Giustizia: iniziative radicali contro abuso custodia cautelare e per ritorno legalità delle carceri di Maurizio Tortorella Panorama, 8 agosto 2012 Contro l’emergenza carceri il partito di Pannella annuncia l’invio di una diffida a tutti i capi degli uffici Gip. Dura iniziativa del partito radicale contro l’emergenza carceri. I tecnici giuridici del partito stanno preparando un documento che sarà presentato al prossimo comitato di ministri del Consiglio d’Europa, e intendono avviare una serie di iniziative per l’attivazione di meccanismi giuridici interni, a partire dalla richiesta di messa in stato d’accusa del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano perché, spiega Alessandro Gerardi, avvocato e dirigente radicale, “il capo dello Stato non richiama il legislatore ai propri obblighi di fronte alla totale illegalità in cui versa il sistema giudiziario e penitenziario”. Gerardi annuncia altre due iniziative legali, nei confronti dei magistrati di sorveglianza e dei Gip, i giudici per le indagini preliminari. Sui magistrati di sorveglianza, quelli che hanno compiti di controllo in materia di detenzione carceraria, Gerardi ricorda che “l’ordinamento penitenziario assegna poche ma importanti funzioni al magistrato di sorveglianza”, tra cui “quello di vigilare sulla organizzazione degli istituti di prevenzione e pena anche al fine di assicurare che la custodia degli imputati e dei condannati sia attuata in conformità con leggi e regolamenti”. Eppure non è raro, anzi capita spessissimo che i detenuti non abbiano mai neppure visto una volta in faccia il magistrato di sorveglianza competente. “Troppo spesso” aggiunge Gerardi “costui non si reca da loro nemmeno per i colloqui richiesti, e non evade le istanze che gli vengono rivolte”. L’iniziativa, in questo caso, è quella di ipotizzare una diffida ad agire e, in caso di inadempienza, avviare azioni legali contro i magistrati di sorveglianza che non svolgano il loro ruolo. Sui Gip, invece, Gerardi sottolinea un dato sconfortante: “Il 42 per cento dei 68 mila detenuti italiani è in attesa di giudizio”. È un dato abnorme, una percentuale che non ha eguali nel panorama europeo. E Gerardi annuncia un’iniziativa senza precedenti: “Sono i Gip ad emettere le ordinanze che dispongono la custodia cautelare in carcere. Per questo abbiamo deciso di inviare una diffida a tutti i capi degli uffici Gip: non si ricorra al carcere come misura cautelare estrema ogni qual volta non si sia in grado di garantire al destinatario del provvedimento un trattamento carcerario giusto, conforme a principi e leggi. In caso contrario, alla diffida seguirà la relativa denuncia presso le Procure della Repubblica”. Giustizia: Bernardini; Napolitano sia garante Costituzione, nelle carceri sistematicamente violata Agi, 8 agosto 2012 “Il Presidente della Repubblica è garante della Costituzione. E quando la Costituzione viene sistematicamente violata, noi dobbiamo chiederci chi è il responsabile di questa mancata garanzia. Il Presidente non è arbitro. E noi studieremo anche questo aspetto. Noi vogliamo fare tutto quello che la legge ci mette a disposizione per fare in modo che la legge sia rispettata”. Lo ha detto la deputata Rita Bernardini dai microfoni di Radio Radicale. “I detenuti - ha affermato - sono troppi, evidentemente, rispetto ai magistrati di sorveglianza, per le condizioni oggettive di lavoro, per mille motivi. Ma è un dato di fatto che i magistrati responsabili del tribunali di sorveglianza non vanno a visitare le celle, non hanno colloqui frequenti con i detenuti, che hanno il diritto di presentare istanze. E dunque noi li chiameremo in causa. I magistrati di sorveglianza possono ordinare all’Amministrazione penitenziaria di rimuovere i trattamenti inumani e degradanti in corso. Eppure non lo fanno, perché le carceri non le conoscono. Noi li inviteremo a farlo”, ha detto la deputata Radicale. “Il mese di luglio - ha proseguito Bernardini - è stato quello più luttuoso, dal 2000 ad oggi, per quanto riguarda le carceri. Le condizioni delle carceri sono quelle che sappiamo. Anziché disporre la detenzione domiciliare, per imputati che nella metà dei casi poi si rivelano innocenti, i Gip dispongono la custodia cautelare in carcere. Oggi la custodia in carcere è illegale. Noi li diffidiamo”. Quanto al Parlamento, “la politica non è stata capace di dare una risposta, in tutti questi mesi. Nemmeno un preannuncio di risposta. Noi diciamo che c’è un reato in corso, reiterato, ed è lo Stato a commettere questo reato. Si violano non solo le leggi ma la Costituzione, la Carta europea dei diritti dell’uomo. È una questione che riguarda certo le carceri, ma che riguarda la giustizia, che sono l’appendice, che sono lì a dirci in quali condizioni è la giustizia”, ha concluso la deputata Radicale. Giustizia: Bernardini; tutti in ferie… senza aver fatto un millimetro avanti su problemi carceri Agi, 8 agosto 2012 “A coloro che ci dicono che l’amnistia non si può fare, e che prima occorre fare leggi che aiutino ad alleviare la condizione delle carceri, vorrei rispondere con quello che abbiamo fatto fino a ieri in Parlamento”. Lo ha detto la deputata radicale Rita Bernardini, intervistata da Radio radicale sull’attività della Camera sul tema: “In Commissione giustizia, calendarizzato da marzo, c’è in discussione un disegno di legge governativo che da allora non si è mosso di un millimetro. È un disegno di legge delega, su depenalizzazione, decarcerarizzazione e messa alla prova, che ovviamente a noi sta molto a cuore. Non è l’amnistia, ma visto che tutti dicono che ci vuole altro, abbiamo lavorato in Commissione”. “Tre giorni fa - ha proseguito Bernardini - ho ricevuto la convocazione per due sedute di Commissione, ieri e oggi. Ieri la Camera è stato sospesa per 15 minuti. Mi sono precipitata in Commissione, ed ho scoperto che ero l’unica iscritta a parlare. Non c’erano altri interventi. Ho parlato, e la seduta è stata aggiornata a settembre. Hanno annullato anche quella di oggi. Insomma: noi parlamentari stiamo andando in ferie, e non abbiamo fatto niente per affrontare le famose cause del sovraffollamento carcerario, e delle morti”. “Io mi sento responsabile, come membro della Commissione giustizia e come parlamentare, anche nei confronti degli agenti di polizia penitenziaria (ne mancano settemila, oggi. E se non ci sono gli agenti significa che se i detenuti che oggi sono chiusi in cella 20 ore, ci rimangono 24), oltre che dei detenuti”, ha detto la deputata radicale. “Un detenuto è stato sei mesi in agonia, l’altro ieri è morto, aveva tentato il suicidio, e non finirà tra i suicidi perché si era buttato di testa dal terzo piano di un letto a castello in una cella che poteva contenerne uno, e i letti a castello sono vietati nelle celle. Si è buttato di testa, è stato per mesi in agonia, e l’altro ieri è morto, al carcere di Teramo”, ha concluso la Bernardini. Giustizia: il ministro Severino; il ddl sulle misure alternative in Aula alla Camera a settembre Adnkronos, 8 agosto 2012 Il disegno di legge che prevede misure alternative alla detenzione in carcere sarà in Aula alla Camera alla fine di settembre. Lo ha annunciato il ministro della Giustizia, Paola Severino, in occasione della visita compiuta oggi al carcere romano di Regina Coeli. La calendarizzazione in Aula, ha spiegato il ministro, “vuol dire una forte accelerazione del provvedimento che prevede misure alternative, come la messa alla prova e i domiciliari”. Il Guardasigilli ha poi ricordato il suo “forte impegno” per assicurare alle norme una corsia preferenziale e si è detta molto compiaciuta del fatto che questo “sia stato condiviso dal Parlamento”. In occasione della visita a Regina Coeli, compiuta insieme con il presidente della Regione Lazio, Renata Polverini, e il vicecapo del Dap, Luigi Pagano, il ministro ha ricordato i dati positivi dell’applicazione del decreto salva carceri. “Tremila ingressi in meno, grazie alle norme che hanno evitato il fenomeno delle porte girevoli e duemila uscite per i domiciliari in sostituzione degli ultimi 18 mesi di detenzione”. A questo, ha spiegato ancora Severino, si sono aggiunti gli interventi di edilizia carceraria “che hanno consegnato 1.500 posti già disponibili più 3.500 entro l’anno”. Il ministro ha poi espresso l’auspicio di ulteriori risultati che saranno ottenuti con l’approvazione del ddl, attualmente all’esame della Commissione Giustizia della Camera: “I domiciliari e la messa alla prova sono misure deflattive forti che garantiscono contemporaneamente la sicurezza dei cittadini”. Giustizia: Piano carceri; nuovi bandi per 43mln, da costruire 4 padiglioni da 200 posti ciascuno di Massimo Frontera Il Sole 24 Ore, 8 agosto 2012 Accelera il piano carceri. La struttura del commissario governativo per l’emergenza carceri (guidata dal prefetto Angelo Sinesio) ha appena mandato in gara altri 4 bandi per ampliare le case circondariali di Ferrara, Trani, Caltagirone e Bologna. Il tutto per far accomodare 800 nuovi “ospiti”, 200 per ciascuna struttura. I bandi valgono complessivamente più di 43 milioni di euro e scadono il prossimo 10 settembre (fa eccezione il bando di Ferrara che scade il 22 agosto perché pubblicato alcuni giorni prima). Con queste quattro gare, sale a 12 il numero deibandi commissariali finora pubblicati; e sale a 2.600 il numero di nuovi detenuti che potranno trovare spazio nelle nuove strutture. Il piano prevede in tutto di far spazio a 11.573 detenuti, con un impegno economico di 450 milioni circa. Tutte le gare lanciate finora riguardano ampliamenti di strutture esistenti, tramite la realizzazione di nuovi padiglioni per aumentare la capienza delle carceri di Lecce, Taranto, Trapani, Milano Opera, Sulmona, Vicenza, Parma e Siracusa. Dopo Ferrara, Bologna, Caltagirone e Trani, si attendono ora i bandi per ampliare le carceri di Roma Rebibbia, Bergamo, Reggio Emilia e Napoli Secondigliano. Il solo programma di ampliamenti riguarda complessivamente 3.600 posti. Gli altri 8.000 posti circa dell’intero piano riguardano altri tipi di interventi (nuove costruzioni, completamenti e rifunzionalizzazioni). Tutti i bandi valgono tra i 10 e i 12 milioni e hanno caratteristiche simili. Si tratta di appalti integrati (che includono realizzazione e progettazione esecutiva). Per l’aggiudicazione è stato scelto il criterio del massimo ribasso. L’appalto di maggiore importo è quello per ampliare il carcere di Caltagirone (Ct), che vale oltre 11,77 milioni. Per partecipare è necessario essere qualificati nei lavori di edilizia civile (OG1, classe VI) e impianti tecnologici (OG11, classe V). L’intervento va completato entro 430 giorni. Ai concorrenti si richiede di restare vincolati alla propria offerta perun periodo particolarmente lungo: 240 giorni. In tutti i casi l’aggiudicazione prevede la stipula dei cosiddetti protocolli di legalità, per evitare le infiltrazioni mafiose. La stipula è però onerosa e assorbe una cifra fissa, pari allo 0,5% del valore indicato a base d’asta. Giustizia: dolci, pizza, vini e caffè… tutte le produzioni dell’economia carceraria Redattore Sociale, 8 agosto 2012 I panettoni di Padova, i dolci tipici di Siracusa, il caffè di Torino e i vini di Cuneo e Velletri: tutte produzioni che reinseriscono e garantiscono qualità. Di gran moda su giornali e programmi televisivi, la cucina spopola anche all’interno delle carceri italiane. Ad oggi sono oltre 60 gli istituti che vantano al loro interno laboratori di cucina o di pasticceria, riconosciuti non solo per il loro valore rieducativo, ma anche per la raffinatezza delle produzioni. A questo il periodico del Dap “Due città“ dedica un approfondimento nel nuovo numero di giugno. Secondo una recente rielaborazione del Gambero Rosso su dati Aiab, i reclusi impegnati nel food&wine sarebbero circa 400, ai quali vanno aggiunti i 220 delle colonie agricole. In totale si tratta del 4,4% della popolazione carceraria che lavora. Tra le esperienze più note a livello nazionale c’è la produzione di panettoni della cooperativa Giotto attiva nel carcere Due Palazzi di Padova, che sforna anche colombe in periodi pasquali e che ha all’attivo ben due linee di pasticceria. All’altro capo del paese nascono i prodotti “Dolci evasioni” realizzati nella casa circondariale di Siracusa: nel laboratorio dolciario vengono sfornati dolci tipici siciliani come paste di mandorla, amaretti, il preparato per il latte di mandorla, tutti certificati da agricoltura biologica. L’iniziativa è stata avviata nel 2005 dalla cooperativa sociale Arcolaio con il supporto dell’amministrazione penitenziaria. Oggi la produzione media è di 50 kg di dolci al giorno e 4 detenuti vi lavorano a tempo pieno. Dal dolce al salato: nel carcere minorile di Nisida e nella casa circondariale di Pozzuoli tengono banco i corsi per pizzaioli. Nel primo caso il corso è sfociato nell’assunzione per due ragazzi all’interno della catena “Fratelli la Bufala”, nel secondo caso il corso ha coinvolto 12 detenute. Ci sono, poi, realtà specializzate in precisi prodotti, come l’aglio rosso a Sulmona, lo zafferano di San Gimignano, le uova di quaglia di Milano Opera e il caffè Lazzarelle di Pozzuoli. Sempre di caffè si occupa il laboratorio “Pausa Cafè” della casa circondariale Lorusso e Cotugno di Torino, dove è stato allestito il reparto di torrefazione, stoccaggio e confezionamento. A questo ha fatto seguito un secondo laboratorio, dedicato al cacao. I detenuti sono regolarmente assunti dalla cooperativa “Pausa Cafè” e impegnati in tutte le fasi della lavorazione. Ad accompagnare i prodotti alimentari ci pensano i vini “Made in jail”: il rosso “Valelapena” della casa circondariale di Montalto ad Alba (Cuneo), e i vini “Quarto di luna”, “Le sette mandate”, “Fuggiasco” di Velletri. Questi ultimi sono in vendita anche nelle Coop italiane e vantano una produzione annua di 25mila bottiglie. Successo collaudato è, infine, quello delle “Cene Galeotte”, realizzate nella casa di reclusione di Volterra, che fanno lavorare fianco a fianco detenuti e grandi chef. Le cene d’autore, con cadenza mensile, vedono in media ogni anno la partecipazione di circa 900 persone provenienti dal mondo esterno al carcere. Giustizia: Papa (Pdl); custodia cautelare non duri oltre 6 mesi, ho pronta una proposta di legge Adnkronos, 8 agosto 2012 “Nelle galere italiane, dove si toglie la vita un detenuto ogni cinque giorni, il 43 percento dei ristretti è in attesa di giudizio”. È quanto scrive in una nota il deputato del Pdl Alfonso Papa. “Il progetto di legge di cui sono primo firmatario - aggiunge - mira a limitare la custodia cautelare in carcere ai reati di maggiore allarme sociale, fissando in sei mesi la durata massima complessiva e prevedendo una serie di garanzie per il detenuto imputato - conclude l’onorevole Papa. Nello Stato africano del Mali, dove le donne vengono lapidate, dal 2001 esiste una legge che fissa in sei mesi la durata massima della carcerazione preventiva. Da noi può durare fino a sei anni”. “In questo modo le inefficienze di una giustizia lenta e incerta vengono scaricate su persone presunte innocenti costrette ad affrontare il processo con le manette ai polsi. Il caso di Antonio Simone, che domani incontrerò a San Vittore - conclude - , è emblematico di una metamorfosi inquietante: il carcere preventivo è divenuto uno strumento di anticipazione della pena e di estorsione delle confessioni”. Giustizia: intervista a Antonio Simone “sono prigioniero della politica (dei magistrati)” di Simona Ravizza Corriere della Sera, 8 agosto 2012 L’imprenditore ciellino Antonio Simone, 58 anni, è stato arrestato il 13 aprile nell’inchiesta sulla Sanità lombarda che ha portato anche all’iscrizione nel registro degli indagati per corruzione aggravata del governatore Roberto Formigoni. Prima di essere giudicato dai giudici sente di dover essere perdonato o di doversi perdonare qualcosa? “Premesso che trovo una vergogna e contro la legge aspettare un processo in carcere, io ho chiesto perdono a chi, leggendo i giornali, si è scandalizzato dei miei presunti comportamenti lì riportati. Mi sento, comunque, peccatore dall’età in cui ho cominciato a usare la ragione. Ho seriamente paura di chi non si sente peccatore”. Perché considera sbagliata la sua carcerazione preventiva? “Oggi si usa la carcerazione preventiva come condanna preventiva, come forma di tortura (senza contare la gogna mediatica). Io sono in carcere perché non dico di aver corrotto... Il mio è un corpo sequestrato. Mi chiedo se piuttosto non sia configurabile il reato di tentata istigazione al suicidio, visto che contro ogni logica di giustizia, il proprio corpo resta l’ultima arma di difesa dei propri diritti e della dignità. Sono prigioniero della politica. Quella dei pubblici ministeri, quella dei mass media, quella dei partiti”. In carcere perché l’aiuta aggrapparsi all’immagine di don Luigi Giussani che lei ha attaccato alla cella e pregare? “Nella foto c’è don Luigi Giussani, con la sua storia, il carisma che ha ricevuto e che la Chiesa ha riconosciuto, in ginocchio davanti al Papa, cioè l’autorità della Chiesa. Il braccio è teso a offrire e accogliere la risposta del Papa che è un abbraccio e un bacio in fronte. Impressionante. Quella foto è parte della storia della Chiesa. Solo un laicismo narcisista e nichilista e, ancor peggio, l’ipocrisia di taluni “cattolici adulti”, può usare quanto sta succedendo intorno a Roberto Formigoni, per chiedere l’intervento del Vaticano contro Comunione e Liberazione. Io, che prego poco, guardo quella foto che ho appeso per ricordarmi di offrire la mia vita, comprese le sofferenze e peccati a chi mi ha dato la possibilità di vivere tutto con un senso, con un significato”. Che lavoro fa(ceva)? “Ora il carcerato. Prima, ho lavorato nel settore immobiliare fuori dall’Italia (Praga, Cile, Israele, Caraibi, Argentina) poi mi sono interessato di sviluppo sanitario”. Perché per i suoi business con il faccendiere Piero Daccò utilizzava società di copertura off shore? “Quando ho lasciato la politica nel 1992 ho cominciato a lavorare a Praga per due multinazionali francesi. Nel 1998 ho posto la residenza a Londra, visto che avevo solo interventi economici in giro per il mondo e non stavo più in Italia. Ho sempre avuto società rapportate al business che seguivo, ordinate secondo le leggi dei rispettivi Paesi. Se il principio della pianificazione o ottimizzazione fiscale fosse reato, si dovrebbero arrestare i consigli di amministrazione di quattro quinti delle società quotate in borsa. Banche in primis, vedi Unicredit - Profumo e altre decine di delle banche. Tremonti aveva in Lussemburgo un apposito e avviato studio di planning fiscale”. Lei si sente responsabile di quel che sta succedendo al suo amico governatore Roberto Formigoni, indagato per corruzione? “Non avendo corrotto mai nessuno e men che meno Formigoni, non mi sento responsabile del male che gli vogliono gli avversari politici, i gruppi di potere. In guerra ci sono morti e feriti, l’importante è che tutti capiscano che è stata dichiarata una guerra contro ciò che rappresenta Formigoni, non per le mete esotiche che sceglie per le sue vacanze natalizie”. Si è mai chiesto come mai le strutture private pagassero cifre folli per le consulenze sanitarie? “Per quanto riguarda il San Raffaele, vicenda a me completamente estranea, tuttavia, la spiegazione di Daccò è lineare e semplice: fatturava a fornitori del San Raffaele per restituire in nero, dopo aver detratto le sue competenze a Cal. Per quel che riguarda la Maugeri, come ha dichiarato Aldo Maugeri, se la lobby funzionava, i compensi erano giusti. “Ben vengano i fondi della Lombardia, e se è merito di Daccò, che considero un lobbista e non un corruttore, io dirò grazie” ( Repubblica , 11 maggio). Pensare che Daccò decidesse le funzioni corrompendo Carlo Lucchina o Formigoni vuol dire non conoscere nessuno degli attori. Il compenso commisurato sul fatturato, era ripetuto negli anni, cresceva, da qui l’evidenza di cifre importanti sempre da spalmare su 15 anni di rapporti economici”. I vostri compensi/commissioni si misuravano in milioni di euro, pagati in nero. Le conoscenze possono diventare una professione? “Io ho ricevuto secondo l’accusa 3 milioni di compensi in 10 anni da parte di Daccò per le consulenze nel campo sanitario. Altri compensi riguardavano le operazioni immobiliari realizzate in molti anni. Essendo io residente a Londra dal 1998 e fatturando sempre le prestazioni, parlare di “nero” non ha senso!”. In che cosa lei era esperto per prendere una percentuale da Daccò? “In progetti innovativi in campo sanitario ed immobiliare. Ricordo solo che i progetti andati in porto hanno sempre prodotto un considerevole risparmio pubblico. Sia in Lombardia sia in Sicilia ciò che abbiamo realizzato ha fatto risparmiare centinaia e centinaia di milioni di euro alle amministrazioni regionali. La realizzazione della convenzione in Sicilia con la Maugeri elimina la necessità di migliaia di trasferimenti dal Sud al Nord per le cure a malati e per i parenti. Daccò, sul versante immobiliare, trovava in me un realizzatore di molti dei suoi progetti che seguiva in giro per il mondo e mi pagava a successo o con quote delle società operanti o con soldi”. Piero Daccò l’ha delusa? “Mi ha deluso e sono deluso di me stesso per la leggerezza avuta nel non rendere esplicite nelle forme di legge italiane le fatturazioni dei compensi che oggi sembrano il mistero da svelare”. Quando uscirà dal carcere, che cosa desidera fare? “Se rispondessi che vorrei tornare a lavorare, utilizzerebbero questa intervista per giustificare l’accusa di reiterazione del reato e mi lascerebbero per altri dieci anni in galera. In perfetto stile “politicamente corretto” dichiaro che mi dedicherò nella veste di giornalista, qual sono, alla ricerca della verità, contro le ipocrisie. In fondo come un pubblico ministero, senza arrestare nessuno. Sono garantista io”. Lazio: stanziati 100mila € per attività in favore dei detenuti di Casal del Marmo e di Viterbo www.tusciaweb.eu, 8 agosto 2012 La giunta Polverini ha approvato i criteri dell’avviso pubblico per la realizzazione di attività in favore dei detenuti degli istituti penitenziari di Casal del Marmo e di Viterbo. Il provvedimento finanzia interventi di riabilitazione culturale e di rieducazione per un importo di 100mila euro. “Si tratta di progetti - sottolinea la presidente Renata Polverini - tesi ad assicurare il miglioramento della vita in carcere e il rispetto dei diritti fondamentali dei detenuti, come corsi di teatro, iniziative musicali e attività sportive. Interventi che la Regione Lazio ha già avviato e intende in questo modo rinnovare in continuità con le politiche messe in campo in questi due anni di sostegno ai detenuti e agli istituti penitenziari”. “Con questo bando - aggiunge l’assessore alla Sicurezza, Giuseppe Cangemi - l’amministrazione regionale ribadisce il proprio impegno per le attività formative dei detenuti per proseguire nel percorso che porti alla riabilitazione e al reinserimento sociale”. Firenze: detenuto tenta il suicidio, viene “salvato”, ma poi cade batte la testa e muore di Valentina Marotta Corriere Fiorentino, 8 agosto 2012 Il detenuto è caduto dal letto e battendo la testa sul tavolo è finito per terra: i soccorsi sono stati inutili. Voleva farla finita. Per questo, Rhee He Cheung ha atteso che il silenzio calasse nella sezione “transito” del carcere di Sollicciano, la sera del 4 agosto, poco prima di mezzanotte. Solo in cella, in cima al letto a castello, ha assicurato il lenzuolo alla testiera e si è avvolto al collo l’altra estremità di quel brandello di stoffa. Ma è stato sorpreso da una guardia penitenziaria, che prima ha provato a farlo desistere, poi si è allontanato per dare l’allarme e prendere la chiave di quella maledetta cella. Ed è stato allora che il detenuto è caduto dal letto, battendo la testa sul tavolo ed è finito per terra. Ogni soccorso si è rivelato inutile. Il coreano di 48 anni è stato ricoverato all’ospedale San Giovanni di Dio. Ma le sue condizioni sono apparse subito molto gravi. I medici hanno tentato di salvargli la vita, ma l’uomo è entrato in coma ed è deceduto il giorno successivo. La Procura ha aperto un’inchiesta senza ipotesi di reato e a carico di ignoti. Per fugare ogni dubbio sulle cause della morte, il pm Luigi Bocciolini ha disposto l’autopsia. L’esame è stato eseguito ieri all’istituto di medicina legale di Firenze e già oggi saranno noti i primi risultati. Rhee doveva scontare una condanna definitiva a sei anni e quattro mesi per due rapine. Avrebbe riacquistato la libertà nel giugno del 2014. Non aveva moglie, né figli in Italia. I suoi parenti erano rimasti in Corea. Nel gennaio scorso, aveva abbandonato il carcere di Perugia per varcare il portone di Sollicciano. Ma, probabilmente, Firenze non sarebbe stata la sua destinazione definitiva. Trascorreva le sue giornate nella sezione “Transito”, popolata da detenuti in attesa di giudizio per droga, rapina e furto. Da tempo chiedeva di essere trasferito a Roma. Ed era pronto a tutto per vincere la sua battaglia. Aveva inviato lettere al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e, nelle scorse settimane, era arrivato a inscenare lo sciopero della fame. Ma quella risposta tanto attesa non era ancora arrivata. Rhee il solitario non amava la compagnia degli altri detenuti. Stava sempre in disparte, anche durante l’ora d’aria. E qualche volta, litigava con i suoi compagni. Per questo, era sotto osservazione psichiatrica e aveva una cella tutta per sè. A fine luglio, l’ultima visita dello specialista avrebbe confermato che le sue condizioni non destavano preoccupazione. “Senza coperta, né cucchiaio, mi trattano come un animale” pare si fosse lamentato con i volontari dell’associazione Pantagruel. Rhee non sopportava di mangiare con le posate di plastica, come invece impongono le leggi del carcere. Poi, dieci giorni fa aveva ceduto alla rabbia e alla disperazione. In quella cella di appena dieci metri quadri, aveva devastato le sedie e scagliato il tavolo contro un muro. Aveva distrutto l’armadio e divelto il lavandino. Da allora gli era stato impedito di ricevere visite. Un’altra tragica morte a Sollicciano, la quinta dall’inizio dell’anno. Ed è uno dei tanti problemi che dovrà affrontare il nuovo provveditore all’amministrazione penitenziaria toscana, Carmelo Cantona. Ieri, il registro dell’istituto fiorentino contava 961 detenuti, tutti stipati nelle celle progettate per ospitarne meno della metà. “Non è il record peggiore - commenta Franco Corleone, garante dei diritti dei detenuti a Firenze - molti reclusi sono fuori per permessi premi e rientreranno presto in carcere”. E annuncia la novità: “A settembre inizieranno i lavori per la ristrutturazione della sezione femminile. In questo modo saranno assicurate docce calde e servizi igienici in ogni cella”. Un altro morto a Sollicciano! Rhee He Cheung, detenuto coreano, aveva chiesto il trasferimento a Roma in aprile per poter avere dei colloqui con i parenti attraverso l’Ambasciata Coreana. In giugno, dopo una visita del mio ufficio al signor Rhee, ho sollecitato il Dap per il suo trasferimento a Roma. Purtroppo non ho avuto risposta e il signor Rhee He Cheung, ha iniziato uno sciopero della fame, ha poi tentato il suicidio e cadendo ha battuto la testa, è entrato in coma ed è morto. Se la direzione del carcere avesse preso sul serio la richiesta del signor Rhee He Cheung e avesse affrontato con i volontari e con il Garante la questione, questa tragedia non si sarebbe verificata. Ho inviato una lettera al Capo del Dap, per denunciare questo ennesimo episodio di trascuratezza che deve interrogare le coscienze e prendere un impegno perché sia davvero l’ultima morte, che non può essere rubricata come frutto del caso. Franco Corleone Garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze Civitavecchia (Rm): detenuto tossicodipendente si strozza mangiando la carne e muore Notizie Radicali, 8 agosto 2012 Il giudice nega la funzione funebre nella parrocchia del paesino dove l’uomo è nato e vissuto. Dichiarazione di Rita Bernardini, deputata radicale: “Ve la racconto così come l’ho raccolta al telefono pochi minuti fa da fonte attendibile. L.D. aveva 49 anni, era stato incarcerato per reati legati al suo stato di tossicodipendenza, una vita passata tra istituti penitenziari e comunità. L.D. si trovava da un mese e mezzo nel carcere di Civitavecchia proveniente da quello di Santa Maria Capua Vetere. Da quando era stato trasferito si erano interrotti i colloqui con la sorella che, morti i genitori, si era fatta carico di seguire il ragazzo; la donna, non aveva mezzi sufficienti ad affrontare il viaggio per raggiungere Civitavecchia da un paesino della provincia di Caserta. Giovedì 2 agosto L.D. stava mangiando nella sua cella quando un pezzo di carne gli è andato di traverso e si stava strozzando, cosa che capita con una certa frequenza a chi è sottoposto ad una generosa terapia di psicofarmaci. Subito soccorso dal medico del carcere richiamato dalle urla del suo compagno di cella, L.D. veniva condotto in autombulanza all’ospedale San Paolo di Civitavecchia. Durante il tragitto l’uomo ha diversi arresti cardiaci e, appena arrivato al pronto soccorso, viene immediatamente intubato. Venerdì 3 agosto il suo fisico non regge all’ennesimo arresto cardiaco e muore. Ma questa triste storia non finisce qui. L.D. sembra sia stato “scarcerato” per l’incompatibilità del suo stato di salute con la detenzione il venerdì stesso della sua morte, ma la notifica non è mai arrivata. Lunedì scorso viene negata ai familiari la possibilità di vedere per l’ultima volta il loro congiunto mentre, ieri, martedì 7 agosto viene eseguita l’autopsia e il giudice dispone un percorso per il rientro della salma nel paesino d’origine che nega la sosta nella parrocchia per la celebrazione della messa funebre: L.D. deve andare direttamente al cimitero. Potete immaginare il dolore della famiglia, della sorella e del fratello. Come mai L.D. era stato trasferito, peraltro senza avvertire i familiari, così lontano dai suoi affetti? Perché l’Amministrazione penitenziaria non ha rispettato quanto previsto dall’art. 28 dell’Ordinamento penitenziario laddove stabilisce che “particolare cura è dedicata a mantenere, migliorare o ristabilire le relazioni dei detenuti e degli internati con le famiglie?”. Come mai l’incompatibilità della salute di L.D. con lo stato di detenzione in carcere è stata decisa così tardi? Perché negare alla famiglia la possibilità di vedere il loro congiunto e di fargli celebrare la messa in suo ricordo? Di fronte alla sordità delle nostre istituzioni - tutte, anche le più alte - occorre passare, con Marco Pannella e i radicali, alla controffensiva nonviolenta per conquistare legalità e stato di diritto oggi negati. Ecco perché stiamo mettendo a punto un’azione di massa di attivazione e animazione del diritto e delle procedure affinché i responsabili istituzionali ad ogni livello rispettino la loro propria moralità, i loro propri doveri, i loro propri obblighi. Roma: Radicali; gravi carenze sanitarie a Regina Coeli. Polverini: centro clinico verrà migliorato Dire, 8 agosto 2012 I consiglieri regionali Radicali Giuseppe Rossodivita, capogruppo, e Rocco Berardo, Lista Bonino Pannella - Federalisti Europei, hanno oggi depositato una interrogazione urgente alla presidente della Regione Lazio, Renata Polverini, anche nella sua qualità di assessore alla Sanità, sulle “gravissime carenze sanitarie” in cui si trova il carcere romano di Regina Coeli. È quanto si legge in una nota dei Radicali. L’interrogazione, spiega il comunicato, elenca alcune testimonianze raccolte tra i detenuti del carcere dalla deputata Radicale, Rita Bernardini, in occasione di una visita ispettiva svolta domenica 22 luglio insieme a Irene Testa, segretaria dell’associazione “Il detenuto ignoto”, e Gianmarco Ciccarelli, membro del Comitato nazionale di Radicali Italiani. Il carcere Regina Coeli ha una popolazione detenuta di 997 persone, con una capienza regolamentare dichiarata dal ministero di 725 posti. Le testimonianze raccolte, scrivono ancora i Radicali, fanno riferimento alle gravi carenze relative all’assistenza medico-sanitaria, al personale sanitario, al reparto adibito a centro diagnostico e terapeutico e all’assistenza psicologica, del tutto inadeguati per fare fronte alle esigenze della popolazione detenuta. Lo psicologo sarebbe presente per 12 ore al mese (2 ore per sei giorni al mese) e in tutto gli psicologi sono soltanto 4 o 5. Tra le testimonianze raccolte nel testo dell’interrogazione urgente vi sono casi di persone con gravi patologie mediche, alcuni con problemi psichiatrici, altri con diabete, malati di epatite C, cirrosi epatica, con necessità di trapianto di fegato, cure dentistiche e molto altro. Tra le vicende segnalate nel testo dell’interrogazione, si legge sempre nella nota, vi è anche il caso dei blindi, ovvero le porte di legno delle celle della seconda (e più antica) sezione del carcere che impediscono il passaggio dell’aria. La giunta regionale con la delibera n. 875 del 2009 aveva previsto un intervento ad hoc per collocare nelle celle cancelli in sostituzione dei blindi. Anche di questo si chiede notizia alla presidente della Regione Lazio. L’interrogazione, conclude il comunicato, chiede di sapere inoltre se esiste un piano sanitario specifico per il carcere di Regina Coeli, quali iniziative intenda attivare urgentemente la Presidente della Regione Lazio, avendo anche l’interim di assessore alla Salute, riguardo le gravi carenze documentate e se non intenda, di concerto con il ministro della Giustizia e quello della Salute, intervenire per assicurare il diritto alle cure delle persone detenute. Tra le richieste si chiede anche di sapere se riguardo l’assistenza psicologica non intenda incrementare le ore di lavoro del personale specializzato. Polverini: misure entro settembre Una commissione paritetica promossa dal Ministero della Giustizia e dalla Regione Lazio per individuare le misure necessarie a migliorare l’operatività di Regina Coeli e in particolare del Centro clinico del carcere. È quanto hanno annunciato il ministro della Giustizia, Paola Severino, e il presidente della Regione Lazio, Renata Polverini, che oggi hanno visitato insieme la struttura incontrando sia gli agenti sia i detenuti. Il ministro aveva fatto una visita a sorpresa a Regina Coeli la scorsa settimana dopo il suicidio di un detenuto e oggi ha ricordato come il problema del supporto psichiatrico e psicologico a chi sta in carcere sia centrale e vada rafforzato specie in strutture come Regina Coeli che ospita soprattutto persone in attesa di giudizio. La Commissione paritetica dovrà per questo individuare entro il 29 settembre un programma di interventi che prevedono sia lavori strutturali, sia un’analisi delle patologie prevalenti in carcere, sia una valutazione sull’adeguatezza in termini numerici del personale attivo nel Centro. “L’analisi dimostra - ha sottolineato Polverini - che attualmente è sufficiente, ma valuteremo tutti i contratti per un eventuale ampliamento dell’orario”. Severino e Polverini vogliono anche capire se e come possono essere utilizzate le sale operatorie presenti nel Centro e come migliorare l’utilizzo della telemedicina, progetto già avviato che verrà potenziato. A Regina Coeli attualmente ci sono 968 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 725; a ottobre riaprirà la quinta sezione dopo la ristrutturazione mettendo così a disposizione 80 posti e a febbraio riaprirà la sesta sezione con ulteriori 100 posti. Nel Centro clinico sono in cura 68 detenuti. Bologna: il caso dell’Ipm del Pratello; il Governo impugna reintegro ex direttrice Ziccone Dire, 8 agosto 2012 Il ministero della Giustizia impugnerà la sentenza del giudice del lavoro di Bologna, che ha imposto il reintegro di Paola Ziccone al suo ruolo di direttrice del carcere minorile del Pratello. A dirlo è il guardasigilli Paola Severino, in una risposta scritta consegnata ieri alla presidenza della Camera, con la quale il ministro replica all’interrogazione dei deputati bolognesi del Pd Sandra Zampa, Donata Lenzi, Salvatore Vassallo e Gianluca Benamati. “È intenzione dell’amministrazione proporre appello avverso la sentenza del Tribunale di Bologna - annuncia Severino - tramite l’Avvocatura distrettuale dello Stato competente”. In ogni caso, aggiunge il ministro, “potrà darsi esecuzione a quanto stabilito dal giudice del lavoro di Bologna soltanto al termine della sospensione disciplinare in atto”. A seguito delle ispezioni del dicembre 2011, infatti, a Ziccone “sono stati imputati ulteriori addebiti disciplinari” che le sono costati “la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per tre mesi”, provvedimento che le è stato notificato il 30 maggio scorso. Severino assicura comunque che contro la direttrice del Pratello non c’è nessuna persecuzione, come paventato invece da Zampa e colleghi. “Appare manifesta l’assoluta infondatezza delle notizie circa un atteggiamento persecutorio o ritorsivo nei confronti della dottoressa Ziccone - respinge le accuse il ministro - risultando i provvedimenti amministrativi, adottati nei confronti della stessa, come logica e naturale conseguenza dei rilievi e delle irregolarità riscontrate dall’ispezione svolta dal dipartimento dell’amministrazione penitenziaria”. Il giudizio di Severino su Ziccone è, del resto, molto pesante. “Mentre la dottoressa Ziccone era direttore dell’istituto penale minorile di Bologna - spiega il ministro - si erano verificate talune situazioni emergenziali, indicative di una insostenibile conflittualità e di disordine organizzativo, che avevano esposto a grave pericolo il livello di sicurezza dell’istituto stesso”. Severino parla di “gravi disfunzioni organizzative” e di “diffuso malcontento nei confronti del direttore dell’istituto, anche da parte del personale di polizia penitenziaria”. In più occasioni, riferisce il ministro, “era stata registrata la contemporanea assenza per malattia del direttore dell’istituto, del comandante di reparto e di un numero consistente di personale della Polizia penitenziaria”, tanto da rendere necessario “l’invio in missione di alcune unità di Polizia penitenziaria da altre regioni” per mantenere un livello di sicurezza adeguato. “In un’altra circostanza - rincara Severino - era stata persino paventata la richiesta di allerta preventiva alla Prefettura di Bologna. Quest’ultima evenienza era stata scongiurata soltanto grazie all’intervento organizzativo del dottor Roccaro, il quale nella qualità di direttore nominato il 18 agosto 2011 su disposizione del Capo dipartimento, era riuscito a migliorare il clima lavorativo e con esso a garantire gli standard di sicurezza richiesti per la funzionalità dell’istituto”. A Roccaro è stata poi affidata la direzione dell’istituto per garantire la “continuità dell’azione amministrativa e il primario interesse a una buona amministrazione”, mentre Ziccone era stata incaricata del “coordinamento dell’area tecnica presso il Centro giustizia minorile di Bologna, anche al fine di assicurarle un ulteriore accrescimento professionale”. Livorno: Antigone; carcere Gorgona sottoutilizzato, potrebbe ospitare 90 reclusi, ce ne sono 70 Adnkronos, 8 agosto 2012 La casa di reclusione di Gorgona, sull’isola omonima a 18 miglia dalla costa di Livorno, potrebbe ospitare 90 detenuti ma ad oggi sono reclusi in 70. Lo rileva l’associazione Antigone, in questi giorni in tour per le carceri italiane. “L’isola è territorio demaniale e parco naturale - scrive in una nota Antigone - e gli unici abitanti sono i detenuti e il personale in servizio presso l’istituto. Al momento della visita erano 70 i detenuti in carico, 4 dei quali si trovavano in permesso premio. Tra i detenuti presenti 18 erano in articolo 21. L’istituto potrebbe arrivare ad ospitare fino a 90 persone”. “Nel 2011 non si sono registrati eventi critici, anche se capitano abbastanza frequentemente incidenti sul lavoro - continua l’associazione - . L’accesso all’isola avviene tramite i mezzi della polizia penitenziaria, che effettuano i viaggi ogni giorno, oppure il martedì tramite il battello diretto a Capraia, che si ferma a largo di Gorgona permettendo alla lancia della polizia di caricare i passeggeri. Per questo motivo, il martedì, quando il mare lo consente, è l’unico giorno in cui è permesso ai parenti dei detenuti di accedere all’isola per i colloqui”. Il frutto del lavoro dei detenuti viene venduto o ai detenuti stessi o agli agenti e alle altre persone presenti sull’isola. “L’organizzazione della produzione sconta la mancanza di fondi per il pagamento dei lavoratori. Se prima era possibile assicurare lavoro almeno per 7 - 8 ore al giorno, adesso si riesce, nel migliore dei casi, a garantirne 4. Soprattutto per coloro conclude la nota - i quali lavorano con gli animali questa limitazione oraria è priva di senso, cosicché gran parte dell’attività lavorativa di questi detenuti è volontaria”. Modena: rinforzi per il Sant’Anna, una beffa… solo sostituzioni, addio al nuovo padiglione La Gazzetta di Modena, 8 agosto 2012 Ancora nulla di fatto per il miglioramento delle condizioni di detenuti e operatori al carcere Sant’Anna. Infatti la recente decisione dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria in merito alla assegnazione di nuovi agenti presso gli istituti di reclusione dell’Emilia Romagna prevede che per Sant’Anna arriveranno quattordici nuovi agenti, ma solo come sostituzioni di quattordici agenti che saranno trasferiti in altre sedi. Sfuma così la possibilità di aprire il nuovo padiglione, riducendo l’attuale sovraffollamento e creando migliori condizioni di sicurezza sul lavoro per gli agenti penitenziari. “Questa operazione sul personale “a saldo zero” - dichiara Sergio Rusticali della segreteria Pd della città - aggrava la già precaria e insostenibile situazione della S. Anna. Dobbiamo esprimere pertanto un parere negativo, e auspicare solo un ripensamento da parte del Dipartimento dell’amministrazione Penitenziaria. In questo contesto non esistono le condizioni per l’apertura del nuovo padiglione che, alla faccia del risparmio della spesa pubblica, vedrà una struttura moderna e con tecnologie di avanguardia, un investimento fatto dallo Stato, ancora inutilizzata”. Il Pd modenese, nell’esprimere la solidarietà ai sindacati di settore e ai lavoratori rispetto alle iniziative che hanno annunciato, metterà in campo ogni azione possibile, sollecitando i parlamentari modenesi e le rappresentanze istituzionali affinché siano assunte le necessarie iniziative tese a far modificare questa incomprensibile decisione del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Stati Uniti: la Corte Suprema non ferma il boia, giustiziato un detenuto disabile Il Fatto, 8 agosto 2012 Quella di Marvin Wilson, accusato di omicidio in una vicenda controversa, è stata la 484esima condanna a morte eseguita in Texas in trent’anni, la 246esima in 12 anni. L’uomo aveva registrato in più test un “QI” basso. Ma non è bastato. La sentenza di condanna a morte di Marvin Wilson per l’omicidio di Jerry Williams nel 1992 è stata eseguita. A nulla è servita la mobilitazione delle associazioni per i diritti umani né l’ultimo appello presentato dall’avvocato Lee Kovarsky affinché la Corte Suprema tenesse conto dei ritardi mentali di cui Wilson era affetto e fermasse l’esecuzione. Appello respinto. Alle 18,27 ora statunitense, in piena notte in Italia, Wilson è stato dichiarato morto, 14 minuti dopo aver ricevuto l’iniezione letale che ha stroncato la sua vita. “Sono venuto qui da peccatore e me ne vado da santo. Riportami a casa Gesù”, sono state le ultime parole dell’uomo che nei test per calcolare il quoziente intellettivo aveva fatto registrare soltanto 61 punti e la cui condanna, pertanto, per una precedente sentenza della stessa Corte Suprema, sarebbe potuta essere commutata con l’ergastolo. Wilson è stato il 484esimo detenuto giustiziato in Texas dal 1982. Il 246esimo da quando, dal dicembre del 2000, il repubblicano Rick Perry siede sulla poltrona di governatore. Nel braccio della morte Wilson era finito nel 1994, condannato alla pena capitale per il rapimento e l’omicidio di Jerry Williams il 4 novembre di due anni prima. Williams era un informatore della polizia che pochi giorni prima lo aveva denunciato come spacciatore. Secondo quanto emerso durante il processo Wilson, uscito su cauzione dopo essere stato arrestato con 24 grammi di cocaina, assalì e picchiò Williams assieme a un complice, Terry Lewis, davanti a un negozio a Beaumont, nella contea di Jefferson. I due lo portarono via e poco dopo, raccontarono i testimoni, si udirono colpi di pistola. Il cadavere fu ritrovato sul ciglio della strada l’indomani. Wilson e Lewis furono arrestati, ma contro il primo pesarono le parole della moglie del complice secondo cui lo stesso Wilson le confessò di essere stato lui a uccidere l’informatore. La sentenza fu ribaltata dalla Corte d’appello del Texas nel 1997, ma l’anno seguente fu nuovamente condannato alla pena capitale. Lui non ha mai negato di aver spacciato cocaina, ma l’omicidio no, di quello non era colpevole ha sempre sostenuto. Uno spiraglio per la sua salvezza si aprì nel 2002, con la sentenza della Corte Suprema nel caso che opponeva il condannato a morte Daryl Atkins allo Stato della Virginia. Con 6 voti favorevoli e 3 contrari, i giudici dichiararono incostituzionale l’applicazione della pena di morte alle persone affette da ritardo mentale. Secondo i giudici si sarebbe trattato di una punizione crudele, in violazione dell’ottavo emendamento. Per la definizione di “ritardo mentale” la corte rimandava a quella data dall’allora American Psychiatric Association and the American Association of Mental Retardation, che in particolare fissa la soglia di 70 punti di quoziente intellettivo per stabilire se qualcuno possa essere considerato affetto da ritardi mentali. Nei sette anni in cui l’avvocato ha fatto leva su questo punto l’asticella del QI di Wilson ha oscillato in nove diversi test tra il 75 e i 61 punti, risultato quest’ultimo raggiunto con le prove più accurate e avanzate. Già da bambino Wilson aveva mostrato i primi segni. Non sapeva allacciarsi le scarpe, contare i soldi, tosare il prato. Pur avendo frequentato scuole speciali, ne uscì con voti bassi. “Non riuscivo a credere che anche dopo la nascita del figlio continuasse a succhiarsi il pollice”, ha raccontato la sorella Kim parlando del fratello nel pieno dei suoi vent’anni. Tuttavia la sentenza della Corte Suprema, lasciava ai singoli Stati spazio per stabilire i parametri in base ai quali giudicare eventuali ritardi. In Texas sono i sette fattori Briseño (dal nome di un altro caso). Tra i criteri scelti c’è la capacità di formulare e mettere in atto un progetto; la capacità di dimostrare la propria leadership; di riuscire a mentire per proteggere sé stessi o i propri interessi; di rispondere in modo appropriato e corretto. I fattori Briseño sottolinea Human Rights Watch non sono però scientifici. Al contrario, secondo quanto riportato dall’ American Association on Intellectual and Developmental Disabilities, come è chiamata oggi l’Aaamr, si baserebbero su stereotipi. Ancora più duro il quotidiano britannico Guardian che individua nel Lennie Small bisognoso di sostegno, descritto da John Steinbeck nel romanzo Uomini e topi, il modello di chi può scampare all’esecuzione della sentenza di morte. Per l’accusa Wilson riusciva a svolgere lavori manuali, aveva lavorato nel settore edilizio e il fatto che spacciasse dimostrava la sua capacità di gestire i soldi. Secondo l’avvocato Kovarsky, è invece “un oltraggio” che il Texas, uno dei 33 Stati Usa che ancora applicano la pena capitale e in cui il 70 per cento dei cittadini è favorevole alle esecuzioni, continui a usare metodi non scientifici per stabilire chi debba essere messo a morte. Russia: chiesti tre anni per le Pussy Riot, accusate di “teppismo motivato da odio religioso” di Eliana Di Caro Il Sole 24 Ore, 8 agosto 2012 Avevano pregato la Madonna di liberare la Russia da Vladimir Putin facendolo a modo loro, nel colorito linguaggio punk, sull’altare della Cattedrale di Cristo Salvatore. Alla giustizia di Mosca non è piaciuto. Il procuratore Alexei Nikiforov ha chiesto ieri tre anni di reclusione per le Pussy Riot, le tre giovani artiste in carcere da marzo, accusate di “teppismo motivato da odio religioso”. “Imprecare in chiesa è un insulto a Dio. C’era una palese derisione ai danni delle persone. Si sono messe contro il mondo cristiano ortodosso, indossando abiti estremamente indecenti e comportandosi in modo volgare e provocatorio. Di fronte alla gravità di questo crimine, la punizione deve essere una vera e propria privazione della libertà”: queste le motivazioni per il carcere, nonostante le scuse più volte porte da Maria Aljokhina, Nadezhda Tolokonnikova e Ekaterina Samutsevich, 24, 22 e 29 anni (due di loro sono mamme) ai credenti urtati dalla loro performance. E nonostante la battaglia condotta in queste settimane dalle associazioni dei diritti umani e da colleghi ben più famosi (Sting, Peter Gabriel, i Red Hot Chili Peppers) per una situazione che nel 2012 apparirebbe surreale se non fosse che in Russia il dissenso non è consentito. Da Londra Putin aveva detto che la band non avrebbe dovuto essere giudicata “troppo severamente”. Il massimo della pena prevista era sette anni. Le tre artiste hanno sempre specificato che il loro è stato un atto politico che non ha nulla a che vedere con la religione, come ha sottolineato anche uno degli avvocati, Mark Feygin, rimarcando il rischio di una clericalizzazione del Paese. Masha, Nadia e Katia hanno denunciato nei giorni scorsi di essere state private del sonno, di non aver ricevuto cibo e di non aver potuto incontrare privatamente i loro legali.L’avvocato Violetta Volkova ha annunciato che farà ricorso alla Corte europea dei diritti umani per le violazioni durante il processo: “Queste donne non sono qui perché hanno ballato in una chiesa. Sono qui per le loro opinioni politiche”. La notizia dei tre anni di carcere chiesti dalla Procura ha fatto il giro del mondo, suscitando clamore e inducendo gli attivisti dell’opposizione a indire una manifestazione di protesta il 19 agosto. L’Unione europea si è detta “preoccupata per le irregolarità segnalate nel caso Pussy Riot”, in particolare “per gli atti intimidatori contro gli avvocati, i giornalisti e gli eventuali testimoni”. Dall’altra parte c’è la furia dei credenti, che considerano la Cattedrale di Cristo Salvatore un luogo sacro e hanno descritto il trio come il diavolo in azione. Quando anche la cantante Madonna è scesa in campo a favore delle colleghe (“Sono contro la censura, per questo spero che i giudici siano clementi e le liberino presto”), il patriarcato di Mosca ha invitato i fedeli a non andare al concerto di ieri sera allo stadio della capitale. Gli 80mila posti erano esauriti da tempo.