Giustizia: la vicinanza della pena al delitto, per Beccaria un caposaldo, per noi pura utopia di Valter Vecellio Il Garantista, 27 luglio 2014 Non c’è solo il rifiuto della pena di morte e l’avversione alla tortura, nel celebre dei Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria. C’è anche la precisa definizione di quello che deve essere la pena, la sanzione, che deve possedere alcuni requisiti: a) la prontezza ovvero la vicinanza temporale della pena al delitto; b) l’infallibilità ovvero vi deve essere la certezza della risposta sanzionatoria da parte delle autorità; c) la proporzionalità con il reato (difficile da realizzare ma auspicabile); d) la pubblica esemplarità: destinataria della sanzione è la collettività, che constata la non convenienza all’infrazione. In breve: il fine della sanzione non è quello di affliggere, piuttosto di impedire al reo di compiere altri delitti e di intimidire gli altri dal compierne altri. A 250 anni esatti dalla prima pubblicazione, a Livorno, dei Delitti e delle pene, non si può proprio dire che si sia fatto tesoro di quegli "ammonimenti". Un primo esempio ci viene dal racconto di un magistrato da sempre schierato e impegnato sul fronte progressista, Giovanni Palombarini: "Pare proprio che sia impossibile per l’Italia adeguarsi ai principi europei (e della civiltà) in materia di trattamento da riservare alle persone arrestate o fermate dalla polizia. Ci sono anche le sentenze delle Corti internazionali a ricordarci la situazione". "Nel giro di una settimana - continua - infatti, l’Italia ha riportato due condanne dinanzi alla Corte europea dei diritti umani, una per i maltrattamenti inflitti dalle forze dell’ordine a una persona in stato di arresto (sentenza 24 giugno 2014, Alberti contro Italia), e un’altra, otto giorni dopo, per i maltrattamenti a molti detenuti nel carcere di Sassari (sentenza Saba contro Italia)", Non si tratta, spiega, di sentenze che stabiliscono nuovi principi di diritto: entrambe, costituiscono semplici conferme della giurisprudenza della Corte di Strasburgo in materia di divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti (articolo 3 della Convenzione). Sentenze che meritano attenzione: ricordano, una volta ancora, che in Italia le violenze fisiche e morali perpetrate dalle forze dell’ordine sulle persone in stato di privazione della libertà personale rimangono prive di adeguate sanzioni, Al riguardo il caso Saba, è esemplare: "I fatti risalgono all’aprile del 2000, quando alcuni detenuti del carcere di Sassari denunciarono le violenze di ogni genere subite da parte della polizia penitenziaria in occasione di una perquisizione della struttura (agenti di altri stabilimenti vennero inviati a Sassari per rafforzare la guarnigione locale)". Non mancano i tentativi di insabbiare e minimizzare, ma grazie a un magistrato ostinato, il pm Mariano Brianda, le indagini vanno avanti, e alla fine arriva la richiesta di rinvio a giudizio per novanta persone tra agenti ed altri membri dell’amministrazione penitenziaria; l’ipotesi di reato è di violenza privata, lesioni personali aggravate, abuso d’ufficio, commessi nei confronti di un centinaio di detenuti. E qui comincia un avvilente carnevale: 61 imputati scelgono il rito abbreviato, in 12 vengono condannati, da quattro mesi a un anno e mezzo di reclusione, condanne sospese. In appello le condanne definitive diventano solo nove. E veniamo agli altri 29 imputati: nove sono rinviati a giudizio, per venti la sentenza è di non luogo a procedere. Nel corso dei processi si accerta che si sono verificati episodi di violenza inumana e gratuita, detenuti costretti a denudarsi, insultati, minacciati e picchiati, Ma il tribunale comunque proscioglie tutti gli imputati: due per carenza di prove, gli altri per sopravvenuta prescrizione. Le misure disciplinari che seguono le condanne sono altrettanto simboliche. Ciò induce a pensare, ne ricava Palombarini, che in molti ambienti siano forti i sentimenti di solidarietà verso coloro che violano le regole a danno delle persone detenute: "Infatti sono trascorsi più di dieci armi dai fatti di Sassari, ma la situazione, anche normativa, non si è modificata". Altro caso significativo: devono rispondere di sequestro di persona a scopo d’estorsione e rapina. È il 15 gennaio del 2000 quando nel carcere di Panna scoppia una rivolta, e un agente viene rinchiuso in una cella per ore; poi la resa, dopo una lunga trattativa. Dopo sei interminabili ore l’allora procuratore Giovanni Panebianco annuncia: "Abbiamo accolto le loro richieste dì trasferimento". Ora, a quattordici anni di distanza, quella rivolta entra in un’aula di giustizia, Il procedimento, dopo essere rimasto a Parma per alcuni anni, è stato trasferito alla Dda di Bologna. Se ne parlerà il 30 settembre prossimo in Corte d’assise. Il rinvio a giudizio del gup Bruno Gian-giacomo risale al giugno 2013, e la prima udienza era stata fissata per lo scorso gennaio, ma problemi di notifiche agli imputati hanno fatto slittare ulteriormente il "vero" inizio del processo al prossimo autunno. Per riassumere: una rivolta in carcere, sei ore di grande tensione, una trattativa che alla fine scongiura un epilogo che poteva essere tragico, la resa e il ritorno alla "normalità". Quattordici anni dopo, il processo. Neppure concluso: inizia. Con tanti saluti a Cesare Beccaria, al suo Dei delitti e delle pene, alla certezza della sanzione e del diritto. Ed è pur significativo che a opporsi a questo stato di cose siano solo Marco Pannella, Rita Bernardini e un pugno di radicali da giorni in digiuno per ottenere che lo Stato rispetti quelle leggi che si è dato ed esca finalmente dalla situazione tecnica di criminalità organizzata in cui è sprofondato. Giustizia: il Magistrato di Sorveglianza? nessuno l’ha visto, prima va in ferie, poi in pensione di Micol Ranieri Il Garantista, 27 luglio 2014 Mentre si scaricano sui magistrati di Sorveglianza e sui loro uffici ulteriori compiti ai quali adempiere - vedi il decreto leggi sulle carceri in fase di conversione - e mentre da anni i tribunali di Sorveglianza non riescono a seguire nemmeno l’ordinaria amministrazione, quanto accade all’ufficio di Modena ha dell’incredibile. A denunciarlo è Rita Bernardini, "grazie alla testimonianza di una donna che da tempo sta cercando di interloquire con il magistrato, stressata da telefoni che non rispondono, uffici che non chiariscono e che rimandano sine die gli adempimenti che competono loro per legge". "Da tempo - fa sapere Bernardini - a Modena non c’è il magistrato di Sorveglianza che ha la competenza anche degli internati di Castelfranco Emilia. Questo significa che delle istanze dei detenuti nei due istituti nessuno si occupa: niente permessi, niente licenze, niente ingressi nelle comunità terapeutiche, solo per fare qualche esempio". Dall’ufficio di Sorveglianza, dopo svariate sollecitazioni, rispondono alla signora che "neanche loro sanno quando arriverà da Roma il sostituto e che è tutto fermo fino al suo arrivo". "Decisa a non mollare - racconta ancora la segretaria di Radicali Italiani - la signora telefona al ministero, dove le consigliano di telefonare al Csm. Riesce a parlare Con la sezione Settima dove le riferiscono che a loro risulta che il magistrato ha già preso l’incarico e che si tratta di Sebastiano Bongiorno. Forte di questa notizia, la signora ritelefona all’ufficio di Modena dove finalmente le dicono che effettivamente il magistrato ha preso l’incarico... ma è andato in ferie e, comunque, anche dopo le ferie non rientrerà perché... andrà in pensione! Constato, attraverso una ricerchina fatta al volo su internet, che in effetti il dottor Bongiorno (magistrato e politico eletto nel 1994 nella lista dei Progressisti) ha assunto servizio l’8 luglio scorso e che la decisione del Csm risale al 19 febbraio. Faceva parte della vasta schiera di magistrati fuori ruolo presso il ministero della Giustizia (Dap): la pacchia pertanto avrebbe dovuto finire, ma Bongiorno, come abbiamo visto, ha trovato un’alternativa. Dal canto suo, il magistrato di Reggio Emilia, che in teoria sostituisce quello di Modena, non firma le licenze, quindi il risultato è che tutti i semiliberi che regolarmente usufruiscono di licenze, proprio nei mesi più caldi di luglio, agosto e settembre, non avranno la possibilità di esercitare un loro diritto. In molti avevano già prenotato le ferie per andare nei loro paesi di origine a trovare i genitori, che a loro volta aspettavano da tutto l’anno questo momento. Di fronte a questa situazione - conclude Bernardini -il ministero della Giustizia tace, così come tacciono al Csm e la procura generale della Corte di Cassazione: è estate, i magistrati vanno in ferie e quanto prescritto dalla legge può attendere, in un Paese pluricondannato per violazione dei diritti umani fondamentali". Giustizia: Sidipe; no chiusura provveditorati, situazione a rischio soprattutto in Calabria Ansa, 27 luglio 2014 "Il Gabinetto del Ministro della Giustizia Orlando ha inviato a titolo di informativa ai sindacati uno schema di decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri su ‘Regolamento di organizzazione del Ministero della Giustizia e riduzione degli Uffici dirigenziali e delle dotazioni organiche del Ministero della Giustizià. Il provvedimento in questione sopprime ben 5 Provveditorati Regionali dell’Amministrazione Penitenziaria (Basilicata, Calabria, Liguria, Marche, Umbria) che sono organi di coordinamento, indirizzo e controllo degli istituti penitenziari e degli uffici di esecuzione penale esterna, oltre che organi di raccordo con il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e di prossimità con le realtà territoriali, per le interrelazioni indispensabili sul territorio regionale con le altre istituzioni". È quanto segnala con preoccupazione in una nota Rosario Tortorella, segretario nazionale del Si.Di.Pe, il Sindacato Direttori Penitenziari. In particolare "il provvedimento in questione sopprime il Provveditorato Regionale dell’Amministrazione penitenziaria per la Calabria, con sede a Catanzaro, e lo accorpa, insieme a quello della Basilicata, al Provveditorato della Puglia, con sede a Bari". Una decisione a rischio, secondo il sindacato, in un territorio segnato dalla ‘ndrangheta. "Il Si.Di.Pe. ha già denunciato che qualora ciò accadesse - sottolinea Tortorella - sarebbe davvero di una gravità inaudita perché verrebbe meno un importante presidio dello Stato in una regione già afflitta da profonde piaghe e, prima tra tutte, quella della criminalità organizzata". Lettere: noi, pericolosi delinquenti che piantiamo cannabis di Laura Arconti (Presidente dei Radicali Italiani) Il Garantista, 27 luglio 2014 Il caldo pomeriggio di una estate ancora incerta e stenta, a Roma: il 25 luglio 2014, Questa data evoca molti ricordi in due delle persone presenti sul terrazzo assolato, ma fresco di folate di vento: le due persone più anziane se lo ricordano bene, quel 25 luglio 1943, in cui l’approvazione dell’Ordine del giorno Grandi segnò la fine del ventennio fascista, Quelle tre persone, due decisamente vecchie ed una molto più giovane, sono forse qui riunite per scambiarsi ricordi storici, sorseggiando tè freddo ed acqua minerale? No, si sono riunite con uno scopo più preciso e più concreto: stiamo per commettere un reato, e lo commetteranno insieme, tre complici, in associazione di intenti e di gesti. Queste persone stanno ben attente a non farsi scorgere, al di là della protezione laterale del terrazzo, mentre commettono il reato? No, affatto, perché hanno chiamato un cineoperatore, che sta riprendendo tutta la scena, a microfono aperto: registrazione audio-video. In quel terrazzo di una residenza romana immersa nel verde dei pini marittimi, la premiata ditta Bernardini, Arconti, Pennella, Associati per delinquere, produttori di disobbedienza civile, violazione di leggi ingiuste, pratiche nonviolente in genere, sta dando inizio alla terza disobbedienza radicale di semina e coltivazione di Cannabis indica (la cara vecchia marijuana). In Italia esiste una legge che consente ai malati l’uso di cannabis terapeutica: le Asl regionali importano il farmaco dall’Olanda e lo pagano al prezzo astronomico di 35 euro al grammo (il dosaggio medio prescritto ai, malati di Sla, di Aids, ed ai portatori di spasticità muscolari è di due grammi al giorno) e allo stato attuale solo una sessantina di malati, in Italia, sono riusciti ad ottenere questa terapia, Viene spontaneo formulare un semplice pensiero; conviene dunque coltivare in casa la cannabis necessaria al proprio uso terapeutico, Ebbene, durante gli otto anni in cui è stata in vigore la legge Fini Giovanardi (oggi dichiarata incostituzionale dalla Suprema Corte) chi ha deciso di coltivare qualche piantina ha violato la legge né più né meno come chi ha venduto cannabis ad altri o addirittura ha spacciato eroina, In base a questa legge Aldo Bianzino - un falegname di 44 anni che coltivava cannabis nell’orto della sua casa di campagna -fu arrestato, ristretto in cella di isolamento, e pochi giorni dopo morì per una improvvisa malattia cardiaca non meglio precisata, La legge Fini-Giovanardi, questo monstrum criminogeno che si offre alle più varie interpretazioni giuridiche, è stata dichiarata illegittima ed anticostituzionale dalla Suprema Corte, ma migliaia di persone - molte giovanissime - restano "al gabbio" perché la loro liberazione deve essere sancita, caso per caso, da giudici già oberati di un impressionante accumulo di arretrati. Ecco perché Rita Bernardini (segretaria nazionale del movimento Radicali Italiani) e Laura Arconti (presidente dello stesso movimento) in compagnia ed in concorso di colpa con Marco Pannella (presidente del Senato del partito Radicale nonviolento transnazionale e transpartito) oggi hanno piantato in diciotto vasi allo scopo predisposti altrettanti semi di cannabis della varietà terapeutica. Quando sarà pronto per l’uso terapeutico, il raccolto sarà regalato ai malati del Cannabis social club pugliese "La piantiamo". E se gli amici del club "La piantiamo" avranno già risolto il loro problema grazie alla legge regionale che con il loro diuturno lavoro sono riusciti ad ottenere, il nostro raccolto sarà offerto ai malati che ce ne richiederanno le dosi con ricetta medica, da tutta Italia. La nostra coltivazione senza autorizzazione del ministero della Salute, punibile tuttora per Legge, sarà puntualmente documentata con fotografie e riprese video, man mano che le piante cresceranno. I tre "pericolosi delinquenti" sperano che la magistratura mandi la forza pubblica ad arrestarli, in modo che i mass media se ne accorgano e l’opinione pubblica ne sia informata. Rita Bernardini ha già tentato di farsi arrestare con le due precedenti coltivazioni, ma si è preferito fingere di ignorare il reato per non dar spazio all’azione non violenta radicale. Questa volta siamo in tre, abbiamo commesso il reato in associazione, e ci siamo associati col preciso intento di commettere il reato, violando una legge incostituzionale: ci auto-denunciamo. E se non si procederà contro di noi, denunceremo chi di dovere per omissione di atti dovuti. È la legge, signori miei. Lettere: ingiusta detenzione… voglio dieci milioni di euro per i sei anni di carcere Il Centro, 27 luglio 2014 Giulio Petrilli, che è stato sottoposto ad anni di carcere per poi essere assolto, e mai risarcito per l’ingiusta detenzione, ha scritto una lettera al presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi. "Gentile presidente Renzi", scrive, "visto che la legge attuale sulla responsabilità civile dei magistrati prevede di inoltrare il ricorso e anche il risarcimento al presidente del consiglio dei ministri, le inoltro la richiesta di risarcimento danni, quantificabile in dieci milioni di euro, per l’errore giudiziario commesso dal procuratore del tribunale di Milano e la Corte dello stesso tribunale che mi condannò in primo grado. Da anni mi batto per avere giustizia sulla mia vicenda giudiziaria. Una vicenda che mi vide arrestato nel 1980 con l’accusa di partecipazione a banda armata (Prima Linea) e rilasciato nel 1986, dopo l’assoluzione in giudizio d’appello presso il tribunale di Milano. Uscii innocente dopo cinque anni e otto mesi di carcere, da un’accusa di banda armata, che prevedeva anche la detenzione nelle carceri speciali e sotto regime articolo 90, più duro dell’attuale 41 bis. Anni d’isolamento totale, blindati dentro celle casseforti insonorizzate, senza più poter scrivere, leggere libri, anche quelli per gli studi universitari, qualche ora di tv ma solo primo e secondo canale. Sempre, sempre soli, con un’ora d’aria al giorno, in passeggi piccoli e con le grate. Un’ora di colloquio al mese, con i parenti, ma con i vetri divisori. Dodici carceri ho attraversato in questi sei lunghi anni. Ebbi la sentenza di assoluzione dalla Cassazione nel 1989". Sono consapevole", conclude, "che il ricorso andava presentato entro 3 anni dalla sentenza di assoluzione definitiva, ma dopo il carcere le mie condizioni psicofisiche non mi consentirono di farlo". Padova: aperta un’inchiesta sul detenuto che si è impiccato dopo l’interrogatorio del pm di Carlo Bellotto Il Mattino di Padova, 27 luglio 2014 Il pubblico ministero Giorgio Falcone ha aperto un’inchiesta in merito alla morte di Pucci: vuole accertare se c’è qualche responsabilità all’interno del penitenziario. L’interrogatorio si era svolto in una saletta del carcere giovedì pomeriggio: un faccia a faccia tra il sostituto procuratore Sergio Dini e Giovanni Pucci che era assistito dall’avvocato Paola Menaldo. L’uomo era indagato per corruzione e spaccio nell’inchiesta di un paio di settimane fa che aveva messo nei guai parecchi agenti di polizia penitenziaria. Il suo ruolo preciso era ancora da definire, ma pare che il magistrato gli avesse chiesto conto di quanto era emerso dalle indagini. Ossia che lui, portando in giro il cibo agli altri detenuti, facesse arrivare anche altra merce, come telefonini e droga. Pucci era parso molto agitato per questa inchiesta, anche se a fine dell’interrogatorio, durato all’incirca un’ora e mezza, era parso più sereno. Forse aveva paura di ritorsioni, aveva paura di raccontare alcune cose considerato che al Due Palazzi doveva rimanerci fino al 2024 ed era detenuto dal 1999. Evidentemente Giovanni Pucci si era prestato a fare da postino per conto di alcune guardie e ora aveva paura che le sue affermazioni potessero mettere ulteriormente nei guai alcune delle guardie con le quali aveva a che fare giornalmente in quella vita ristretta. Che però lo vedeva vivere, almeno di recente in una cella singola, una sistemazione agiata rispetto ad altri detenuti. Sapeva che al detenuto che veniva indagato per altri fatti commessi all’interno del penitenziario potevano venir sospesi i permessi dei quali godeva. Anche questo può essere un particolare che può aver pesato nella scelta di farla finita, anche se già una decina di giorni fa, il magistrato di sorveglianza gli aveva sospeso il permesso di lavoro esterno dopo che Pucci era già stato sentito dalla Procura nell’ambito dell’inchiesta su un presunto giro di droga nel carcere. Pucci non era il solo detenuto che in questi giorni era stato interrogato nell’inchiesta che vedeva il capofila, l’agente Pietro Rega, organizzare un servizio a pagamento per portare droga e non solo ai detenuti. Padova: inchiesta su favori e droghe ai detenuti; scarcerato l’avvocato, indizi non gravi Il Mattino di Padova, 27 luglio 2014 È tornata libera l’avvocato di Porto Viro Michela Marangon, che era agli arresti domiciliari per corruzione, ed è stato scarcerato anche il marocchino Mohamed Es Soukti, mentre l’assistente della Polizia penitenziaria Luca Bellino, soprannominato "U Cafone" e residente a Padova, resta nel carcere di Santa Maria Capuavetere. Infine, arresti domiciliari per il tunisino Issan Tilili, che comunque resterà in carcere perché detenuto per un altro procedimento per traffico di droga. Queste le decisioni del Tribunale del riesame di Venezia presieduto dal giudice Angelo Risi, al quale avevano ricorso i difensori dei quattro indagato dell’operazione "Apache" che ha portato in carcere sette persone e altre otto agli arresti domiciliari, tra cui sei tra sottufficiali e agenti della Polizia penitenziaria. Un’operazione che ha smantellato una rete creata da agenti ed ex detenuti che riusciva a far entrare nelle celle del carcere Due Palazzi di tutto dalla droga ai cellulari. Le motivazioni grazie alle quali i giudici veneziani hanno preso le loro decisioni si conosceranno soltanto nei prossimi giorni, ma le ordinanze di custodia cautelare per l’avvocato Marangon e per il marocchino Es Soukti sono state annullate per insufficienza dei gravi indizi, condizione senza la quale non è possibile tenere in carcere un cittadino. Per il tunisino Tilili, invece, i giudici sono intervenuti sulle esigenze cautelari, concedendogli per quanto riguarda questa inchiesta i domiciliari. Il Tribunale del riesame ha fissato invece per martedì 29 luglio l’udienza durante la quale prenderà in esame il ricorso presentato dall’assistente capo Pietro Rega, ritenuto dal pubblico ministero di Padova Sergio Dini la mente del traffico di droga, telefonini e altro ancora dall’esterno all’interno della Casa di reclusione padovana. Stando alle accuse, il tariffario per la merce che veniva portata in cella era variabile. L’assistente Pietro Rega avrebbe stabilito il costo per ogni cosa: si andava dai 250 agli 800 euro. Droga e telefonini completi di carte sim "pulite" erano i più costosi, ma anche la droga, naturalmente, aveva una tariffa alta. Più a buon mercato cacciaviti, pinze e chiavette usb. Erano ovviamente i familiari a pagare Rega tramite versamenti Western Union. Tra le accuse contestate dal pm Dini a Rega e all’avvocato polesano Marangon ci sono dei pagamenti. Rega, secondo le contestazioni, avrebbe ricevuto in due distinte occasioni, 500 euro dall’avvocato, attraverso la moglie di un detenuto, per portare droga al cliente della legale, detenuto al Due Palazzi. Inoltre c’era la promessa di tenere nei riguardi dei detenuti "raccomandati" un minor rigore nella vigilanza. I fatti contestati sono dell’agosto e dell’ottobre 2013. Iglesias (Ca): carcere verso chiusura, detenuto non vuole essere trasferito e tenta suicidio L’Unione Sarda, 27 luglio 2014 "Un detenuto del carcere di Iglesias, nel primo pomeriggio, ha tentato il suicidio ingerendo delle batterie e ai medici ha detto di non voler essere trasferito per non stare lontano dai suoi familiari". Lo denuncia il deputato di Unidos, Mauro Pili, che oggi ha effettuato una visita ispettiva nella struttura che dovrebbe essere chiusa per effetto di un decreto ministeriale. "Quella di chiudere - attacca l’ex presidente della Regione e già sindaco di Iglesias - è una scelta che offende quei tanti volontari che hanno operato da 20 anni in questa struttura per progetti di recupero, mortifica il personale che si è sempre speso per dare un servizio efficiente, nonostante anche questo pomeriggio vi fossero in servizio 3-4 agenti per 94 detenuti". "Il ministro della Giustizia Andrea Orlando deve revocare immediatamente la chiusura del carcere di Iglesias - intima Pili - dove sono ospitati detenuti ‘sex offender’, condannati cioè per reati sessuali, che saranno trasferiti nel penitenziario di Bancali, a Sassari. Analoga revoca deve essere fatta per il carcere di Macomer". Il deputato sostiene che la chiusura dell’istituto di pena "sarebbe un danno erariale gravissimo proprio perché verrebbe resa inutilizzata una struttura costata miliardi di lire e che era funzionale alle esigenze del territorio e delle politiche di rieducazione dei detenuti". Teramo: Sappe; agente del carcere di Castrogno risulta positivo al test della tubercolosi Ansa, 27 luglio 2014 Un agente di polizia penitenziaria del carcere di Castrogno, a Teramo, sarebbe risultato positivo al test della tubercolosi, il cosiddetto Tst (Tubercolin skin test). Ne dà notizia il Sappe (Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria) che sottolinea come "sia fondato il sospetto che non fossero state adottate le necessarie cautele di salvaguardia dell’incolumità degli operatori penitenziari denunciato in passato". Secondo il segretario provinciale di Teramo del Sappe, Giuseppe Pallini, a tutt’oggi "la direzione del penitenziario non ha mai dato risposte, nonostante le denunce del sindacato, sulla positività al Tst di un detenuto". Da quanto si è appreso da fonti interne al penitenziario teramano, il personale di custodia e quello di assistenza sanitaria, che non fosse già stato vaccinato per la Tbc, è stato sottoposto a screening presso il Dipartimento di igiene e prevenzione della Asl di Teramo, dopo la scoperta, circa un mese e mezzo fa, di un detenuto affetto dalla malattia, poi trasferito. Il test è stato eseguito su un certo numero di persone che aveva avuto contatti, per ragione del loro servizio, con il detenuto. "Ci auguriamo - scrive oggi il segretario provinciale di Teramo del Sappe - che sia solo un caso isolato e che il restante personale, oltre cento unità tra poliziotti, operatori sanitari e del trattamento, che hanno avuto contatti nel tempo con il detenuto infetto, siano negativi al test, altrimenti ci troveremmo di fronte ad un’epidemia di portata catastrofica". Siracusa: vita oltre le sbarre… i detenuti di Augusta serviranno alla mensa dei poveri La Sicilia, 27 luglio 2014 I detenuti della Casa di reclusione di Augusta saranno impegnati in attività di volontariato nella mensa dei poveri del Buon Samaritano. A parlare dell’iniziativa, è Antonio Gelardi, direttore del carcere di contrada Piano Ippolitoche ha reso noto la stipula di una convezione tra la direzione del penitenziario e l’associazione Onlus particolarmente nota in città perché offre un pasto caldo giornaliero ai più bisognosi. La convezione, che ha durata di un anno, è stata sottoscritta nei giorni scorsi dal presidente del Buon Samaritano, Irene Noè e dal direttore della casa di reclusione di Augusta. Con la sigla del protocollo "hanno convenuto nell’ambito dei rapporti di proficua collaborazione sviluppati, di avviare un’attività di giustizia riparativa, ex articolo 21 comma 4 ter dell’ordinamento penitenziario che prevede che, a titolo volontario e gratuito da parte di detenuti individuati di concerto e previo assenso degli stessi, espletamento di mansioni di servizio mensa nei locali di via Orfanotrofio 22". I giorni e le ore di svolgimento dell’attività saranno concordati in base alle esigenze e definiti con un atto separato dalla convezione che, alla scadenza si intende rinnovare. I detenuti che presteranno tale servizio, si trovano in stato di semi libertà e quindi si potranno recare sul posto di lavoro in bicicletta, mezzo che di volta in volta utilizzeranno a turno per raggiungere la sede di via Orfanotrofio. Gelardi non esclude un futuro l’impiego dei detenuti in interventi di pulizia e diserbo dei luoghi pubblici. Ariano Irpino (Av): tensione al carcere; detenuto ferito e aggrediti agenti penitenziari Ansa, 27 luglio 2014 Tre detenuti del carcere di Ariano Irpino (Avellino) hanno attuato una violenta protesta nel pomeriggio di ieri, dopo che un loro compagno aveva finto un malessere per farsi trasferire in infermeria e gli agenti penitenziari avevano opposto un rifiuto. Lo si apprende oggi da fonti interne al penitenziario. Uno dei tre, Daniele Di Napoli, 30 anni, di Taranto, che il 12 dicembre 2012 evase dal carcere di Avellino insieme ad altri tre detenuti, si è barricato in un locale destinato alla socializzazione dei reclusi, danneggiando le suppellettili. Un altro si è ferito con alcune lamette da barba ed è stato ricoverato in ospedale. Quattro agenti penitenziari sono stati aggrediti ed hanno dovuto farsi medicare in ospedale. Per riportare la calma la direzione del carcere ha richiamato in servizio alcuni agenti penitenziari. La protesta è durata poco più di un’ora, poi gli agenti penitenziari hanno ripreso il controllo della situazione. Sappe: escludere da regime aperto detenuti violenti Il segretario nazionale del Sappe (Sindacato autonomo di polizia penitenziaria), Emilio Fattorella, critica duramente la scelta dell’ amministrazione carceraria di destinare al "regime aperto", che prevede otto ore al giorno fuori dalla cella, detenuti già protagonisti di evasioni o di episodi di violenza. "Se le ore libere non vengono utilizzate per il lavoro o per attività programmate e i detenuti restano in ozio - sostiene - il regime aperto favorisce solo l’associazione a delinquere". "Nel carcere di Ariano Irpino - aggiunge il segretario del Sappe - i turni degli agenti penitenziari che mancano vengono coperti con gli straordinari. Nel periodo di ferie estive la situazione è ulteriormente peggiorata. Un nuovo padiglione è stato aperto in tutta fretta per deflazionare il carcere di Poggioreale dal quale sono attesi altri trasferimenti di detenuti". Uil-Pa: tensione ad Ariano Irpino, 4 agenti feriti Momenti di tensione ieri pomeriggio al carcere di Ariano Irpino dove manifestazioni di intemperanza di tre detenuti sono sfociate nel tentativo di sequestro di un agente e con danneggiamenti a suppellettili. Lo riferisce la Uil-Pa penitenziari. "Credo sia importante sottolineare l’esemplare gestione dell’evento da parte del personale di polizia penitenziaria - dichiara il segretario generale Eugenio Sarno - e far giungere ai colleghi i nostri sentimenti di stima e vicinanza e l’augurio di pronta guarigione ai quattro agenti che hanno dovuto ricorrere a cure sanitarie". Non è escluso ch dietro l’atteggiamento dei tre detenuti potesse nascondersi un tentativo di evasione. "Ovviamente sono ancora in corso gli accertamenti per comprendere le motivazioni reali che hanno portato i tre detenuti ad assumere atteggiamenti violenti dapprima cercando di forzare un blocco e successivamente danneggiando effetti e suppellettili. Non è esercizio di fantasia - sottolinea Sarno - pensare che i tre intendessero in qualche modo assumere una leadership all’interno della sezione. Ma non è nemmeno da escludere che dietro le violenze di ieri potesse esserci un pianificato tentativo di evasione. Uno dei detenuti coinvolti era infatti tra quelli che diedero vita alla rocambolesca evasione dal carcere di Bellizzi Irpino nel dicembre del 2012". "Credo che la professionalità e l’abnegazione della polizia penitenziaria di Ariano sia degna di segnalazione meritoria - conclude Sarno - ancor più in considerazione che a supporto e a rinforzo dei colleghi sono accorse diverse unità libere dal servizio". Il Direttore denuncia: organico insufficiente I tre detenuti protagonisti della violenta protesta di ieri pomeriggio nel carcere di Ariano Irpino, tra i quali Daniele di Napoli, 30 anni, protagonista di una clamorosa evasione nel dicembre 2012 dal carcere di Avellino, saranno sottoposti al Consiglio di disciplina. Probabilmente - ha reso noto il direttore della casa Circondariale, Gianfranco Marcello - perderanno il beneficio dei 150 giorni all’anno di sconto della pena. Ad Ariano Irpino i detenuti sono attualmente 260. "Abbiamo ottenuto la sospensione dei trasferimenti da Poggioreale - afferma il direttore - in considerazione dell’organico ridotto del quale disponiamo, ora condizionato anche dal periodo feriale". Per fronteggiare la violenta protesta di ieri la direzione ha fatto rientrare in servizio cinque agenti penitenziari. Quanto al "regime aperto" del quale fruiva anche Di Napoli, nonostante l’ evasione del 2012, per il direttore del carcere di Ariano Irpino "si tratta di un beneficio al quale ormai accedono quasi tutti i detenuti che non sono in regime di isolamento". Libri: "Un uomo discreto", di Alexander Postel… ovvero sbatti il mostro in prima pagina recensione di Sebastiano Triulzi La Repubblica, 27 luglio 2014 Costruito come un teorema filosofico intorno all’istituto della calunnia, la cui forza è stata amplificata dall’avvento di Internet, "Un uomo discreto" è la storia di un mesto e solitario professore di filosofia, Damien North, che un giorno viene arrestato per aver visionato immagini e video pedopornografici. L’accusa si basa su un dato concreto e cioè il tracciamento del suo computer: solo alla fine, dopo l’onta pubblica, la condanna e un anno passato in carcere, si scopre che un collega aveva scaricato il materiale, per dimostrare che la società si basa su un insieme di pregiudizi e presunzioni. Come la Susanna biblica, il protagonista, introverso e assolutamente maldestro nel difendersi dalle accuse, è un agnello sacrificale fin troppo perfetto. Il francese Alexander Postel, 32 anni, non sembra interessato ad indagare l’angoscia di essere accusati ingiustamente, quanto piuttosto il fatto che le Istituzioni - giudici, psichiatri, polizia - falliscano nel loro compito di controllo e siano influenzabili almeno quanto lo è l’opinione pubblica. Immigrazione: torna protesta labbra cucite al Cie di Roma. Manconi: chiudere Centri di Luca Laviola Ansa, 27 luglio 2014 Torna la protesta delle bocche cucite nel Centro di identificazione ed espulsione (Cie) di Ponte Galeria, a Roma. Stavolta sono due gli immigrati detenuti nella struttura a ribellarsi in questo modo cruento contro le condizioni e i tempi di permanenza. Un algerino di 28 anni e un tunisino di 27 si sono sigillati le labbra stamattina in vista dell’udienza per la proroga della detenzione nel Cie, che nel caso del primo è fissata per lunedì. Il 21 dicembre scorso e di nuovo il 26 gennaio di quest’anno a Ponte Galeria una decina di immigrati si cucirono la bocca per una settimana per chiedere un trattamento migliore e di restare il meno possibile nel centro in attesa dell’espulsione. Alla protesta fu affiancato lo sciopero della fame di numerosi loro compagni. Intervennero parlamentari - in particolare il deputato del Pd Khalid Chaouki - e il presidente della Commissione parlamentare Diritti Umani, il senatore democratico Luigi Manconi, chiedendo la chiusura dei Cie. Manconi lo ha ribadito oggi, denunciando "la norma che prevede l’espulsione dall’Italia per quegli stranieri che pure hanno scontato interamente la propria pena e pagato il proprio debito con la giustizia italiana". E "la persistente condizione inumana e degradante, nonostante la buona volontà degli operatori, del trattenimento all’interno dei centri di identificazione ed espulsione". Gli immigrati che protestano stavolta a Ponte Galeria non si trovano nel centro da molto tempo. Ma il tunisino 27/enne, che tutti chiamano Nevzi - secondo la direttrice del Cie Floriana Lo Bianco - era già stato un mese a Ponte Galeria a maggio scorso. Quindi venne rilasciato per la mancata proroga del provvedimento ed è tornato nel centro a seguito di un decreto di espulsione. L’algerino, invece, Mohammed, si trova a Ponte Galeria dal 3 luglio e lunedì intende presentarsi con le labbra cucite al magistrato che deve decidere sulla proroga dei primi 30 giorni, secondo Lo Bianco. Entrambi i migranti hanno diversi precedenti penali e vivono una condizione di forte disagio psicologico, viene riferito. La notizia della nuova protesta al Cie di Roma è stata diffusa dall’ufficio dei Garante dei detenuti del Lazio e confermata dalla direzione della struttura, affidata in gestione alla Cooperativa Auxilium. La stessa che si occupa del Centro accoglienza richiedenti asilo (Cara) di Castelnuovo di Porto, vicino a Roma, dove però gli ospiti non sono detenuti. Il direttore di quest’ultima, Vincenzo Lutrelli, ha guidato il Cie di Ponte Galeria. In questo momento nel Cie sono ospitati 86 uomini e 38 donne immigrati. Stati Uniti: la morte della pena e della sottesa umanità di Carlo Peis Notizie Radicali, 27 luglio 2014 Le due ore di agonia, a seguito del procedimento di esecuzione della pena di morte, di Joseph Wood condannato a morte in Arizona, hanno fatto, giustamente, notizia. Anche perché se è di certo possibile e probabile che si possa morire rantolando e ansimando quando questo capita perché è lo Stato che lo determina, vieppiù in spregio alle sue stesse leggi, di sicuro è una ignominiosa tortura ed una barbarie degna di nota. Ma un sottile quanto cruciale aspetto rende questa notizia una triste e avvilente metafora di un approccio mass mediatico e culturale di una certa realtà che ci coinvolge, salvo poche e brillanti eccezioni, incapace di elevare il fatto primario a ragion principale di ogni considerazione. E così la non corretta e perciò non riuscita modalità dell’esecuzione a morte fa passare in secondo piano l’intrinseca e contestuale ineffabile notizia: "la pena di morte", rectius la morte di Joseph Wood e la morte della pena. È inutile dire che se la procedura di esecuzione a morte avesse rispettato i canoni prescritti dal protocollo convenzionale per tale adempimento e la morte di Joseph Wood fosse avvenuta dopo pochi minuti il tutto sarebbe stato semplicemente annoverato come fatto statistico. Come del resto tutte quelle "notizie" che si traducono in "non notizie" e che i radicali denunciano sistematicamente. Non a caso il dibattito pubblico susseguitosi si è incentrato da subito sul cocktail letale che ha fatto flop, invece di soffermarsi sul fatto che se Joseph Wood ha ucciso, secondo l’esito processuale, lo ha fatto, in maniera inconfutabile, pure lo Stato. Magari contravvenendo a quel dovere che gli si potrebbe ascrivere idealmente di avversare ogni qualsivoglia disumanità con umanità e civiltà giuridica. Ma ora che la bieca azione statale si è compiuta vieppiù nelle atroci modalità, cui non solo Joseph Wood è stato vittima e che a dato luogo al risalto mediatico, chissà se una possibile ulteriore riflessione rispetto alla pena di morte e a condivisi parametri di umanità e civiltà giuridica non possa passare anche su una semplice constatazione: se l’uno che l’altro sono degli assassini lo Stato con una simile condotta lo sarebbe di meno solo perché è conseguenza diretta di un processo e di una legge? Stati Uniti: senatore repubblicano McCain "ultima esecuzione in Arizona è stata tortura" La Presse, 27 luglio 2014 L’esecuzione di Rudolph Wood in Arizona è stata una tortura. Così il senatore repubblicano John McCain ha commentato l’uccisione del detenuto, che mercoledì nella prigione di Tucson è durata due ore. Il senatore, che sostiene la pena di morte per alcuni reati, ha definito con termini coloriti le complicazioni avvenute durante l’esecuzione. "L’iniezione letale deve essere davvero letale", ha dichiarato il senatore, e non dovrebbero accadere situazioni in cui si perde il controllo. "Ecco la tortura", ha aggiunto. Woods ha ricevuto l’iniezione letale con una combinazione di due farmaci, ma ha impiegato quasi due ore prima di morire. Ha trascorso più di 90 minuti senza riuscire a respirare, poi si è spento. Lo Stato del’Arizona ha sospeso tutte le esecuzioni, mentre è stata aperta un’inchiesta sul caso. Secondo McCain i responsabili dell’esecuzione dovrebbero rispondere della sofferenza di Wood. Siria: Commissione di inchiesta dell’Onu; Stato Islamico nel mirino per crimini guerra La Presse, 27 luglio 2014 I comandanti jihadisti dello Stato islamico sono "buoni candidati" per essere inseriti nella lista nera della Commissione di inchiesta dell’Onu sui crimini di guerra in Siria. Lo ha dichiarato il presidente di Commissione, Sergio Pinheiro, parlando al Consiglio di sicurezza dell’Onu. Secondo il diplomatico brasiliano il gruppo militante che ora controlla il nord e l’ovest della Siria ha commesso esecuzioni pubbliche, crocifissioni "e altre violazioni dei diritti umani". L’elenco comprende persone che sono penalmente responsabili per il rapimento di ostaggi, torture ed esecuzioni, capi di strutture in cui vengono torturati i detenuti, comandanti militari che colpiscono i civili, aeroporti da cui partono i bombardamenti, gruppi armati e individui coinvolti "in attacchi contro i civili". Pinheiro non ha rivelato i nomi o il numero delle persone presenti sulla lista. I membri della commissione hanno sollecitato il Consiglio di sicurezza a denunciare il conflitto in Siria alla Corte penale internazionale, ma Russia e Cina, sostenitori del governo siriano, hanno posto il veto per una risoluzione che avrebbe potuto portare di fronte alla giustizia i principali responsabili di crimini di guerra. Secondo Pinheiro un’altra possibilità potrebbe essere "un tribunale ibrido", come già accaduto per la Sierra Leone, il Libano e la Cambogia, ma che richiederebbe comunque l’approvazione del Consiglio.