale e magistrale che saranno attivati dall’ateneo milanese nelle aree disciplinari di economia, giurisprudenza, psicologia, scienze della formazione, scienze matematiche, fisiche e naturali e sociologia. L’obiettivo comune di amministrazione carceraria e ateneo é duplice: costruire una base per il reinserimento lavorativo a fine pena e di aprire un dialogo interattivo e a più vie tra istituzioni e territorio nei campi del sociale e della conoscenza. Per illustrare i percorsi e l’organizzazione del sistema universitario (livelli di laurea, test di ammissione, voti, crediti) e, cosa più ardua, per trasferire il senso dell’esperienza dello studio e della scelta di una materia o dell’altra, questa mattina i professori sono sfilati un dopo l’altro sul palco del Teatro penitenziario e hanno risposto alle domande degli ospiti, che non si sono fatte attendere. Tanti i giovani, in maggioranza stranieri, qualcuno già in possesso di diploma o titoli conseguiti nel Paese d’origine, altri ,italiani e più avanti negli anni, che hanno alle spalle percorsi di studio interrotti o che già seguono corsi di laurea in carcere. A Opera sono 18 a tutt’oggi gli ospiti che sono iscritti all’università, non soltanto a Bicocca "e senza un progetto strutturato - come ha detto il direttore Giacinto Siciliano - Ma vogliamo raggiungere il massimo delle persone possibili". Le modalità per consentire a questi studenti "fuori sede con qualche limite di mobilità" come li ha definiti Siciliano, di fruire di corsi, esami, materiali e attività didattiche sono tutte da progettare. Si tratta di snodi organizzativi tutt’altro che banali, anche perchè l’agibilità é legata anche alla normativa a cui ciascun detenuto è sottoposto. Oggi si è parlato di un sistema di videoconferenza e dell’allestimento di un’aula informatica per seguire le lezioni a distanza e studiare in un ambiente confortevole e silenzioso, con la possibilità di accedere con orari flessibili anche serali: aspetti a cui i potenziali studenti sono molto sensibili. E qualcuno ha lanciato l’idea di una biblioteca dell’Università "sdoppiata" nella casa circondariale. La forma fisico-organizzativa che il polo universitario penitenziario si darà per permettere la "frequenza" e lo studio individuale dipenderà anche dal numero degli iscritti, ha sottolineato il direttore. Ma un elemento importante, ricordato invece dai docenti, sarà il coinvolgimento diretto degli studenti della Bicocca: faranno da tutor ai colleghi detenuti e, contemporaneamente, avranno modo di effettuare tirocini e stage o svolgere tesi di laurea in ambito penitenziario. Come ha spiegato il professor Giasanti raccontando dell’esperimento che é già partito con la classe "mista" del sabato, "il corso ha idealmente abbattuto le mura del carcere: al lavoro ci sono solo studenti. E sono tutti così impegnati e coinvolti dal che non si accorgono nemmeno più non di essere in aula" Il progetto del polo universitario dietro le sbarre é in progress continuo: é di stamattina, per esempio, la notizia - non poco rilevante - portata dalla rettora Messa, che gli universitari carcerati non pagheranno tasse di iscrizione ai test di ammissione, immatricolazione e trasferimento da altri atenei. Resta a loro carico la quota di tassa regionale - 480 euro - su cui l’ateneo non può disporre. Ma si studierà una soluzione agevolata con la Regione, é stato assicurato, o di copertura attraverso borse di studio. Catania: Osapp; carcere Bicocca prossimo al collasso, troppi agenti distaccati in altre sedi di Carmen Greco La Sicilia, 12 marzo 2014 "Prossimo al collasso". Il segretario generale dell’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma Polizia penitenziaria), Domenico Nicotra, non usa mezzi termini per descrivere la situazione della casa circondariale di Bicocca. E avverte: "La sicurezza penitenziaria etnea potrebbe degenerare così tanto che anche la sicurezza pubblica potrebbe avere ripercussioni". Alla gravissima carenza d’organico (presenti attualmente solo 100 unità circa) acuita anche dagli innumerevoli distacchi in uscita (circa 30), si aggiunge il sovraffollamento penitenziario con con 270 presenti supera abbondantemente la capienza regolamentare di 150 detenuti. "Non è il numero di detenuti a determinare l’organico del personale di polizia penitenziaria - spiega Nicotra - ma le esigenze della struttura, in questo caso un istituto di alta sicurezza in cui sono ristretti detenuti importanti. Non si tratta di un carcere comune come, per esempio, quello di Giarre. Bicocca necessita di una vigilanza maggiore. Provate a pensare cosa succederebbe se scappasse un detenuto con le poche persone in servizio di notte. Purtroppo le recenti politiche del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria non hanno considerato l’organico della casa circondariale di Bicocca, meritevole di incremento ed è evidente che questo modus operandi, forse, ha sottovalutato le criticità etnee". Come si è arrivati a questa situazione? "Si è creata nei mesi, pian piano, dirottando personale in altri posti, fino a quando il cerchio si è stretto troppo e non è più possibile andare avanti. Adesso la situazione è drammatica, abbiamo il 50% in meno di personale. Inizialmente, in base alla struttura doveva essere di 240 unità e, in questo numero era contemplato anche il nucleo traduzioni. Adesso il nucleo traduzioni è un ente a sé. Un gruppo operativo di persone che si occupa delle traduzioni in tutta la Sicilia orientale. Questi agenti non fanno più parte del carcere di Bicocca e non possono essere più impiegati all’interno del penitenziario quindi sono venute meno alla forza organica di 240 persone, forza che, man mano si è assottigliata fino ad arrivare all’attuale effettivo numero di personale di servizio, poco più di 100 persone. In questo modo diventa veramente difficile garantire la sicurezza di un istituto con detenuti "importanti". Nicotra ha scritto una lettera al provveditore generale dell’Amministrazione penitenziaria Maurizio Veneziano, per chiedergli un incontro "per trovare soluzioni congiunte rispetto alle criticità che hanno ridotto il personale del Corpo in servizio a Bicocca in una simile situazione". Il provveditore ha nella sue facoltà, quella di richiamare gli agenti "distaccati". "In questo momento ce ne sono 30 distaccati e, almeno 15 potrebbero rientrare da subito per dare un po’ d’ossigeno ai colleghi. Anche perché - argomenta il segretario dell’Osapp - 10 di loro sono impiegati nella scuola di formazione di S. Pietro Clarenza. Nei periodi in cui non si svolgono corsi possono tornare anche a Bicocca a prestare servizio". Pavia: carcere senza medici, l’Ospedale San Matteo "affollato" di detenuti da curare di Anna Ghezzi La Provincia Pavese, 12 marzo 2014 "Trasformare una casa circondariale in casa di reclusione come sta accadendo a Pavia comporta la necessità di affrontare temi come sanità, reinserimento al lavoro, integrazione", spiega Fabio Pizzul, Pd. Nella Casa circondariale infatti sono ospitati detenuti che non hanno avuto una condanna definitiva oppure imputati, fermati, arrestati dalla polizia in custodia, mentre nelle case di reclusione ci sono coloro che sono stati condannati definitivamente a più di tre anni. I vecchi ambulatori dentro al carcere sono in via di ristrutturazione. Nella nuova ala, dove non erano previsti, sono stati ricavati spazi per medici e infermieri, che però sono troppo pochi, soprattutto ora che il carcere è raddoppiato ed è cambiata la tipologia di detenuti. E così crescono anche i trasferimenti al San Matteo, per le emergenze o le patologie che non possono essere curate all’interno: 50 per visite e ricoveri solo a febbraio. I consiglieri regionali della Commissione carceri in visita ieri nelle strutture di Pavia e Voghera con il garante Moreno Baggini parlano della sanità a Torre del Gallo: "Mancano medici e infermieri - spiega Iolanda Nanni, consigliera M5s - I 200 detenuti protetti (condannati per reati a sfondo sessuale, pentiti o ex forze dell’ordine, ndr) nella nuova ala hanno problemi complicati e delicati, avrebbero bisogno di percorsi psicologici ad hoc che oggi non ci sono per mancanza di personale. E la direttrice Iolanda Vitale ci ha fatto presente che nell’ultimo mese è stato necessario fare 50 trasporti al San Matteo, con agenti di polizia penitenziaria distaccati in una situazione di carenza strutturale di personale". Ma al San Matteo l’unico posto letto per carcerati è in chirurgia: i medici del carcere raccontano che ottenere un ricovero a Pavia non è semplice, l’ospedale penitenziario più vicino è il San Paolo di Milano, che però spesso li invita a rivolgersi al San Matteo. Lo diceva nel 2012 anche il responsabile sanitario del carcere (che fa capo all’Azienda ospedaliera) Roberto Marino: "Ci sono diversi casi clinici in cui noi chiediamo il ricovero ma i medici dell’ospedale non lo ritengono necessario. Così li rinviamo più volte". I detenuti sono soggetti delicati, esposti a patologie, con diritti limitati. A maggior ragione ora: molti sono stati trasferiti dal carcere di Opera, "dotato di centro clinico - spiega Nanni, che aggiunge - che qui non esiste: tutto ciò mette in difficoltà il sistema". Anche per questa già difficile situazione il polo psichiatrico a Pavia non si farà e dunque gli spazi ad esso riservati accoglieranno altri detenuti protetti: ne arriveranno altri 100. Il carcere di Torre del Gallo si sta dunque trasformando in casa di reclusione, "con problemi di sanità e di reinserimento al lavoro legato al più lungo periodo di permanenza dei detenuti - ha proseguito il presidente della Commissione speciale sulla situazione carceraria in Lombardia. La Regione, nonostante 300mila euro di trasferimenti tagliati dallo Stato ha conservato i 17,5 milioni di risorse. E direttori, medici e polizia penitenziaria fanno di tutto per rendere la detenzione occasione di recupero per queste persone che hanno sbagliato. Ma servono più volontari e una rete per reintegrare i detenuti fuori dal carcere". Imperia: con la Uil-Pa Penitenziari arriva "Lo scatto dentro, perché la verità venga fuori" www.riviera24.it, 12 marzo 2014 Prosegue, anche in Liguria, l’iniziativa "Lo scatto dentro, perché la verità venga fuori!", iniziativa della Segreteria Nazionale della Uil-Pa Penitenziari che in un anno ha già interessato quasi 30 istituti penitenziari in tutta Italia. Dopo aver toccato, e fotografato, le carceri di moltissime città, per citarne solo alcune: Trento, Firenze, Cagliari, Palermo, Venezia, Avellino, Bologna, Milano, Pavia, Monza, Lanciano, Lecce, Bolzano, Ascoli Piceno, Catanzaro, Reggio Calabria, venerdì 14 marzo 2014 alle 0re 10 toccherà e per la prima volta in Liguria, al carcere di Imperia . A riferirlo è Fabio Pagani, Segretario Regionale della Uil-Pa Penitenziari, che spiega: "Venerdì, insieme a Fabrizio Lanza, Coordinatore Gau e Marco Masini Coordinatore Provinciale, ispezioneremo i luoghi di lavoro della Casa Circondariale di Imperia e ne documenteremo lo stato attraverso un servizio fotografico. L’iniziativa è nata a livello nazionale al fine di rendere uno spaccato oggettivo, scevro da qualsiasi interpretazione personale, delle realtà penitenziarie che hanno condotto la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo a condannare e mettere in mora il nostro Paese per trattamenti inumani e degradanti. In questo caso, dunque, la visita della Uil-Pa, oltre che a verificare le condizioni generali dei luoghi di lavoro e degli ambienti di pernottamento del personale, sarà finalizzata soprattutto a cercare di testarne l’efficienza organizzativa. Inoltre cercheremo di capire le ragioni, ammesso che ve ne siano, per le quali ad Imperia non è stato ancora assegnato un Direttore in pianta stabile". "Insomma - conclude Pagani - per dirla con un antico slogan coniato dalla Uil-Pa Penitenziari, "proveremo ad abbattere le mura dei misteri, per abbattere i misteri di quelle mura". Successivamente alla visita di venerdì alle ore 11, fuori l’ Istituto, la Uil-Pa Penitenziari incontrerà gli organi di informazione per descrivere la situazione rilevata e distribuire i file contenenti le riprese fotografiche. Immagini che saranno in seguito disponibili anche sul sito internet. Modena: un dibattito e la "cella in piazza"… per denunciare le condizioni dei carcerati www.modena qui.it, 12 marzo 2014 La porterà la Camera penale di Modena sabato e domenica prossimi: l’iniziativa, patrocinata dall’Unione Camere Penali Italiane, ha ad oggetto proprio una cella, costruita ad hoc dai detenuti presso la casa circondariale di Verona-Montorio, per denunciare le gravi condizioni di vita nelle quali, ancora oggi, si trovano i reclusi italiani. La cella sarà installata in Piazza Mazzini, dove permarrà fino a domenica sera, affinché la cittadinanza (che, nell’occasione, potrà ricevere materiale informativo) possa toccare con mano l’effettiva realtà propria delle carceri italiane. Parallelamente, sempre la Camera Penale di Modena organizzerà un dibattito, aperto ad addetti ai lavori e cittadini, nell’ambito del quale sarà possibile riflettere insieme sull’insostenibile situazione propria delle carceri italiane, portando la stessa "fuori dalle mura". Parteciperanno, in qualità di relatori, il sindaco di Modena Giorgio Pighi, il magistrato di sorveglianza di Modena Giovanni Roberto Mazza, la direttrice della casa circondariale Sant’Anna di Modena Rosalba Casella, il comandante della polizia penitenziaria Mauro Pellegrino e il presidente della Camera Penale di Modena Carlo Alberto Perroux, l’avvocato Enrico Fontana. In occasione del dibattito (che si terrà, nella mattina di sabato alle ore 10.30, presso il Caffè Concerto), inoltre i penalisti presenteranno la mostra fotografica dal titolo "Il chiaroscuro del carcere". Immagini in bianco e nero che rappresentano il percorso del detenuto dal momento dell’ingresso in carcere fino alla definitiva collocazione presso la cella. Foggia: il Consigliere regionale Anna Nuziello "reinseriamo i detenuti nella comunità…" www.ilquotidianoitaliano.it, 12 marzo 2014 Il consigliere regionale Anna Nuziello torna a parlare delle "condizioni deplorevoli delle nostre carceri" dopo l’incontro tenutosi in Regione e in seguito alla sua visita alla casa circondariale di Foggia. Nella sala Guaccero di via Capruzzi, sede del consiglio regionale pugliese si è tenuta una seduta congiunta della II e della III commissione consiliare in cui si è parlato della condizione carceraria in Puglia. Sono intervenuti il provveditore regionale per l’amministrazione penitenziaria, Giuseppe Martone, il Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà, Pietro Rossi, i dirigenti e il personale dell’assessorato dei Servizi Sociali. "Si è trattato di un incontro interessante e costruttivo", ha detto il consigliere regionale pugliese Anna Nuzziello, che aveva già preso parte a un’ispezione al carcere di Foggia con Pietro Rossi e il preposto Antonio Vannella, che si occupa proprio del carcere dauno. "Bisogna considerare - ha aggiunto Nuzziello - che indipendentemente dalle cabine di regia delle più recenti modifiche normative, ci sono dei punti essenziali che meritano un’approfondita analisi e c’è la necessità di nuove ed importanti azioni per garantire misure alternative alla detenzione in carcere". Nel corso dell’audizione si è prospettata un’incisiva azione di sostegno da parte del consiglio regionale affinché la giunta e le strutture tecniche amministrative regionali possano dare una concreta esecuzione agli accordi sottoscritti negli scorsi anni dal presidente della Regione Puglia. "Per far sì che il territorio possa essere in grado di far fronte all’emergenza carceraria - ha detto Nuzziello - è necessario indire un consiglio monotematico con gli attori-protagonisti (istituzioni, Comuni e imprese) dello scenario pugliese per favorire, ad esempio, un reinserimento sociale dei detenuti tramite l’espiazione della pena all’interno della comunità e, dunque, al di fuori delle carceri. È imprescindibile un coordinamento tra politiche attive nei settori dell’istruzione, formazione e rieducazione a garanzia dell’inclusione sociale, del sostegno lavorativo e dell’accoglienza abitativa. Non è possibile non considerare le cooperative e le associazioni del terzo settore affinché si possano individuare di interventi e priorità tali da realizzare misure alternative al carcere ed il reinserimento del reo all’interno della comunità territoriale di appartenenza. Un ultimo pensiero - conclude Nuzziello - lo rivolgo ai detenuti: viste le condizioni deplorevoli delle nostre carceri, la loro situazione non è degna di un paese civile". Firenze: progetto "Scarcerarci", a Sollicciano la musica dell’orchestra dei detenuti Redattore Sociale, 12 marzo 2014 Il progetto di Arci Firenze forma ogni anno 15 reclusi, maschi e femmine, italiani e stranieri, grazie al cantautore Massimo Altomare. Suonano soprattutto canzoni italiani, spesso arrangiate con musiche mediorientali. Suonano e superano ogni barriera. È come se la musica li facesse evadere dal carcere. Chitarre, pianoforti e violini per essere liberi. Loro sono i detenuti dell’Orkestra ristretta di Sollicciano, originale band musicale dell’istituto penitenziario fiorentino di Sollicciano messa in piedi da Massimo Altomare, il cantautore rock diventato famoso grazie al duo Loy e Altomare. Proprio lui, tutte le settimane varca i confini di Sollicciano e tiene lezioni musicali ai reclusi, maschi e femmine, italiani e stranieri. Il progetto "Scarcerarci" promosso a partire dagli anni Novanta dall’Arci di Firenze, è una delle storie dai circoli Arci che si riuniranno a Bologna per celebrare il XVI Congresso nazionale dal 13 al 16 marzo. Quasi nessuno dei detenuti coinvolti è esperto di musica, ma tutti si impegnano tenacemente per imparare a mettere insieme le note. Suonano soprattutto canzoni italiani, spesso arrangiate con musiche mediorientali vista la provenienza di molti reclusi. Nel 2011, in occasione del 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia, sono state composte le canzoni più importanti dell’ultimo secolo. Tutti gli anni l’Orkestra ristretta di Sollicciano tiene un concerto dentro le mura della casa circondariale a cui accorrono numerosi spettatori da tutta Firenze. E grazie alla musica, alcuni membri della band escono dal carcere e vanno a suonare nei circoli Arci del territorio o in altri luoghi culturali. Complessivamente, sono una quindicina le persone che fanno parte dell’Orkestra. Il progetto è realizzato in collaborazione con Comune e Provincia di Firenze. Non solo musica. Nell’ambito del progetto "Scarcerarci" è nata anche una squadra di calcio di detenuti che organizza partite amichevoli all’interno dell’istituto penitenziario, oltre che un laboratorio di scrittura creativa che ha dato vita ad alcuni libri. "È un progetto molto importante - ha commentato il neo presidente dell’Arci di Firenze Jacopo Forconi - soprattutto perché tenta di riportare i valori della solidarietà e della cultura dentro il carcere, tutti valori che aiutano a vivere meglio specialmente in un luogo dove la vivibilità è seriamente a rischio". Firenze: presentazione Progetto "Rugby in carcere: la meta è oltre" in sede della Regione Adnkronos, 12 marzo 2014 "Rugby in carcere: la meta è oltre". È questo il nome del progetto creato dal Csi, Centro Sportivo Italiano e dall’Opera Madonnina del Grappa con la collaborazione della Società Firenze Rugby 1931 e la Fir, Federazione Italiana Rugby, per avviare i detenuti del carcere di Sollicciano di Firenze alla pratica del rugby. Al progetto hanno dato il proprio patrocinio sia la Regione che il Comune di Firenze. L’iniziativa, che ricalca esperienze analoghe già avviate in altre strutture penitenziarie in Italia (in Toscana ci sono ad esempio Porto Azzurro e la Casa Circondariale La Dogaia di Prato), è stata presentata stamattina nel corso di una conferenza stampa organizzata a Palazzo Strozzi Sacrati a Firenze, sede della presidenza regionale. Oltre alla vicepresidente Stefania Saccardi sono intervenuti, tra gli altri, il presidente del Comitato Csi di Firenze Roberto Posarelli, il Consigliere nazionale Fir responsabile dei progetti su rugby e carcere Stefano Cantoni, il cappellano del carcere di Sollicciano Don Vincenzo Russo, il consigliere di Firenze Rugby 1931 Francesco Gramegna, il delegato provinciale per il Consiglio Nazionale Coni nonché presidente del Consiglio Comunale di Firenze Eugenio Giani ed il presidente di Laboratorio Sportivo Claudia Cavaliere. "Ho seguito passo passo questa bellissima esperienza - ha spiegato Stefania Saccardi - fin dal suo concepimento, quando ancora ero al Comune di Firenze. Adesso siamo quasi in dirittura d’arrivo e sono davvero orgogliosa di aver contribuito ad introdurre anche a Sollicciano la pratica di una disciplina come il rugby, una sorta di scuola di vita. L’importanza di questo sport infatti va ben oltre gli aspetti tipici legati alla pratica sportiva, come benessere e forma fisica. Oltre a consolida altri principi dello sport, come integrazione e condivisione, insegna soprattutto a privilegiare il valore del gruppo rispetto al singolo, sviluppa il senso del sacrificio in favore del risultato di squadra. Regole basilari nella vita - ha concluso la vicepresidente - ma che all’interno di una struttura come quella penitenziaria possono diventare preziosissime proprio in vista di un reinserimento sociale successivo". Firenze Rugby 1931 seguirà la parte tecnica mentre quella progettuale sarà affidata a Laboratorio Sportivo. L’attuazione di "Rugby in carcere: la meta è oltre" all’interno del carcere di Sollicciano avverrà secondo alcune tappe. La prima prevede l’organizzazione di una partita di rugby, tra due squadre di alto livello, all’interno della struttura penitenziaria, con l’obiettivo di presentare il progetto e suscitare curiosità ed interesse tra i detenuti. Successivamente, raccolte le adesioni, prenderanno il via gli allenamenti: la frequenza sarà stabilita in base alle regole organizzative di Sollicciano. Una volta che i detenuti avranno appreso le basi saranno organizzate partite esterne, con realtà toscane e fiorentine. Contemporaneamente i detenuti saranno coinvolti in attività collaterali, come proiezioni di film e visioni di partite importanti. Una costante attività di monitoraggio permetterà agli organizzatori di valutare l’efficacia del progetto ed i correttivi da apportare. Rilevante sarà anche la capacità di sviluppare relazioni e partnership con società fiorentine e toscane di rugby. Avellino: Sappe; detenuto aggredisce agenti con la gamba di un tavolino, quattro feriti Ristretti Orizzonti, 12 marzo 2014 "La situazione resta allarmante nelle nostre carceri. Domenica scorsa, un detenuto che era ricoverato presso il reparto infermeria dell’istituto del Tricolle, ha aggredito il Personale in servizio della Polizia Penitenziaria con un piede di tavolino che si era è procurato". Così esordisce il Segretario Sappe Donato Capece sulla violenza avvenuta nel carcere di Ariano Irpino. "Il Personale vittima dell’aggressione - prosegue - era intervenuto per sedare una lite tra il detenuto in questione ed un compagno di cella. Quattro agenti hanno dovuto far ricorso alle cure dei sanitari e sono stati refertati con prognosi varie per le lesioni ricevute. L’evento critico si ripete a distanza di poco tempo da altro analogo, ma ancora una volta bisogna registrare atti di violenza che vedono come vittima il Personale di Polizia Penitenziaria. Il Sappe esprime solidarietà al Personale coinvolto e augura una veloce ripresa e ritorno in servizio. Queste aggressioni sono intollerabili. Noi non siamo carne da macello ed anche la nostra pazienza ha un limite. La situazione, ad Ariano Irpino e nelle carceri italiane, resta grave: ma va detto che il Parlamento ignora colpevolmente il messaggio del Capo dello Stato dell’8 ottobre scorso, che chiedeva alle Camera riforme strutturali per il sistema penitenziario a fronte dell’endemica emergenza che tra l’altro determina difficili, pericolose e stressanti condizioni di lavoro per gli Agenti di Polizia Penitenziaria", prosegue il sindacalista dei Baschi Azzurri. "Addirittura il Capo del Dap Tamburino, che nostro malgrado è anche Capo della Polizia Penitenziaria, ha avuto l’ardire di sostenere che l’Italia non sarà in grado di adottare entro il prossimo maggio 2014 quegli interventi chiesti dall’Unione Europea per rendere più umane le condizioni detentive in Italia. E le aggressioni ai poliziotti sono all’ordine del giorno. Il nostro organico - conclude - è sotto di 7mila unità. La spending review e la Legge di Stabilità hanno cancellato le assunzioni, nonostante l’età media dei poliziotti si aggira sui 37 anni. Altissima, considerato il lavoro usurante che svolgiamo". Migliorano le condizioni dei 4 agenti feriti da un detenuto Sono migliorate le condizioni dei quattro agenti feriti dal detenuto con problemi psichiatrici presso il carcere di Ariano Irpino. Sulla vicenda, la Procura della Repubblica di Benevento ha aperto un fascicolo mentre, da parte del direttore della casa circondariale Gianfranco Marcello, è arrivata una "nota di compiacimento" per aver agito con coraggio e professionalità. Savona: sabato 22 marzo colletta di prodotti per l’igiene personale destinati ai detenuti www.savonanews.it, 12 marzo 2014 Al Centro commerciale "Il Gabbiano" colletta di prodotti per l’igiene personale e degli ambienti. Un sabato di solidarietà a favore dei detenuti del carcere Sant’Agostino di Savona: il 22 marzo presso il Centro commerciale "Il Gabbiano" si terrà una raccolta di prodotti per l’igiene personale e degli ambienti. L’iniziativa, che si inserisce nel progetto "Una mano amica...oltre le sbarre", è promossa dalla Caritas diocesana, dall’Azione Cattolica e dal Centro Sportivo italiano. La Caritas cerca volontari per la raccolta che verrà effettuata dalle 8 della mattina fino alle 21 di sera. Ad ogni volontario si chiede almeno la disponibilità di 2 ore: chi fosse disponibile può contattare il 3497120249. Brindisi: droga in carcere, tre persone arrestate, tra le quali agente Polizia penitenziaria Ansa, 12 marzo 2014 I carabinieri di Brindisi hanno eseguito stamani tre ordinanze di custodia cautelare in carcere a carico di altrettante persone, tra le quali un agente di polizia penitenziaria, accusate di aver introdotto in carcere sostanza stupefacente per i detenuti. La misura restrittiva è stata richiesta dal pm Milto Stefano De Nozza e disposta dal gip Maurizio Saso. Secondo l’accusa, la sostanza veniva introdotta nella casa circondariale di via Appia, a Brindisi, attraverso un giro articolato che ne consentiva la diffusione ai detenuti. Due delle persone raggiunte dal provvedimento restrittivo erano già recluse. L’accusa per tutti è di detenzione ai fini di spaccio di sostanza stupefacente, condotta aggravata dall’averlo fatto all’interno dell’istituto di pena. Gip: agente custodia agisce come criminale "Emerge il profilo di un appartenente alle forze di polizia che disonora la divisa che indossa, incapace a rappresentare lo Stato italiano per essere i suoi comportamenti tipici di un agire criminale". È quanto scrive il gip di Brindisi Maurizio Saso nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere chiesta dal pm Milto Stefano De Nozza, eseguita da carabinieri e polizia penitenziaria a carico di un agente in servizio al carcere di Brindisi, Salvatore Papadonno, di 48 anni, e di due pregiudicati brindisini, Vito Braccio, di 33, e Aldo Cigliola, di 42, tutti di Brindisi, accusati di aver rifornito alcuni detenuti di cocaina e hascisc. Le indagini - avviate dalle dichiarazioni di un detenuto - risalgono all’agosto del 2013 e si sono avvalse anche di intercettazioni telefoniche e ambientali. Tutti gli arrestati rispondono di detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti. I due pregiudicati - per l’accusa - hanno avuto il ruolo di procacciatori di droga, attività svolta mentre erano agli arresti domiciliari. Secondo quanto riportato nel provvedimento cautelare, l’agente di polizia penitenziaria sarebbe stato in grado anche di svelare le modalità di installazione da parte della procura di microspie all’interno della sala colloqui dell’istituto detentivo, oltre che di segnalare la loro entrata in funzione decisa dagli operatori di polizia giudiziaria nella sala intercettazioni di palazzo di giustizia. "Adesso si fa tutto direttamente in wireless", spiega l’uomo a un’altra persona in una conversazione captata nella sua automobile. Le forniture di droga, a quanto appurato, avvenivano su richiesta dei detenuti. Papadonno se ne occupava, secondo l’accusa, prevalentemente durante il turno notturno. Nell’inchiesta risultano coinvolte altre due persone: un minorenne e un uomo che fu arrestato in flagranza durante le indagini. Cinema: "Liberi di raccontare" web series su tiscali.it, episodi di vita nelle carceri italiane Ristretti Orizzonti, 12 marzo 2014 Tiscali, una delle principali società di telecomunicazioni indipendenti in Italia, sostiene il progetto "Liberi di Raccontare" che racconta sotto forma di web series episodi di vita nelle carceri italiane, con l’obiettivo di focalizzare l’attenzione sul punto di vista interno, attraverso i racconti diretti dei detenuti. Tiscali in questo modo partecipa attivamente all’iniziativa di Unione Camere Penali in collaborazione con Pmg Italia, dedicandole una pagina speciale nella sezione Sociale di Tiscali.it. Oltre ai video della web series, Tiscali propone uno speciale di approfondimento della serie Lilliput, dove saranno presenti contenuti legati alla situazione nelle carceri italiane, a cura delle redazioni regionali di Tiscali. Indirizzo: http://social.tiscali.it/webseries/Liberidiraccontare. Droghe: la svolta di Renzi che "apre" alla depenalizzazione di Stefano Allievi Messaggero Veneto, 12 marzo 2014 La scelta del governo Renzi di non impugnare la legge della regione Abruzzo sull’uso della cannabis per fini terapeutici (come aveva invece fatto il governo Monti con la precedente legge regionale del Veneto), costituisce - insieme alla recente sentenza della Consulta che ha dichiarato incostituzionale e annullato la legge Fini-Giovanardi, nella parte che equipara le droghe leggere alle droghe pesanti - una significativa rivoluzione culturale. Entrambi i provvedimenti vanno infatti nella direzione dell’apertura e della depenalizzazione. Della prima decisione beneficeranno i malati, soprattutto cronici, che non dovranno essere più costretti a imbarazzanti e costosi sotterfugi e a un’illiceità sostanziale. Della necessaria riforma che la Consulta impone, beneficeremo invece tutti quanti. La legge Fini-Giovanardi, infatti, ha avuto per effetto di criminalizzare un comportamento e una generazione, di fatto trasformando il possesso e lo spaccio di piccole quantità di droghe leggere a un crimine penale grave, che ha portato in carcere decine di migliaia di giovani, rovinandoli assai più di quanto avrebbe potuto fare la droga stessa, intasando i tribunali di processi inutili, e occupando una percentuale cospicua di posti nelle carceri, rendendole invivibili e portando l’Italia sul banco degli imputati della Corte Europea, al prezzo di costose sanzioni e di un’inciviltà giuridica sostanziale. Non c’è dubbio che il consumo di droghe, leggere o pesanti che siano, sia un comportamento da combattere. Le dipendenze, tutte, incluse quelle legali - dal tabacco, all’alcol al gioco d’azzardo, che hanno spesso costi ed effetti più gravi, anche se non sono considerate reato e producono buoni ritorni nelle casse dello stato, sono moralmente problematiche e socialmente costose. Ma non c’è dubbio nemmeno che punire chi spaccia marijuana o hashish con una pena da sei a venti anni sia un’offesa al buon senso prima ancora che alla giustizia. Si calcolano intorno ai diecimila i detenuti che potrebbero beneficiare della distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti, nel senso indicato dalla Corte: un provvedimento che, da solo, svuoterebbe le carceri più di qualunque indulto, e con maggiore sensatezza, visto che il 40% dei detenuti e la metà degli stranieri sono in carcere per reati legati alla droga, e oltre il 20% dei detenuti è tossicodipendente, e potrebbe verosimilmente curarsi meglio altrove. La Fini-Giovanardi, del resto, approvata nel 2006, andava in controtendenza con le riflessioni avviate a livello di Nazioni Unite, sull’inefficacia delle politiche di mera repressione, e con le legislazioni introdotte da vari paesi: indirizzatesi verso una depenalizzazione sostanziale di quanto gira intorno al consumo di droghe leggere, e sperimentando talvolta forme di legalizzazione. Si rende quindi necessario un ripensamento della normativa, e più in generale delle politiche sulle droghe, della penalizzazione e della detenzione come rimedio ai danni che provocano, sia in termini di efficacia individuale e sociale, che come strumento di lotta al crimine organizzato: coinvolgendo la pubblica opinione, poiché è un tema molto sentito dagli individui e dalle famiglie, prima ancora che dalle istituzioni. In maniera laica, senza crociate culturali, nell’uno e nell’altro senso: pensando a un’idea alta di giustizia, e anche di società, di comportamenti accettabili o meno. Non si può tuttavia evitare un bilancio dell’attuale impianto legislativo e culturale, pesato su troppi ragazzi: minacciati gravemente per un "reato senza vittime" che nella consapevolezza dei più è inesistente, sottoposti talvolta all’inutile pesantezza della legge e dei suoi esecutori (che avrebbero potuto essere impiegati più utilmente in altro modo, con maggiore beneficio per la sicurezza pubblica), troppo spesso finiti in carcere, e qualche volta finiti peggio, per un comportamento deviante certamente minore (in un paese che legalizza l’azzardo e penalizza molto meno tutti i reati fiscali, ad esempio), producendo una visione iniqua della giustizia, e il sospetto gravissimo di adottare, in materia penale, due pesi e due misure. Partire dall’uso della cannabis per fini terapeutici può essere un modo soft di aprire un dibattito non più procrastinabile. Droghe: "stanze da iniezione" a Milano, la Mozione in Comune depositata dai Radicali Adnkronos, 12 marzo 2014 Creare a Milano le cosiddette "stanze del buco". Una mozione per l’istituzione di "Stanze salvavita da iniezione, per un servizio di riduzione dei danni sanitari e sociali legati al consumo di stupefacenti", è stata depositata questa mattina in Consiglio comunale, a prima firma Marco Cappato (Radicali) e sottoscritta da Luca Gibillini e Mirko Mazzali (Sel) e Rosaria Iardino (Pd). "La mozione riprende il testo della proposta di iniziativa popolare sottoscritta da oltre 5.000 cittadini, che era stata bloccata dai Garanti del Comune - precisa Cappato - e rende esplicita la esclusione di fatti costituenti reato, rispetto a una normativa ora modificata dalla sentenza della Corte costituzionale che ha bocciato la legge Fini-Giovanardi. Nel momento in cui diversi indicatori fanno prevedere un ritorno del consumo di eroina, Milano deve guardare alle migliori esperienze europee che hanno rimosso i pregiudizi ideologici alla riduzione dei danni sanitari del consumo di droghe". 3 sale entro 6 mesi, vantaggi sia per consumatori che per altri cittadini Nel dettaglio, spiegano i Radicali, la mozione impegna la Giunta comunale di Milano a disporre con appositi provvedimenti "l’istituzione nell’ambito urbano di Milano del pubblico servizio di assistenza all’assunzione di sostanze stupefacenti attraverso la predisposizione di apposite sale", la cui responsabilità è affidata al Servizio dipendenze del Comune di Milano che potrà gestirle con l’ausilio di associazioni di volontariato o organizzazioni non lucrative di utilità sociale operanti sul territorio, selezionate mediante procedura di evidenza pubblica, senza oneri di gestione per il Comune; l’apertura di 3 "stanze da iniezione" a Milano, da rendere operative entro 6 mesi" dall’ok alla delibera, "da individuarsi nel patrimonio comunale disponibile e inutilizzato"; l’elaborazione, "se del caso d’intesa con la Asl competente per territorio", di "un disciplinare di utilizzo delle strutture in conformità alle attribuzioni comunali risultanti dalle vigenti normative". Per sale da iniezione, si spiega nel testo della mozione, si intendono "luoghi protetti e igienicamente garantiti, per l’assunzione di sostanze psicoattive che il cittadino consumatore si procura all’esterno e che assume all’interno della struttura con l’assistenza di personale professionale formato allo scopo". Istituendole si eviterebbero "danni e rischi" del consumo in strada sia per gli utilizzatori delle droghe (stress psicologico, malori, infezioni e sovradosaggio legati all’assenza di una "rete di protezione sanitaria"), sia per gli altri cittadini che potrebbero essere coinvolti nella "scena della droga" e "subire le conseguenze dell’abbandono in strada di siringhe infette e altro materiale utilizzato per il consumo di droghe illegali". Esperienze analoghe all’estero, evidenziano i firmatari, "hanno consentito ai consumatori più problematici di entrare in contatto con i servizi per le tossicodipendenze, anche ai fini di un trattamento di disintossicazione e reinserimento". Stati Uniti: detenuti immigrati in sciopero della fame, chiedono stop ai rimpatri forzati Ansa, 12 marzo 2014 Protesta nelle carceri americane: gli immigrati detenuti sono infatti in sciopero della fame per protestare contro le deportazioni dei clandestini entrati irregolarmente negli Stati Uniti. In particolare, la protesta più clamorosa contro i rimpatri forzati è stata messa in atto in una prigione dello Stato di Washington. Non è la prima volta che gli immigrati illegali decidono di rifiutare il cibo per fermare la procedura. Lo scorso mese è successo a Phoenix, in Arizona, mentre l’anno scorso la protesta è andata avanti per due mesi. Durante la presidenza Obama le deportazioni hanno raggiunto il record storico, quasi due milioni. Alcuni deputati - secondo quanto scrive il quotidiano The Hill - hanno persino definito il presidente "Deporter in Chief", in contraddizione con la sua immagine di paladino di una riforma dell’immigrazione. I detenuti in sciopero della fame chiedono anche un miglior trattamento, miglior cibo e l’aumento di un dollaro al giorno per i lavori che svolgono in prigione. Stati Uniti: 64enne riconosciuto innocente dopo più di 25 anni nel "braccio della morte" Adnkronos, 12 marzo 2014 Un uomo è stato liberato dal carcere in Louisiana dopo aver trascorso più di 25 anni nel braccio della morte, anche se era innocente. Glenn Ford, 64 anni, era in carcere fin dal 1983, e dal 1988 era nel braccio della morte, con l’accusa di aver ucciso Isadore Rozeman, un gioielliere presso cui lavorava occasionalmente. "La mia mente vaga in tutte le direzioni, ma mi sento bene", ha detto Ford ai media americani, aggiungendo di avere però del risentimento per i 30 anni di vita che gli sono stati rubati, per non aver potuto vedere crescere il figlio. Ford si è sempre detto innocente, ma è solo lunedì che il giudice distrettuale Ramona Emanuel ha cassato la sua condanna sulla base di nuove prove della sua assenza dal luogo del delitto quando fu ucciso Rozeman. Anche la famiglia della vittima ha accolto favorevolmente il rilascio di Ford. Ford, che è nero, è stato condannato da una giuria di bianchi malgrado l’arma del delitto non sia mai stata trovata e non vi fossero testimoni oculari dell’assassinio. Ford era stato inizialmente accusato da una donna che aveva poi ritrattato. Stati Uniti: libertà per Leonard Peltier… da 38 anni nelle carceri di massima sicurezza di Andrea De Lotto www.reset-italia.net, 12 marzo 2014 Leonard Peltier è un nativo americano in carcere da 38 anni per difendere i diritti del suo popolo. Nasce nel 1944 e già dalla sua infanzia capisce che la vita per i nativi d’America è dura, tra miseria, razzismo, emarginazione. Cresce anche in un istituto dove conosce la prima "istituzione totale", ma ha un buon carattere e la sua gioventù è carica di socialità, mentre impara a riparare vecchie automobili. Ma sono gli anni in cui la comunità indiana comincia ad alzare la testa e si organizza. Nasce l’Aim, American Indian Movement, di cui dopo poco Peltier entra a far parte. Nel 1973 oltre trecento indiani d’America tengono testa agli uomini del governo, che per scacciare i Lakota dal loro territorio, si erano alleati con il capo di un’altra tribù, Dick Wilson, che con una sorta di polizia privata mieteva terrore nella comunità indigena con pestaggi ed omicidi. Lo stesso Wilson stava trattando in gran segreto la vendita di parte delle terre della riserva dei Lakota Oglala di Pine Ridge, nel sud Dakota, agli Stati Uniti. Consapevole della fierezza e dell’ostinazione delle popolazione native, il governo statunitense cerca in tutti i modi di cacciare i Lakota dal loro territorio per impossessarsi dei loro giacimenti. È un periodo durissimo, per due anni quella regione vede una presenza spropositata di agenti dell’Fbi, e i morti tra i nativi sono almeno 60. Nel giugno del 1975 dalla comunità di Oglala viene lanciato un appello all’Aim perché qualcuno vada ad aiutarli, la tensione è altissima. Arrivano 17 membri del AIM, di questi solo 6 sono uomini, tra loro c’è Leonard Peltier. Il 26 Giungo 1975 nei pressi della comunità indiana si presentano in auto, senza alcun segno di riconoscimento, due agenti dell’Fbi: la scusa è la ricerca di un uomo che ha rubato degli stivali. È probabilmente una trappola, tanto che nel giro di poco tempo si scatena una sparatoria tremenda con centinaia di agenti e militari. Gli Oglala Lakota si difendono, rispondono al fuoco e alla fine sul terreno restano tre corpi: due agenti dell’FBI e un indigeno. Tutta la comunità riesce a scappare e a nascondersi, si scatena una caccia all’uomo di dimensioni impressionanti. Per l’indiano americano morto non fu aperta alcuna indagine, mentre per i due agenti vennero imputate tre persone. I primi due arrestati vengono processati ed assolti sulla base della legittima difesa, rimane il terzo accusato, Leonard Peltier, il quale nel frattempo è scappato in Canada. Su di lui si riversa tutta la rabbia dell’Fbi, è il capo espiatorio. Viene arrestato in Canada il 6 Febbraio 1976 e dopo pochi mesi estradato sulla base di false testimonianze, tanto che successivamente il governo canadese protesterà per i modi in cui si ottenne l’estradizione. Ma oramai Leonard Peltier è nelle mani dei coloro che vogliono letteralmente vendicare i due agenti morti. Questa volta il processo viene organizzato diversamente: si svolge nella città di Fargo, storicamente anti-indiana, la giuria è formata da soli bianchi e il giudice è noto per il suo razzismo. Il processo prende ben altra piega e Peltier viene condannato a due ergastoli consecutivi. Durante il processo non si tiene conto delle prove a suo favore, ma solo di testimonianze manipolate, vaghe e contraddittorie. Dopo cinque anni, accurati esami balistici riuscono a provare che i proiettili che uccisero i due agenti non appartenevano all’arma di Leonard, e alcuni dei testimoni che lo avevano accusato ritirano le loro dichiarazioni, confessando di essere stati minacciati dall’Fbi. A Leonard è stata negata la possibilità di avere una revisione del processo, nonostante le prove che dimostrano la sua innocenza. Non gli è stato nemmeno permesso di presenziare ai funerali di suo padre, di sua madre, dei suoi zii. Per almeno due volte si è cercato di ucciderlo in carcere, mentre le sue condizioni di salute sono difficili. Operato ad una mascella solo grazie alle pressioni popolari, quasi cieco da un occhio, malato di diabete e di prostata, ma Leonard Peltier resiste e non rinnega nulla della sua lotta. A settembre Leonard compirà 70 anni. Mentre tu stai leggendo Peltier è ancora in prigione. Fino a quando? Leonard Peltier è in carcere perché lottava per i diritti del suo popolo e la sua storia è un esempio delle tante ingiustizie che avvengono in ogni parte del mondo e che vengono taciute perché "scomode". Peltier in Italia è praticamente sconosciuto, la sua storia non riempie le pagine dei giornali. Eppure è una storia che merita attenzione, perché ci parla dell’apartheid oggi, che non si esprime più nelle forme feroci che si sono vissute in Sudafrica, ma che continua ad esistere anche nei paesi cosiddetti civili. L’apartheid non è soltanto brutale e gratuita violenza verso chi ha la pelle di diverso colore. Oggi è diventato qualcosa di più morbido e subdolo ma, proprio per questo, è estremamente pericoloso. In passato ci sono state numerose campagne nazionali e internazionali per la sua liberazione. Si sono espressi Nelson Mandela, Desmod Tutu, il Dalai Lama, madre Teresa di Calcutta, Rigoberta Menchù, Michail Gorbaciov, ma anche musicisti come Sting, Paul Mc Cartey, Madonna. Quando Bill Clinton stava per firmare la sua liberazione, vi fu una manifestazione di 500 agenti dell’FBI. Clinton non firmò. Ora è la volta di Obama, una sua firma è la sola soluzione, diversamente Leonard Peltier potrà uscire solo oltre i 90 anni. Per questo il 26 Marzo a Bruxelles si manifesterà in occasione della visita di Obama, e lo stesso faremo il giorno dopo, il 27 Marzo a Roma, per chiunque volesse avere maggiori informazioni, può scrivere a bigoni.gastone@gmail.com. Dice Leonard Peltier: "la mia colpa è essere indiano, e la tua?". Sud Sudan: per i detenuti politici a Giuba si prospetta la pena di morte Nova, 12 marzo 2014 È iniziato ieri a Giuba, capitale del Sud Sudan, il processo ai detenuti politici che si trovano nelle carceri del paese, la cui liberazione era alla base del fallito golpe eseguito lo scorso dicembre da parte dell’ex vice presidente Raiek Machar. Nel corso della prima udienza sono stati letti i capi di imputazione per i detenuti politici che vanno dal tentato golpe all’eversione nei confronti del presidente eletto Salva Kiir e prevedono tutti la pena capitale. Tra gli imputati erano presenti in aula l’ex segretario del partito Movimento popolare per la Liberazione del Sudan, Bakan Amum; l’ex vice ministro della Difesa Majad Di Akut e l’ex ministro per la Sicurezza generale Auia Dik Ajak. Brasile: mini-elicottero usato per trasportare cocaina nel carcere di Sao Josè dos Campos Ansa, 12 marzo 2014 L’ingegnoso sistema è stato scoperto dalle guardie, attirate dal mini velivolo. Come un drone della droga, così veniva utilizzato un mini elicottero che riforniva di cocaina in carcere un gruppo di detenuti. Il sistema particolarmente ingegnoso era stato messo a punto nel Centro di detenzione provvisoria (Cdp) di Sao Josè dos Campos, a 120 km dalla megalopoli di San Paolo. Il piccolo aeromobile, pilotato da lontano è riuscito a paracadutare 250 grammi di cocaina in un’ala della casa di pena. L’operazione però è fallita perché gli agenti penitenziari si sono accorti del mini velivolo e hanno poi sequestrato la sostanza stupefacente nel frattempo raccolta dai reclusi.